Strappi di me: Piccoli ricordi di una vita
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Anteprima del libro
Strappi di me - Paola Braccini
Paola Braccini
STRAPPI DI ME
Piccoli ricordi di una vita
Atile edizioni
" LA VITA AGRA"
Luciano Bianciardi
1967
In ricordo dei miei genitori
Prefazione
di Giuliana Nova
Andavamo a letto presto la sera
Ignoro quante persone vadano a letto presto la sera. Forse lo fanno unicamente per non perdere tempo e iniziare a sognare. Questa è forse la migliore di tutte le condizioni umane, ricordare e rivivere il passato, e quindi il sogno, è indispensabile. Naturalmente si può sognare a occhi aperti, oppure a occhi chiusi, dipende dalle preferenze. Non occorre nemmeno mangiare delle madeleine , oppure inciampare in quella certa pietra. Per ricordare occorre unicamente aver vissuto, è necessario avere dietro di sé una lunga fila di fatti e di narrazioni; e allo stesso tempo la deformazione che di essi facciamo, nel gesto stesso del rammentare, serve a sopportare il peso dell’esistere, a comunicare agli altri la nostra irripetibile individualità.
Attraverso i molteplici specchi di sé di cui Paola Braccini dissemina i suoi racconti conosciamo la realtà del suo tempo passato, sia quella cosa indefinibile cui diamo il nome di Kronos , il Tempo quantitativo degli Antichi Greci, sia invece l’altra, quella attraverso cui, in ogni parola, in ogni nostro gesto, non facciamo che aspirare al Kairos , il Tempo qualitativo, il tempo che conferisca un significato certo a ogni attimo, che non renda inutile o malcerta la nostra decisione di vivere ogni giorno, vivere comunque.
Tutti abbiamo avuto dei genitori, ognuno ha amato o cercato rifugio tra le loro braccia e rammentare il loro incedere nella nostra coscienza, ora che i loro corpi non sono più presenti a occupare spazio nelle nostre vite, a costringerci a prendercene cura e ad ascoltarli, annulla per un attimo la tristezza nel ricreare le esistenze che non ci sono più. Le vite di tanti esseri umani non sono destinate soltanto a sparire nel dissolversi della materia e dei ricordi. Prendono origine da altre esistenze del passato che le hanno precedute, persone che avevano agito mettendo in moto delle sequenze di eventi imprevedibili e tuttavia possibili, legati tra di loro in modo inestricabile.
In ogni caso, maggiormente Paola Braccini si sforza di raccontare le vicende del passato, il quale, come ogni passato autenticamente vissuto e narrato, assume dei caratteri universali, tanto più si avverte nel lettore il disagio di essere stato messo davanti a uno specchio magico. Non è quello della Regina di Biancaneve, questo specchio, che le sussurrava con convinzione il fatto di essere la più bella del reame fino all’arrivo di Biancaneve. Si tratta piuttosto dello specchio di William Wilson, quello del racconto di Edgar Allan Poe che rimanda indietro a chi vi si specchi la sua vera natura. Mostra senza infingimenti il lato oscuro di quella cosa che chiamiamo essere
, un’immagine che come il volto di Medusa non si può osservare senza esserne mutati. Paola è una donna coraggiosa, perché ha osato scavare dentro di sé fino a riscoprire le radici dei dubbi esistenziali, metabolizzarli senza rinnegarli e restituirceli. Le famose tre domande senza risposta: chi siamo , da dove veniamo e dove andiamo , si riappropriano nelle sue pagine di tutta la loro catarsi negativa, quella forza che puoi affrontare di solito ignorando che esista e relegandola in una soffitta polverosa della mente, perché i ricordi e il loro inguaribile dolore non si ripresentino sovente a lacerarti l’anima.
Eppure, nonostante si sia consapevoli di come le Care Ombre dei nostri genitori, le immagini mentali di chi abbiamo amato oppure odiato, di coloro che ci siamo prefigurati nei racconti che stiamo leggendo, non possano più esistere nella loro concretezza, ciò nonostante continuiamo a evocarli, persistiamo ad affidarci al loro benevolo sentire, anche se sappiamo bene che quello che cerchiamo è ormai in noi , parte di noi , oppure non esiste . Alla fine è solo nel sonno che sarà possibile trovare una pace momentanea, un riposo dalle domande che attanagliano il cuore di chi ha avuto la ventura di porsele per un proprio e scomodo merito, perché meglio sarebbe stato vivere una non vita e agire in un non mondo , costruendosi una non realtà , forme tutte capaci di soddisfare il cuore e tenere lontane le spiacevoli verità delle cose.
Ma se questa conclusione non vi soddisferà, se vorrete leggere i racconti di Paola, sappiate che lo farete a vostro rischio e pericolo, perché potreste destarvi dal sogno di una vita accomodante e magari scoprireste di dover convivere con la durezza assoluta del mistero.
Giuliana Nova
Il gioco dei dottori
Ho 6 anni e abito in una casa sul mare.
Voglio bene a babbo e mamma e non ho sorelle o fratelli, ma va bene così perché ho due amici maschi, Uberto e Ario. Giochiamo sempre insieme e io ogni tanto li picchio. Sono prepotente, dicono, ma io penso di essere giusta: se mi arrabbio, li picchio. Loro piangono e vanno via, ma poi tornano. Siamo d’estate, e maschi e femmine si incontrano nella pineta, in una specie di casina. Si gioca a dottori e non so perché ma tocca sempre a me stare con il sedere di fuori a farmi fare le punturine, usiamo gli aghi di pino che sono per terra. La mia pelle è bianca e delicata e, non so come mai, la mia mamma si accorge sempre di questa cosa facendomi il bagno la sera. Io sto male all’idea, malissimo anzi. Lei mi lava e dice sempre, con lo stesso tono che non mi piace per nulla: Papi, hai di nuovo giocato ai dottori eh?? Lo sai che non devi, che prendi le malattie!
. Io sto zitta, ma soffro. Mi pare di aver rovinato la serata a tutta la famiglia e mi sento mortificatissima. Ma so che se