I cacciatori di foche della baia di Baffin: Racconto d'Avventura - Testo Integrale
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Info su questo ebook
Una grande avventura nei ghiacci tra Canada e Groenlandia, scritta nel 1896 e da decine di anni ormai fuori commercio.
I cacciatori di foche della Baia di Baffin è un racconto lungo e tratto dalla storia vera della nave americana Polaris, comandata dall’esploratore Charles Francis Hall.
La fonte di questo testo è l’originale raccolta Nel paese dei ghiacci, pubblicata dalla Ditta G.B. Paravia e Comp. e conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale «Firenze». Tale raccolta includeva, oltre I cacciatori di foche della Baia di Baffin, anche il racconto I naufraghi dello Spitzberg.
Tatatà Publishing pubblica per la prima volta il testo integrale, inclusivo del Capitolo XV, intitolato “Gli Esquimesi della Terra di Baffin”. Abbiamo inoltre eliminato errori e refusi di trascrizione, in una nuova elegante e comoda edizione che speriamo faccia conoscere il Maestro Salgari a tante nuove generazioni.
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Anteprima del libro
I cacciatori di foche della baia di Baffin - Emilio Salgari
Baffin
Classici dell’Avventura #1
Testo originale di Emilio Salgari, 1896.
Illustrazione in copertina di Samuel Edmund Waller, Seals and Sealskins, Hunters killing the Seals in the Arctic Regions, 1874.
Grafica di copertina e impaginazione di Andrea Lisi, 2020.
© Tatatà Publishing 2020
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A proposito dell’Autore
Emilio Salgari nacque a Verona il 21 agosto 1862 da una famiglia di modesti commercianti. Quando il suo sogno di comandare la propria nave ed esplorare il mondo fu infranto da scarsi voti in un istituto navale di Venezia, trasformò la sua passione per l'esplorazione e la scoperta in scrittura.
Probabilmente l'autore italiano più venduto di tutti i tempi, Salgari ha scritto in trent’anni di attività più di duecento storie e romanzi d'avventura, molti dei quali sono considerati classici. Nella realtà non viaggiò mai più lontano di Brindisi, e morì a soli 49 anni. Ma ambientando le sue storie in luoghi esotici, con eroi di una grande varietà di culture, Salgari sfruttò il potere dell’immaginazione per portare le meraviglie del mondo alla porta di generazioni di lettori.
Particolare da un ritratto fotografico di Emilio Salgari (foto d'epoca, primi del XX secolo) Immagine di pubblico dominio.
A proposito di questa Edizione
La fonte di questo testo è l’originale raccolta Nel paese dei ghiacci , pubblicata dalla Ditta G.B. Paravia e Comp. e conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale «Firenze».
Tale raccolta includeva, oltre I cacciatori di foche della Baia di Baffin , anche il racconto I naufraghi dello Spitzberg . Sono passati tanti anni e il testo è facilmente rintracciabile in rete. Infatti essendo Salgari morto da da più di 100 anni, i diritti legati alle sue opere sono scaduti in tutto il mondo, e chiunque è libero di pubblicarli. Il problema è che il testo de I cacciatori di foche della Baia di Baffin che si trova è spesso monco . Abbiamo quindi ritenuto utile raccogliere dall’originale il testo integrale , inclusivo del Capitolo XV , intitolato Gli Esquimesi della Terra di Baffin
. Abbiamo inoltre elimina to errori e refusi di trascrizione, in una nuova elegante e comoda edizione che speriamo faccia conoscere il Maestro Salgari a tante nuove generazioni.
Indice
1. Attraverso i ghiacci della baia di Baffin
2. Gli orsi bianchi
3. La scomparsa del Polaris
4. La baia di Baffin
5. Una lotta mostruosa
6. L'urto della balena
7. La terra di Baffin
8. Fra le nebbie ed i ghiacci
9. Il naufragio
10. Alla costa
11. Il ritorno di Grinnell
12. Il deserto di neve
13. Una marcia disastrosa
14. La caverna delle morse
15. Gli esquimesi della terra di Baffin
Conclusione
Questo testo è stato riletto e controllato rigorosamente.
Mappa tratta dalla stampa originale. In alto a sinistra è possibile vedere la baia di Baffin
Attraverso i ghiacci della baia di Baffin.
Capitolo 1
La grande baia di Baffin da parecchi giorni aveva ripreso il suo triste e pauroso aspetto invernale. Il sole, già senza calore, scolorito come se fosse ammalato, penava assai a lanciare i suoi ultimi raggi su quelle terre perdute al di là del circolo polare, sulle quali stava per piombare la lunga e cupa notte.
Pesanti nebbioni coprivano le coste della lontana Groenlandia, della terra di Baffin, della penisola di Cumberland, di Devon e di Lincoln, scendendo attraverso lo stretto di Smith e ingolfandosi verso quelli di Davis, di Lancaster e di Jones.
Enormi ice-bergs , le cui punte aguzze raccoglievano un po’ di luce solare, tingendosi di riflessi purpurei o giallastri, erravano a capriccio su quelle acque azzurro-cupe, serpeggiando lentamente sotto i soffi della gelida tramontana, sospinti dai grandi banchi, dagli ice-fields mai contaminati da alcuna orma umana, immacolati come nel primo giorno della loro creazione e da miriadi di ghiacciuoli, di palks e di streams splendidi come diamanti o venati o incrostati di tinte indefinibili che avevano i bagliori degli zaffiri e degli smeraldi.
Fuggivano verso le regioni del sud i gabbiani dalle candide ali, i piedi neri ed il becco giallo, frettolosi di guadagnare climi più miti; volteggiavano sopra le flottiglie gelide i grandi albatros, gettando le loro rauche grida che suonavano come un addio a quelle tristi regioni dalle nevi eterne; poi sfilavano grandi bande di gazze marine facendo un baccano indiavolato, le grosse oche bernide, le urie dalle penne nere ma colle ali bianche, le rapide strolaghe pure nere ma colle ali picchiettate di bianco e le procellarie fulmar, quelle assidue compagne delle terribili bufere.
Tutti fuggivano, tutti abbandonavano quella grande baia che stava per coprirsi di ghiacci, di nevi e di nebbie; che stava per tramutarsi in un immenso deserto di gelo, assolutamente inabitabile sia per gli uccelli marini, sia per gli animali e tanto meno per gli uomini; pure vi erano ancora alcuni che non retrocedevano dinanzi alla terribile discesa dei ghiacci polari.
Una grande barca, una di quelle grosse barche da pesca dal ventre assai rigonfio, di forme massicce , munita di due soli alberi, sostenenti due vele latine di dimensioni enormi che vengono usate dai pescatori canadesi, s’avanzava intrepidamente incontro al nebbione ed ai ghiacci.
Sei uomini di forme robuste, coperti di vesti di pelle di foca, col cappuccio calato sul viso, con pesanti stivali da mare pure di pelle di foca e grossi guanti, stavano a prora intenti a respingere, con accanimento febbrile, i ghiacci che minacciavano di sfondare le costole della loro barca, adoperando dei lunghi buttafuori muniti di grosse punte di ferro.
Erano tutti giovani, poiché non superavano i trent'anni , ma si capiva, anche a prima vista e dal modo con cui adoperavano le aste e dalla loro abilità nel rovesciare od allontanare i ghiacci con dei colpi robusti e ben assestati, che dovevano aver percorso ancora quelle regioni del gelo e che ben altre lotte dovevano aver impegnate cogli ostacoli dei mari polari.
A poppa invece, ritto dinanzi al timone, stava un uomo di statura imponente, un vero gigante, poiché doveva misurar quasi sei piedi, ossia poco meno di due metri.
Era il più attempato di tutti, anzi doveva aver varcato la cinquantina da qualche anno, poiché la sua barba ed i suoi capelli erano ormai grigiastri. Aveva un petto da atleta, le spalle larghissime, le braccia muscolose, formidabili ancora malgrado l’età, poiché maneggiavano la pesante ribolla del timone come fosse un semplice fuscello di paglia.
Il suo viso, seminascosto da un grande cappuccio di grosso panno azzurro-cupo, era solcato di rughe ben marcate e la sua pelle era assai abbronzata, ma i suoi occhi, di un nero profondo, avevano ancora qualche cosa di giovanile e di tratto in tratto mandavano vivi lampi.
Quantunque il freddo fosse assai pungente, quel colosso non aveva, come i suoi compagni, ancora indossate le pesanti vesti d’inverno. Aveva calzati bensì i guanti di pelle di foca, ma portava ancora una casacca di grossa tela da vele come usano i pescatori di merluzzi di Terranuova e quelli del Labrador, i calzoni di panno e uose di tela strette attorno ai muscolosi polpacci e alle pesanti scarpe ferrate.
Poco discosto da lui, accovacciato su di un rotolo di cordami, stava uno di quei grossi cani di Terranuova, dal folto pelame, dalla lunga coda villosa, valenti animali da caccia e abilissimi nuotatori.
Il grosso collare di ferro, irto di punte assai aguzze, indicava chiaramente come venisse impiegato nelle pericolose cacce contro i formidabili orsi bianchi delle regioni nordiche.
Il colosso, quantunque non abbandonasse la ribolla del timone per non compromettere la sicurezza della barca, non stava però un istante fermo. Si curvava a destra ed a sinistra per guardare i ghiacci e la sua voce poderosa echeggiava senza posa.
– Forza, ragazzi! Attento a babordo Grinnell!... Bada al tuo buttafuori, Charchot!... Giù un buon colpo, mio bravo Tylson! Credi d’aver in mano il fucile tu? Non sono nè alci, nè buoi muschiati, ma ghiacciai che ci assalgono!... Ohe!... Guardate a babordo, voi altri!... Vi dico che passeremo, parola di Tyndhall!...
– Ma per centomila corna di caribou!... tuonò colui che si chiamava Charchot. Non la finiremo più, mastro Tyndhall?... Ne ho abbastanza dei ghiacci e della vostra baia di Baffin!... Fulmini dell’equatore!... Sono tre giorni che si continua questa dannata manovra e vi dico che...
– Taci!... Bada a quello stream che sta per guastarci la prora.
– All’inferno tutti i ghiacci!
– Se potessi mandarveli non esiterei a farlo, Charchot, certo che a casa di