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La Cuspide di Cheroh
La Cuspide di Cheroh
La Cuspide di Cheroh
E-book675 pagine9 ore

La Cuspide di Cheroh

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Info su questo ebook

Sono passati tre anni dalla battaglia delle sorgenti del Nihm e portare il titolo di Haransis è sempre più un peso per Erikjaard. Adesso che Liriya è tornata a vivere nell'Impero, ha ridotto sempre di più il suo contatto con il resto del mondo e ha deciso di vivere con Hagkot e Gaka, nell'unico luogo in tutta Arcadia che abbia mai considerato casa dopo aver abbandonato "Nonna Nì" e Sottomonte. Qui lavora i campi e ha una relazione sentimentale con Alith, la giovane cavaliere di grikah conosciuta ad Ahkisarana che, però, vorrebbe vederlo vivere appieno il dono di essere il messaggero dell'Unico per le cinque razze.
Le preoccupazioni giornaliere della vita di campagna diverranno un ricordo quando le scelte e gli eventi messi in moto tre anni prima torneranno a chiedere il loro tributo al giovane Nordlings, costringendolo ad abbandonare la tranquillità di Deehl'flar-Tovin e sfoderare di nuovo le armi contro nemici vecchi e nuovi per proteggere coloro che ama.
Una nuova avventura che lo metterà difronte a scelte difficili nelle quali non saprà più di chi potrà fidarsi mentre i confini tra chi è un amico e chi è un nemico si faranno sempre più confusi, fino a quando non scoprirà un segreto tremendo che metterà di nuovo in pericolo tutta Arcadia e lo costringerà ad affrontare la prova più dura di tutta la sua vita: vivere fino in fondo il suo ruolo di Haransis.
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2020
ISBN9788835823940
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    Anteprima del libro

    La Cuspide di Cheroh - Frederick Hicks

    Frederick Hicks

    La Cuspide di Cheroh

    Cronache di Arcadia

    Volume secondo

    Romanzo fantasy

    La Cuspide di Cheroh

    Copyright © 2020 Frederick Hicks

    Disegni e immagini:

    Frederick Hicks

    Proprietà letteraria e artistica riservata.

    Tutti i diritti riservati.

    Prima edizione: 9 maggio 2020

    Revisione interna: 3.2

    I caratteri utilizzati nelle parti grafiche del libro sono Aquiline Two, Optimus Princeps, Unzialish, Petit Fleur e Pompeji Petit disegnati da Manfred Klein.

    Sommario

    Dedica

    Mappa dell'Anthien e dell'Eridor

    Mappa dell'occidente di Arcadia

    Mappa di Naelithia

    Prologo

    Cap. 1 - Conflitti

    Cap. 2 - Il Dekohn'dalenda

    Cap. 3 - Dissensi

    Cap. 4 - Il bivio

    Cap. 5 - Decisioni

    Cap. 6 - Il matrimonio

    Cap. 7 - Colpevole

    Cap. 8 - Il prigioniero

    Cap. 9 - Caduta

    Epilogo

    Glossario

    LA CUSPIDE DI CHEROH

    A Mimosa,

    per la pazienza.

    A Daddi e Gaga,

    per l'ispirazione.

    Anthien ed Eridor

    Arcadia occidentale

    Naelithia

    Prologo

    La Cuspide

    I

    Torre del Primate - Ahkisarana

    La porta di legno scuro saliva fino al soffitto a volta. Lennor Cairn sgusciò tra le due ante socchiuse ed entrò. La luce morente del sole filtrava attraverso i mosaici della cupola dipingendo scie di colore sulla pietra chiara. Una spinta decisa fu sufficiente ad accostare la porta. I cardini scivolarono senza un sibilo e l'anta si chiuse con un tonfo che echeggiò nella sala. I tre monaci chini sul pavimento alzarono lo sguardo all'unisono e smisero di strofinare con le spazzole. La pietra lucidata a specchio rifletteva i volti pallidi seminascosti dalle pieghe dei cappucci.

    Si diresse verso di loro con passi lunghi e cadenzati. I tacchi degli stivali risuonarono cavernosi nella sala vuota. Un cenno del capo alla porticina alla sua sinistra fu sufficiente per fargli capire che il lavoro di quella giornata era concluso.

    «Subito signor Generale,» si affrettò a dire il più anziano mentre, con pochi rapidi gesti, i due giovani accoliti raccoglievano le spazzole e le anfore che ingombravano il centro della sala.

    Con uno scalpiccio leggero dei sandali sulla pietra, i tre uscirono dalla porta di servizio lasciandosi dietro solo l'odore acre e un poco nauseante della mistura che avevano usato per il loro lavoro. Aggrottò le sopracciglia. Nonostante le loro fatiche, l'alone scuro della magia del niss'huje traspariva ancora al centro della sala del Krytoh'uun.

    «Ben trovato Lennor. A cosa devo questa visita inaspettata?»

    Il generale si lasciò cadere sul ginocchio. Gli schinieri dell'uniforme mandarono una nota cristallina contro il pavimento. Il suo sguardo saettò verso l'imponente bassorilievo in legno scuro che occupava la parete rivolta verso l'interno della torre.

    «Perdonatemi mio Primate, non pensavo foste già qui.»

    «Non ti biasimo.» Una vena di divertimento gli increspò la voce. «Contrariamente a quello che possono pensare molte persone, la mia vita non è poi così densa d'impegni.»

    Lennor rimase immobile con il volto rivolto al pavimento.

    La voce del Primate tornò neutra. «Anche se non siamo sempre d'accordo, sai che sei l'unica persona in tutto il regno di cui mi fidi ciecamente e sai anche che puoi essere meno formale nei nostri incontri, soprattutto quando siamo soltanto tu e io.»

    Nonostante le parole, non mosse un muscolo. Aveva perso il conto delle volte che avevano fatto quella loro schermaglia verbale, ma nemmeno un secolo di contatti continui l'avrebbe fatto venir meno al giuramento di devozione.

    «La sua fiducia nelle mie capacità mi lusinga sempre, e farò sempre di tutto per non deluderla.»

    Un sospiro echeggiò dietro il bassorilievo. «Immagino che dare confidenza a una voce senza volto e senza nome non sia proprio facile.»

    Lennor si concesse un sorriso. Aveva messo a nudo i pensieri più reconditi e i fallimenti più cocenti cullato dalla carezza morbida e paterna di quella voce.

    Oggi non puoi indugiare.

    Strinse i denti, per quanto desiderasse prolungare quel momento di pace, le notizie che aveva ricevuto richiedevano di essere valutate con la massima urgenza.

    Uno scricchiolio di legno interruppe il silenzio della sala del Krytoh'uun. «Mi dica generale Cairn, cosa la porta al mio cospetto.»

    Lennor si alzò portandosi le mani giunte al volto in segno di saluto.

    «Vostra Saggezza, è avvenuto un evento riguardante la rivelazione dell'Haransis che richiede la vostra attenzione.» Inspirò per farsi coraggio. «Si è verificata una Cuspide nella profezia.»

    La voce riecheggiò nella sala vuota fino a spegnersi.

    Un secondo scricchiolio fu l'unico segno che si trovasse ancora al cospetto del Primate.

    «Una Cuspide.» La voce era un sussurro. «Com'è possibile? Tutti noi abbiamo visto il segno compiersi qui, davanti ai nostri occhi. Dov…»

    «Il monastero di Gree-Lan,» disse d'un fiato. «Un monaco archivista che stava registrando gli eventi dell'incontro diplomatico con la delegazione elfica.»

    «Gree-Lan… Che l'Unico ci protegga. È dall'altra parte di Mothd, in pieno territorio imperiale.» Il Primate inspirò e svuotò i polmoni in uno sbuffo. «Cosa è successo di preciso.»

    Le possibili conseguenze di quell'evento gli stavano rimbalzando in testa da troppo tempo, amplificando a ogni rimbalzo la portata del loro impatto. Lennor strinse i pugni fino a sentire dolore, non erano le sue paure a interessare il Primate. «Selor-Dahn, questo è il nome dell'archivista…»

    «Un elfo,» disse il Primate con un filo di voce.

    Fece un cenno con la testa. «Sì, Vostra Saggezza.»

    «Prosegui.»

    Inspirò a fondo per riordinare le idee. «L'elfo Selor-Dahn era di turno all'archivio sacro e stava registrando gli eventi relativi all'incontro diplomatico con la delegazione imperiale ad Ahkisarana. Secondo la testimonianza di un confratello presente in quel momento nell'archivio, una luce abbagliante si è accesa all'interno dello specchio della visione remota ma, una volta che la luminosità ha raggiunto i bordi della superficie, ha continuato a espandersi nella stanza trasformandosi in una sfera sfavillante come il sole, tanto che il monaco ha dovuto schermarsi gli occhi per non rimanerne accecato. Quando la luce si è spenta l'archivista era al suolo, svenuto ma illeso, nonostante lo specchio della visione remota fosse bruciato e contorto. Questo evento pare abbia turbato profondamente tutti gli abitanti del monastero.»

    «Ho incontrato il Priore Sandorin,» mormorò il Primate, «nonostante il suo carattere decisamente… particolare, ha una fede molto profonda.»

    Annuì. «Ho già sentito il suo nome. La sua conoscenza delle scritture e delle profezie lo ha reso noto anche fuori dall'ambiente dei teologi.»

    Il Primate emise un mugolio. «E la Cuspide è opera sua?»

    «No.» Lennor alzò appena il volto, ma si bloccò prima di superare la linea che divideva il pavimento dalla parete. «Il Priore si è comportato in modo esemplare. La sua conoscenza della Profezia di Cheroh gli ha subito reso palesi le implicazioni di quell'evento e, trovandosi isolato a centinaia di leghe da Ahkisarana ha immediatamente inviato un monaco messaggero a Vostra Saggezza.»

    «È tutto documentato dai registri del monastero,» si affrettò ad aggiungere per prevenire la domanda del Primate.

    Uno scricchiolio più marcato si levò da dietro il bassorilievo. «Che l'Unico raccolga lo spirito di quel povero messaggero.» Passi leggeri iniziarono a risuonare dietro al bassorilievo scuro. «Quanti sono a conoscenza di questo evento?»

    Lennor deglutì. Sperò che la voce gli sarebbe uscita più ferma di quanto lo fossero le sue mani. «Pare che la notizia abbia lasciato il monastero e si sia diffusa nelle zone limitrofe.»

    I passi s'interruppero. «Com'è possibile?» La voce del Primate perse per un istante il tono pacato che la contraddistingueva, ma si ricompose nello spazio di un respiro. «Il monastero è un eremo costruito sulle pendici di una montagna inaccessibile, raggiungibile solo con un sentiero durissimo dove anche la determinazione dei fedeli più devoti è messa a dura prova.»

    Lennor strinse i pugni per riprendere il controllo delle mani ancora scosse dai tremiti. «Non lo sappiamo. Le informazioni che sono riusciti a raccogliere gli uomini del gran maresciallo Carren non ci hanno ancora permesso di delineare un quadro chiaro della situazione, ma abbiamo fatto alcune ipotesi…»

    «Non importa,» mormorò il Primate.

    La risposta gli mozzò il fiato in gola. La voce vigorosa e possente di pochi istanti prima sembrava essere stata sostituita da quella di un vecchio stanco e debole.

    I passi regolari ripresero a marcare il tempo nella sala silenziosa. «Qualunque sia la catena di eventi che ci ha condotti in questa situazione non cambia l'interpretazione di ciò che è accaduto.»

    Corrugò la fronte. «Quale interpretazione?»

    «Rispetto il suo lavoro, Generale, ma il nostro obbiettivo non è di trovare delle motivazioni o dei colpevoli.» Un crepitio più forte del solito mise fine allo scalpiccio lento e greve del Primate. «Per quanto gli eventi si siano complicati, ho fiducia nella valutazione del Priore Sandorin e non ho dubbio di credere che quanto da lui visto corrisponda agli eventi corretti della profezia.»

    Il generale si sfregò il mento grattando il velo di barba ispida con le cuciture del guanto. «Come possono esserci due Haransis? La profezia parla di uno.»

    Il Primate fece una risata amara. «Tutto è possibile per l'Unico. Inoltre, se non potessero verificarsi due segni diversi che indichino l'avverarsi di una profezia, non esisterebbe nemmeno il concetto di Cuspide. In questo caso abbiamo due eventi che indicano l'avverarsi della profezia di Cheroh e la conseguente venuta dell'Haransis in Mothd.» Fece un sospiro. «Non è però la Cuspide a destare la mia preoccupazione. Potrebbero invece trattarsi di due eventi molto simili, di cui solo uno è quello citato realmente dalla profezia, che quindi indicherebbe un solo Haransis anziché due. Per nostra fortuna, entrambi questi eventi scaturiscono dalla stessa sorgente e quindi abbiamo una sola Guida. Spero solo di non aver sbagliato a indicare l'Haransis in Erikjaard.»

    «Voi siete il Primate, non dite così. Voi non potete sbagliare!»

    «Ti ringrazio amico mio.» La voce del Primate si venò di un tono di rimpianto. «La verità è che per quanto io possa essere vicino all'Unico, io non sono l'Unico. Io sono un suo figlio come tutti gli abitanti di Mothd e quindi posso sbagliare esattamente come tutti gli altri. La mia posizione elevata rende solo più rovinose le mie cadute ed estremamente più dannose le loro conseguenze per tutti noi.»

    «Temete per il compimento della profezia?»

    Il Primate fece un mugolio di dissenso. «No, questo no. La profezia è chiara: che l'Haransis sia uno, siano due o siano dieci il suo contenuto non cambia. Sono gli effetti collaterali di questa situazione quelli che mi preoccupano.»

    Rimase in silenzio per un istante mentre cercava di dare un senso a quelle parole, ma più si sforzava di trovare una logica e meno gli sembrava di capire la situazione. Un brivido gli scese lungo la schiena. «Effetti… collaterali?»

    «La Cuspide è un pericolo per il nostro popolo e la fede nell'Unico.» Il Primate inspirò, come per raccogliere le idee. «L'Haransis è la mano dell'Unico nel mondo, qualunque sia il loro numero, porteranno a compimento il suo volere indipendentemente da tutto ciò che potrà accadere. Come Primate, come Chiesa dell'Unico e come regno, però, abbiamo preso posizione alle spalle di un uomo chiamato Erikjaard e qualcuno potrebbe sfruttare questa Cuspide e la presunta presenza del secondo Haransis per i suoi scopi. Questa non è una posizione solamente religiosa, ma anche politica. Con la mia scelta ho legato tutti noi a quell'umano; qualunque cosa ha fatto e farà verrà giudicata da persone che avranno la visione di tutta la storia fino al suo compimento e il loro giudizio sarà impietoso.»

    L'alone della magia dei niss'huje segnava come un livido il pavimento candido. «È facile vincere una partita vedendo tutte le mani dei giocatori.»

    «Già,» mormorò il Primate, «ma è quello che faranno e io vorrei poter vedere almeno qualcuna di quelle mani, per questo ho bisogno del tuo aiuto.»

    Raddrizzò la schiena. «Cosa volete che faccia?»

    «La Cuspide ci pone difronte a due tipi di problemi molto diversi. Ne sappiamo troppo poco per poter interpretare il suo impatto sulla Profezia di Cheroh e la Guida si trova chissà dove nel territorio imperiale. Possiamo solo sperare che lei e chi la circonda siano in grado di difenderla a sufficienza fino a quando non avremo le idee più chiare.»

    Sorrise. «Se devo essere sincero, ho visto ben poche cose in tutta Mothd letali come quell'elfa. Qualunque cosa volesse farle del male non si troverebbe difronte a una verginella indifesa.»

    «Lo spero vivamente,» la voce del Primate si fece cupa., «ma preferirei ugualmente che avesse l'Haransis al suo fianco nella remota possibilità che anche questo secondo Haransis abbia un ruolo nella profezia e che quindi non si sia ancora compiuta del tutto… o che non si sia compiuta affatto.» Il legno della sedia scricchiolò. «Questo ci porta al secondo problema: chi di loro porta dentro di sé la forza del vero Haransis e cosa possiamo fare per interpretare al meglio il loro ruolo nella Cuspide?»

    Lennor chiuse gli occhi e inspirò per scacciare il senso di vuoto che lo stava prendendo allo stomaco. «Appena ricevuta notizia della Cuspide ho deciso di inviare un gruppo di uomini fidati a Gree-Lan per condurre qui l'Haransis Selor-Dahn, approfondire meglio la sua storia e…»

    «Ottimo come sempre amico mio,» tagliò corto il Primate, «ma le preoccupazioni maggiori me le dà proprio l'altro Haransis, Erikjaard. Lui è un dono dell'Unico e non ho dubbi sul suo ruolo nella profezia, ma…» Le parole si spensero nel silenzio.

    «Ma è un barbaro, un pagano e non ha nessun collegamento con la nostra fede,» mormorò dando voce ai dubbi che lo avevano assillato sin dal primo momento dell'annunciazione di Erikjaard come Haransis.

    «Vedo che non sono l'unico ad averlo pensato.»

    Avrebbe voluto sorreggere quella voce in cui aveva sempre riposto tutta la sua fede di soldato e di semplice uomo ma nessuna parola gli salì alla gola.

    Il loro giudizio sarà impietoso.

    Piegò il capo e serrò la mascella. «No.»

    Il Primate fece un mugolio di assenso. «Come temevo. Ho bisogno di sapere di più su di lui, ma non possiamo portarlo qui ad Ahkisarana. Qui non potremmo mai vederlo per quello che è realmente e non otterremmo mai quelle informazioni di cui abbiamo disperatamente bisogno. Inoltre, senza saperne di più, potremmo rischiare d'intralciare il destino che l'Unico ha predisposto per lui.»

    Sul tavolo ai piedi del bassorilievo i danni causati dallo scudo protettivo evocato dai due niss'huje segnavano ancora i drappeggi e la superficie.

    Tutti gli eventi degli ultimi cicli gli passarono difronte agli occhi in un caleidoscopio di immagini mentre esplorava ogni possibile collegamento con Erikjaard. Alzò la testa verso il pannello di legno scuro che lo sovrastava. «Lasci fare a me, troverò un modo di farle avere le informazioni di cui ha bisogno.»

    Capitolo Primo

    Conflitti

    Una nuova ospite

    I

    Casa della famiglia Kroughann'sereh - Deehl'flar-Tovin

    Un tappeto di nubi candide si perdeva all'orizzonte nel cielo terso. Erikjaard chiuse gli occhi e inspirò a fondo l'aria frizzante. Il tepore del sole gli accarezzò la pelle nuda del torace. Un brivido di piacere gli scosse il corpo. Aprì gli occhi. Il blu cobalto del cielo sopra la sua testa sembrava inghiottire tutto il resto del mondo.

    Tese la mano verso il basso. Liriya sorrise mentre la brezza leggera le sollevava i capelli che si accendevano di riflessi di fuoco, alzò il braccio e la strinse.

    «Abbi fiducia.»

    I suoi occhi sembravano riflettere il colore del cielo. «Sì, mio Haransis

    Il potere della magia gli bruciava in ogni fibra del corpo. Serrò la presa sulla mano di Liriya e si lanciò verso il blu cobalto sopra le loro teste.

    Aprì gli occhi. La luce trafilava da sotto gli scuri della finestra tagliando in due l'oscurità. Portò le mani al viso, i riccioli della barba sfregarono contro le palme mentre si stropicciava gli occhi. Scostò la coperta con uno scatto e si mise a sedere sul bordo del letto.

    «Maledizione.»

    La casa era avvolta nel silenzio.

    I bambini non si sono ancora svegliati.

    La brocca e il bacile erano pronti sul tavolino accanto al letto ma il pensiero dell'acqua gelata sulla pelle gli fece scendere un brivido lungo la spina dorsale. Afferrò la casacca appoggiata sullo schienale della sedia e fece due passi in punta di piedi fino alla porta. La molla della maniglia emise un gemito appena percettibile. La aprì e si immerse nella penombra del corridoio.

    Scivolò nella camera da letto accanto alla sua e si appoggiò con la schiena contro la porta fino a quando non scattò il chiavistello. Un profumo delicato di lavanda si spandeva dalle lenzuola candide rinfrescando l'aria immobile. Una lama di luce filtrava dagli scuri socchiusi tracciando un segno multicolore sulla schiena nuda al centro del letto. Le braccia chiare si allungarono con un mugolio di piacere e, per un istante, ebbe l'impressione che fosse un riflesso rosso fuoco a balenare nella striscia di luce, ma fu una massa di capelli corvini a scivolare lungo la spalla candida. Alith allungò la mano a raccogliere il lembo del lenzuolo e si mise a sedere sul letto usando tutto l'avambraccio per coprire il seno.

    «Ciao,» mormorò con la voce impastata. Con l'altra mano si scompigliò i capelli lasciando che il loro profumo invadesse la stanza. «È tanto che sei qui? Non ti ho sentito arrivare.»

    Scosse la testa. «Sono appena entrato.»

    Alith inclinò il viso da un lato. «Hai uno sguardo strano. Non è che hai avuto un altro di quei sogni assurdi?»

    «No, è questa stanza. Sai che non ho ancora fatto l'abitudine allo sgattaiolare qua dentro.» Alzò le spalle. «Mi passerà.»

    Lei sollevò gli occhi al soffitto e scosse la testa. Lasciò scivolare le gambe oltre il bordo del letto e si alzò trascinandosi dietro il lenzuolo. «Non mi sembra che lei si sia posta tutti questi problemi.» Lasciò cadere il lenzuolo e afferrò i pantaloni e la casacca blu dal pavimento.

    Allontanò lo sguardo dalla figura eterea. «Non sarai gelosa?»

    «Pfft,» sbuffò Alith. Si infilò i pantaloni con un gesto secco. «E di cosa dovrei essere gelosa? Della tua maestrina elfica che è stata ospite per qualche ciclo di questa casa?»

    Senza le mappe che tappezzavano le pareti e i libri ammucchiati qua e là sui mobili, quella stanza aveva perduto molto del suo fascino. «Come al solito stai equivocando. Non c'è mai stato nulla tra me e Liriya.»

    Alith fece scivolare la casacca sulle spalle nude e si voltò iniziando ad abbottonarla dal fondo. «Lo so.» Gli mandò un sorriso malizioso. «Lo so molto bene.» Si avvicinò alla finestra e spalancò gli scuri di botto.

    Si schermò gli occhi dalla luce abbagliante e, quando abbassò la mano, il volto di Alith era a un passo dal suo. Aveva i pugni piantati sui fianchi e un piglio deciso nello sguardo.

    «Quello che mi manda in bestia è che senza di lei tu ti senta ancora perso.» Si voltò gettando una mano al vento. «Per l'Unico, tu sei l'Haransis, tutto il mondo guarda a te come una guida e un esempio da seguire e tu…» appoggiò le mani sulla scrivania lasciando cadere la testa tra le spalle, «e tu non riesci nemmeno a pensare a cosa fare senza l'aiuto della tua Guida.» Chiuse la frase con un tono tra il canzonatorio e il disgustato.

    Il legno dorato della scrivania brillava nella luce del mattino. Erikjaard lo accarezzò con la punta delle dita. I tre cicli passati a studiare le decine di tomi che Liriya considerava fondamentali nella preparazione di qualunque studente gli balenarono in mente con un moto di disgusto.

    L'essenzialità porta alla conoscenza, ma la perfezione passa per i dettagli.

    Scrollò la testa e si lasciò catturare dal profumo seducente dei capelli di Alith. «Parli bene tu, hai avuto una vita per conoscere il mondo in cui vivi, ma per me, fino a pochi anni fa, non c'era altro che la Valle e un'orda di mostri straccioni che voleva annientare il mio popolo. Se non fosse stato per Liriya, probabilmente sarei ancora a tentare di farmi ammazzare pattugliando le praterie fuori de La Cinta e Arcadia… scusa… Mothd non avrebbe mai conosciuto il suo Haransis

    Lei si voltò appoggiandosi a sedere sul bordo della scrivania. Alzò la testa e scacciò un filo di capelli ribelli con un soffio. «Ma chi vuoi prendere in giro? Sono settimane che non ti allontani da qui. Quando vorrai deciderti ad accettare questo dono che ti è stato fatto?»

    Sbuffò e fece un passo verso la porta. «Grazie per avermelo ricordato anche oggi.»

    Afferrò la maniglia e la voce di Alith lo gelò sul posto. «Puoi continuare a fuggire, ma tu sei l'Haransis e non puoi cambiare questo fatto. Le persone hanno bisogno di te.»

    Appoggiò la mano sullo stipite stringendolo fino a sentire dolore. «Io… lo so. Ma… ma…»

    Le braccia di Alith gli scivolarono lungo i fianchi e gli strinsero la vita. «Io sono qui con te, Erik. Non aver paura. Lasciati andare.»

    Chinò la testa sul petto. «Io non so cosa fare.»

    La risata dolce di Alith gli solleticò il collo mandandogli un brivido in tutto il corpo. «Non temere per questo.» Il calore dei suoi capelli gli scaldò la nuca. «Sei l'Haransis, non è certo la conoscenza della storia o della geografia che la gente si aspetta da te.»

    Si voltò per controbattere, ma il dito di Alith gli bloccò la bocca. «E per ogni dubbio avrai sempre me al tuo fianco ad aiutarti.» Sorrise. «Va bene così?»

    Chiuse gli occhi. Tutti i dubbi gli si agitavano nello stomaco come un'orda di demoni inferociti. Annuì, meno convinto di quanto avrebbe voluto. «Ci proverò.»

    Il bacio di Alith lo prese alla sprovvista.

    «Bene.» Lo liberò dall'abbraccio e aprì la porta. «Se adesso ci siamo chiariti vorrei proprio mangiare qualcosa. Non so perché, ma a me queste discussioni profonde mettono una fame terribile. Spero proprio che Gaka prepari qualcosa di speciale per colazione.»

    Invito alla festa

    II

    Casa della famiglia Kroughann'sereh - Deehl'flar-Tovin

    Erikjaard si strofinò la fronte con il dorso della mano. Nonostante le falde larghe del cappello, il sole e l'aria immobile non davano tregua. Portò alla bocca la fiasca che gli pendeva al fianco e diede alcuni sorsi. Una goccia d'acqua gli scese lungo la barba riccia. Asciugò il mento contro la spalla e s'inginocchiò di nuovo a cercare i baccelli lunghi e sottili che si nascondevano all'ombra delle foglie circolari larghe poco più di un palmo. Strappò altri tre farhek arancioni al punto giusto e li mise nella cesta di paglia intrecciata che teneva nella sinistra. Il filare correva fino al fondo dell'orto. Il muro a secco, poco distante, separava il bosco dalla terra dissodata di fresco. Proprio vicino alla fine del muro, seminascosta dalle fronde di un albero, faceva capolino la pedana dell'es'letah. Si fermò mentre un fiume di ricordi gli riempiva la testa.

    «Spero che un giorno mi farai vedere questa meraviglia elfica in azione.» La voce di Alith lo distrasse dai ricordi.

    Appoggiò il cesto a terra e si alzò per sgranchire la schiena anchilosata. Un refolo d'aria gli diede un po' di sollievo. Alith era seduta poco distante, appoggiata al tronco di un pesco che con le sue fronde forniva un minimo di protezione dal sole. Un filo d'erba le pendeva da un labbro.

    «Dici l'es'letah

    Lei annuì. «Tutti in casa ne dicono meraviglie. Sembra che tu sia l'unico essere vivente su Mothd che sia riuscito a usare questa tecnica elfica da millenni, ti stupisci che sia curiosa?» Il filo d'erba si mosse su e giù al ritmo delle parole.

    Erikjaard si passò una mano sulla nuca.

    Non proprio l'unico.

    Scrollò la testa per scacciare quel pensiero. «Non è poi tutto questo gran che. Ti annoieresti a vedermi prendere a calci dei fiorellini indifesi.»

    Il filo d'erba le scattò da un lato assecondando la smorfia di disappunto. «Dubito che gli elfi abbiano speso millenni per affinare una tecnica per prendere a calci delle piante.»

    So di chiederti un grande sacrificio, ma devi promettermi che non userai l'es'letah in un combattimento. Mai. Soprattutto se ci sono elfi.

    Le parole gli risuonarono in testa con la voce di Liriya.

    Maledizione.

    «Non appena mi capiterà di rimettere l'armatura ti posso mostrare qualche mossa.»

    Lei incrociò le braccia. «Ancora con questa storia? Non sarà anche quella un altro doloroso ricordo della tua amichetta elfica?» chiese stizzita.

    Erikjaard scosse la testa. «Credo che tu pensi un po' troppo a lei.» Allargò le mani in segno di resa, trattenendo una risata. «Liriya non c'entra nulla in questo, è solo che non mi piace andare a giro con quell'armatura.»

    «Menomale,» borbottò Alith. Si alzò con un movimento flessuoso e gli si avvicinò prendendogli il viso tra le mani. «Solo che non capisco perché tutto quello che ti ricorda il tuo ruolo di Haransis ti dia così fastidio.»

    «No, non è quello.» Le parole gli uscirono più rapide di quanto avesse voluto. «Vestito in quel modo non mi sento a mio agio. È troppo ricco e raffinato per me.» La fissò negli occhi. «Tutto qui.»

    Alith sollevò un sopracciglio, ma lui sostenne il suo sguardo. «Ti ho promesso di non fuggire più dal mio ruolo, ma non puoi pretendere che vada a giro vestito come un principe elfico tutti i giorni. Sarei ridicolo.» Allungò la mano verso il filare di pianticelle ai suoi piedi. «Mi ci vedi conciato in quel modo a lavorare nell'orto di Hagkot?»

    Lei sorrise. «Hai ragione, non sarebbe giusto. Però, tra venti giorni…»

    Alith lasciò la frase in sospeso come se la risposta fosse ovvia, ma per quanto si sforzasse non gli venne in mente nulla.

    Aggrottò le sopracciglia. «Cosa accade tra venti giorni?»

    Lei si rabbuiò e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Rimase a guardarlo per un istante e poi voltò le spalle. «Questo non lo accetto, nemmeno da te. Tra tre settimane sarà la festa dell'annunciazione, il Dekohn'dalenda. Tu che sei l'Haransis non puoi non ricordarla.»

    Chiuse gli occhi e serrò i denti in un gesto di disappunto. «Maledizione,» borbottò, «È il giorno in cui si festeggia la profezia che narra della venuta dell'Haransis, Giusto?»

    Alith incrociò le braccia sull'addome. «Già, proprio quello.»

    Fece un lungo respiro per sfogare l'imprecazione che gli era salita alla bocca.

    Questa storia sta diventando un incubo.

    Appoggiò le mani sulle spalle di Alith e le fece scivolare contro le braccia fino a raggiungere le mani. «Scusa, ma sai quanto per me tutte queste feste e usanze siano difficili da ricordare. Tra la mia gente la religione è qualcosa di distante. Il nostro dio è un'entità lontana e impalpabile che non interviene mai negli eventi del mondo e che giudicherà il comportamento degli uomini alla fine della loro vita terrena. Molti di noi neppure credono che esista una divinità che regola le nostre vite.»

    Alith strappò le mani dalla sua presa con una smorfia. «Che credenze barbare.»

    Incrociò le braccia. «Nonna Nì ti risponderebbe che è troppo facile credere in una divinità palese a tutti.»

    Lei si rivoltò come un serpente. «Ti ricordo che non sei più tra i tuoi Nordlings, ma sei uno dei simboli tangibili di quelle religioni che tanto sbeffeggi. Non vuoi credere nell'Unico, bene, credi in quello che vuoi, non sarai né il primo né l'ultimo abitante di Mothd a farlo, ma non puoi essere l'Haransis e rinnegare la cultura religiosa di cui sei uno dei simboli più importanti.»

    Gli occhi di Alith erano lucidi e la voce le si era incrinata. Le accarezzò la guancia. «Non fare così, io non ho mai detto che rinnego il mio ruolo o la cultura che esso rappresenta, ma con questo ruolo nessuno mi ha donato una conoscenza divina su ciò che è giusto o sbagliato.» Si voltò in direzione dei Denti del Gigante. Anche se erano persi oltre l'orizzonte, i profili delle montagne che circondavano la Valle gli apparirono chiari nella mente. «Io non conosco le vostre scritture e non ho avuto anni o addirittura secoli per comprenderne le varie sfumature, ma so che poco oltre il mondo che noi percepiamo c'è decisamente qualcosa.» Le prese la mano tra le sue. «Io non so se sia giusto chiamarlo Unico o Padre di Tutto o qualcos'altro, ma è lì e io l'ho percepito chiaramente così come il tocco della tua pelle o il calore del sole sul viso e per quanto il mio ruolo di Haransis possa spaventarmi o essermi stretto, non potrò mai negare che quel qualcosa esista.»

    Lei rimase immobile a guardarlo con la bocca aperta, come se lo avesse visto per la prima volta. Quel momento durò non più di pochi battiti di cuore ma sembrò durare un'infinità.

    «Perdonami, ti prego.» Alith abbassò gli occhi a terra e rafforzò la stretta tra di loro con l'altra mano. «Io… Io ho dubitato.» Strinse gli occhi e se li sfregò con una mano. «Come ho potuto essere così sciocca, le feste, le scritture, le preghiere… sono solo elementi esteriori che legano noi semplici fedeli all'Unico.» Fece un sorriso che le illuminò tutto il volto accendendo la pelle di una luminosità rosata. Gli occhi le brillavano come due gemme. «Tu sei l'Haransis, sei un Suo emissario diretto tra di noi, è ovvio che tu non sia legato a queste cose terrene.»

    Quel cambiamento repentino nell'umore di Alith lo prese alla sprovvista. Accennò un sorriso imbarazzato. «Se lo dici tu…»

    Alith continuò a stringergli le mani come se fossero la cosa più preziosa che possedesse. «Come potrebbe essere altrimenti, l'hai detto tu che la tua fede travalica questi simboli esteriori, sono io che sono stata così sciocca da non capirlo prima. Però per noi semplici fedeli le cerimonie sono importanti e sarebbe un gran dono per tutti noi se potessi partecipare alla festa dell'annunciazione per aiutare chi non ha la tua fortuna a sentire, attraverso la tua presenza, l'amore che l'Unico ha per tutti noi.»

    Rimase a guardare Alith per alcuni istanti mentre quelle parole gli risuonavano nella testa.

    Non è andata proprio come mi aspettavo.

    Più si sforzava di tenersi ai margini di quel mondo e più ne veniva fagocitato.

    Però per Alith è importante.

    Quasi le stesse leggendo nel pensiero, Alith piegò la testa da un lato. «Ti prego.»

    Gli occhi scuri e la curva morbida del viso gli fecero accelerare i battiti. «Va bene,» disse strappandole una smorfia di giubilo. «Sai che non posso dirti di no quando fai così, però vorrei proprio sapere dov'è finito il Primo Cavaliere di Ahkisarana con i suoi modi rudi e la lingua tagliente che mi ha colpito… e non solo il cuore. Pensa che quando ti ho vista arrivare assieme a Daorn ho pensato che fossi tornata per farmi staccare un braccio da quel tuo uccellaccio troppo cresciuto invece che per venirmi a salutare.»

    «Shirass la uso per tenere a bada voi maschietti.» Lo sguardo di Alith riprese l'espressione ambigua tra l'aspetto da ragazzina e la determinazione da soldato navigato che trovava tanto affascinante. «Comunque, anche se ho dovuto pagare svariate bevute per essere assegnata alla missione a Deehl'flar-Tovin, starei attento a quello che dici. È anche grazie a Shirass che ho trovato il coraggio per venire qui.»

    «Cosa?» La guardò storto. «Grazie a Shirass?»

    «Certo.» Il tono di Alith la faceva sembrare la risposta più naturale del mondo. «Le sei andato subito a genio, e quando si tratta di uomini mi fido molto più del suo giudizio che di quello di qualunque altra persona.»

    Ripensò al suo primo incontro con i grikah sulla banchina del molo di Ahkisarana e scosse la testa. «Probabilmente non ha parlato di me con il grikah del generale Cairn.»

    Alith sollevò le spalle. «Probabilmente lo ha fatto, ma Grylock non è molto sveglio. Per questo preferisco le femmine. Sappiamo tutti che noi donne siamo più brave di voi uomini a capire il mondo. E su questo Shirass concorda con me.»

    «Ah, beh.» Abbozzò una risata. «Se lo dice anche Shirass non posso certo dissentire.» Raccolse il cesto colmo di baccelli farhek. Anche se aveva fatto solo metà filare il quantitativo era più che sufficiente per il minestrone. «A proposito di femmine che non è bene contraddire, credo di aver già indugiato abbastanza. Se vogliamo mangiare credo che sia meglio che porti questo cestino a Gaka, poi avremo modo di approfondire meglio le valutazioni della tua amica pennuta.»

    Alith si voltò con un movimento sinuoso e si avvicinò al muro di cinta flessuosa come un gatto. Appoggiò i gomiti alle pietre arcuando la schiena. Il tessuto si tese sul seno con una curva morbida. Gli gettò uno sguardo di sottecchi. «Allora io ti aspetto qui.»

    Rottura con il passato

    III

    Casa della famiglia Kroughann'sereh - Deehl'flar-Tovin

    Erikjaard entrò in cucina e appoggiò il cesto sul bancone. Un pentolone borbottava fumando e spandendo odori dolciastri dal focolare al centro della casa. Gaka alzò appena lo sguardo e continuò a sbucciare una patata, che nonostante fosse grande come un pugno, sembrava minuscola nelle sue mani. I muscoli definiti guizzavano sul corpo a ogni movimento. I pantaloni di tessuto leggero di un colore verde cangiante e i lacci di cuoio lavorato attorno ai bicipiti la facevano sembrare una versione ridotta di Hagkot, solo la fascia dello stesso tessuto dei pantaloni che le conteneva il seno voluminoso permetteva di distinguerne il sesso.

    Gaka fece un grugnito di disappunto. «Te la sei presa comoda.»

    Rovesciò il contenuto della cesta sul bancone. «Stavo parlando con Alith e non mi sono accorto che si stava facendo tardi.» Afferrò una ciotola da sotto al piano e raccolse un mestolo di acqua fumante dal tegame che stava al lato del focolare.

    Lei gli puntò il coltello. «Se è per questo allora ti perdono.» Fece un ghigno che era una sorta di sorriso e riprese a sbucciare la patata. «Mi piace quella ragazza. State bene assieme.»

    «Già.» Aggiunse due mestoli di acqua fredda e iniziò a strofinare le dita colorando l'acqua di viola.

    Gaka si fermò e gli sventolò l'affilatissimo coltello elfico davanti alla faccia. «Cosa vorrebbe dire: già? Ti pare una risposta che un uomo può dare della sua donna?» Piantò il coltello sul bancone con uno schiocco secco. «Quella ragazza è un'umana proprio come te, e anche molto carina. È arrivata addirittura qui per cercarti ed è certo come il sorgere del sole che è innamorata di te. Perché continui a tergiversare. Cosa stai rimuginando in quella tua testa bacata?»

    Il respiro gli si mozzò in gola. Fece due passi indietro e allontanò le mani dal raggio d'azione dell'orchessa. «Niente, te lo giuro, anche io le voglio bene.» Fissò i piccoli occhi scuri di Gaka. «Anche io la amo.»

    Lei strappò il coltello con noncuranza dal bancone e si mise a tagliare la patata che aveva in mano in tanti cubetti. «Ma… perché c'è un ma in tutta questa storia, vero?»

    Sbuffò e si sfregò le mani sui pantaloni. «È che ho paura di deluderla.» Si sedette davanti alla pila di libri che ingombrava l'angolo vicino alla finestra e prese tra le mani il primo. «Ho paura di farla soffrire.»

    Il coltello sibilò e si andò a piantare contro la parete alle sue spalle. Non si voltò, era certo che avesse colpito la fronte dell'elfo disegnato.

    Gaka colpisce sempre nel centro.

    L'orchessa scosse la testa. «Non sarà ancora per Liriya?»

    Continuò a sfogliare le pagine fino al punto in cui si era interrotto e riprese a leggere.

    Invece di prendere un nuovo coltello e continuare il suo lavoro, si alzò e girò attorno al bancone fino a fermarsi a un passo da lui. Si guardarono per un lungo istante negli occhi e lei gli mise le mani sulle spalle. La sua presa non era la stretta forte che si sarebbe aspettato da un orco, ma il tocco compassionevole di una madre. «Erik, ascoltami. Il vostro destino è stato deciso dall'Unico. Lui vi ha fatto incontrare per compiere la Sua volontà e poi ha disposto che andaste per le vostre strade, ognuno secondo la sua razza, per portare a compimento la sua volontà più grande, ovvero il perpetuarsi della vita.»

    Scrollò le spalle e affondò di nuovo i pensieri sulle righe vergate a caratteri spigolosi.

    «Ma lei adesso non è più qui.» Gaka abbassò la testa per scrutargli il viso. «Tormentarti ancora con questi pensieri non farà altro che rovinare il tuo futuro. Liriya ha scelto di dividere la sua vita con Zildjen e formare una famiglia con lui. Opporti anche solo con il pensiero a questa scelta è solamente un'ingiustizia che fai a Liriya e all'Unico e un dolore che arrechi ad Alith. Tu puoi scegliere di vivere una vita all'insegna del passato, ma non puoi costringere coloro che ti stanno accanto a fare altrettanto.» Rafforzò la stretta sulle sue spalle. «Tu sei un guerriero, fai la tua scelta e vivila fino in fondo. Lo ricorderai: è il primo insegnamento che hai appreso da Alfdel-Zahl.»

    Sollevò la testa e sostenne lo sguardo di Gaka. «Non l'ho mai dimenticato.» Chiuse il libro e posò la mano su quella di Gaka. «Io ho già fatto la mia scelta, già da prima di scendere in battaglia alle sorgenti del Nihm, solo che non mi sono mai posto il problema di cosa sarebbe accaduto dopo, semplicemente perché non ho mai pensato che sarei arrivato a vederlo.»

    Diede due colpetti alla mano dell'orchessa e si alzò liberandosi dalla sua stretta. «È da allora che ho capito che tra noi non avrebbe mai potuto esserci nulla. Siamo troppo differenti.»

    Gaka aggrottò le sopracciglia. «E allora perché continui a tormentarti in questo modo?»

    Chiuse gli occhi e sorrise mentre tutti gli eventi salienti degli ultimi anni gli rimbalzavano nella testa. «Perché, seppur senza speranza, un periodo molto importante della mia vita ho amato Liriya e, a volte, mi trovo a desiderare che sia ancora qui e questo mi confonde.» Scosse la testa. «Non chiedo che tu mi capisca, perché è difficile capire anche per me, ma io voglio passare veramente la mia vita con Alith. Lei è così bella, così viva, così gioiosa e travolgente che ogni giorno assieme è un dono. Io la adoro e non posso pensare di ferirla in alcun modo. E posso leggerlo nei suoi occhi, anche lei prova lo stesso per me.»

    Gaka sollevò le spalle. «Hai ragione: non capisco. Qual è, quindi, il problema?»

    Puntò il pollice verso la pila di libri. «Quelli sono il problema.»

    L'orchessa piegò la testa da un lato e rimase a osservarlo il silenzio.

    Sospirò. «Tu conosci gli skuuran che sono necessari per raggiungere la consapevolezza nell'Unico?»

    «Certo che li conosco.» Gaka incrociò le braccia.

    Le si fece più vicino. «Tutti e sessantaquattro?»

    Lei roteò gli occhi e gettò le braccia al cielo. «E va bene, non ho la più pallida idea di cosa siano… quei cosi lì.»

    «Sono gli stati d'animo che predispongono lo spirito alla perfezione dell'Haransis.» Si sfregò il volto sulle palme delle mani. «Sessantaquattro, capisci? Non pensavo nemmeno che potessero esistere tanti stati d'animo differenti in una persona, figuriamoci incarnarne l'essenza.»

    Gaka piegò l'angolo della bocca. «Non saranno certo una manciata di parole a spaventarti, hai affrontato ben di peggio.»

    Prese il primo libro della pila con entrambe le mani e lo lasciò cadere sul bancone. Una nuvola di polvere si alzò brillando nei raggi colorati che filtravano dalla finestra. «Ecco i primi due.»

    «E con ciò?» Le mani nodose dell'orchessa strinsero il libro e lo sollevarono come fosse stato un fascio di paglia secca. «Non sarà certo una raccolta di pergamene polverose a cambiare l'affetto che lei prova per te.»

    Sospirò. Nell'angolo della cucina la pila di libri ancora da leggere incombeva sui pochi che aveva già studiato. «No, certo che no. Lei però si aspetta che io queste cose le conosca.» Tirò un pugno sulla parete, accanto alla figura dell'elfo stilizzato. «Si aspetta che le viva come fossero parte di me, ma con il ruolo non mi è stata passata nessuna conoscenza divina sulle scritture e sulla religione che tutti loro sanno a memoria.» Serrò il pugno fino a sentire dolore. «Dovrei essere capace di guidarli sulla strada della fede e invece, ogni volta che fatico a capire di cosa Alith mi stia parlando, sento di perdere una parte di lei e io non posso permetterlo.» Afferrò il coltello che spuntava dalla parete e tirò con tutta la forza per strapparlo alla stretta del legno. Lo fece roteare sul palmo della mano e lo piantò sul bancone. «Tutto questo mi fa impazzire perché non sono più sicuro di chi lei adori realmente. Sono io o è la mia eroica controparte, l'Haransis

    Gaka chiuse la mano sull'impugnatura del coltello bloccandolo e iniziò a stringere con forza. Il muso bestiale gli si avvicinò fino a un dito dalla punta del naso. «Io credo che tu stia perdendo il senno. Tu sei l'Haransis

    Strappò la mano dalla presa dell'orchessa e se la massaggiò per alleviare il dolore. «Vorrei anch'io che fosse così, ma non lo è. O almeno non è quello che vede la gente. Quando sono arrivato qui dopo la battaglia delle sorgenti del Nihm, la gente mi ha accolto come un eroe, ed era giusto. Era arrivata la prova che tutto ciò in cui credevano era reale. Era l'emissario terreno del loro dio sceso su Mothd. Non una semplice luce e una voce misteriosa, ma una figura in carne e ossa. Una figura a cui poter dare una pacca sulla spalla e poter accarezzare il mantello o l'armatura. Una figura a cui poter dire semplicemente grazie o da cui addirittura farsi fare una tacca sulla lama della spada.»

    Gaka trattenne una risata. «Davvero?»

    Fece una smorfia. «Sì. Anche quello.» Fece spallucce e scrollò la testa. «Ma andava tutto bene. Io stavo bene. Mi sentivo di aver fatto qualcosa di grande e importante per queste persone ed ero fiero del mio ruolo. Per la prima volta nella mia vita non ero più isolato perché diverso, non ero più l'huroi, ero adorato proprio perché diverso e mi sentivo in imbarazzo per questo. Quasi mi vergognavo, perché non mi sentivo degno di tanto affetto.»

    Si appoggiò a uno sgabello. «Poi il sogno è finito.» Si mise a sedere. «Tutte quelle persone si erano fermate all'apparenza. Quando, dopo due settimane, sono tornato al villaggio vestito come un contadino e con la barba incolta ho solo ricevuto sguardi obliqui e risposte gelide. Non ero più l'eroe, ero solo un altro forestiero sospetto.»

    Gaka sospirò. «In fondo ti hanno visto solo una volta.»

    Le puntò il dito come fosse una spada. «Ti faccio una domanda: se in questo preciso istante il Primate in persona ti apparisse davanti agli occhi e tu potessi osservarlo per tutto il tempo che vuoi ammantato della sua gloria, pensi che se dovessi rincontrarlo lungo una via dopo due settimane non lo riconosceresti?»

    L'orchessa arricciò le labbra. «No, non credo.»

    «Questo è il punto.» Sbatté il pugno sul bancone. «Quelle persone hanno guardato i simboli esteriori, mi hanno visto con l'armatura lucente e con la spada sfolgorante delle ballate e hanno dimenticato di guardare l'uomo.» Scosse la testa. «Potrei accettare che molti non mi riconoscano, ma ti sembra possibile che in una mattinata passata al villaggio nessuno mi abbia riconosciuto? Alla fine, raggiunto lo scopo, lo strumento diventa superfluo.»

    Lasciò correre lo sguardo lungo le fibre ondulate del pavimento. «Tu stesso non credi nella divinità per la quale ti fregi di combattere. Perché loro dovrebbero credere in te?» mormorò tra sé.

    Gaka aggrottò le sopracciglia. «Cosa hai detto?»

    Scrollò le spalle. «Ripensavo solo a una cosa che mi ha detto una volta una persona.» Strappò il coltello di Gaka dal legno e lo scagliò contro la parete. La lama si conficcò proprio sul cuore della figura stilizzata. «Liriya in questo era diversa. Quando parlava con me sapeva chi si trovava veramente difronte: uno stupido ragazzino Nordlings che ha la pessima abitudine di cacciarsi sempre in guai più grossi di lui.» Scrollò la testa. «Parlare con lei mi ha sempre aiutato a ritrovare la mia dimensione di uomo, per questo a volte vorrei che fosse di nuovo qui. L'amore non c'entra niente.» Incrociò lo sguardo di Gaka. «Sai, quando ero su quel campo di battaglia ho fatto delle cose incredibili. Cose che non sono più riuscito a fare. Non l'ho mai detto a nessuno, ma io credo che quello fosse l'Haransis. A suo modo la profezia era giusta, l'Haransis è morto veramente al termine del suo compito, solo che ha lasciato il suo involucro umano a dover gestire tutti i problemi della sua venuta.»

    Gaka gli prese le mani tra le sue. «Se è così, credo che ci abbia lasciato la parte migliore di sé.»

    Quel tocco gentile gli fece arricciare le labbra in una smorfia affettuosa. Anche se era così diverso, gli ricordò con nostalgia gli abbracci di Nonna Nì. «Ti ringrazio. È bello sentirselo dire ogni tanto, ma è proprio per questo che ultimamente sono in difficoltà con Alith. Sembra che lei cerchi sempre più spesso quella parte di me che non c'è più e questo mi spinge a pensare a come sarebbe stato più semplice da risolvere con Liriya. Il problema è che mi odio per questo, perché lei non lo merita, e io non so cosa fare.» Si mise le mani tra i capelli e li strofinò con rabbia. «Anzi, sembra che qualsiasi cosa faccia l'allontani sempre di più.» Le sbatté sul bancone. «Posso affrontare e sconfiggere qualsiasi nemico, ma come posso combattere contro me stesso?»

    Gaka gli prese le mani e gliele strinse forte. «Le difficoltà sono il sale della vita. Vedrai che prima o poi riuscirete a superarle. Siete entrambi ragazzi intelligenti e innamorati. Devi solo decidere cosa vuoi veramente.»

    Concentra il tuo spirito e ogni obbiettivo ti sarà raggiungibile.

    Rispose alla sua stretta. «Io voglio passare la mia vita con lei.» Sorrise. «E sai una cosa? Hai ragione. Non saranno certo delle pergamene polverose a impedirmelo. Grazie Gaka.»

    Lei scrollò le spalle. «Non ho fatto nulla, se non ascoltare. Una lezione che si impara presto quando si hanno figli e figlie in età da marito e, anche se non sei nato dal mio corpo, per me sei come uno di loro.»

    Rimase immobile. Gli occhi gli bruciavano, ma non osò sfregarli per non tradire

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