Andata e ritorno
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Anteprima del libro
Andata e ritorno - Paola Fendoni
Biografia
ANDATA E RITORNO
Romanzo
di Paola Fendoni
TITOLO | Andata e Ritorno
AUTORE | Paola Fendoni
ISBN | 978-88-31670-46-3
Prima edizione digitale: 2020
© Tutti i diritti riservati all'Autore.
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Chi tace e piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e cammina a testa alta muore una volta sola. (Giovanni Falcone)
Non è mai stata mia intenzione insegnare alle persone o dire loro come vivere, né mi piace dare consigli sui cambiamenti necessari, nemmeno se me lo chiedono.
Preferisco piuttosto guidarle dando quello che ritengo un buon esempio e creare un ambiente sicuro affinché possano entrare in contatto con la loro verità personale.
Nel caso di questo libro, ho voluto condividere la mia storia sperando di essere d’aiuto per tutte le donne che stanno attraversando il mio stesso calvario. E so che, purtroppo, sono tante.
Prima di condividere quello che ho imparato dalla mia esperienza vorrei precisare che non rivendico assolutamente nessuna verità universale o scientifica, né voglio assumere il ruolo di sciamano spirituale.
Il mio unico scopo è quello di aiutare, non di convincere.
Si vive solo due volte. Una volta quando si nasce e una volta quando si guarda la morte in faccia.
(Ian Fleming)
Era il 29 marzo del 1999: una data che resterà impressa nella mia memoria come il giorno in cui, a 34 anni, sono morta e rinata. Quella notte arrivai in coma in Pronto Soccorso.
Sebbene fossi in uno stato d’incoscienza, ero consapevole di tutto ciò che succedeva attorno a me, compresa l’urgenza che la mia patologia imponeva e la frenesia del personale. Quello che non sempre accade in questi casi è che, a un certo punto, fu come se la mia coscienza avesse deciso di separarsi dal corpo fisico. Fu come sdoppiarsi, e l’altra me iniziò a sollevarsi, e a guardare dall’alto tutto ciò che mi stava capitando. Stavo vivendo quella che molti definiscono una "esperienza
extracorporea". Incredibile che la protagonista stavolta fossi proprio io.
Vedevo medici e infermieri affaccendarsi attorno alla mia barella, sentivo le urla, gli ordini impartiti e quelli eseguiti; le facce preoccupate, le espressioni di scetticismo e quelle di compassione. È un lavoro duro, quello nei Pronto Soccorso… forse non ci si abitua mai. Avevo paura? No, non direi.
Si stava bene lassù, e non c’era più dolore. Non è durato molto, all’improvviso qualcosa mi ha richiamata dentro e così, non proprio per mia espressa volontà, sono tornata in quell’involucro di carne, ossa e sofferenza.
In quei momenti capii che, anche se il mio corpo si era fermato, ogni cosa era perfetta nel grande affresco della vita.
Perché non moriamo mai veramente.
Mentre ero bloccata in quel letto d’ospedale, ricordi frammentari mi si affollavano nella mente: un alternarsi di ricordi della me bambina e di quella adulta, un qualcosa di ormai lontano nel tempo che si sovrapponeva a ricordi vividi, recenti. Nel marzo dell’anno prima mi ero separata dal padre di mia figlia, e ancora cercavo di gestire dolore, delusione, rabbia, impotenza, tutte emozioni che non avevo ancora elaborato, tanti perché senza ancora risposte, quelle risposte che in fondo già conoscevo ma che mi rifiutavo di accettare per paura di dover ammettere un fallimento, e un’altra vita da ricominciare.
Poi tutto si oscura e mi ritrovo bambina spensierata, con la voglia di scoprire il mondo, curiosa di capire, di sapere e conoscere la vita.
Un’infanzia in parte tranquilla e felice, ma anche frastagliata da ricordi tristi, a volte dolorosi… La malattia di mia mamma che spesso la costringeva in ospedale, e l’ambulanza che la portava via. Io e le mie sorelle, quando rientravamo da scuola non sapevamo mai se l’avremmo trovata. E ogni volta era doloroso; io avevo solo 8 anni e dentro mi restava un dolore infinito, lacerante. Mio papà ci accompagnava a trovarla in ospedale a Milano tutte le domeniche, ma capitava che dovesse rimanerci anche mesi. Quando poi finalmente tornava a casa era una festa: alla domenica ci preparava i nostri piatti preferiti e il dolce non mancava mai… Purtroppo il lunedì, quando si ritornava a scuola, ritornava anche l’incubo di non poterla ritrovare al rientro.
Per quanto riguardava il mio futuro e la vita che avrei desiderato, sentivo già da ragazzina che la strada dentro di me era già ben chiara e delineata ma la fretta, la non accettazione delle regole, il non voler essere sottomessa a imposizioni genitoriali, tutto questo mi ha portata a sbagliare deviando il percorso che era già stato tracciato. Catapultata a soli 21 anni in un matrimonio che non era ciò che desideravo solo per scappare da quello che credevo di non poter in quel momento cambiare; troppo immatura, insicura, fragile, ho castrato la mia vita mettendo nel cassetto il sogno di entrare in Polizia, un qualcosa che ancora oggi fa tanto male. Terminate le medie sapevo benissimo cosa fare, nella mia visione mi vedevo un’adulta ispettrice di polizia; Dio, quanto ho amato quella visione, ho sempre creduto che avendo un carattere forte ed essendo ligia alle regole quella sarebbe stata la professione adatta a me. Ricordo di essere andata in Questura con mio padre a prendere informazioni in merito; io già facevo arti marziali per prepararmi alla futura carriera, ma avevo altre scuole da fare prima di arrivare al mio sogno. Non è andata così, purtroppo.
Intrappolata in una vita molto diversa da come me l’aspettavo e, peggio, incapace di dire basta per paura di cambiare direzione.
E così, in quel letto d’ospedale, i ricordi dell’infanzia iniziarono a sovrapporsi alle mie visioni, quelle che già da bambina mi facevano vedere le cose prima che accadessero.
Come posso spiegarmi tutto ciò?
Le mie visioni purtroppo non erano quasi mai allegre: in linea di massima erano visioni di morte. Tipo che poco prima di mancare, le persone con le quali avevo avuto un contatto venivano a farmi visita, a salutarmi; subito dopo arrivava la notizia che Tizio o Caio era morto. Non erano tutte così, a volte erano come premonizioni, flash sul futuro. Ricordo benissimo un giorno in cui ero con i miei genitori che all’epoca avevano un allevamento di polli. Ero in quinta elementare, e stavo andando con loro a vendere le uova. Ricordo che, passando davanti a una villetta dissi a mia madre Io quando sarò grande abiterò lì, in quella casa.
La cosa strana era che non conoscevo affatto i proprietari di allora. Anni dopo, quando ero alle superiori, conobbi quello che sarebbe diventato mio marito ed era proprio lì che abitava, in quella villetta che da bambina avevo indicato a mia madre come la mia futura casa.
Un’altra visione che ebbi da bambina riguardava un sogno. Sognai che mentre passeggiavo con mia cugina di ritorno dalla scuola, ci fermava un uomo. Non ricordo i particolari ma le sensazioni sì: angoscia e paura, perché era come se mi volesse rapire. Il giorno dopo, proprio rientrando da scuola con mia cugina, un’auto si fermò sul lato destro della strada e un uomo mi chiese delle informazioni: in quel momento la realtà si spense e io vidi chiaramente la portiera che si apriva e delle braccia che mi afferravano. Mi misi a gridare scappiamo, scappiamo!
e fuggimmo come due assatanate verso casa, dove spiegai a mio padre cos’era successo. Lui chiamò la polizia e denunciò
l’accaduto; qualche giorno dopo ci dissero che quegli individui erano stati fermati e arrestati perché noti rapitori di bambini.
Mi torna in mente un altro episodio di me bambina, per certi versi divertente quanto imbarazzante per i protagonisti. Era una tranquilla giornata d’estate, io andavo alle elementari, la scuola era finita ed ero a casa con la mamma. Oggi vengono delle persone a trovarmi: mi raccomando, non farmi fare brutta figura
si raccomandò e io ovviamente la tranquillizzai. Andai in camera mia a giocare e ricordo a un tratto di aver sentito delle voci familiari perciò mi avviai in cucina. Mia mamma era lì con una coppia di signori: mi sbagliavo, non avevo mai visto