Come doveva andare
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Anteprima del libro
Come doveva andare - Fabiana Gibertini
tutto.
31 ottobre 2013
1° giorno senza Te.
"... E ci siamo mischiati la pelle, le anime, le ossa
ed appena finito ognuno ha ripreso le sue..."
LUCIANO LIGABUE
Sono passate otto ore.
Da quando ci siamo salutati, dal nostro arrivederci, dal nostro addio.
Ho guidato fino a casa in uno strato di completa felicità.
Con il sorriso sulle labbra ho chiuso il cancello con il lucchetto, lasciando fuori i brutti pensieri.
Ho aperto la porta, sono salita nella mia camera, e mi sono svestita.
Mi sono guardata allo specchio.
Nuda.
Cercavo in ogni parte del mio corpo segni del nostro amore, baci come marchi a fuoco, carezze come graffi incisi nella carne.
Non ho trovato niente.
Nessuna traccia, nessuna prova.
Le labbra mi bruciavano.
Sapevano di noi, del nostro sapore.
Volevo addormentarmi in compagnia di quello.
Stamattina mi sono svegliata presto, ero troppo contenta.
L’ho sognato tutta la notte: non mi ricordo cosa facesse, ma non è importante. Lui era con me. Il resto non conta.
Accendo il cellulare. Mi arriva un messaggio. È Lui.
Poche parole. Ma mi pensa. Lui mi pensa.
Faccio colazione.
E continuo a pensare a Lui.
Alla notte trascorsa.
Alla serata passata insieme.
Io e Lui soli.
Un sogno impossibile che diventa realtà.
Non voglio dimenticare nulla di ciò che è successo, nemmeno un piccolo dettaglio.
Così comincio a scrivere.
So che non potrò raccontarlo a nessuno.
Ma la felicità che ho dentro è troppa, e se non scrivo rischio di scoppiare.
Rientra mia madre dalla spesa.
Capisce che è successo qualcosa, le madri capiscono sempre tutto, ed hanno sempre ragione (è una cosa che odio ammettere, ma che è dannatamente vera.)
Io sorrido e faccio finta di niente.
Lei capisce che non ne voglio parlare e non mi chiede niente.
Continuo a scrivere, man mano metto a fuoco i particolari, luci, ombre, colori, calore, piacere infinito.
Mi sento svuotata.
Troppa felicità rischia di essere dannosa.
Ora invece sento che è nella giusta dose, e so anche che ogni volta che leggerò ciò che ho scritto, sarà come riviverlo una seconda volta.
E questa è la cosa che mi piace di più.
Mi godo questa felicità finché dura, come si godono i raggi del sole che ti scaldano il viso, sto vivendo un sogno consapevole che prima o poi mi sveglierò... e allora verranno giorni di pioggia.
Sto mantenendo la promessa, non mi farò sentire, starò qui ad aspettare una sua chiamata. Che potrebbe anche non arrivare.
In fondo al mio cuore so che è tutto sbagliato, che non c’è futuro, che ci faremo del male. Ma non riesco a fare a meno di essere felice. Almeno per ora.
Squilla il cellulare.
Vedo il suo nome.
Il solito sorriso si impadronisce di me, sento gli occhi che mi brillano.
Rispondo.
La sua voce è droga, mi fa stare bene.
Parliamo.
Mi chiede come va.
Come sto dopo la serata trascorsa insieme.
E se mi sono pentita di ciò che è successo.
Io rispondo con tutta me stessa: No, non mi sono pentita.
Lui purtroppo deve chiudere la conversazione.
Io mi dico: È giusto così.
Sono contenta di sapere che Lui mi pensa, mi chiama, si preoccupa per me.
E mi basta.
Ho ancora il suo ricordo che mi tiene compagnia. Chissà per quanto durerà.
So già che presto non ricorderò nemmeno il suo viso.
Ma forse sarà più facile per me andare avanti.
È sabato sera.
Ho deciso di uscire.
Pam mi passa a prendere e andiamo a ballare.
Già in macchina mi chiede se sia successo qualcosa, perché ho una luce particolare negli occhi.
Io non dico niente, dentro di me penso a come sia difficile nascondere la felicità, non so davvero cosa fare.
Se anche dicessi mezza verità alla fine so che me la tirerebbe fuori tutta... e allora prendo tempo.
Le confesso che mi piace un ragazzo... ma che per scaramanzia preferisco non parlarne.
Mi fa lo stesso il terzo grado, com’è, dove l’ho conosciuto, dove abita, quanti anni ha...
e io... niente. Muta.
Lei si arrabbia, o almeno fa finta... e cambiamo argomento.
So che non riuscirò a tenere per me una cosa così bella... e così importante.
Forse quando tutto sarà finito.
Non lo so.
Non ci voglio pensare.
Arriviamo al Fuori Orario.
Ci fiondiamo subito al bancone e ordiniamo Martini bianco e succo d’arancia.
Balliamo. Io sono euforica.
Scarico tutta l’adrenalina che ho in corpo, e ne ho tanta... la musica è bella, divertente, quella ska poi mi fa impazzire.
Mi sento leggera, continuo a ballare, a sudare, a bere.
Accanto a noi ragazzi e ragazze immobili come statuine, cannucce in bocca e sguardo imbambolato mi fissano in modo strano, quasi invidiosi... non capiscono quanto sono contenta.
Io sono ubriaca, non mi reggo in piedi, la mia amica aveva già smesso di bere da un po’, dato che deve guidare.
Usciamo a prendere una boccata d’aria fresca, lei si accende una sigaretta che poi passa a me.
Mi riprendo un po’, sono quasi le quattro di mattina, decidiamo di tornare a casa.
Ho intenzione di continuare la mia vita come se niente fosse.
Nulla è cambiato.
Sono sempre io, Anna.
Con le mie amiche, i miei amici.
Il lavoro in negozio.
Le gite, le cene, i concerti.
Questa sono io.
1 novembre 2013
2° giorno senza Te
"Silenzio intorno: solo alle ventate
odi lontano da giardini ed orti,
di foglie una cader fragile.
É l’estate fredda, dei morti."
GIOVANNI PASCOLI
È domenica.
Mi sveglio tardi, cerco di frugare tra i miei sogni ma oltre a una gran confusione so con certezza che Lui non c’era.
Pazienza.
Aiuto mio fratello Francesco a cucinare, per pranzo... polenta!
Ci sono da preparare i funghi, e cuocere la carne, la polenta è già sul fuoco, è solo da mescolare ogni tanto.
Quanto vorrei confidarmi con Franci, ma non posso.
A lui dico sempre tutto, o quasi, so di potermi fidare, quando c’è bisogno c’è sempre.
Litighiamo spesso, ma il bene che ci vogliamo è di gran lunga più forte.
Ha un anno in più di me, ma è molto più maturo.
Canta.
Mi mette di buonumore, sorrido e comincio a intonare la stessa canzone.
Balliamo coi mestoli in mano, urliamo, facciamo gli stupidi.
La cucina sembra un campo di battaglia, ma quando torna mia madre dal mercato è tutto già riordinato, e il pranzo messo in tavola.
Mangiamo con gusto, ed in silenzio...
Cala la tristezza, come un sipario dopo uno spettacolo a teatro.
Oggi andiamo a trovare papà.
Vorrei tanto Lui fosse qui, vorrei raccontargli tutto, vorrei essere consolata, vorrei essere coccolata, ma da Lui soltanto.
Vorrei parlargli, dirgli come mi sento...
Ma Lui non c’è. Non mi conosce. Non sa praticamente niente di me.
Lavo i piatti.
Il vapore dell’acqua calda mi dà le vertigini. Mi tolgo maldestramente una ciocca di capelli davanti agli occhi.
Mi manca.
Mi sento strana, ridicola, patetica,
In un giorno difficile come questo sento il bisogno di avere accanto una persona... estranea.
Ma che ha diviso con me una notte di emozioni.
E non riesco a togliermela dalla testa.
Mi lascio cullare dagli unici e miseri ricordi che ho, e mi faccio accompagnare da Lui, proprio come se mi fosse accanto, fino al cimitero: il viaggio in macchina, le curve, la folata di vento freddo che mi accoglie appena scesa.
Parcheggiamo ai bordi della strada, davanti a noi si stende la valle, dai mille colori autunnali. Io, mio fratello e mia madre restiamo a goderci questo spettacolo, tutti e tre stupiti, meravigliati, come bambini.
Ci infonde serenità, e scambiandoci uno sguardo ci incamminiamo per la salita.
Il cancello è aperto, il cimitero è molto piccolo, e dentro ci sono solo due vecchiette che si stanno facendo il segno della croce e se ne stanno andando.
La tomba di papà è in fondo, l’ultima a sinistra.
Passiamo davanti a Madonne di bronzo, lapidi sontuose, mazzi giganteschi di fiori finti.
Eccolo.
Non riesco a piangere.
Quando veniamo qui nessuno riesce a piangere.
Io piango sempre in camera mia, al buio.
A volte di notte sento mia madre singhiozzare.
Mio fratello... non so.
Il nostro è un dolore intimo, che ognuno vive a modo suo.
Quando siamo insieme o quando veniamo a trovarlo cerchiamo di farci forza a vicenda e facciamo le persone forti, ci diciamo che papà non ci avrebbe mai voluto vedere tristi.
Lui era sempre di buonumore, si arrabbiava solo quando sentiva Berlusconi dire delle stronzate in televisione.
Anche negli ultimi tempi, quando il tumore era già nello stadio avanzato, aveva il sorriso e la battuta sempre pronta.
Era un uomo forte, pieno di vita, e lo è stato fino all’ultimo.
È successo cinque anni fa. A volte sembra sia passato un secolo, altre volte che sia successo ieri.
Mi ha lasciato un vuoto dentro che non riuscirò mai a colmare.
Ma la vita va avanti, e proprio perché può finire da un momento all’altro io non voglio perdermi neanche un’emozione... alla fine cos’è la Vita se non pura emozione?
Quei momenti così belli e intensi che ti fanno dimenticare le cose tristi, le cose noiose e i doveri di tutti i giorni?
Guardo la foto di mio padre, Filippo (ma i suoi amici lo chiamavano Pippo, pure la mamma) e occhi negli occhi gli parlo, silenziosamente. Cerco la sua approvazione, e mi sento avvolgere da una specie di calore, anche se siamo a bacìo, e la montagna ha già inghiottito il sole e comincia a fare freddo.
È come se sentissi la sua voce che mi dice: Fai sempre ciò che ti dice il cuore e non sbaglierai. Abbi cura di te.
Quanto vorrei fosse ancora qui con noi.
Lo saluto ed esco dal cimitero, mi siedo sul muretto, e mi accendo una sigaretta.
Chiudo gli occhi e mi rilasso.
Ho cominciato a fumare quando è morto. Avevo vent’anni, pensavo che niente e nessuno mi avrebbe potuto fermare, che la felicità mi fosse dovuta.
Poi la vita mi ha fatto lo sgambetto.
E ho perso l’equilibrio: la malattia di mio padre mi ha destabilizzato, vederlo soffrire e spegnersi giorno dopo giorno mi ha costretto a scendere dalle nuvole di leggerezza su cui vivevo fino ad allora, e a farmi forza, perché nonostante ciò che di brutto possa capitare, la vita non ti aspetta.
E se cadi, ti devi rialzare.
Abbiamo passato un gran brutto periodo, mio fratello si sentiva in colpa perché lui e papà litigavano sempre, mia madre non faceva altro che piangere, non usciva più di casa, non mangiava... e io mi riempivo le giornate e le serate pur di non sentire quella fitta acuta nel cuore... poi pian piano le cose si sono aggiustate, il tempo lenisce il dolore, lo attutisce, e la vita di tutti i giorni lo inghiottisce.
Un po’ per volta è ritornata la voglia di vivere, la nostra famiglia si è creata un nuovo equilibrio.
Quello che ci è successo ci ha cambiati, ci ha unito, ci ha resi più forti. Anche se è più forte la paura di perderli.
Non mi rimane altro che loro, e per niente al mondo vorrei deluderli.
Ma ora c’è Lui.
Non faccio altro che pensare a Lui.
E non mi sento in colpa per questo.
È una cosa talmente nuova per me, e talmente bella... che non voglio rinunciare.
Voglio vivere questo momento... godermelo.
Anche se so che non c’è futuro.
Che non ci potrà mai essere niente tra di noi.
Per la prima volta sono innamorata.
Sul serio.
Ho avuto altri ragazzi, ma sono state tutte cotte che mi passavano puntualmente dopo due o tre mesi... erano immaturi, senza interessi, perfino un po’ noiosi.
Ma non era colpa loro. Semplicemente non erano fatti per me, ed io evidentemente non ero fatta per loro.
Ora so cosa vuol dire AMARE.
È una cosa che fino a che non la provi in prima persona puoi solo immaginare. Come quando guardi un film o leggi un libro: puoi cercare di immedesimarti... ma viverlo...
è tutta un’altra cosa.
3 novembre 2013
4° giorno senza Te
"...Quante cose che non sai di me
Quante cose che non puoi sapere / devi meritare...
… Fa rumore camminare Tra gli ostacoli del cuore..."
ELISA & LIGABUE
Sono in un negozio.
La porta si apre e… entra una signora.
Io come una stupida rimango delusa.
Come vorrei vederlo entrare ancora una volta da quella porta.
Rimanere imbambolata, essere catturata dai suoi occhioni blu, dalla sua eleganza, dalla sua gentilezza.
L’altra notte abbiamo parlato a lungo del nostro primo incontro, e con mia grande sorpresa Lui si ricordava tutto.
Si ricordava che io indossavo una gonna a pieghe, e che tra i capelli avevo un cerchietto rosso; che ero un po’ sbattuta, perché alla notte non ero stata bene, e Lui era andato a prendermi un tè caldo al bar di fianco.
Servo la signora, tanto so cosa vuole... ogni settimana viene a comprare un Harmony, di cui fa la collezione.
Mi ri-immergo nei ricordi.
Sorseggio il tè, che mi scalda e mi rilassa lo stomaco.
Se n’è preso uno anche lui, per farmi compagnia
, ha detto.
È una situazione imbarazzante. Ci guardiamo, in silenzio. Io mi sento molto confusa: da una parte stare con questo sconosciuto mi mette ansia, uno strano batticuore, agitazione, come se stesse per accadere qualcosa da un momento all’altro; dall’altra parte stare con lui (è un controsenso, lo so) mi rilassa, mi fa stare a mio agio... mi fa stare bene.
Lui: Si sente meglio?
Io: Si, grazie.
Appoggio la tazza del tè ormai vuota sul vassoio.
Lui continua a guardarmi, dritto negli occhi e mi sorride.
Un sorriso pulito, genuino.
Come il suo sguardo.
E io ricambio.
Non mi ero mai sentita così in vita mia.
Non parliamo. Il silenzio che c’è tra di noi non è vuoto. Ma denso di emozioni.
Mi fa paura.
E lo rompo.
Grazie per il tè, è stato gentile...
Faccio per prendere il vassoio ma lui mi precede: per un attimo le nostre mani si sfiorano e io sento come una scarica elettrica che mi riscalda, da capo a piedi.
Non si preoccupi, lo riporto io.
Per un attimo mi chiedo che intenzioni ha, io sono sola in negozio, forse gli ho dato troppa corda...
Lui, come se mi avesse letto nei pensieri mi dice:
Dovrei fare un regalo ad un mio amico, avevo pensato ad un libro... sa quelli d’avventura... quei mattoni che parlano di tesori nascosti, mummie o codici da decifrare...
Mi avvicino allo scaffale e gli allungo l’ultimo di Wilbur Smith.
Mi scappa un sorriso Immagino che non sia amante del genere!
Lui: Ehm, no, sarò noioso ma preferisco di gran lunga i classici... non mi stancherei mai di leggerli.
Gli faccio lo scontrino e una confezione regalo per il libro. Anche a me piacciono, però sono aperta anche alle novità... certi scrittori emergenti sono davvero una sorpresa.
Finisco il pacchettino e mi sento osservata: ancora quello sguardo intenso, che punta dritto dritto ai miei occhi.
Io non amo le novità, mi destabilizzano. Preferisco cullarmi nell’abitudine, mi dà sicurezza.
Come se si fosse svegliato da una specie di trance, improvvisamente diventa serio, mi paga, prende il suo regalo, mi saluta frettolosamente e se ne va.
Io rimango per un po’ a fissare la porta, quella stessa porta che ho davanti ora.
Penso sia stato tutto un sogno. Dall’inizio.
Forse è successo tutto nella mia testa. Cos’ho in mano? Niente.
Foto, prove di ciò che è stato.
Solo ricordi che giorno dopo giorno svaniscono.
Svaniscono dettagli, parole dette e non dette, sguardi, sorrisi.
Profumi, sapori, Tra un po' di tempo non ricorderò più niente, nemmeno le emozioni che ho provato, che Lui mi ha fatto provare.
Sorrido. Mentre servo i clienti, do il resto, e riempio gli scaffali di libri penso a quanto poco ci siamo visti, a quanto poco ci conosciamo.
Vorrei dirgli tante cose, di me, della mia vita, di ciò che penso, i miei sogni, i miei desideri.
Vorrei sapere cosa fa, a che ora si sveglia, i suoi piatti preferiti, i suoi difetti... perché ne avrà, giusto?
La giornata scorre veloce.
Ma il pensiero corre sempre da Lui, in ogni momento.
Sono a casa.
Non vedo l’ora di farmi una doccia, e prepararmi qualcosa di sfizioso per cena.
Franci è da Veronica, la sua ragazza. Mia madre è a cena da mia nonna, come ogni martedì.
Si fanno compagnia, anche mio nonno non c’è più e quando si vedono non fanno altro che chiacchierare... mangiare e chiacchierare.
Mia nonna ci tiene alla sua casa, alle sue abitudini, le abbiamo chiesto se le avrebbe fatto piacere venire a stare da noi... ma lei ha gentilmente rifiutato.
Ha la sua vita: va a ballare il liscio in una balera nel paese vicino, invita le vicine per giocare a briscola, a bere grappa... ogni tanto vado a casa sua e ci guardiamo un film, proprio come faccio con le mie amiche! È una nonna speciale... è una donna molto forte. Spero di diventare come lei.
...e poi fa dei tortelli che sono la fine del mondo!
Per non parlare dei cappelletti, lasagne, ravioli... mmmm!
Ok, ho fame, è abbastanza chiaro direi.
Apro l’acqua calda nella vasca.
Appendo l’accappatoio sulla maniglia della finestra.
Mi guardo nell’ampio specchio del bagno.
Pian piano mi spoglio, mi tolgo la camicia, i pantaloni, il reggiseno, le calze.
Rimango in culotte e mi osservo.
Di solito mi trovo mille difetti: il seno troppo piccolo, il sedere troppo grosso, forse vedo semplicemente ciò che voglio vedere, e non è la realtà.
Ora invece mi guardo e scopro con piacere di essere bellissima.
Non contano più le misure, ma come mi sento dentro al mio corpo.
Ho bene impresso il Suo sguardo su di me: grazie a Lui mi sento bella, sensuale, desiderabile.
I miei occhi non sono mai stati così grandi e lucenti, le mie labbra così morbide, la mia pelle così setosa, i miei seni