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Lasciami Vivere
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E-book148 pagine1 ora

Lasciami Vivere

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Info su questo ebook

La storia è raccontata da un feto, frutto dell’amore della mamma Lucia con il papà Marcello.
Lucia è stata precedentemente sposata con Sandro, un uomo violento che, dopo mille soprusi, ha tentato di ucciderla. Lucia, ricoverata in fin di vita, si salva e nel periodo di riabilitazione conosce Marcello, si innamorano e, dopo tre anni di convivenza, aspettano un bambino. Quando Sandro viene rilasciato per usufruire degli arresti domiciliari, l’incubo torna a tormentare Lucia che si sente seguita e perseguitata dall’ex marito in cerca di vendetta. Ogni emozione e paura sono raccontate dal feto, mentre la madre inventa bugie per nascondere le sue ossessioni e per non allertare parenti e amici che si preoccupano per lei. “Lasciami vivere” è una lente d’ingrandimento sulle conseguenze di un amore tossico che perdura nel tempo, tracciando però sul finale, la nascita di un rapporto privo di violenza.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mag 2020
ISBN9788835821144
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    Anteprima del libro

    Lasciami Vivere - Stefania Nicolai

    EDITORE

    Lasciami Vivere

    Stefania Nicolai

    1

    Mi piacerebbe descrivervi il colore dei miei occhi o dei miei capelli, farvi sapere quanto sono alto o grasso, intelligente o stupido. Mi piacerebbe anche dirvi quanti anni ho, ma tutto questo non è possibile, semplicemente perché io, non sono ancora nato.

    Non ricordo quando ho avuto la coscienza di esistere, lentamente da un minuscolo puntino informe ho tirato fuori un battito che gli altri chiamano cuore. Da principio mi dava fastidio quel pulsare quasi assordante che danzava al ritmo della vita, poi si sono formate le appendici delle braccia e delle gambe, dal volto informe la carne si è divisa, aperta, sollevata, e sono affiorati gli occhi, la bocca, il naso; tutti i sensi si sono risvegliati e al cuore non ci ho pensato più. Libero da ogni peccato mantengo ancora quel magico legame con l’universo intero: non conosco nulla, eppure so tutto; possiedo sembianze umane, eppure sono ancora un angelo che ha da poco perso le ali.

    Galleggio in un liquido chiaro e caldo, nuoto assecondando i movimenti della donna che mi porta dentro e che ho saputo si chiama mamma.

    Ho conosciuto il suo nome in una tarda mattina di fine inverno: le hanno chiesto quando sarebbe diventata mamma e lei, candidamente, ha risposto che lo era già, anche se ancora non poteva stringermi tra le braccia. E′ bella, lo so perché mio padre glielo rammenta sempre e quando la bacia lo fa con la gentilezza e la passione di chi è innamorato.

    Certe mattine si sveglia di soprassalto, la sento respirare con affanno, capisco che qualcosa non va e allora mi agito anch’io, preso da una spiacevole spossatezza. Lei s’accarezza l’addome gonfio e, con fatica, lascia il letto per correre in bagno a vomitare. E′ accaduto spesso e mi sono sentito in colpa perché non voglio essere la causa del suo malessere ma, dopo aver svuotato lo stomaco, stiamo meglio entrambi.

    Sono altre, invece, le cose che la fanno star male.

    Ci sono delle parole che ripete spesso e che le procurano un fremito inarrestabile, la voce esita e il cuore martella forte. Ho imparato a conoscerla bene e so che nella sua vita c’è qualcuno che la preoccupa. Lo sa anche il mio papà e la nonna, che viene spesso a trovarci.

    Deve essere mattina perché fuori c’è luce e mi trastullo in un tiepido calore. Resterei così, assopito e sereno, se non fossi improvvisamente disturbato da un fastidioso suono che si estende fin qui. Sobbalzo, poi mi ricordo che, dopo quel trillo, c’è sempre una voce in più nella casa e sono felice perché non siamo più soli.

    Mia madre strascica le ciabatte fino ad aprire la porta d’ingresso e sento passi affrettati di donna che avanzano.

    «Hai letto il giornale?» Marta irrompe portandosi addosso un forte odore di marijuana, imbocca in cucina e getta irritata il quotidiano sul tavolo.

    «Sì, lo so già», mamma si lascia cadere di peso sulla sedia mentre percepisco una smania, una specie di zavorra che le preme il torace.

    «L’avvocato ha chiesto una riduzione della pena e tra pochi giorni ci sarà il verdetto della cassazione.»

    Non so cosa sia la cassazione e neppure cosa voglia dire pena, sono parole che non ho mai sentito, eppure, intuisco che non è una buona notizia.

    «Non voglio agitarmi, fa male al bambino.»

    «Tesoro», Marta farfuglia mentre fa esplodere tra le labbra un palloncino di chewin gum, «non è per farti pressione, ma devi chiedere aiuto, non puoi rischiare con quella bestia in giro.»

    «Non è in giro, è in galera e non credo uscirà facilmente.»

    «Potrebbero dargli gli arresti domiciliari, lo sai, vero?»

    «Cosa vuoi che faccia?» mamma si è alzata e il rumore dell’acqua che scorre arriva fin qui. «Scappo in queste condizioni, lascio Marcello e gli nego il diritto di vivere la paternità?»

    «Lui capirebbe, esistono delle associazioni che proteggono le donne minacciate. Sandro è un delinquente, ha giurato di vendicarsi e tu hai un figlio da far nascere!»

    «Credi che non mi troverebbe ugualmente? No, se vuole quello arriva ovunque e credo di essere più al sicuro qui che altrove.»

    Lo scroscio dell’acqua è cessato, sostituito dal tintinnio della porcellana.

    «Come lo vuoi il caffè? Amaro?»

    «Sì. Lucia, attenta…!»

    Un grido soffocato e il bruciore serpeggia dalla sua mano fino a me.

    «Stai tremando, lascia, faccio io. Vai a mettere della pomata sulla scottatura.»

    «E′ in un cassetto del comò, torno subito.»

    Si chiude a chiave in una stanza. La sento piangere.

    Quando mia madre piange tutto il corpo si annienta nella tristezza, è una sensazione sgradevole, come se un pezzetto di vita vagasse orfana per il mondo.

    Capisco che non è la mano a darle sofferenza, per questo cerco di consolarla con un colpetto sull’addome, per rammentarle che esisto e le sono vicino, anzi no, dentro, dividendo con lei lo stesso sangue.

    Sono così bravo che lei comprende e mi sussurra:

    «Non ti preoccupare, nessuno ti farà del male.»

    Torna dalla sua amica, la pomata l’ha almeno dispensata dal dolore fisico.

    «Marta», le ordina decisa, «non voglio più parlare di lui.»

    «Va bene, scusami. Quando farai la prossima ecografia?»

    «Domani. Spero di riuscire a vedere il sesso, stavolta.»

    «Certo che è già dispettoso prima di nascere!»

    «Vorrei fosse maschio», lo bisbiglia appena, come fosse una colpa, «avrebbe una vita meno complicata. Magari diventerebbe giudice, così potrebbe difendere i più deboli.»

    Maschio! Mia mamma vuole un maschio! Non ho la minima idea di come si possa modificare il sesso di un nascituro, ma da questo momento non voglio essere femmina e mi concentro con tutte le mie forze per darle ciò che desidera. Ci sarà pure un modo per nascere maschio.

    Restiamo soli, ma la tranquillità si è dileguata con Marta.

    La casa affoga nell’apprensione, i suoi movimenti sono diventati nervosi, vaga per le camere senza concludere niente, parla dando vita a incubi repressi e più riesuma ombre più quelle diventano reali, prendono forma e consistenza fino a imbrigliarla in un labirinto di supposizioni.

    I mesi di terapia le hanno insegnato a controllare le bizze dell’inconscio, anche se lì, dalla psicanalista, con luci soffuse e lettino rilassante, sembrava tutto più semplice.

    Cerca di inspirare con le narici mentre ripete che non ha paura, che vincerà contro tutti.

    Accende l’incenso e quel profumo che annusa come fosse una cura mi rilassa, vago per mondi sconosciuti, immagino il suo volto sereno e sorridente e sono pervaso da una valanga d’amore.

    Siamo così legati e in simbiosi che anche le sue membra si distendono, il corpo si arrende alla mente che le impone tranquillità e l’avviluppa in un benefico torpore.

    Si sdraia sul divano, il leggero tocco delle sue mani sul ventre mi intenerisce, non parla ma so che mi sta pensando. Chiudo gli occhi e mi addormento con lei.

    ******

    Non conosco il valore del tempo, eppure credo ne sia trascorso parecchio perché mi sveglio infreddolito, con lo sferragliare delle chiavi nella serratura.

    Sono felice, quel tintinnio di metallo annuncia l’arrivo del mio papà.

    Mamma si alza di scatto, s’accorge di essere in ritardo ed esclama preoccupata:

    «Sei già qui? Devo essermi addormentata, non ho preparato il pranzo!»

    Mio padre è un uomo robusto, lo intuisco dalla camminata pesante, i suoi passi echeggiano da una stanza all’altra. Ha la barba, a lei non piace perché le dà prurito quando la bacia, lui le ha promesso che la taglierà ma poi, non lo fa mai.

    «Mi dispiace tanto! Ho acceso dell’incenso, mi sono stesa un attimo sul divano e…»

    «Non ti preoccupare, aspetto. Mi vanno bene due uova. Piuttosto, come stai?»

    «Il bambino oggi si è agitato più del solito. A parte questo, bene.»

    Non è vero e io lo so.

    Chissà perché gli nasconde sempre ciò che l’affligge, sempre pronta a mostrarsi allegra, disponibile, serena. Se imparasse a condividere con lui ogni cruccio forse staremmo meglio entrambi. Ma lei è cocciuta, piange e si dispera solo con la nonna.

    Papà prende il posto di mia madre sul divano, sprofonda sui cuscini morbidi, espira fiato intriso di stanchezza, sfila le scarpe e probabilmente massaggia i piedi.

    «Questi mocassini sono stretti, non riesco a calzarli per un’intera mattinata.»

    Non aspetta replica da mamma che, nel frattempo, è già in cucina a trafficare con le padelle.

    Si alza e accende la TV.

    Lei, con un sussulto, s’affretta a protestare:

    «Spegni la televisione, ho mal di testa.»

    «Mi hai detto di stare bene.»

    «Beh, sono frastornata, forse ho dormito troppo.»

    «Tengo il volume basso, vedo solo il telegiornale», la voce giunge decisa dal salotto.

    Mia mamma versa dell’olio che mette a friggere sul fuoco, l’odore grasso delle olive le solletica la gola. Lei è qui, ma con la mente è di là, concentrata ad ascoltare le notizie che arrivano ovattate, voci indistinguibili per l’audio appena percettibile.

    Ora dovrebbe rompere i gusci delle uova, l’olio riscaldato inizia a essere acre e punge le narici, tuttavia non si muove, come pietrificata sente papà che s’avvicina e l’aspetta in silenzio.

    «Tu lo sapevi?»

    «Sì», stavolta il segreto è troppo pesante per sopportarlo da sola.

    «Quando pensavi di dirmelo?»

    «Ne sono venuta a conoscenza solo oggi, non volevo ti preoccupassi.»

    L’olio brucia nella padella e il fumo mi dà fastidio.

    «Come posso stare tranquillo, con una bestia del genere?»

    «Vedrai che resterà in galera per un bel pezzo.»

    «Dobbiamo prepararci al peggio, non… ehi, c’è qualcosa che brucia?»

    Lei si volta, s’accorge della nuvola scura e maleodorante che sale dal fornello, sposta la padella e inala una manciata di aria tossica. Mi sento male, è come se un’ingombrante scudo di metallo premesse verso l’utero, schiacciandomi in un angolo troppo piccolo per contenermi. Vorrei ribellarmi, invece l’unica cosa che posso fare è resistere

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