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Il lato giusto dell'amore
Il lato giusto dell'amore
Il lato giusto dell'amore
E-book104 pagine1 ora

Il lato giusto dell'amore

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Info su questo ebook

"Il lato giusto dell'amore" vuole essere un viaggio nella vita alla ricerca del significato della sofferenza.

LinguaItaliano
Data di uscita23 mag 2023
ISBN9798223156086
Il lato giusto dell'amore
Autore

Annalisa Penacchini

Penacchini Annalisa nasce il 8 Giugno 1959 a Giacciano con Barucchella in provincia di Rovigo un piccolissimo paese confinante con le province di Ferrara e Mantova, situato tra il fiume Po e il fiume Adige. Conseguito il diploma Tecnico Industriale si iscrive alla facoltà di Fisica, conseguendo buoni risultati ma è costretta, per gravissimi problemi familiari, ad abbandonare gli studi per dedicarsi al lavoro. All’età di trentacinque anni inizia a convivere con una gravissima malattia: la sclerosi multipla che nel 2012 la costringe a vivere su una sedia a rotelle, dipendente in ogni suo bisogno dall’aiuto di altri. Nel 2015 avviene un evento importantissimo che segnerà la sua vita in un prima e un dopo: si converte e conosce Gesù Cristo, frequenta la Comunità Cristiana Evangelica, nella fattispecie la Comunità Cristiana Evangelica dei Fratelli di Legnago (Verona). www.roccia.it Attualmente vive a Villa d’Adige un paesino alle sponde dell’Adige. Questo secondo libro “Il lato giusto dell’amore” vuole essere un viaggio nella vita alla ricerca del significato della sofferenza. Ha scritto anche un altro libro del titolo:“La prigione con le finestre di casa”

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    Il lato giusto dell'amore - Annalisa Penacchini

    IL LATO GIUSTO DELL’AMORE

    © Copyright

    Questa opera è pubblicata direttamente dall’autore tramite la piattaforma Draft2digital e l’autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell’autore.

    Autore: Annalisa Penacchini

    Via Felice Chieregato, 285

    45021 Villa D'Adige

    penacchini5@gmail.com

    Editore: Martin Buehne

    Via Togliatti 41

    37045 Legnago VR, Italia

    martinb@tiscali.it

    www.roccia.org

    Piattaforma: Draft2digital.com

    Anno:  2023 Prima edizione

    Introduzione

    Se penso che Dio non esiste, allora non ho perso niente.

    Se penso che Dio esiste, ma nelle mie azioni faccio come se Dio non esistesse, allora ho perso proprio tutto.

    Se penso che Dio esiste e vivo in maniera cosciente e responsabile quello in cui credo, allora i miei desideri possono realizzarsi perché io posso ogni cosa in Colui che mi fortifica (Filippesi 4,13).

    La follia dell’amore

    Santo era il giudice della Corte Suprema. Era conosciuto come il giudice irreprensibile e incorruttibile, un giudice amorevole e giusto, e chi doveva affrontarlo per essere giudicato delle colpe commesse, se era dotato di buon senso, aveva terrore della sua ira perché i suoi giudizi non ammettevano contradditorio in quanto qualsiasi giustificazione, portata a difesa, non poteva ridurre o eliminare la pena meritata.

    Lo conoscevano come giudice giusto perché aveva dedicato la sua vita alla verità e alla libertà.

    Aveva un figlio, Salvo, che ormai aveva raggiunto la maturità e anche per lui, come per suo padre, esisteva solo la ricerca della verità insieme al desiderio di fare del bene ed aiutare gli altri. Salvo aveva carisma e i suoi doni non erano esclusivamente suoi, ma erano anche per gli altri. Per questo si era dedicato al volontariato, e in questo senso, il suo impegno era quotidiano.

    Idolo era un uomo per bene, di una famiglia per bene, che svolgeva un lavoro di import-export in una grande ditta multinazionale: si riteneva una persona a cui tutto era dovuto perché si comportava bene, cercando di fare i propri interessi, senza preoccuparsi di chi gli stava vicino e dei bisogni delle persone con cui viveva.

    Una fredda mattina d’inverno, Idolo si stava recando al lavoro in auto, aveva fretta perché era in ritardo ma quella mattina tutti i semafori erano rossi. All’ultimo semaforo si avvicinò alla portiera dell’auto, dalla parte del guidatore, un uomo dalla pelle nera che teneva in mano un cartello su cui era scritto: per favore aiutami, ho fame. In quel momento Idolo ebbe l’istinto di liberarsi da quella persona fastidiosa e insistente, ma anziché abbassare il finestrino, involontariamente aprì lo sportello e l’uomo cadde per terra. Intanto, il semaforo era diventato verde e Idolo non si preoccupò del male che poteva avergli fatto e sgommando con l’auto, ripartì.

    Purtroppo, l’uomo dalla pelle nera cadde e batté la testa facendosi molto male, ed altri automobilisti si fermarono per aiutarlo, ma ormai non c’era più niente da fare. Un vigile urbano che si trovava sul posto, rincorse Idolo e gli contestò l’accaduto e per questo Idolo si trovò ad affrontare un processo nel quale doveva riconoscere la propria colpa e in questo giudizio si trovò di fronte a Santo.

    Il giudice dell’accusa non aveva avuto pietà e aveva chiesto per lui il massimo della pena: la morte.

    Il giudice della difesa non sapeva a quale gancio appigliarsi per difendere Idolo ed ormai aveva perso ogni speranza di trovare un motivo per salvarlo, perché nel frattempo Idolo si era pentito di quello che aveva fatto, e continuava a dire che meritava di essere liberato dalla pena giusta che gli spettava.

    All’avvocato della difesa venne in mente che tutti i giorni, andando al lavoro, si imbatteva in un giovane uomo di nome Salvo, e proprio quella mattina del processo, chiese a Salvo di assumersi la colpa di Idolo e quindi di liberarlo.

    Santo stava per emettere la sentenza di morte quando si aprì la porta del tribunale ed entrò Salvo il quale disse: Idolo è innocente, la colpa è mia.

    In quel momento, Santo si stracciò la toga perché il suo cuore si spezzò dal dolore in quanto doveva condannare a morte suo figlio Salvo. In tribunale scese un silenzio assordante in cui si sentì solo una parola di Idolo: Perché?

    Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio affinché chiunque creda in Lui non perisca ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

    Questa è la follia dell’amore, l’amore che salva, l’amore che guarisce.

    La mucca pazza

    Frequentemente associamo al significato di destino la parola caso o fatalità.

    Diciamo anche spesso, che noi siamo artefici del nostro destino in quanto dotati di libero arbitrio. In realtà, il caso non esiste e il libero arbitrio diventa una scelta consapevole soltanto nella misura in cui, osservando il creato, ci rendiamo conto che siamo creature e al sopra di noi esiste una potente volontà che ci ha donato la vita e che controlla ciò che di bene e di male può accaderci.

    Questa potente volontà, che è amore e giustizia, con la nostra intelligenza non possiamo capirla, ma soltanto riconoscerla, accettando o rifiutando la sua esistenza.

    Il libero arbitrio si basa sulla conoscenza, per cui la libertà è una conquista frutto della consapevolezza, ma bisogna fare attenzione che essa non porti all’isolamento, rischiando indifferenza e incomprensione.

    L’indifferenza è il vuoto del cuore in cui non c’è posto per l’empatia.

    Sono creatura perché sento sopra di me il cielo stellato con la sua meravigliosa infinità, sotto i miei piedi la terra con tutte le sue meraviglie da ammirare e scoprire, io nel mezzo dell’infinito esistere.

    Io, creatura tra le creature, creata con la possibilità di creare anch’io, con la possibilità di essere libera o schiava a seconda di che cosa posso creare.

    Era fine primavera, inizio estate, del 1996 ed io e mia mamma ci trovavamo sul terzo binario della stazione di Ferrara, con nel cuore il dolore immenso di una diagnosi tremenda: sclerosi multipla.

    Avevo fatto un day-hospital perché erano due anni che cercavo una risposta al mio stare male, non riuscivo a capire perché la mia gamba destra pur appartenendo al mio corpo in realtà era come se ne fosse estranea.

    Tutto era iniziato a fine giugno del 1994 quando improvvisamente, con la gamba destra, mi sembrava di camminare come su di un materasso ad acqua.

    Il medico di famiglia, mi aveva indirizzato verso alcuni specialisti e, fatti alcuni esami, mi venne detto che si trattava di una banalissima ernia del disco e che tutto mi sarebbe passato spontaneamente.

    A me, questa diagnosi, non convinceva e iniziai un percorso di studio dei sintomi del mio corpo.

    Iniziai per prima cosa a rendermi conto, con tristezza, che alcuni medici danno un valore alla persona, mentre per altri si è semplicemente un numero di prenotazione.

    In quel periodo vivevo con mia mamma, che era rimasta vedova sei anni prima, ed ero impiegata presso un ufficio pubblico, in quanto, pur non essendo raccomandata, avevo vinto un concorso.

    Questo lavoro inizialmente era a tempo determinato e mi veniva rinnovato ogni anno; insieme a tutti quelli del mio concorso lottai sindacalmente per quattro anni finché ci fu la trasformazione a tempo indeterminato.

    Avevo sospeso i miei studi universitari perché non riuscivo

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