L’attesa
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L’attesa è il racconto di una donna che non si arrende, al di là dello scorrere inesorabile del tempo, di quanti sacrifici sia disposta a sostenere per vivere l’amore vero.
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Anteprima del libro
L’attesa - Agnese Moncada
Agnese Moncada
L’attesa
© 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it
ISBN 979-12-201-4523-7
I edizione dicembre 2023
Finito di stampare nel mese di dicembre 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.
L’attesa
A me stessa,
per la forza avuta nonostante le difficoltà,
per avere sempre creduto in un raggio di sole dopo un temporale.
All’uomo della mia vita,
per avermi insegnato cosa sia l’amore,
al di là di ogni limite.
Premessa
L’idea di questo libro è nata in me un paio di anni fa. È cresciuta, col tempo, divenendo quasi un bisogno. La narrazione della mia vita, pensavo, la volontà di lasciare qualcosa che mi riguardasse agli altri. Tracciavo nella mia mente ciò che avrebbe significato, quale sforzo emotivo sarebbe stato necessario e mi chiedevo se ne sarebbe valsa la pena.
Parlare di sé stessi agli altri non è mai facile. Chi di noi può ammettere con profonda onestà di avere confidato a qualcuno, che sia questi l’amico più caro, la persona più vicina, ogni singolo fatto, ogni recondita verità sulla propria vita? Il pudore, la paura, l’impossibilità di trovare il modo giusto ci bloccano.
Viviamo un’esistenza piena di singoli episodi che, messi insieme, rappresentano un’intricata matassa di cui è difficile acciuffare il bandolo. Fatti, persone, incontri, rivelazioni. Segni del divino, destino e volontà.
La paura però, via via, ha lasciato spazio al desiderio più autentico, al coraggio. Sì, è indispensabile del coraggio per narrare di se stessi, occorrono parimenti forza e desiderio.
Ho deciso di raccontare ciò che è stata la mia vita fino adesso per tirare fuori ciò che mai sono riuscita a esternare nella più totale genuinità a nessuno. Un’operazione difficile, per alcuni versi, e meravigliosa per altri, perché forse è solo attraverso la parola scritta che qualcosa può essere reso immortale. Un lascito, a chi vorrà accoglierlo.
Toccherà avventurarsi dentro momenti belli e ricordi dolorosi, rivivere ciò che è sedimentato in fondo al mio cuore e che occorre far emergere per rendere partecipe chi mi è vicino, a cui intendo donarmi completamente, e chiunque altro leggendo di me possa trovare un senso, vivere un sentimento, trovare una propria interpretazione di ciò che accade a volte senza che noi possiamo fare nulla per cambiare le cose.
Mi auguro che la mia scrittura diventi un racconto di amore per la vita, di speranza e di consapevolezza che ogni cosa succede perché vi è una ragione insondabile. Se impareremo ad apprezzare ciò è stato e ciò che abbiamo, al di là di ogni difficoltà, se ci soffermeremo sulla nostra storia con occhi nuovi, scopriremo la gratitudine per il dono meraviglioso che è la vita. Coltiviamo dunque il desiderio di speranza, la certezza di essere venuti alla luce per amare noi stessi e gli altri, l’unico modo attraverso cui possiamo sentirci vicini al divino.
Ripercorrere ogni tappa senza lasciarsi sopraffare dall’amarezza, dal pensiero che sarebbe bastata soltanto una piccola scelta differente per cambiare l’intero corso delle cose, questo è ciò che mi auguro di fare. È questo il mio modo per parlare a tutti di chi sono oggi, da dove vengo e perché non perderò mai la voglia di godere di ogni attimo di questo regalo prezioso che ogni individuo su questa Terra possiede e di cui dobbiamo prenderci cura con tutte le nostre forze: la vita.
1 – Una scelta obbligata
Sono nata in un piccolo paese del Sud Italia degli anni Sessanta, in una famiglia numerosa, da genitori umili. Sono la quinta di sette figli di un padre agricoltore e di una madre che, nonostante fosse una donna forte, aveva avuto grosse difficoltà a gestire quella che fino al 1963 era una casa in cui bisognava crescere già cinque figli. Gli altri due sarebbero arrivati nel ’65 e nel ’73, quando le cose andavano già male da parecchio tempo. Mio padre non era stato bene e lei, per giunta, aveva dovuto lottare a lungo contro la depressione. Una donna in gamba, mia madre, che cercava di barcamenarsi come poteva, non sempre riuscendoci purtroppo. Tutto seguiva una quotidianità ormai ben collaudata, nonostante le difficoltà, quando un giorno, il destino forse, mise sulla nostra strada una persona che avrebbe segnato una svolta decisiva nella mia vita. Frequentavo le scuole elementari quando giunse in paese una maestra il cui cognome riecheggiò in mio padre il ricordo di una famiglia della quale spesso aveva sentito parlare in casa. La donna, venne a sapere poco dopo, apparteneva a una famiglia facoltosa che mio nonno, agricoltore anche lui, aveva per anni rifornito di frutta e ortaggi. La madre, rimasta vedova con quattro figli, necessitava di qualcuno che le facesse compagnia e per questo la mia maestra, per l’appunto una delle sue figlie, aveva pensato bene di confidare a mio padre come l’opportunità che io mi traferissi a vivere da loro avrebbe potuto soddisfare le esigenze di tutti. La mia famiglia sarebbe stata alleggerita dall’onere di doversi occupare di me, consentendomi di vivere nell’agio, mentre loro avrebbero risolto la difficoltà di una madre che spesso era costretta a rimanere sola, con tutte le difficoltà che questo le comportava. Quello che credevamo tutti fosse un piccolo prezzo da pagare era occuparsi di una donna ormai anziana e dare una mano in casa per le piccole faccende quotidiane. Un patto alla pari, una scelta da un lato dettata dal bisogno, dall’altro dalla generosità di accogliere in casa me, che ero ancora una bambina, e di non farmi mancare nulla. Mio padre intendeva così garantirmi un futuro sereno, consapevole che loro avrebbero potuto offrirmi ciò che lui e mia madre non erano in grado di garantirmi. Una scelta dolorosa, immagino, le cui conseguenze avrebbero impattato sulle nostre vite per sempre.
Quello che pareva un quadro idilliaco si sarebbe mostrato nel tempo nella sua cruda realtà, ma a quel tempo tutto lasciava presagire che la scelta di trasferirmi in una grande e bella casa rappresentasse il mio bene e così i miei genitori cedettero, affidandomi a quella che per quattordici anni sarebbe divenuta la mia nuova famiglia.
Da un appartamento molto umile dove però, grazie a Dio, non mi era mai mancato da mangiare, mi trasferii così in una casa di grande valore, dove vivevano quelli che erano rimasti orfani di padre molto giovani, ma che ormai erano diventati tutti e quattro degli affermati professionisti. Il padre, proprietario di una ben avviata erboristeria, aveva garantito che tutti potessero studiare, e così, dopo la mia maestra,