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Mont d'or: L'archeologia si tinge di giallo
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Mont d'or: L'archeologia si tinge di giallo
E-book195 pagine2 ore

Mont d'or: L'archeologia si tinge di giallo

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MONT D'OR

Anno 1873, mentre SCHLIEMANN, sulla collina di Hissarlik, porta alla luce il tesoro attribuito a Priamo, sulle colline adiacenti all'Alta Valle del Bradano, in prossimità della cittadina di Palmira, trova soluzione un'enigmatica vicenda, iniziata da diversi anni.

A risolverla è un misterioso viaggiatore francese, Joseph de Léon, giunto, una sera d'agosto, in groppa ad un cavallo nero corvino, nella terra che un tempo fu la Magna Grecia.
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2022
ISBN9791221433029
Mont d'or: L'archeologia si tinge di giallo

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    Anteprima del libro

    Mont d'or - Porzia Fidanza

    CAPITOLO 1

    L’ARRIVO DEL FRANCESE

    Anno 1873. Mentre Schliemann, avventuriero o semplice pioniere dell’archeologia moderna, sulla collina di Hissarlik, nei pressi del mitico Scamandro, porta alla luce il tesoro attribuito all’omerico Priamo, sulle colline adiacenti all’Alta Valle del Bradano, in prossimità della cittadina di Palmira, comincia a trovare soluzione un’enigmatica vicenda, iniziata ormai da diversi anni.

    A risolverla è un misterioso viaggiatore francese, tale Joseph de Léon, giunto, una sera d’agosto, in groppa a un cavallo, nero corvino, nella terra che un tempo fu la Magna Grecia. Per la precisione, era il primo agosto, una luna baluginante e premonitrice dominava la serata; il vetusto Castello normanno emergeva nel largo antistante come un fantasma e quell’intermittenza, naturale e spettacolare, richiamò in piazza buona parte del popolo di Palmira, ammaliato da quell’atmosfera affatturante.

    Già, la fascinazione, l’unica cosa rimasta al popolo, dopo il fallimento del sogno garibaldino di assicurare pane e dignità a tutti gli Italiani.

    Agli abitanti del posto quella sera sembrò particolare, come spinti da una forza maggiore, si ritrovarono nei pressi del maniero senza neanche sapere per cosa. Donne e uomini si guardavano imbarazzati, ma nessuno osava chiedere perché si fosse così in tanti lì.

    Un incredulo silenzio cominciò a invadere il luogo e le persone e in un clima surreale, calò, improvvisamente, una vaporosa foschia estiva che confermò ai presenti l’eccezionalità della serata. Alcuni preferirono rientrare; molti rimasero in attesa di un qualcosa che li scuotesse dalla loro atavica rassegnazione, ma poiché nulla succedeva il disagio di ognuno aumentò e la decisione di rincasare fu immediata.

    Verso le dieci, erano rimasti in pochi davanti al Castello, e mentre a piccoli gruppi si dirigevano nei propri rioni, furono fermati dall’ancora lontano possibile scalpitìo di un cavallo.

    Nell’atmosfera che si era creata, tutti ebbero paura, pensarono a qualche esercitazione magica o a un demone scappato e il terrore dell’arcano li riunì come in un bocciolo.

    Il rumore, non più terreno, avanzava lentamente e il rimpianto di non essere rientrati divenne palese, poi, non sentirono più niente e con non poca forza d’animo si divincolarono l’uno dall’altro.

    Con il riapparire della luna, fissarono la strada d’accesso principale e lì, immobili ed esterrefatti, videro una grandiosa sagoma che sembrò loro, immaginiamo, pari alla mole del Marco Aurelio, la statua equestre che domina il Campidoglio. Trattennero il respiro, incapaci di ogni decisione e sconcertando il viaggiatore se la diedero a gambe senza alcuna precisa direzione.

    L’uomo più reale che mai, pur riconoscendo di non essere giunto in un’ora opportuna, rimase turbato dall’effetto suscitato e nell’impossibilità di chiedere informazioni si diresse verso l’unica fonte di luce, quella della taverna, posta sulla strada laterale al Castello.

    Fece un sopralluogo per scoprire l’ingresso e non trovando nessun accesso si avvicinò alla finestra, affollata di sospettosi spettatori, ivi rifugiatisi.

    Lo fissavano in modo imbarazzante e a nulla valsero i suoi Pardon, interpretati come perdono. Perdono per che cosa? si chiedevano i timorosi cittadini? Non si esprimevano, ma nei loro sguardi si leggeva chiaramente che pensavano a un essere poco terreno.

    Il forestiero cominciò a domandarsi in quale parte di mondo fosse finito, forse che gli effetti dell’Illuminismo non erano arrivati in tale posto? Per quale misteriosa ragione la sua presenza aveva così tanto impaurito quelle persone? Preferì non darsi una risposta e si diresse verso la rocca che, con il gioco della luna, continuava ad apparire e scomparire suscitando in verità sensazioni anche per lui nuove.

    Chissà! diceva tra sé Forse con un po’ di fortuna e con questi che hanno paura della loro ombra, riuscirò a risolvere prima del previsto il mistero e tornerò in Francia senza più pensarci tanto! Mentre, però, cercava di razionalizzare il tutto, a un tratto, si levò un forte vento, la foschia scomparve e con essa la luna: le tenebre avvolsero ogni cosa.

    Le imposte della parte alta del Castello si aprirono di colpo e il tetro canto delle civette, inquietanti uccelli notturni, da sempre, simboli di presagi e magia, s’impossessò dello spazio e del tempo.

    Nonostante la fede nell’Illuminismo, l’intrepido straniero cominciò ad augurarsi che alla taverna gli aprissero e soprattutto che il soggiorno a Palmira durasse poco.

    Nel frattempo, nel locale c’era stata una consultazione e la conseguente decisione che se quell’essere fosse ricomparso lo avrebbero affrontato senza codardìa, fosse stato anche Belzebù. Il tempo di decidere e l’ospite fu lì. Armati di coraggio, coltelli e scope, qualora si fosse trattato di entità immateriale, attesero che il più grande e grosso di loro aprisse il portone.

    Incredulo, il malcapitato scese da cavallo ed entrò: Buonaserà, mercì. Era pur vero che l’italiano, non era conosciuto, ma tutti ebbero, immediatamente, l’impressione che il tizio non lo parlasse o per lo meno lo facesse con accento d’oltralpe. Lasciarono che fosse lui a riprendere la parola e così questi: Non è mia intenzione spaventarvi, né sono qui per perseguitare nessuno, vi assicuro che sono umano come voi.

    A quelle parole l’aria divenne meno pesante e con sguardo rilassato, i cittadini poterono inquadrarlo rendendosi conto che era una persona, sì di elevata statura, ma non quanto Marco Aurelio!

    I suoi capelli erano castani, gli occhi azzurri, stessi colori dei suoi panni e in una notte così nera, quelle tinte chiare portarono luce e fiducia, pacando l’animo di tutti.

    Accerchiato il visitatore, lo assalirono con mille domande: Chi siete voi? Chi cercate nel nostro paese? Da dove venite? Dove siete diretto? In quel modo fecero il gioco dello sconosciuto che, dovendo rispondere a tante domande, finì col non rispondere a nessuna, affamato, si aprì un varco verso i tavoli.

    I presenti si resero conto della loro indelicatezza e attesero un momento più propizio per ricominciare l’interrogatorio; d’altronde, aver appurato che si trattava di un loro simile in carne ed ossa non era poca cosa! Potevano aspettare.

    Con il clima un po’ più sereno, ordinarono dei boccali di vino, mentre lo straniero cercò qualcosa da mangiare e diede delle spiegazioni: Sarei dovuto arrivare per le sei, con la luce del giorno, ma sbagliando strada sono finito ad Acheruntia. Non voglio più pensarci, per fortuna, questa serata volge al termine e intanto che divorava il parco pasto e gli altri bevevano, schernendosi e aspettando notizie, la porta si aprì.

    Sull’uscio, comparve Luna, seguita dal suo cane, alla sua vista un grande stupore tornò a imperare nel luogo. Lo sguardo magnetico, i capelli sciolti e scapigliati della giovane donna, il suo avanzare turbarono di nuovo tutti.

    Era un bel po’ che Luna non risaliva le colline e fino a quel momento nulla era successo che non rientrasse nella prevedibile quotidianità, ma in una così strana serata aveva affrontato la notte, perché? Cosa l’aveva richiamata, cosa stava per succedere ora che era tornata? Questi pensieri aggredirono le menti dei presenti e tutti si scansarono temendo la sua direzione, ma lei senza esitazione si avvicinò con sguardo perso verso il forestiero; si sedette, lo fissò e cadde in uno stato quasi di trance senza, però, nulla dire.

    Il poveraccio che non aveva fatto in tempo a riprendersi tornò a sentirsi confuso. Chi è questa donna temuta da tutti tranne che dal suo cane? Brutta non è, per le donne che ho potuto vedere è anche fin troppo bella con questi capelli selvaggi e abitudini anarchiche. Quale donna sarebbe mai entrata in un tale locale a quest’ora? si domandò.

    Il nostro protagonista avvertì subito in lei qualcosa di imperscrutabile. Nei suoi occhi dall’iride nero carbone e profondi come l’anima, scoprì un’energia legata a qualche oscura forza naturale, ma preferì pensare che si trattasse solo di una donna attraente e nient’altro. Non ne disdegnò lo sguardo, ammaliato, ricambiò con la medesima intensità. Gli effluvi dell’intesa tra i due furono palesi ai presenti che, tranquillizzati, rincasarono senza più pensare a soddisfare la loro indiscrezione.

    L’indomani, l’arrivo del cavaliere e gli strani fenomeni atmosferici che lo avevano anticipato e accompagnato corsero di bocca in bocca, di collina in collina, di vallata in vallata, di aia in aia e tutti, ben presto, furono a conoscenza dei fatti che, personalizzati a ogni passa parola, assunsero tratti surreali con conseguenti aspetti irrazionali.

    A sera, finita un’altra giornata di duro lavoro, gli abitanti di Palmira, tutti in qualche modo legati all’agricoltura, rientrarono in paese.

    La corsa a saperne di più fu inevitabile e altrettanto l’assalto alla taverna; purtroppo, il visitatore per l’intero giorno non era proprio sceso se non per una fugace colazione.

    Quel comportamento avallò la sua schedatura con dati e connotati che fecero di lui un affine al malefico. L’illazione impressionò l’animo degli uomini, ma allo stesso tempo piacque. Infatti, coloro che lo avevano visto potevano testimoniare che si trattava di un uomo non solo aitante, ma anche di gentile aspetto, probabilmente capace di confondere le donne del paese, non abituate a tali fattezze. Per evitare il rischio, riferire loro di un essere diabolico poteva rappresentare un buon e preventivo rimedio, qualora l’ospite non si fosse accontentato della sola Luna. Concordi nel riportare questa versione, i palmiroti rincasarono.

    Il giorno successivo, lo straniero, suo malgrado, divenne una celebrità, sicché le donne di Palmira, nonostante fossero morigerate e rispettose delle convinzioni maritali e paterne, cominciarono a provare una forte curiosità femminile.

    Alle fontane, ai lavatoi non si parlava d’altro e tutte si sentirono pervase dal desiderio collettivo di conoscere più da vicino quell’essere proibito.

    I tentativi di sapere qualcosa non produssero alcun risultato, poiché l’insolito cavaliere, invitato da Luna, aveva abbandonato la taverna e se ne era andato nella masseria di costei. Molti pensarono che, com’era comparso, così fosse scomparso e tanto meglio che neanche Luna si vedesse più in giro.

    A Joseph l’invito era sembrato conveniente, avventuroso, ma colpito dal nome della donna, subito ne chiese il perché.

    Luna gli rispose: "Sono nata quando i miei genitori non mi aspettavano più, la mia nascita avvenne in una notte di splendida luna piena e in ringraziamento a essa mi fu imposto il suo nome.

    I miei, consapevoli dei poteri della luna sulla Terra e sugli esseri viventi, confidarono in questo nome per augurarmi la forza di dominare la vita e gli uomini".

    A Joseph piacque quella spiegazione e all’inizio ritenne casuale il tutto.

    Erano passati alcuni giorni dallo strano arrivo, il cinque agosto c’era un caldo insopportabile, nelle aie, più che lavorare, tra un goccio di vino e uno di acqua si tentava di farlo e le donne, nella speranza di trovare un po’ di refrigerio, agli altri lavori, preferirono dedicarsi al lavaggio della biancheria.

    Il lavatoio delle grotte, di cui torneremo a parlare, si affollò di donne spossate dal caldo e dai vestiti. Il desiderio di fresco sulla pelle, contro la torrida calura, indusse prima le giovinette e poi le più mature a disfarsi dei fastidiosi abiti. In un clima di giocosità, cominciarono a dirsi: Chissà se mai vedremo questo cavaliere! e ancora Sarà davvero così bello e demoniaco come dicono?

    Carmela, una giovinetta con la testa sempre un po’ altrove, tenne a dire la sua: Io non credo a tutte queste diavolerie di cui si parla, anzi, vorrei essere al posto di Luna che, con la scusa di essere temuta, alla fine fa sempre quello che vuole. Anch’io vorrei essere una premonitrice o una fattucchiera pur di prendere quello che mi piace.

    Un’anziana replicò: Come parli figlia mia, tu non sai quello che dici. Il male esiste come il bene, noi dobbiamo aver timore di Dio e dei segni che ci manda. Voi donne giovani non dovete proprio nominarlo questo essere, lui è il demonio tentatore venuto qui a mettere alla prova la nostra rettitudine. Perché è scomparso? Ve lo dico io: come i diavoli ha il privilegio di apparire e scomparire e semmai dovessimo vederlo bisogna farsi il segno della croce, noi siamo tutti timorati di Dio!.

    Non ci furono obiezioni, ma le più giovani non parvero condividere molto l’invito e continuarono a trastullarsi tra le vasche e il prato, sognando, come tutti i ragazzi, tempi migliori.

    Il clima di scherzo e la libertà nel vestiario fecero dimenticare i problemi quotidiani e improvvisamente comparve, non ancora vicino, il nostro protagonista.

    In groppa al suo cavallo avanzava con eleganza e, alla luce del sole, la sua bellezza annientò ogni proposito di tenerlo lontano. Le presenti lo guardarono con sguardo penetrante a voler capire tutto e niente, e l’unica che si fece il segno della croce fu proprio Carmela, ma non nel proposito di scacciare la tentazione, bensì di ringraziare Dio che ci fossero uomini così.

    L’attempata signora, al contrario, lungi dal mantenere fermi i propositi espressi, cominciò, in cuor suo, a rimpiangere le sue primavere. Le donne non pensarono a coprirsi, godettero dello sguardo del cavaliere sulla loro pelle e rimasero mute e incredule al suo saluto.

    Quando questi si fu allontanato, Carmela ruppe il silenzio: Zia Marì, se i diavoli sono così penso proprio che vorrò andare all’inferno!

    La donna avrebbe voluto replicare, ma in coscienza non se la sentì e le altre: È più bello di quanto abbiano potuto dire, pare un dio, non un demonio, ma che storia è mai questa? Che cosa sta succedendo?

    Il parroco fu informato degli effetti prodotti dal forestiero, da don Severo, uno dei preti più giovani che nella pubblica funzione del quindici agosto, così si raccomandò: Sento il dovere, in questa solenne occasione, di richiamare tutti i fedeli e le donne, in particolare, alle buone virtù e al rispetto dei costumi degli avi. Non fatevi tentare da Lucifero e guardatevi da esso che assume le sembianze più imprevedibili.

    Cosa faceva, nel frattempo, il nostro misterioso protagonista? Approfittando dell’invito di Luna, pensando di sfuggire all’invadenza popolare, evitava il borgo.

    Munito di mappa, di giorno vagava tra le colline e le vallate di Palmira, a cercar cosa ancora non sappiamo. Si muoveva come un’anima in pena e le persone che lo vedevano sentirono il bisogno di saperne di più. Chiesero, pertanto, all’autorità di intervenire e mettere chiarezza a tutta quella strana situazione.

    Convocato e interrogato, nell’ondata dei quesiti, cercò di prendersi un po’ di tempo e così rispose: Sono un francese e non parlo bene l’italiano. Il mio nome è Joseph de Léon e sono qui per selezionare eventuali interessanti saggi popolari, favole e tradizioni. Sto studiando il territorio; tuttavia, qualora la mia presenza non sia gradita, lascerò quanto prima la cittadina per altri centri.

    L’autorità, temendo di perdere un’occasione di notorietà per Palmira, desistette da ogni ulteriore domanda e in una pubblica adunanza rassicurò il popolo così motivando: Concittadini non abbiate nessun timore; la venuta del forestiero è per noi ragione di lusinga, giacché egli è uno scrittore francese venuto qui per rendere gloria e fama al nostro paese e alle sue tradizioni.

    Il popolo, affamato e analfabeta com’era, non

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