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Il progetto Needhami -1-
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E-book350 pagine4 ore

Il progetto Needhami -1-

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Info su questo ebook

Nell’anno 2492 ha inizio quello che sarà definito “l’ultimo medioevo”: i ghiacciai si sciolgono, e l’Oceano finisce per sommergere l’ottantadue percento del Pianeta. Il Krilon, una nuova forma di energia praticamente inesauribile, contagia i processori dei computer decretando la fine di un mondo sorretto dalla tecnologia. Di punto in bianco tutto si arresta, costringendo la popolazione mondiale a ricominciare da zero. Da allora trascorrono mille anni…

Daniel è un ragazzo che non ha mai vissuto per davvero, rinchiuso nel piccolo e tranquillo porto di Blackstone. La sua vita fatta di piccole routine quotidiane viene stravolta da un bastoncino di metallo che gli si impiglia nei lacci delle scarpe. Quell’oggetto ha delle ali, e sembra vivo. Daniel ricorda la leggenda: mille anni prima una manciata di processori ancora funzionanti fu messa al riparo in camere di piombo, l’unico materiale in grado di schermare le radiazioni del Krilon, con l’intento di preservare dalla contaminazione la tecnologia superstite. E ora parte di quella tecnologia sembra aver trovato il modo di uscire. Nel tentativo di riportare alla luce una storia sommersa dal tempo, con l’ausilio di un enorme dirigibile, un improvvisato manipolo di eccentrici personaggi partirà alla ricerca della leggendaria Camera di Piombo, ricostruendo passo dopo passo ciò che è realmente accaduto dieci secoli prima.

Un progetto che investe i più grandi temi del riscaldamento globale, disegnando un futuro possibile e non così distante, un romanzo raccontato su basi scientifiche, con la collaborazione di professori e ricercatori delle università di tutta Italia.
LinguaItaliano
Data di uscita5 giu 2014
ISBN9788868821388
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    Anteprima del libro

    Il progetto Needhami -1- - Raffaele A. Garzone

    vita.

    Prefazione

    Si dice che le muse abbiano l’aspetto di donne bellissime coperte da un velo leggero. La mia musa per questo romanzo è stata un grillo. Era un’estate torrida, la sera mi stendevo sull’erba con il viso rivolto verso il cielo e la mente a un nuovo romanzo. Ce l’avevo in testa, ne ero ossessionato, la voglia di scrivere sa essere insistente come un bambino, e non ti abbandona finché non le metti di fronte un foglio. Ma esitavo perché mancava qualcosa. Mi ero appisolato quando avvertii una pressione improvvisa sul petto. Abbassai gli occhi e un grillo lungo quanto il mio indice mi ricambiò lo sguardo. Scossi le mani e lui volò via in suono simile al rotore di un minuscolo elicottero. Rimasi lì qualche secondo, seduto con la schiena all’indietro e il peso sui palmi. Probabilmente avevo lo sguardo vacuo, lo sguardo di un autore che ha appena trovato la sua storia.

    Il Progetto Needhami ha preteso oltre cinque anni per la sua realizzazione, è stato modificato e rivisto decine di volte ma conserva ancora lo spirito della prima stesura. Tanti mi hanno dato una mano nelle revisioni, ognuno munito di un pastello di colore diverso e un’esortazione ad essere impietosi. Alla fine del giro, al posto della pila di fogli che avevo stampato, mi fu consegnata una raccolta di tele d’arte moderna, forse anche di un certo valore. Dagli invii alle case editrici raccolsi tanta indifferenza e diversi rifiuti, alcuni dei quali temperati da consigli e raccomandazioni di inviare altro, ma qualcuno accettò. Tra questi c'era il mio attuale editore, che mi ha dato fiducia senza chiedermi nulla in cambio se non l’impegno di confezionare un valido prodotto insieme. Dopo tante notti piacevolmente insonni, dopo tanta fatica, tanto cuore e tante lacrime versate davanti al monitor è bello scoprire che qualcuno crede in te, crede nei tuoi personaggi e nelle storie che racconti, e ti dà una possibilità per poter essere valutato dal pubblico.

    Lo scrittore si limita a rendere materiali storie che esistono già e aspettano solo di essere raccontate, e l’ambizione più grande è che in un’altra parte della Terra, in un altro tempo, una persona che non conosci e probabilmente non conoscerai mai ride, si emoziona e partecipa insieme ai tuoi personaggi a una storia perché tu sei stato in grado di raccontarla bene. Questa storia mi è piovuta dal cielo, ha scelto me, e meritava di essere raccontata nel migliore dei modi. E io spero di esserne stato all’altezza.

    Raffaele A. Garzone, 29 agosto 2013

    PROLOGO

    La battaglia infuriava. Il cercatore fu condotto a poppa dell’isola galleggiante. Risuonò un boato, e una sfera di piombo gli punse un orecchio. La sua guardia spalancò la porta della stiva e lui venne spinto giù a forza. C’erano dei gradini, nella fretta non riuscì a calpestarli tutti e ruzzolò fin sul fondo. Fuori le grida si perdevano nel cielo sopra di loro. Nessuno avrebbe potuto soccorrerli, erano nel bel mezzo dell’oceano. Si rimise in piedi subito. Il marsupio era foderato di pelle, ma qualcosa risplendeva dalle fenditure.

    «Dobbiamo liberarlo!» esclamò una guardia.

    Il cercatore scosse la testa. «No!»

    «Ci stanno addosso! Ci prenderanno!»

    «Non possiamo saperlo!» Il cercatore non voleva arrendersi all’idea. Sentiva un rivolo caldo scorrergli sulla guancia, si tamponò l’orecchio e ritrasse una mano macchiata di rosso.

    La guardia lo afferrò per le spalle. «Ci uccideranno, John! Non lasciamogli la soddisfazione di avere il Progetto!»

    Il cercatore rimase zitto per qualche secondo, poi abbassò la testa. Trasportavano un carico importantissimo, ma non potevano permettersi di cedere anche la loro destinazione.

    «Non abbiamo scelta!»

    John Rowling trasse un respiro profondo, cercò di calmarsi, di riordinare le idee, e capì che forse era arrivato il momento di ammettere di essere nei guai. Aprì il marsupio, qualcosa di minuscolo e luminoso sbucò fuori, si librò in aria tendendo la corda che lo ancorava al cercatore. La guardia gli porse un coltellino, il cercatore lo raccolse e ne avvicinò la lama alla fune sottile. Attese ancora un po’, guardò il suo compagno, che annuì. Era la cosa giusta da fare. Poi recise la fune e osservò la sfera luminosa schizzare via dalla stiva.

    Fu un attimo. La guardia lo aiutò a tamponare la ferita con un fazzoletto. Una parte dell’orecchio era saltata via, ma John Rowling non ci badò, sapeva che sarebbe morto a breve. E Freeman sarebbe rimasto nella Camera fino alla morte, nessuno sarebbe tornato ad aprire.

    Quasi simultaneamente i due uomini estrassero la pillola di cianuro e se la posero sotto la lingua, poi sguainarono le spade e uscirono all’esterno.

    Da quel giorno trascorsero mille anni.

    PARTE PRIMA

    CAPITOLO 1

    Il vento sbatacchiava i rami degli alberi verso est, alleggerendoli delle gocce che la pioggia aveva lasciato sulle foglie in memoria del suo passaggio.

    Il tintinnio dell’acqua sulla terra ancora fangosa non era l’unico suono che accompagnava la notte.

    Seppur si potesse affermare che regnava il silenzio assoluto nel bosco al limitare del villaggio, una persona attenta avrebbe scorto molto di più. C’erano insetti e uccelli notturni e falene e moltissime altre creature che componevano una melodia di suoni la quale, portata dal vento, si confondeva con i ritmi più artificiosi del villaggio: l’insegna di legno raffigurante un martello e una sega, ancorata su un palo che sbucava dalla casa del falegname, cigolava sui cardini a intervalli di un secondo e mezzo.

    Questo era il tempo scandito dalla figura solitaria che vi stava sotto.

    Daniel Pattinson dirigeva la melodia con un bastoncino raccolto a terra, come un compositore ormai affermato alla sua ennesima rappresentazione.

    La lepre di ottone sul tetto indicava l’est con una zampa, il sostegno non lubrificato strideva al vento, che intanto era mutato in una leggera brezza, e il campanellino che sormontava la cornice del portone tintinnava a intervalli irregolari come per dare il proprio contributo.

    Ogni cosa era perfetta quando il sole spuntò all’orizzonte per spiare il comportamento eccentrico di quel ragazzo che suonava le case. Perché in effetti era proprio questo che faceva Daniel: suonava le case.

    Un raggio luminoso lo investì in pieno volto, facendolo arretrare. Quasi inciampò nei lacci che pendevano verso terra. Il giovane abbassò il bastoncino per voltarsi all’orizzonte. Sospirò. Poi sorrise e fece per avviarsi al lavoro, ma mosse un unico passo che tornò a voltarsi, schermandosi gli occhi. Gli era sembrato di vedere qualcosa in lontananza… e in realtà c’era davvero qualcosa. Si avvicinava a gran velocità e faceva un rumore strano, come di un piccolo motore.

    Daniel si lasciò sfuggire una sola esclamazione: «Ma che diavolo…!»

    Poi venne travolto.

    CAPITOLO 2

    Lord Asermann era nella stanza più alta del castello. Fissava il contenitore metallico che aveva in mano, e di tanto in tanto avvicinava l’orecchio all’involucro con la speranza di avvertire qualcosa. Un segno di vita, se di vita si poteva parlare. Ma se non fosse stato per il peso e per il sussurro flebilissimo che ne proveniva, il contenitore gli sarebbe parso completamente vuoto.

    Le guardie lo osservavano, cercando di capire cosa diamine avesse in mente il loro padrone. Era un uomo alto e magro, lunghi capelli nerissimi erano raccolti in un’acconciatura pastosa. Nonostante il suo portamento regale e il pizzetto prominente, in quel momento sembrava un bambino di fronte a un regalo che non può aprire fino al giorno del suo compleanno.

    Ognuno di loro aveva ricevuto l’ordine di munirsi di un retino metallico, e di un pugnale, nel caso l’esperimento fosse degenerato in qualcosa di pericoloso. Ma nessuno, a parte Lord Asermann, sapeva a cosa realmente andassero incontro. Gli ordini erano ordini, e in quanto tali non andavano discussi.

    L’uomo diede un prudente colpetto con l’indice sul contenitore, e le guardie si gettarono occhiate di perplessità.

    «Ci siamo!» La voce di Lord Asermann risuonò sulle pareti di pietra della stanza. Si alzò dal letto e si protese verso il reticolato della finestra: fuori era ancora buio, ma la stanza era illuminata da una lampadina elettrica da sessanta watt, e la visibilità era perfetta. La protezione metallica era stata montata solo la sera prima, le sbarre del reticolato costruivano un intreccio che lasciava spazio neanche alla mano di un bambino. Al di là di queste si ergeva una grande vetrata multicolore decorata da motivi medioevali, benché il medioevo fosse ormai un ricordo da quasi duemila anni.

    «La porta è stata sbarrata?» domandò Lord Asermann raggiungendo il centro della stanza. Ma nessuno rispose.

    «La porta è stata sbarrata?»

    Una guardia si affrettò a rispondere:

    «Sì, mio signore. Una trave di acciaio, come ha ordinato.»

    Lord Asermann esaminò l’ambiente per qualche secondo: si trovavano in una camera da letto perfettamente ammobiliata, con tanto di comodini, scrittoio, poltrone in morbido velluto. «Addossate l’armadio alla porta, in fretta.»

    Le sei guardie si diedero immediatamente da fare, e pochi minuti dopo il pesante armadio nascondeva del tutto l’unica uscita.

    L’uomo esitò ancora, osservando la stanza, cercando di valutare particolari che agli altri sfuggivano decisamente. «Mmm… Molto bene» decise infine, ma non aggiunse altro. Sembrava assorto in pensieri oscuri e intricati.

    Non un respiro aleggiava nella stanza, ma qualcosa si avvertiva. Una strana essenza pervadeva l’animo di tutti, quasi tangibile. Una percezione impossibile da definire.

    Quella circostanza non prometteva nulla di buono.

    «Quando aprirò, voi lo acciufferete.»

    Ma le guardie non capirono il significato di quelle parole. Cosa dovevano acciuffare? Qual era il contenuto di quel barattolo? Nessuno di loro in altra occasione si sarebbe detto tanto stupido da credere a qualche oscura presenza che stesse per essere risvegliata, ma la possibilità di un’eventualità del genere, in quel momento, affliggeva la mente di ognuno.

    Lord Asermann adagiò le mani sul tappo del contenitore cilindrico, strinse e cercò di svitare.

    «Un momento!»

    Chi aveva parlato? Il loro signore si fermò di colpo e alzò gli occhi sulle guardie. La sua fronte luccicava di sudore sotto la luce della lampadina. Sembrava sollevato dal fatto di essere stato interrotto. «Chi…»

    Una guardia si avvicinò. «Un momento, mio Signore…» ma poi non disse più nulla, lo sguardo del padrone metteva l’uomo a disagio.

    «Parla, avanti!»

    «È che… non sappiamo neanche cosa… cosa contiene.»

    Lord Asermann gli si avvicinò. Aveva il viso pallido. «Non deve importarti un accidente di cosa si tratta! Il tuo compito sarà quello di catturarla! Chiaro?»

    La guardia annuì.

    «Disponetevi in cerchio. Bloccatelo con qualsiasi mezzo: lacci, cinture, a mani nude… l’importante è non lasciare che fugga da questa stanza.» Riprese il barattolo tra le mani e pose la destra sul coperchio. «E non lasciatevi ingannare dalle apparenze: è molto forte.»

    Ebbe soltanto un momento di esitazione, poi fece forza sul coperchio e svitò.

    Quello che seguì fu il caos più totale. Un fascio di luce esplose dal barattolo ancor prima che il coperchio fosse stato sollevato. Qualcosa di estremamente luminoso che si lasciava dietro una scia dorata.

    Qualsiasi cosa fosse prese a sfrecciare per la stanza a una velocità inconcepibile, scagliandosi contro ogni cosa e cambiando repentinamente direzione.

    Le guardie rimasero immobili, piegandosi in ginocchio con i gomiti sulla testa per evitare che quella folgore li colpisse.

    Anche Lord Asermann si era gettato a terra, e ora gridava terrorizzato.

    La cosa colpì l’armadio, che si frantumò come se fosse composto di sabbia, ma incontrò la resistenza della porta, che era molto robusta e non cedette. Il proiettile cambiò traiettoria, urtando le pareti di roccia, che si scheggiarono. Erano pareti spesse e antiche, e non era così facile abbatterle.

    Anche le guardie presero a urlare, una di loro si precipitò verso la porta e tentò di rimuovere quel che rimaneva dell’armadio.

    «No!» gridò Lord Asermann, che intanto aveva sollevato la testa. «Non aprire! Non dobbiamo lasciare che fugga da qui!» Fece per alzarsi, ma la cosa gli volò a un palmo dall’orecchio e lo convinse a riabbassarsi.

    Un’altra guardia raggiunse il suo compagno alla porta e spinse il pesante armadio, che si inclinò, ma non abbastanza. «Datemi una mano a buttarlo giù!»

    «No!» Lord Asermann sembrava fuori di sé. «Catturatelo! Catturate questa maledetta bestiaccia!»

    La cosa finì dritta contro la spalliera del letto, riducendola in pezzi, e proseguì la traiettoria contro la parete, che in una pioggia di schegge arrestò la sua corsa in un incavo poco profondo. L’oggetto luminoso deviò ancora, incontrò la flebile resistenza del torace della guardia che prima degli altri era accorsa alla porta. Il corpo dell’uomo si sollevò in aria finendo contro la parete.

    «Imbrigliatelo! Catturatelo!»

    Una guardia raggiunse il compagno a terra. Lo scosse, poi gli tastò il collo per alcuni secondi. «Cristo santo!» Si voltò di scatto verso quello ancora alla porta senza cercare di mascherare il panico. Proprio in quel momento il contenuto della scatola lo colpì alla spalla, trapassandola da parte a parte.

    «Percy!» gridò uno di loro, ma non osò alzarsi e soccorrere il compagno.

    «Aiuto!» gridava la guardia tenendosi il braccio. «Mi… Mi ha bucato la spalla!»

    Lord Asermann a un tratto si alzò e corse verso una guardia ancora a terra, afferrò il retino e cominciò a sventolarlo in aria. «Stupidi imbecilli! Prendetelo! Catturate quel maledetto insetto!»

    Il fulmine finì contro il rivestimento metallico della finestra, poi deviò ancora passando sopra le loro teste e distruggendo i mobili.

    Qualcuno gridò, i rimbalzi dell’essere luminoso dovevano aver fatto un’altra vittima. La guardia superstite riuscì a buttare a terra l’armadio malridotto e si avventò sulla sbarra di ferro. «È troppo pesante! Qualcuno mi dia una mano!»

    Il soldato ferito si rialzò, la spalla sanguinava copiosamente. Raggiunse l’altro e con il braccio buono cercarono insieme di sollevare la sbarra.

    «Vi ucciderò! Vi farò impiccare tutti!» urlava Lord Asermann nel tentativo di prevedere le mosse della cosa impazzita. Una guardia accanto a lui giaceva a terra in una pozza di sangue. Aveva il collo lacerato. Un altro uomo era poco più in là, la schiena contro la parete, e rantolava parole senza senso con una mano protesa verso l’alto.

    La saetta si abbatté sulla porta di quercia. Volarono schegge, ma il legno resistette. Quindi tornò indietro, proprio verso il misero retino di Lord Asermann, centrandolo in pieno.

    Aveva una forza impossibile.

    «Diamine!» imprecò Lord Asermann quando l’impugnatura gli volò di mano.

    La cosa proseguì la sua folle corsa portandosi dietro il retino. Picchiò sulla rete alla finestra, che si incrinò. Le corde metalliche erano troppo sottili!

    «No! Non ti permetterò di fuggire!» Lord Asermann si diresse verso il retino. Ne afferrò il manico, ma la cosa cambiò direzione trascinandolo con sé.

    «Aiutatemi a sollevarla!» continuava a ripetere la guardia alla porta. Tentava con tutte le proprie forze di rimuovere la pesante trave d’acciaio.

    La cosa si schiantò ancora una volta contro la soglia, stavolta il legno si incrinò, ma non cedette. Lord Asermann fu colpito al volto da una scheggia, e mollò la presa sul retino. «Maledizione!»

    L’oggetto luminoso urtò la lampadina, che esplose in tanti frammenti di vetro.

    La stanza piombò nell’oscurità. L’unica fonte di luce rimaneva proprio l’essere fuggito dal barattolo, e che ora si accaniva contro le sbarre della finestra. Lord Asermann si accorse del dramma che stava per accadere e si precipitò in quella direzione. Scivolò, finendo sulle lamine di vetro della lampadina.

    L’essere aveva scoperto nella rete il punto debole della stanza, e ora si accaniva su un punto preciso. Le sottili sbarre stavano cedendo, incurvandosi verso l’esterno.

    Lord Asermann si rialzò e puntò verso la fonte di luce. La raggiunse, afferrò per l’ennesima volta l’impugnatura ricominciando a strattonare.

    La cosa sembrava non accusare i tentativi di Asermann, e continuava a forzare le sbarre. Arretrando e poi ritornando a colpire. Colpi fortissimi.

    Due guardie ancora illese corsero verso il loro padrone, con la speranza di rimediare alla viltà che avevano appena dimostrato. Afferrarono saldamente il manico e fecero forza per portare a terra quel fulmine.

    In quell’istante, nell’animo di Lord Asermann, esplose l’adrenalina: la forza dell’essere andava scemando! Lo stava sottomettendo! «Sì! Ci siamo, lo sento… tirate!»

    Anche la guardia che stava cercando di aprire la porta accantonò il suo proposito per dare manforte agli altri.

    L’essere si era ammansito sensibilmente, la sua forza diminuiva di più a ogni secondo. Con un ultimo, ostinato tentativo una sbarra cedette, si incrinò abbastanza da costituire un passaggio. Ora c’era solo il vetro ad apporre un misero scoglio.

    «Resistete! Si sta calmando! Lo abbiamo quasi preso!»

    L’essere si scaraventò contro la vetrata. Prima un colpo, poi un altro, poi un altro ancora. Il vetro cominciò a creparsi, ma le sue energie erano allo stremo.

    «Non lasciate che scappi! Tirate più forte!»

    Una guardia alzò lo sguardo verso l’oggetto; ora che la sua luminosità diminuiva lo si riconosceva bene: un insetto, con due paia di grandi ali e una coda rigida e allungata. Sembrava una libellula, ma non era possibile che lo fosse, perché era di metallo!

    «Che accidenti è?!» esclamò la guardia ferita alla spalla mentre si avvicinava per dare manforte, ma ormai erano tutti raggruppati lì, e non c’era neanche un piccolo spazio dove infilare la mano per reggere il retino.

    A un tratto l’insetto cambiò completamente traiettoria, puntando proprio verso gli assalitori.

    Lord Asermann e le guardie erano impreparati a una reazione del genere, e finirono a terra in un cumulo di corpi.

    «Alzatevi! Tenete quella bestiaccia!»

    Ma l’insetto si era già liberato del retino, e ora puntava verso la porta. La colpì, ma neanche stavolta il legno cedette. L’essere, libero da costrizioni, sembrava aver ritrovato il suo vigore. Urtò ancora contro la sbarra di ferro che si incastrava nell’intelaiatura della porta, poi si fermò, quasi come se fino ad allora non avesse ancora realizzato di essere libero dal retino. O più semplicemente per osservare le creature che avevano cercato di imprigionarlo.

    «No!» esclamò Lord Asermann intuendo quello che l’essere stava per fare, poi vide l’insetto schizzare a tutta velocità verso il varco nella rete. «No!»

    Un istante più tardi una pioggia di vetro colorato scese su di loro. Trascorsero alcuni secondi, Lord Asermann imprecò liberandosi del peso delle guardie con l’intento di raggiungere la finestra, che ora era solo una cornice vuota.

    Guardò fuori: l’insetto era sparito.

    E come se non bastasse, all’orizzonte, il sole stava sorgendo.

    CAPITOLO 3

    Di tutto ciò che accadde dopo, a Daniel sarebbero rimasti solo frammenti vaghi e sconnessi.

    Ricordava di essere stato sollevato in aria per qualche metro, il mondo aveva preso a girare in maniera vorticosa. Ricordava il vento tra i capelli, i vestiti che sbatacchiavano. Qualcosa lo aveva afferrato per le caviglie e lo aveva trascinato sempre più su.

    Per un istante aveva intravisto la locanda da un’altezza mai sperimentata prima, e poi… e poi c’era stato uno schianto, dolore.

    Si alzò dal letto.

    Dov’era? Chi l’aveva soccorso? Si guardò attorno: una camera che non riconosceva. Alla sua sinistra c’era un mobile antico dall’aria logora, e di fronte un’unica sedia di legno. Tutto qui.

    La stanza era illuminata e areata, anche se non aveva finestre. Come diavolo era possibile? Solo allora notò i calcinacci che ricoprivano il pavimento, il letto e il mobile. Si guardò i vestiti: erano tutti impolverati e aveva una macchia di sangue all’altezza del braccio.

    Appena si mosse un dolore lancinante alla schiena lo pervase da capo a piedi costringendolo ad accasciarsi a terra. Inspirò profondamente, e si concesse qualche secondo per realizzare quello che era accaduto, ma i suoi ricordi si fermavano lì.

    Cosa diamine era successo? Aveva visto qualcosa sbucare dall’orizzonte. Era veloce, di un rosso luminoso, arancione, forse. Gli era parso un tizzone volante.

    Dal basso provenivano suoni concitati, come se andasse a fuoco qualcosa e tutti stessero scappando.

    «Cos’è stato?» chiese una voce, ma non era proprio una domanda.

    «Sembrava un terremoto!»

    Daniel alzò lo sguardo: il soffitto era praticamente inesistente. Un buco enorme rivelava il cielo sopra di lui.

    «Vado a controllare» esclamò qualcuno.

    «Oh cavolo!» Daniel prese a muoversi freneticamente per la stanza in cerca di un nascondiglio.

    La porta della camera si spalancò proprio mentre lui richiudeva davanti a sé l’anta dell’armadio.

    Dall’interno vuoto sentiva delle voci. «Cosa… oh diamine eterna! Che diavolo è quel buco?!»

    Il ragazzo conosceva quel timbro: era nella casa del vecchio Hugh. Un contadino che col tempo aveva perso le rotelle, tanto che il timore di intrusi dentro la sua proprietà lo aveva spinto ad ammaestrare le sue anatre come cani da guardia.

    Da basso si sentì una voce femminile:

    «Cos’è stato?»

    «Chiudi il becco!» sbraitava il vecchio a pochi metri da lui. «Qualcuno è entrato dal tetto!»

    «Nessuno entra dai tetti!» Dei passi lenti sulle scale, poi la moglie del vecchio Hugh entrò a sua volta. «Oh! E adesso chi lo riparerà?»

    «Ti preoccupi di chi lo riparerà? Maude, qualcuno si è scavato un varco tra le tegole!»

    «La gente non scava varchi nei tetti, Hugh! Sarà crollato da solo. Te l’ho detto mille volte che la pioggia prima o poi…»

    «Dove diamine ti sei cacciato, lurido verme scavategole!» tuonò la voce del vecchio. «Hai scelto la casa sbagliata! Non troverai nulla che non sia pane per i tuoi denti, qui dentro! Maude, vammi a prendere il bastone!»

    «Ma cosa cerchi qui dentro? I fantasmi?»

    «Scendi a prendere il bastone a tuo marito! Il ladruncolo pagherà caro questo tentativo!»

    Daniel cercava di respirare lentamente, nel cubicolo di legno in cui si era nascosto. Il vecchio Hugh non ci avrebbe messo molto a trovarlo: controllare l’armadio sarebbe rimasta l’unica altra possibilità dopo aver frugato sotto il letto.

    «So che sei nell’armadio, brutto essere immondo! Aspetta solo che…»

    Daniel

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