La reliquia scomparsa. Rex Deus. L'armata del diavolo
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La reliquia scomparsa. Rex Deus. L'armata del diavolo - Marcello Simoni
7
Prima edizione ebook: marzo 2013
© 2013 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-5389-9
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Immagine di copertina: © shutterstock
Marcello Simoni
REX DEUS.
L’armata del diavolo
5: LA RELIQUIA SCOMPARSA
Indice degli episodi
1. Il patto
2. La loggia segreta
3. Il monastero dimenticato
4. La mappa del templare
5. La reliquia scomparsa
30
La suora contemplò il piccolo crocifisso appeso alla parete, esitando a parlare. Qualcosa, in lei, era mutato in modo repentino. Elena Salviati lo percepì con assoluta certezza, non dalla sua postura o dall’atteggiamento, ma dall’aura che emanava. D’un tratto la nobildonna si trovava alla presenza di una sconosciuta, in un luogo ostile, come se quella cella fosse diventata la tana di una fiera. Ciò nondimeno, si sforzò di mantenere il controllo, in attesa di una parola o di un cenno che la aiutasse a comprendere la verità sul Rex Deus.
Emilia d’Hercole spezzò il silenzio, facendola trasalire. «Voi mi obbligate a rammentare cose che ho giurato di cancellare dal cuore e dalla mente». La sua voce era poco più di un sussurro, eppure gelava il sangue. «Cose che appartengono a un’altra vita, a un’altra donna. Cose che non sono degne di essere pronunciate in questo sacro asilo».
«Nemmeno per il bene di vostro figlio?», le chiese Elena.
«Io non ho più un figlio», ribatté la suora, recisa. «Anzi, non l’ho mai avuto. Come si può chiamare tale, un frutto concepito nel peccato, fuori dalla grazia di Dio?».
Donna Salviati non si aspettava una simile reazione. Aveva immaginato di dover fronteggiare un’infelice segnata da anni di clausura, invece si era imbattuta in una persona che non riusciva a comprendere. «Come potete parlare in questo modo? È il frutto del vostro ventre…».
«Chi non nasce in Cristo, nasce morto».
«Ma vostro figlio fu battezzato, non ricordate più? Accadde poco dopo che tornaste da Tunisi. Fu proprio mio marito ad accompagnarlo al sacro fonte della cattedrale di Piombino, affinché venisse mondato dal peccato originale e ricevesse il nome di Cristiano».
Emilia d’Hercole restò immobile, gli occhi fissi sul crocifisso. Elena spiò l’espressione che nascondeva sotto il velo e scorse lineamenti freddi come una superficie di marmo. Soltanto le labbra si schiusero appena, tradendo per un attimo un che di licenzioso, forse vestigia di una vita passata. «Non esiste battesimo in grado di cancellare l’onta del suo sangue… della sua stirpe», spiegò la suora, lasciando trapelare un misto di compassione e disprezzo. «Il mio Cristiano è destinato a portare per sempre il marchio dell’infamia, il fetore della menzogna», e con un gesto inconsulto si strinse le mani al ventre. «È da qui che nasce quel fetore, perché io ho generato l’ultimo erede di Caino».
Elena rintuzzò uno strisciante senso di disagio. «La clausura vi ha resa pazza», mormorò. La donna che era venuta a cercare sembrava morta per sempre, ma non riusciva a capacitarsene. Le era stato detto che Emilia d’Hercole, il lontano giorno in cui era stata trascinata in quel convento, si era ribellata come una furia e aveva scongiurato fino all’ultimo di poter riabbracciare il proprio figlio. Un favore che le era stato negato. Non sapeva molto di più su quella vicenda. In base a quanto le aveva raccontato il marito, Emilia era stata destinata alla clausura per volere dei Nascosti, mentre il suo bambino veniva dato in custodia alla famiglia Appiani. Un dramma, al cui solo pensiero il suo cuore di madre ebbe un sussulto. Ma Elena non era giunta fin lì per commiserare una pazza murata viva e si sbrigò a fugare ogni sentimento di tenerezza. Si trattasse di ossessione o di follia, Emilia d’Hercole avrebbe parlato. In un modo o nell’altro.
«Ditemi del Rex Deus», le ordinò con alterigia, «e vi lascerò alle vostre preghiere».
La suora gettò uno sguardo sullo stiletto che le veniva puntato al soggolo e sorrise con indifferenza. «Non pensiate di smuovermi con siffatte minacce». La sua voce si era fatta insinuante, lieve come una voluta di incenso. «Non potete neppure immaginare cosa dovetti patire, la prima notte che fui rinchiusa in questo luogo».
Elena la interrogò con lo sguardo, e d’un tratto fu come se sulla faccia che stava fissando si fosse aperto uno squarcio da cui trapelavano orrore e ossessione. Ecco, si disse, la chiave del distacco e della negazione. L’amore per il figlio e per la vita fuori dal convento doveva essere stato annientato da un terrore inenarrabile.
«All’epoca ero una persona molto differente», rivelò Emilia d’Hercole. «Credevo di essere stata allontanata da un uomo che mi amava, il padre del figlio per cui avrei dato la vita. Ero devota alle blasfemie di Maometto e, benché si diceva che fossi stata liberata dai turchi, io consideravo Tunisi la mia casa e agognavo di farvi ritorno il prima possibile. Sinan il Giudeo mi aveva rapita, era vero, ma con il tempo mi illusi di amarlo e non immaginavo felicità maggiore di riunirmi a lui. Non avrei mai concepito scelleratezza più grande di tradire i suoi segreti, o di disprezzare quella che un tempo reputavo saggezza… Ma mi ricredetti su ogni cosa». Le sue palpebre si abbassarono, gravate da un immane fardello interiore. «Lo feci nel preciso istante in cui Saverio Patrizi mi fece strappare i seni con dei ferri roventi».
Elena si portò le mani al petto, pervasa dal raccapriccio. Per un attimo immaginò le terribili cicatrici che dovevano celarsi sotto quella tonaca, poi scosse il capo per allontanare il pensiero.
«Non serbo rancore verso il Patrizi», proseguì la suora, «poiché il dolore fu veicolo della mia redenzione. In quel momento compresi di essere una creatura abietta e di dover scontare l’errore in cui ero caduta, con la confessione e con la mortificazione. Sinan era un diavolo e tutte le sue parole erano menzogne, persino il nostro amore era un’illusione nata dalla sua eresia. Lo imposi a me stessa. Fu l’unico modo per accettare il tormento a cui venivo sottoposta».
Il dubbio si insinuò in donna Salviati. «Ma Saverio Patrizi non vi torturò per farvi redimere…».
«No. Voleva sapere del Rex Deus, proprio come voi».
«E me ne parlerete?».
Emilia d’Hercole la scrutò di sottecchi. «Il Patrizi agiva per adempiere a un sacro compito. La sua missione era trovare e distruggere quella cosa, per tutelare la Chiesa di Roma dalla menzogna. Voi, invece, per quale fine agite?»
«Per tutelare me stessa».
«Ben misero scopo».
«Non siate ipocrita. Voi avete rinnegato il vostro passato pur di sopravvivere in queste sordide condizioni».
«La mia salvezza riguarda lo spirito, non la carne», ribatté la suora.
Elena restò in silenzio per un istante, pensando a quale fosse il passo migliore da fare. Era inutile minacciare, tantomeno continuare con le provocazioni. Se voleva sperare di aprire un varco nella mente di quella donna, doveva mettere in discussione i princìpi di sacralità su cui poggiavano le sue ossessioni. Prima di riprendere a parlare, la scrutò con una punta di malizia. «E se vi dicessi che il Patrizi vi ha ingannata?».
Non ricevette risposta.
«Egli non agisce per proteggere la Chiesa», continuò Elena, «ma per rendere potente la loggia dei Nascosti, a cui lui stesso appartiene. I suoi scopi sono degni di lode quanto l’avarizia di un mercante intento ad accumulare ricchezze».
Emilia d’Hercole si adombrò. «Non potete dimostrarlo».
«Invece sì. L’ho udito con le mie orecchie mentre complottava con una spia del duca di Firenze. L’ho sentito ordire tradimenti, ricatti e macchinazioni. Vi assicuro che raramente mi sono imbattuta in uomini altrettanto consumati nell’arte dell’intrigo».
La suora meditò su quelle parole, e diede l’impressione di annuire lievemente nella semioscurità. «Fosse anche vero», disse infine, «ciò che conosco sul Rex Deus non vi aiuterà a trovarlo. Il padre di mio figlio mi confidò ben poco al riguardo, e soltanto in merito alla natura di quell’oggetto».
«Potrebbe comunque essermi d’aiuto». La nobildonna le si fece accanto. «Di cosa si tratta?»
«Di una reliquia», rispose Emilia d’Hercole, tornando a fissare il crocifisso. Il suo