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Le nebbie di Avalon vol.2
Le nebbie di Avalon vol.2
Le nebbie di Avalon vol.2
E-book686 pagine11 ore

Le nebbie di Avalon vol.2

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Info su questo ebook

Fuggita da Avalon dopo aver scoperto le orribili macchinazioni della Dama del Lago, Morgaine è decisa a non essere una docile marionetta nelle mani di Viviane. Non immagina che il figlio che ha affidato a sua sorella Morgause diventerà un giorno lo strumento della distruzione del padre. Ma la sua anima non trova pace nemmeno quando torna a Camelot, alla corte di Arthur e di Gwenhwyfar. Perché il suo destino e quello dell’infelice regina sono legati, e l’ostilità che le divide segnerà irrimediabilmente il futuro della Britannia e di Avalon. Mentre i cavalieri della Tavola Rotonda lasciano Camelot per intraprendere la loro sacra ricerca e Taliesin, il Merlino, lancia i suoi sortilegi per influenzare le sorti del regno, l'Isola Sacra scivola inesorabilmente nelle nebbie impenetrabili del ricordo.
Finché il velo tra il vecchio e il nuovo mondo e tra l’antica religione e la nuova non reclama infine la sua vittima più illustre.
L'ascesa e la caduta di Camelot raccontata dalle donne che hanno visto il mondo che conoscevano cambiare radicalmente e l'Isola Sacra di Avalon svanire per sempre nelle nebbie.
LinguaItaliano
Data di uscita14 feb 2019
ISBN9788858996911
Le nebbie di Avalon vol.2
Autore

Marion Zimmer Bradley

Nata nel 1930 ad Albany, New Jersey, si è laureata in Letteratura nel 1964 alla Hardin Simmons University ed è stata per lungo tempo ricercatrice alla University of California di Berkeley.Ha esordito come scrittrice nel 1961 con il romanzo, The Door Through Space, e l'anno seguente il primo titolo del fortunato Ciclo di Darkover, La spada di Aldones, l'ha consacrata tra le più famose autrici di narrativa fantastica a livello mondiale. Pubblicato nel 1982 e considerato il suo capolavoro, Le nebbie di Avalon ha raggiunto in tutto il mondo i vertici delle classifiche, compresa quella del New York Times, e nel 1984 ha vinto il Locus Award come miglior romanzo fantasy. Autrice di oltre sessanta romanzi e numerose raccolte di racconti tradotti in venti lingue, Marion Zimmer Bradley si è spenta a Berkeley nel 1999, a soli sessantanove anni.

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    Anteprima del libro

    Le nebbie di Avalon vol.2 - Marion Zimmer Bradley

    LIBRO TERZO

    IL RE CERVO

    1

    In quella stagione, a Lothian, sembrava quasi che il sole non tramontasse mai. La regina Morgause si svegliò quando la luce cominciò a insinuarsi fra i tendaggi; era così presto che i gabbiani non si erano ancora alzati in volo, ma era penetrata abbastanza luce da rischiarare il corpo virile e prestante del giovane sdraiato al suo fianco… un privilegio di cui aveva goduto per quasi tutto l’inverno. Era stato uno degli scudieri di Lot e aveva messo gli occhi su Morgause già prima della morte del re. E nel buio tetro dell’inverno sarebbe stato troppo pretendere che dormisse da sola nelle gelide stanze reali.

    Lot non era stato un grande sovrano, pensò lei, socchiudendo le palpebre di fronte alla luce sempre più intensa, ma il suo regno era stato lungo: era iniziato prima che Uther Pendragon salisse sul trono, e il suo popolo si era abituato a lui. C’erano persone avanti con gli anni che non avevano conosciuto altro regnante. Alla nascita del giovane Lochlann sedeva già sul trono… e del resto anche lei… Ma quel pensiero era più spiacevole, così lo cacciò subito via.

    Gawaine avrebbe dovuto succedergli, ma dopo l’incoronazione di Arthur aveva visitato così di rado la sua terra natale che il popolo nemmeno lo conosceva. Comunque, da quando c’era la pace, le Tribù erano piuttosto contente di farsi guidare dalla regina, con suo figlio Agravaine pronto ad assumere il comando in caso di guerra. Da tempo immemorabile le regine avevano governato su quel popolo, così come la Dea aveva governato sugli Dei. Loro erano soddisfatti così.

    Ma Gawaine non aveva lasciato Arthur nemmeno quando Lancelet era andato al Nord prima di Beltane, per accertarsi, aveva detto il cavaliere, che i fuochi di segnalazione fossero stati disposti bene lungo le coste ed evitare che le navi finissero sulle scogliere. Ma Morgause sospettava che Arthur l’avesse mandato a controllare la situazione a Lothian, soprattutto per verificare che non ci fosse qualcuno in contrasto con il Sommo Re.

    Soltanto in quell’occasione Morgause aveva saputo della morte di Igraine; prima di allora non le era giunta alcuna voce. In gioventù non erano state amiche: aveva sempre invidiato la bellezza della sorella maggiore, e non le aveva perdonato di essere stata scelta da Viviane come consorte di Uther Pendragon. Lei sarebbe stata una Suprema Regina migliore di quella sempliciotta, così pia e arrendevole. Ma quando la lampada si spegneva, e tutto era detto e fatto, e non si distingueva un uomo da un altro, era così facile manipolarli, tutti tanto sciocchi e ridicoli da dipendere da quello che una donna poteva offrire loro. Aveva regnato bene all’ombra del trono di Lot: avrebbe saputo farlo ancora meglio con Uther, perché non si sarebbe lasciata abbindolare dai preti.

    Eppure, quando aveva saputo della morte di Igraine, l’aveva pianta sinceramente e si era rammaricata di non aver trovato il tempo di andare a Tintagel prima del luttuoso evento. Aveva così poche amiche, ormai…

    Quasi tutte le sue damigelle erano state scelte da Lot per la bellezza e la disponibilità al loro sovrano, non certo per l’intelligenza o la prontezza di spirito: quanto a quelle doti, aveva sempre dichiarato il re, gli bastava la moglie. La consultava in ogni cosa e rispettava il suo giudizio, ma, dopo che Morgause gli aveva dato quattro figli legittimi, era tornato alla sua occupazione preferita: spassarsela con vezzose ninfette. Morgause non gli aveva mai rinfacciato quella debolezza, anzi, era contenta di non dover più mettere al mondo figli. E se sentiva il desiderio di giocare con qualche bambino, c’era il figlio adottivo Gwydion, c’erano i figli bastardi di Lot; Gwydion aveva compagni di sangue abbastanza reale…

    Lochlann, mezzo addormentato, si allungò al suo fianco, mormorando qualcosa, e la prese tra le braccia. Per un momento Morgause smise di pensare: aveva sentito la sua mancanza. Mentre Lancelet era a corte, aveva mandato Lochlann a dormire con gli altri giovani. In realtà lei avrebbe potuto dormire con Lochlann o con il suo cane, per Lancelet non avrebbe fatto alcuna differenza. Ed eccolo di nuovo al suo fianco: con Lot non si erano mai rinfacciati i rispettivi amanti.

    Dopo che il desiderio fu soddisfatto, Lochlann scese le scale per raggiungere la latrina all’esterno. All’improvviso Morgause sentì nostalgia di Lot. Non che fosse mai stato granché in quel genere di attività… quando l’aveva sposato era già avanti con gli anni, ma sapeva parlare con intelligenza, e adesso lei rimpiangeva i tempi in cui si svegliavano insieme e restavano a letto a chiacchierare a lungo degli avvenimenti del loro regno e dell’intera Britannia.

    Quando Lochlann tornò, il sole era già alto e nell’aria frizzante i gabbiani volteggiavano strepitando. In fondo alle scale si sentiva parlottare e arrivava un profumo di focaccia d’avena appena sfornata. Morgause gli scoccò un bacio frettoloso: «Devi andartene, mio caro, prima che arrivi Gwydion… ormai è grande e comincia a notare certe cose».

    Lochlann rise. «Da quando ha lasciato le braccia della nutrice, quello nota tutto. Mentre Lancelet era qui, seguiva ogni sua mossa, e anche a Beltane. Ma non credo che tu debba preoccuparti… non è abbastanza grande per pensare a questo…»

    «Non lo so» rispose lei, dandogli un buffetto sulla guancia. Gwydion aveva l’abitudine di agire soltanto quando era certo che nessuno avrebbe riso di lui perché era giovane. Orgoglioso com’era, non sopportava che gli dicessero che era troppo piccolo per fare qualcosa; a quattro anni si era infuriato quando gli avevano proibito di andare in cerca di nidi sulle scogliere, e aveva rischiato di rompersi l’osso del collo pur di seguire i compagni più grandi. Morgause ricordava quell’occasione e altre simili. Quando gli diceva di non fare qualcosa, lui si incupiva e replicava: «Lo farò e tu non puoi impedirmelo!». E lei ribatteva: «Non lo farai, o ti picchierò». Che lo picchiasse o meno, a lui non importava: quella risposta lo rendeva ancora più ostinato. L’unica soluzione era dargliele sul serio ma, una volta in cui aveva perso la pazienza, si era spaventata di quanto crudelmente avesse infierito su quel bambino indifeso. Nessuno dei suoi figli, nemmeno il volitivo Gareth, era così ostinato. Gwydion faceva sempre di testa sua, e con il passare degli anni i metodi di Morgause erano diventati più sottili: «Non lo farai, altrimenti la nutrice ti calerà le brache e ti batterà con un frustino d’erica davanti a tutti quanti, come se fossi un bimbo piccolo». Per un po’ la minaccia aveva funzionato: Gwydion teneva molto alla propria dignità. Ora, però, niente poteva più fermarlo: ci sarebbe voluto un uomo duro e insensibile che lo sferzasse a dovere, ma lui sarebbe riuscito a far sentire in colpa tutti, prima o poi.

    Lei immaginava che sarebbe diventato più ragionevole quando avesse cominciato a preoccuparsi di quello che pensavano di lui le ragazze. Discendente del popolo delle Fate, era bruno come Morgaine, ma bello come Lancelet. E forse come Lancelet avrebbe mostrato la stessa indifferenza verso le donne. Per un momento Morgause sentì una fitta di umiliazione. Lancelet… Aveva avuto a corte l’uomo più avvenente che avesse visto da anni e gli aveva fatto intendere di non essere poi così irraggiungibile… ma lui aveva finto di non capire e l’aveva sempre chiamata zia; di quel passo qualcuno avrebbe pensato che fosse davvero vecchia, la sorella gemella di Viviane!

    Mollemente adagiata sui cuscini, Morgause stava facendo colazione a letto – le avevano portato della focaccia calda d’avena e abbondante burro fresco – e intanto parlava con le sue dame per organizzare la giornata. All’improvviso entrò Gwydion.

    «Buongiorno, madre» la salutò. «Sono stato fuori a raccogliere un po’ di frutti di bosco per te. In dispensa c’è la panna: se vuoi, scendo e te la porto.»

    Morgause guardò le bacche velate di rugiada nella ciotola di legno. «Che pensiero gentile, figliolo» disse, sollevandosi a sedere sul letto per abbracciarlo. Quando era più piccolo, si infilava tra le lenzuola e lei gli dava un po’ di focaccia al miele, e d’inverno lo avvolgeva nelle pellicce, come ogni ragazzino coccolato: le mancava il calore di quel corpicino che si rannicchiava contro di lei, ma ormai era cresciuto.

    Gwydion si raddrizzò e si lisciò i capelli: detestava che qualcuno lo spettinasse. Era sempre in ordine, proprio come Morgaine.

    «Sei uscito presto, tesoro» continuò Morgause. «E l’hai fatto per la tua vecchia madre adottiva? No, grazie, niente panna per me. Non mi vorrai mica grassa come una scrofa!»

    Il ragazzino inclinò la testa di lato come un uccellino e la osservò. «Che importa. Saresti bella anche se fossi grassa. Qui a corte ci sono donne che non sono più grosse di te, eppure sembrano enormi: Mara, per esempio, tutti la chiamano Mara la Grassa. Tu comunque non appari grossa, perché la prima cosa che si nota di te è la bellezza. Quindi, puoi mangiare la panna.»

    Che risposta saggia per un bambino! Ma ormai stava diventando un uomo, anche se, come Agravaine, non sarebbe mai stato molto alto: era un discendente dell’Antico Popolo. D’altronde, accanto al gigantesco Gareth sarebbe sempre sembrato un bambino, anche a vent’anni! Si era lavato il viso e spazzolato con cura i capelli: sembravano tagliati da poco.

    «Come sei bello! Li hai tagliati tu, amore?» chiese Morgause, mentre il ragazzino afferrava rapidamente una mora dalla ciotola.

    «No. Li ho fatti tagliare dal castaldo. Ero stanco di assomigliare a un cane. Lot era sempre ben rasato, e anche Lancelet, quando è stato nostro ospite. Ci tengo a sembrare un gentiluomo.»

    «E lo sei, mio caro…» Fissò la manina scura che teneva la bacca. Era graffiata di spine di rovo e le nocche erano sporche come quelle di un qualunque bambino vivace. Notò anche, però, che l’aveva sfregata per bene e le unghie non erano sudicie e rotte, bensì tagliate corte e curate. «Come mai stamattina hai messo la tunica della festa?»

    «La tunica…?» chiese Gwydion con aria innocente. «Oh, sì, ecco…» Si fermò e lei capì che qualunque fosse stato il motivo – e ci doveva essere – non glielo avrebbe detto. Alla fine Gwydion proseguì con calma: «L’altra si è bagnata di rugiada mentre raccoglievo i frutti di bosco, mia signora». Poi, all’improvviso, aggiunse: «Credevo che avrei odiato sir Lancelet. Gareth me ne parlava come se fosse un Dio». E Morgause ricordò che, nonostante non avesse pianto davanti a lei, Gwydion si era disperato quando Gareth era partito per la corte di Arthur a sud. Anche a Morgause era dispiaciuto moltissimo: Gareth era l’unica persona al mondo che avesse influenza su Gwydion e riuscisse a farsi ascoltare. Da quando non c’era più, Gwydion non dava retta a nessuno.

    «Credevo fosse un gradasso» continuò il ragazzino. «Invece non lo è. Mi ha spiegato molte cose sui fari, più di quante ne sapesse Lot. E mi ha detto che quando sarò più grande potrò andare alla corte di Arthur e diventare cavaliere, se me lo merito.» Gli occhi scuri erano concentrati su quel pensiero. «Tutte le donne dicevano che gli somiglio… e chiedevano, e io mi arrabbiavo perché non sapevo cosa rispondere… Madre…» Si sporse in avanti, e i capelli gli ricaddero sulla fronte, conferendo un’espressione insolitamente vulnerabile al visino serio. «Dimmi la verità: Lancelet è mio padre? Per questo Gareth è così legato a lui…»

    Non sei il primo a fare questa domanda, mio caro, pensò Morgause accarezzandogli i capelli soffici. L’innocenza della domanda le intenerì la voce.

    «No, piccolo mio, fra tutti gli uomini del regno, Lancelet non può essere tuo padre. Mi sono informata. Per tutto un anno, prima della tua nascita, è rimasto nella Britannia Minore a combattere a fianco del padre, il re Ban. Anch’io lo sospettavo, ma vi assomigliate perché Lancelet è cugino di tua madre e mio nipote.»

    Gwydion la guardò con aria scettica e a Morgause sembrò quasi di leggergli nel pensiero: gli avrebbe detto esattamente le stesse cose anche se avesse avuto la certezza che Lancelet era suo padre. Alla fine il ragazzino parlò: «Forse un giorno andrò ad Avalon anziché alla corte di Arthur. Mia madre vive laggiù?».

    «Non lo so.» Morgause corrugò la fronte: ancora una volta quel bambino stranamente maturo l’aveva indotta a trattarlo come se fosse un uomo. Succedeva spesso. Pensò che, dopo la morte di Lot, Gwydion era l’unica persona in casa con cui poteva parlare di tanto in tanto da adulto a adulto! Oh, sì, Lochlann si faceva valere a letto di notte, ma di giorno era come conversare con un pastore o un servo!

    «Ora va’, mio caro. Devo vestirmi…»

    «Perché devo uscire?» domandò Gwydion. «So bene come sei fatta, lo so da quando avevo cinque anni.»

    «Ma ora sei cresciuto» rispose lei con la solita sensazione di impotenza. «Non è decoroso che te ne stia qui a guardarmi.»

    «Da quando t’importa così tanto del decoro?» insistette ingenuamente il ragazzino, fissando il segno lasciato sul guanciale dalla testa di Lochlann. Morgause sentì di colpo montarle la collera: Gwydion non poteva affrontare quegli argomenti come se fosse un druido! Rispose brusca: «Non devo rendere conto a te delle mie azioni!».

    «Ho forse detto che devi?» L’espressione sul suo viso era di innocenza ferita. «Però, visto che sono più grande, devo anche sapere di più sulle donne, no? Voglio restare qui a parlare.»

    «Oh, resta pure, se vuoi!» esclamò Morgause. «Però voltati, non guardarmi, piccolo sfacciato!» Gwydion obbedì, ma quando lei si alzò e accennò all’ancella di portarle la veste, intervenne: «No, madre, mettiti quella nuova celeste e il mantello color zafferano».

    «Adesso vuoi consigliarmi nella scelta degli abiti? E perché, sentiamo?»

    «Mi piace vederti vestita come una regina» rispose Gwydion in modo persuasivo. «E fatti acconciare i capelli con il nastro d’oro, ti prego. Fammi contento!»

    «Dovrei vestirmi come se fosse il Solstizio d’Estate per andare a cardare la lana? Le mie damigelle rideranno, figliolo!»

    «E tu lasciale ridere. Ti prego! Chissà cosa può succedere prima di sera… potresti essere contenta della scelta.»

    Morgause si arrese ridendo. «Oh, d’accordo… se vuoi che mi agghindi a festa, così sia! Sarà la nostra festa immaginaria, allora. E magari ci faremo preparare della focaccia al miele…»

    È un bambino, si disse, in questo modo pensa di ottenere dei dolci. Mi ha portato i frutti di bosco, no? «Bene, Gwydion, chiamo la cucina?»

    Lui si voltò. La veste era ancora slacciata e Morgause si accorse di come le fissò per un attimo il seno roseo. Non è più un bambino.

    «Mangio sempre volentieri la focaccia, ma forse ci vorrebbe anche qualche pesce» ribatté il figlio adottivo.

    «In questo caso dovrai cambiarti di nuovo la tunica e andare a pesca tu stesso: gli uomini sono tutti occupati con la semina.»

    «Chiederò a Lochlann di andare» disse prontamente Gwydion. «Per lui sarà come una vacanza. Se la merita, non è vero, madre? Sei soddisfatta di lui?»

    È assurdo!, pensò Morgause. Non devo arrossire davanti a un ragazzino della sua età! «Caro, se vuoi mandare Lochlann a pescare, fallo pure. Per oggi possiamo cavarcela senza di lui.»

    Mi piacerebbe sapere cosa ha in mente: perché si è messo la tunica della festa, ha insistito per farmi indossare la veste più elegante e ha chiesto di preparare un buon pranzo? Chiamò un’ancella e le disse: «Il signorino Gwydion vorrebbe una focaccia al miele».

    «Certo» rispose la donna guardando il ragazzino con aria indulgente. «Che visetto dolce! Sembra un angelo.»

    Un angelo… oh, non direi proprio, pensò Morgause. Ma ordinò a un’ancella di acconciarle i capelli con il nastro d’oro. Probabilmente non avrebbe mai saputo cosa passava per la testa di Gwydion.

    La giornata trascorse lentamente come al solito. In passato Morgause si era chiesta se Gwydion possedesse la Vista, ma lui non ne aveva mai dato segno. E quando una volta glielo aveva domandato a bruciapelo, il bambino aveva risposto che non sapeva che cosa fosse. Se l’avesse avuta, si era detta, di sicuro l’avrebbe sorpreso a vantarsene.

    Eppure, per qualche oscura ragione infantile, Gwydion voleva una festa e l’aveva convinta a prepararla. Senza dubbio, dopo la partenza di Gareth si sentiva solo: non aveva molto in comune con gli altri figli di Lot. Non aveva nemmeno la passione di Gareth per le armi e la cavalleria, o il dono della musica di Morgaine, sebbene avesse una voce cristallina e ogni tanto tirasse fuori una specie di piffero simile a quello dei pastori e ne ricavasse una strana nenia lamentosa. Ma non era una vera e propria passione come per Morgaine che, se avesse potuto, sarebbe rimasta seduta tutto il giorno a suonare l’arpa.

    Era però dotato di un’intelligenza acuta e di una buona memoria. Per tre anni Lot aveva tenuto in casa come precettore un prete proveniente da Iona perché insegnasse a leggere a lui e a Gareth. Ma Gareth non amava i libri e, pur impegnandosi con il latino, non riusciva a concentrarsi su quella misteriosa lingua degli antichi Romani, non più di Gawaine – o della stessa Morgause, se era per quello. Agravaine era abbastanza sveglio, teneva tutti i conti delle proprietà reali, aveva un talento naturale per il calcolo, ma era Gwydion ad assimilare ogni cosa con stupefacente velocità. Dopo un anno sapeva leggere bene quanto il prete e parlava latino come se fosse un Cesare redivivo, tanto che per la prima volta Morgause si era chiesta se fosse vero quanto sostenevano i Druidi, ovvero che ogni uomo rinasceva in continuazione e apprendeva sempre di più in ogni nuova vita.

    È il figlio di cui ogni padre sarebbe fiero, pensava Morgause. E Arthur non ha figli dalla moglie. Un giorno… oh sì, un giorno avrò un segreto da svelare al Sommo Re e allora terrò in pugno la sua coscienza. Quella prospettiva l’allettava. La stupiva che Morgaine non avesse mai approfittato di quel vantaggio: avrebbe potuto costringere Arthur a organizzare per lei un matrimonio con il più facoltoso dei re suoi vassalli, o a coprirla di gioielli, di prestigio… Morgaine, invece, non si curava di tutto ciò, ma solo della sua arpa e delle folli dottrine dei Druidi. Almeno lei, Morgause, avrebbe saputo usare meglio quel potere finito inaspettatamente nelle sue mani.

    Andò a sedersi nella sala e, nell’abito della festa, si mise a cardare la lana della tosatura primaverile e a fare il punto della situazione: Gwydion cresceva così in fretta − e senza dubbio avrebbe continuato a farlo quell’anno − che gli serviva un mantello nuovo. Ormai quello vecchio gli arrivava alle ginocchia e non andava più bene per l’inverno… avrebbe forse potuto dargli quello di Agravaine, leggermente accorciato, e farne uno nuovo a quest’ultimo? Nella sua elegante tunica zafferano, Gwydion entrò e annusò con aria compiaciuta il profumo di focaccia al miele e spezie, ma non ne domandò subito una fetta, come avrebbe fatto qualche mese prima. A mezzogiorno comunicò: «Madre, vorrei un po’ di pane e formaggio. Andrò a fare il giro dei confini… Agravaine mi ha chiesto di controllare se le recinzioni sono a posto».

    «Non vorrai andare con le calzature della festa!» protestò Morgause.

    «Certo che no. Andrò scalzo.» Gwydion si slacciò i sandali, li posò accanto al focolare, si tirò su la tunica in modo da lasciare scoperte le ginocchia, prese un grosso bastone nodoso e uscì. Morgause corrugò la fronte: non si era mai assunto quel compito, nonostante le innumerevoli insistenze del fratellastro. Che cosa aveva in mente?

    Poco dopo mezzogiorno si presentò Lochlann: aveva preso un pesce enorme, che Morgause non riuscì nemmeno a sollevare e che avrebbe sfamato tutta la tavola reale per almeno tre giorni. Era già pulito e farcito d’erbe, pronto per essere infornato, quando tornò Gwydion, tutto lindo e pettinato. Si rimise i sandali, guardò il pesce e sorrise.

    «Sarà davvero una festa» commentò soddisfatto.

    «Hai controllato i recinti, fratello?» chiese Agravaine, reduce dalle scuderie, dove aveva curato un giovane puledro.

    «Sì, e sono quasi tutti in ordine» rispose Gwydion. «Ma in cima ai monti del nord, dove tenevamo le pecore lo scorso autunno, si è aperta una voragine che ha inghiottito tutte le pietre dei muretti. Devi mandare gli uomini a riparare il danno prima che tornino le greggi al pascolo e, prima ancora, bisognerebbe mandare via le capre.»

    «Sei andato fin lassù da solo?» Morgause si rabbuiò. «Non sei una capra. Potevi finire in un burrone e romperti una gamba, e nessuno l’avrebbe saputo per giorni! Te l’ho detto e ridetto: se vai sui monti, fatti accompagnare da un pastore!»

    «Avevo i miei buoni motivi per andare da solo» ribatté Gwydion con fermezza. «E ho visto quel che volevo vedere.»

    «Cosa puoi aver visto che valesse la pena di rischiare di farti male e restare laggiù da solo per giorni?» chiese irritato Agravaine.

    «Ma non mi è successo niente» replicò Gwydion. «E, se fossi caduto, sarei stato io a soffrire. Che t’importa dei rischi che corro?»

    «Sono tuo fratello maggiore e comando io in questa casa» tuonò Agravaine. «Mostrami un po’ di rispetto o te l’insegnerò con la forza!»

    «A te neanche con la forza verrebbe un po’ di sale in zucca» fu la risposta impertinente di Gwydion. «Se aspetti che ti arrivi da solo…»

    «Razza di piccolo…»

    «Avanti, dillo!» gridò Gwydion. «Deridimi per la mia nascita! Non conosco il nome di mio padre, ma so chi era il tuo, e tra i due non farei mai cambio!»

    Agravaine avanzò di un passo, minaccioso, ma Morgause si mise in mezzo. «Non prendertela con il bambino.»

    «Se corre sempre a nascondersi dietro la tua gonna, madre, come potrò insegnargli a obbedire?»

    «Questo potrebbe insegnarmelo solo un uomo migliore di te» replicò Gwydion, e Morgause rimase colpita dall’amarezza nella sua voce.

    «Su, su, non parlare così a tuo fratello» lo redarguì.

    E Gwydion si scusò. «Perdonami, Agravaine, non avrei dovuto mancarti di rispetto.» Sorrise, gli occhi grandi e affettuosi sotto le ciglia scure: la perfetta immagine di un bambino pentito.

    «Mi sto solo preoccupando per te, razza di scapestrato…» borbottò Agravaine. «Credi che voglia vederti con le ossa rotte? Ma perché ti sei messo in testa di salire da solo sui monti?»

    «Be’» rispose Gwydion, «altrimenti non avresti saputo della voragine nelle recinzioni, e magari avresti portato le pecore e le capre fin lassù e le avresti perse. E poi non mi rovino mai i vestiti… vero, madre?»

    Morgause sorrise. Era vero. Gwydion aveva molta cura dei propri abiti, cosa piuttosto rara tra i suoi coetanei: Gareth indossava la tunica e un’ora dopo era già sgualcita e macchiata, invece Gwydion si era inerpicato sui monti con l’abito della festa color zafferano e sembrava che lo avesse appena preso dalle mani della lavandaia. Il bambino guardò Agravaine nella tunica da lavoro e commentò: «Ma tu non puoi presentarti così! Va’ a indossare il tuo vestito migliore, fratello. Vuoi sederti a tavola conciato come un bifolco?».

    «Non mi lascio dare ordini da uno scavezzacollo come te» protestò il giovane, ma si avviò verso la sua camera, e Gwydion sorrise con segreta soddisfazione. «Agravaine dovrebbe prendere moglie» disse. «È irritabile come un torello in primavera. E non dovresti più cucirgli e rammendargli i vestiti.»

    Morgause era divertita. «Hai ragione. Ma non voglio un’altra donna sotto il mio tetto. Nessuna casa è abbastanza grande per due regine.»

    «Dovresti trovargli una moglie di nascita non troppo nobile e molto stupida, disposta ad ascoltare i tuoi consigli per timore di sbagliare. La figlia di Niall andrebbe bene… è graziosa, e la sua famiglia è ricca ma non troppo, gran parte del bestiame che possedeva non è sopravvissuto a quel terribile inverno di sei anni fa. Dovrebbe avere una buona dote, perché Niall teme che non trovi marito. Da piccola ha avuto il morbillo che le ha danneggiato la vista, e anche un po’ il cervello… Sa filare e tessere discretamente, ma non è molto sveglia e quindi non si arrabbierà se Agravaine continuerà a farle sfornare figli.»

    «Ma bene, sei già un fine stratega» osservò Morgause in tono caustico. «Agravaine dovrebbe sceglierti come consigliere, dato che sei così saggio.» Ma pensò: Ha ragione, domani parlerò con Niall.

    «Non sarebbe un’ottima scelta» replicò Gwydion serio. «Purtroppo non sarò più qui. Volevo dirtelo, madre: quando sono salito sui monti ho visto… ma ecco Donil, il cacciatore, potrà riferirtelo lui stesso.»

    In quel momento entrò nella sala un colosso che si inchinò a Morgause. «Mia signora» annunciò l’omaccione, «abbiamo visitatori in arrivo… Una lettiga drappeggiata come la barca di Avalon, un gobbo con l’arpa, dei servitori con la livrea dell’Isola Sacra. Saranno qui tra meno di un’ora.»

    Avalon! Morgause notò il sorriso impercettibile di Gwydion e il perché di tutta quella messinscena le fu chiaro. Ma non ha mai detto di possedere la Vista! Quale bambino non se ne vanterebbe? All’improvviso l’idea che glielo avesse nascosto, godendo di più a tenerlo segreto piuttosto che rivelarlo, le sembrò assurda. Indietreggiò, quasi spaventata dal figlio adottivo. E sapeva che lui lo capiva e non gli dispiaceva.

    Il bambino si limitò a dire: «Non è una fortuna che abbiamo la focaccia al miele e un bel pesce al forno, e abbiamo indossato gli abiti migliori? Così faremo onore ad Avalon, non è vero, madre?».

    «Sì» confermò Morgause, guardandolo. «È una vera fortuna, Gwydion.»

    Mentre aspettava i visitatori in cortile, Morgause ricordò il giorno in cui Viviane e Taliesin erano giunti nel remoto castello di Tintagel. Ormai Taliesin, si disse, non sarebbe più stato in grado di affrontare simili viaggi, e chissà se era ancora vivo. Se fosse morto, però, l’avrebbe saputo. Viviane non andava più a cavallo bardata di stivali e brache da uomo, veloce e solenne.

    Gwydion taceva. Nella tunica color zafferano, con i capelli corvini ben pettinati, assomigliava tanto a Lancelet.

    «Chi sono questi visitatori, madre?»

    «Immagino che siano la Dama del Lago» rispose Morgause, «e il Merlino di Britannia, il messaggero degli Dei.»

    «Mi hai detto che mia madre era una sacerdotessa di Avalon» continuò Gwydion. «Credi che siano qui per me?»

    «Bene, c’è qualcosa che non sai allora!» osservò acida Morgause. Poi si calmò: «Non lo so, caro. Io non possiedo la Vista. È possibile. Voglio che tu offra il vino e ascolti attentamente. Ma non parlare se non sei interrogato».

    Una cosa, pensò, molto difficile per i suoi figli; Gawaine, Gaheris e Gareth erano vivaci e curiosi, era stato arduo educarli alle buone maniere. Erano come dei grossi cani affettuosi, mentre Gwydion sembrava più un gatto, silenzioso, elegante, sinuoso e circospetto… Morgaine, da bambina, era stata così… Viviane ha fatto male ad allontanare Morgaine, anche se era arrabbiata con lei per la gravidanza… Cosa le importava? Lei stessa ha avuto dei figli, tra cui quel dannato Lancelet, che tanti problemi ha creato al regno di Arthur. Persino qui è giunta voce che gode dei favori della regina…

    Si chiese se era davvero Viviane la responsabile di tutto ciò: certo, Morgaine aveva rotto con Avalon, ma forse era stata colpa sua, non della Signora…

    Mentre era immersa in quei pensieri, Gwydion le toccò il braccio e mormorò: «I tuoi ospiti, madre».

    Morgause fece un inchino profondo a Viviane. La Signora di Avalon sembrava essersi raggrinzita: era sempre apparsa senza età, ma adesso aveva il viso rugoso e gli occhi infossati. Sfoderava, però, lo stesso sorriso incantevole, e la voce era lieve e dolce come una volta.

    «Ah, come sono felice di rivederti, sorellina» disse abbracciando Morgause. «Quanto tempo è passato? Preferisco non pensarci. Tu sembri ancora così giovane! Che denti! E i tuoi capelli risplendono come sempre! Hai già conosciuto Kevin l’Arpista alle nozze di Arthur, prima che diventasse il nuovo Merlino di Britannia.»

    Anche Kevin sembrava invecchiato ed era curvo come un’antica quercia. Il che era adatto, pensò Morgause, a chi aveva l’abitudine di frequentare i boschi, e sentì la bocca piegarsi in un sorriso di segreta ilarità. «Sei il benvenuto, maestro arpista… o dovrei dire Merlino? Come sta il nobile Taliesin? È ancora tra noi?»

    «È vivo» rispose Viviane, mentre un’altra donna scendeva dalla lettiga. «Ma è anziano, non è più in grado di affrontare simili viaggi… Questa è una delle sue figlie, creatura dei boschi di querce… Niniane. Quindi è tua sorellastra, Morgause.»

    La regina di Lothian rimase stupita quando la giovane si avvicinò per abbracciarla, esclamando: «Che gioia conoscerti, sorella!». Niniane sembrava così giovane! Aveva i capelli biondi con qualche sfumatura ramata e gli occhi azzurri sotto le lunghe ciglia di seta.

    «Niniane viaggia con me, ora che sono avanti con gli anni» spiegò Viviane. «È l’unica ad Avalon, oltre a me, che abbia nelle vene l’antico sangue reale.» La ragazza era vestita come una sacerdotessa, i capelli erano intrecciati sulla fronte, dove spiccava la mezzaluna azzurra, dipinta da poco. Parlava con voce solenne e autorevole, ma accanto a Viviane sembrava soltanto giovane e inesperta.

    Morgause si impose di adempiere ai propri doveri di padrona di casa. Di fronte a quelle due sacerdotesse e al druido si sentiva come una sguattera, ma poi si disse, con un moto di stizza, che entrambe le donne erano sue sorellastre e, quanto al Merlino, era solo un gobbo! «Benvenuti a Lothian, nella mia dimora. Questo è mio figlio Agravaine, che regna in assenza di Gawaine, ora alla corte di Arhur. E quest’altro è il mio figliolo adottivo, Gwydion.»

    Il bambino si inchinò con grazia di fronte ai visitatori e mormorò un breve saluto.

    «È molto bello» osservò Kevin. «È lui il figlio di Morgaine?»

    Morgause inarcò le sopracciglia. «Sir, a che servirebbe negarlo a chi ha il dono della Vista?»

    «Me l’ha detto la stessa Morgaine, quando ha saputo che sarei venuto a Lothian» ammise il Merlino, mentre un’ombra gli passava sul viso.

    «Dunque Morgaine è ritornata ad Avalon?» chiese Morgause, ma Kevin scosse la testa. Anche Viviane sembrava turbata.

    «Morgaine è alla corte di Arthur» rispose Kevin. E Viviane aggiunse, stringendo le labbra: «Ha qualcosa da compiere nel mondo esterno. Ma tornerà ad Avalon al momento opportuno e occuperà il posto che le spetta».

    Gwydion chiese a voce bassa: «Stai parlando di mia madre, Signora?».

    Viviane lo fissò dritto negli occhi. Di colpo apparve alta e imponente. Il solito vecchio trucco da sacerdotessa, pensò Morgause. Ma Gwydion non l’aveva mai visto. La sua voce risuonò nel cortile: «Perché me lo chiedi, fanciullo, quando conosci già la risposta? Vuoi prenderti gioco della Vista, Gwydion? Sta’ attento. Ti conosco meglio di quanto tu creda, e in questo mondo ci sono ancora cose che non sai!».

    Gwydion arretrò, a bocca aperta: era tornato un bambino. Per una volta non cercò di giustificarsi con la sua solita parlantina. Dunque c’era ancora qualcuno o qualcosa che poteva spaventarlo, pensò Morgause.

    «Venite» si affrettò a dire. «È tutto pronto per accogliervi, sorelle mie, Merlino.» E mentre ammirava la tovaglia rossa che adornava la tavola, i calici e gli arredi sontuosi, rifletté: Anche se viviamo ai confini del mondo, la nostra corte non è un letamaio.

    Cedette a Viviane il proprio posto nello scranno più alto e fece sedere Kevin al suo fianco. Salendo sulla pedana, Niniane inciampò, ma Gwydion si precipitò a sorreggerla e confortarla con una parola gentile.

    Bene, bene, alla fine il nostro Gwydion si è accorto di una ragazza. O è solo buona educazione e voglia di riscattarsi dopo il rimprovero di Viviane? L’unica cosa certa era che non conosceva la risposta.

    Il pesce era cotto alla perfezione, la carne si staccava dalla lisca, e c’era una fetta di focaccia al miele per tutti; aveva ordinato di portare altra birra, così che ce ne fosse abbastanza per tutti i presenti. C’erano pane fresco, latte, burro e formaggio di pecora in abbondanza. Come sempre Viviane mangiò poco, ma si profuse in elogi.

    «È davvero una tavola degna di un re! A Camelot non saremmo stati trattati meglio. Non mi aspettavo una simile accoglienza, dal momento che sono arrivata senza preavviso.»

    «Sei stata a Camelot? Hai visto i miei figli?» chiese Morgause, ma Viviane scosse la testa, corrugando la fronte.

    «No, non ancora. Ci andrò in occasione della festività che ora Arthur chiama Pentecoste, secondo i dettami della Chiesa cristiana» rispose Viviane. A quelle parole Morgause sentì un brivido gelato lungo la schiena ma, come i suoi ospiti, preferì pensare ad altro.

    «Io ho incontrato i tuoi figli a corte, mia signora» dichiarò Kevin. «Gawaine ha una piccola ferita sulla guancia che risale a Monte Badon, ma è guarita e nascosta dalla barba: adesso la porta corta come i Sassoni, non perché voglia assomigliare a loro, bensì perché non riesce a radersi ogni giorno senza toccare la cicatrice e così ha inaugurato una nuova moda a Camelot! Invece non ho visto Gaheris: si trova a sud, impegnato a fortificare la costa. In occasione della prossima Pentecoste Gareth verrà nominato Cavaliere di Arthur. È uno degli uomini più valorosi e leali della corte, anche se sir Cai continua a prenderlo in giro chiamandolo damerino per il suo viso delicato.»

    «Dovrebbe far parte dei Cavalieri del Sommo Re già da tempo!» esclamò Gwydion, e Kevin si voltò a guardarlo. «Dunque, sei geloso dell’onore concesso al tuo parente, ragazzo mio? Se lo merita, e ora è trattato com’è giusto. Arthur desiderava conferirgli il titolo alla prima occasione solenne a corte, così verrà proclamato con tutti i crismi della cerimonia ufficiale. Sta’ certo, ragazzo mio, che Arthur conosce il suo valore come conosce quello di Gawaine. Del resto, è uno dei Cavalieri più giovani.»

    Ancora più timidamente Gwydion chiese: «Conosci mia madre, maestro arpista? Lady M… Morgaine?».

    «Oh sì, la conosco bene» rispose in tono gentile Kevin, e Morgause si disse che quell’uomo così brutto aveva almeno una voce melodiosa e soave. «È una delle dame più belle ed eleganti della corte di Arthur, e suona l’arpa con la maestria di un bardo.»

    «Suvvia» intervenne Morgause con un sorriso tirato, divertita dalla devozione dell’arpista. «Va bene raccontare storie per intrattenere un bambino, tuttavia la verità è la verità. Morgaine, bella? Ma se sembra una cornacchia! Igraine era bella, in gioventù, tutti lo sanno, però Morgaine non le somiglia per niente!»

    Kevin rispose con rispetto, ma il tono era ironico. «C’è un antico detto dei Druidi che recita: La bellezza non risiede solo in un bel viso, è anche interiore. Morgaine è davvero molto bella, regina Morgause, anche se la sua bellezza non assomiglia alla tua più di quanto un salice assomigli a un asfodelo. Ed è l’unica persona della corte a cui posso affidare My Lady.» Con un cenno indicò l’arpa che era stata liberata da un drappo e appoggiata al suo fianco.

    Morgause approfittò di quel cenno per chiedergli di cantare.

    Kevin prese lo strumento e intonò una ballata, e per un po’ nella sala riecheggiarono soltanto la sua voce e le note. Mentre cantava, i sudditi in sala si erano avvicinati per poter ascoltare quella delizia. Al termine del brano, Morgause congedò tutti quanti, ma permise a Lochlann di restare seduto accanto al fuoco. Poi dichiarò: «Anch’io amo molto la musica, maestro arpista, e ci hai regalato una gioia indimenticabile. Ma non credo che abbiate intrapreso un viaggio così lungo per allietare la mia corte con queste melodie. Vi prego, ditemi perché mi avete fatto questa visita così inaspettata».

    «Tanto inaspettata non mi pare» commentò Viviane con un lieve sorriso, «poiché vi ho trovati agghindati con gli abiti più eleganti e la tavola era imbandita di ogni prelibatezza. Sei stata avvisata del mio arrivo, e giacché hai sempre posseduto soltanto qualche barlume di Vista, posso immaginare che sia stato un altro a dirtelo.» Lanciò un’occhiata ironica a Gwydion e Morgause annuì.

    «Però non mi ha spiegato perché. Mi ha soltanto supplicato di prepararmi come per una festa. Ho pensato che fosse un semplice capriccio…»

    Gwydion era accanto a Kevin, che stava avvolgendo di nuovo l’arpa nel drappo. Tese la mano con fare esitante. «Posso toccarla?»

    «Certamente» rispose Kevin con la sua voce soave. Gwydion pizzicò una corda o due e commentò: «Non ho mai visto uno strumento così bello».

    «E mai ne vedrai. Qui non ne troverai una simile, né in Galles, dove c’è un’intera scuola di bardi. My Lady è il dono di un re, e non me ne separo mai. E come molte donne» aggiunse con un inchino cortese a Viviane, «diventa sempre più bella con il passare degli anni.»

    «Oh, fosse così anche per la mia voce» disse Viviane bonariamente. «Ma la Madre Nera non è d’accordo. Solo i suoi figli immortali migliorano con il passare del tempo. Possa My Lady continuare a cantare come oggi.»

    «Ami la musica, sir Gwydion? Sai suonare l’arpa?»

    «Non ne possiedo una» rispose il ragazzino. «Coll, l’unico arpista di corte, ormai ha le dita troppo rattrappite per pizzicare le corde e da quasi due anni tace. Aran, che era il pifferaio di Lot in guerra, mi aveva insegnato a suonare un po’ il piffero di corno d’alce… è appeso laggiù. Poi è andato a combattere con re Lot a Monte Badon, e come lui non ha fatto ritorno.»

    «Portami il piffero» chiese Kevin. Quando Gwydion glielo porse, il bardo lo pulì con un panno, vi soffiò dentro per liberarlo della polvere, lo accostò alle labbra e appoggiò le dita nodose sulla fila di fori. Suonò un breve motivo, poi lo posò. «Non ho le dita abbastanza agili per questo strumento. Bene, Gwydion, se ami la musica, ad Avalon te l’insegneranno… Fammi sentire come lo suoni.»

    Gwydion, che aveva la bocca secca, si inumidì le labbra, prese lo strumento di legno e corno tra le mani e attaccò una melodia lenta. Dopo qualche istante Kevin annuì.

    «Non male» osservò. «In fin dei conti, sei il figlio di Morgaine. Sarebbe strano se non avessi il dono della musica. Potremo insegnarti molte cose. Hai la stoffa del bardo, ma più probabilmente del sacerdote e del druido.»

    Gwydion sbatté le palpebre e per poco il piffero non cadde sul pavimento. Atterrò sulle pieghe della tunica. «Del bardo… cosa intendi dire?»

    Viviane lo guardò negli occhi. «È giunto il momento, Gwydion. Tu discendi da due stirpi regali di Druidi. Ad Avalon riceverai gli antichi insegnamenti del sapere segreto, perché un giorno tu possa fregiarti dell’emblema del drago.»

    Il ragazzino deglutì. Morgause notò che era attentissimo: del resto l’idea di un sapere segreto era molto più allettante di qualunque altra cosa potessero offrirgli! «Hai detto due stirpi regali…» balbettò il bambino.

    Niniane stava per rispondere, ma Viviane scosse leggermente la testa, così la giovane si limitò a dire: «Ti sarà tutto chiaro a suo tempo, Gwydion. Se vuoi diventare un druido, dovrai imparare per prima cosa a stare zitto e non fare domande».

    Gwydion alzò la testa in silenzio. Morgause pensò: Ci voleva tutto questo trambusto per vederlo finalmente ammutolito! Ma non era meravigliata; Niniane era molto bella – assomigliava a Igraine da giovane, o anche a lei stessa, soltanto con i capelli biondi anziché rossi.

    «Questo posso dirtelo subito» intervenne Viviane. «La madre della madre di tua madre era la Dama del Lago, discendente di una stirpe di sacerdotesse. Come te, anche Igraine e Morgause hanno il sangue del nobile Taliesin. In te vivono le dinastie regali e druidiche di queste isole e, se ne sarai degno, ti aspetterà un grande destino. Ma dovrai meritarlo. Il sangue reale da solo non basta a fare un re: egli deve possedere coraggio, saggezza e lungimiranza. Ascoltami, Gwydion: colui che porta il drago può essere più re di chi siede su un trono. Perché il trono si può ottenere con la forza delle armi, con l’astuzia o, come fece Lot, nascendo nel letto giusto del re giusto. Ma il Grande Drago si può conquistare unicamente con i propri sforzi, e non solo quelli fatti in questa vita ma anche in quelle precedenti. Ti sto rivelando un Mistero.»

    «Non… non capisco» farfugliò Gwydion.

    «Naturalmente!» La voce di Viviane era brusca. «Te l’ho detto: è un Mistero, e a volte i saggi Druidi studiano per molte vite capendo ancora meno! Non devi comprenderlo. Devi soltanto ascoltare e imparare a obbedire!»

    Gwydion deglutì e abbassò la testa. Morgause vide Niniane sorridergli. Il ragazzino fece un sospiro profondo, come di sollievo, e si sedette ai piedi della giovane, ascoltando in silenzio, per una volta senza replicare in modo impertinente.

    Ecco, pensò Morgause, forse quello che gli serve è un’educazione da druido! Poi intervenne: «Dunque siete venuti a dirmi che il figlio di Morgaine è rimasto con me abbastanza a lungo e che ora volete portarlo ad Avalon per insegnargli il sapere dei Druidi. Ma di certo non avete affrontato un viaggio così duro soltanto per questo; avreste potuto mandare un semplice messaggero a prendere il ragazzo… Da anni immaginavo che Gwydion non avrebbe finito i suoi giorni in mezzo a pastori e pescatori. Dove altro era destinato, se non ad Avalon? Ma, vi prego, ditemi il resto… Perché c’è dell’altro, lo vedo dai vostri volti».

    Kevin stava per aprire bocca, ma Viviane lo anticipò. «Perché dovrei svelarti i miei disegni, Morgause, quando tu cerchi sempre di ricavare il massimo vantaggio per la tua prole? Già ora Gawaine è il più vicino al trono, non soltanto per la parentela ma anche per l’affetto che il Sommo Re nutre nei suoi confronti. Quando Arthur ha sposato Gwenhwyfar, ho previsto che lei non gli avrebbe dato figli. Pensavo che sarebbe morta di parto, così non mi sono intromessa nella loro vita sapendo che, in ogni caso, gli avremmo trovato un’altra moglie. Ma, chiaramente, ho lasciato correre troppo, e adesso lui non la ripudierà mai più, anche se è sterile. E per te questa è stata una ghiotta occasione per spianare la strada a tuo figlio.»

    «Gwenhwyfar non è sterile, Viviane.» Un’espressione amareggiata velava il volto di Kevin. «Prima di Monte Badon era incinta di cinque mesi; avrebbe portato a termine la gravidanza e partorito se… credo che abbia perso il bambino a causa del caldo, dell’isolamento nel castello e della paura per i Sassoni. È stato per pietà nei suoi confronti, penso, che Arthur ha tradito Avalon, abbandonando il vessillo del drago.»

    «Perciò, mia regina» intervenne Niniane, «Gwenhwyfar non ha provocato un grande danno ad Arthur soltanto perché non gli ha dato un figlio. È una creatura dei preti, e lo ha influenzato fin troppo. Se un giorno dovesse dargli un erede… sarebbe la peggiore delle sventure.»

    Morgause si sentiva soffocare. «Gawaine…»

    «È cristiano come Arthur» osservò secca Viviane. «E aspira soltanto a compiacere il suo re!»

    «Non so se Arthur è veramente devoto al Dio dei Cristiani» aggiunse Kevin, «o se si comporta così solo per assecondare Gwenhwyfar…»

    «Ma quale sovrano romperebbe il giuramento per amore di una donna? Dunque Arthur è uno spergiuro?» domandò indignata Morgause.

    Kevin continuò: «L’ho sentito affermare che, poiché Cristo e la Vergine Maria gli hanno dato la vittoria a Monte Badon, non intende sconfessarli. E l’ho sentito dire anche altro, mentre parlava con Taliesin… che la Vergine Maria è come la Grande Dea, e gli ha concesso di trionfare per salvare questa terra… e che la bandiera del Pendragon apparteneva a suo padre Uther e non a lui…»

    «Comunque» intervenne Niniane, «non ha il diritto di abiurare tutto. Avalon l’ha messo sul trono, è in debito con noi…»

    Morgause osservò spazientita: «Ma che importanza ha quale bandiera sventola? I soldati hanno bisogno di qualcosa che ispiri la loro immaginazione, tutto qui».

    «Come al solito, ti sfugge l’aspetto più importante» ribatté Viviane. «Noi di Avalon dobbiamo controllare ciò che vive nei loro sogni e nella loro immaginazione, altrimenti la battaglia contro Cristo sarà persa e le loro anime verranno asservite a una falsa fede! Il simbolo del drago dev’essere sempre davanti ai loro occhi, affinché l’umanità tenda a perfezionarsi invece di pensare al peccato e alla penitenza!»

    «Non so» disse Kevin con calma. «Forse sarebbe bene che esistessero dei Misteri minori per gli sprovveduti e un insegnamento più profondo per i saggi. Forse l’accesso ad Avalon è stato reso troppo facile per l’umanità, che quindi non l’apprezza.»

    «Vorresti che io rimanessi inerte, mentre Avalon sprofonda sempre di più nelle nebbie, come il regno di Faerie?» chiese Viviane.

    «Mia Signora, sto solo dicendo» replicò Kevin con rispettosa fermezza, «che forse è già troppo tardi per evitarlo… Avalon sarà sempre accessibile, nei secoli dei secoli, a chi saprà trovare la strada. Ma se l’umanità non vi riesce, allora forse è il segno che non è pronta.»

    «Comunque» proclamò Viviane in tono duro, «io manterrò Avalon nel mondo, o morirò nel farlo!»

    Nella sala calò il silenzio. Morgause sentì freddo. «Riattizza il fuoco, Gwydion» ordinò e passò il vino. «Sorella, non bevi? E tu, maestro arpista?»

    Niniane riempì le coppe, ma Gwydion rimase immobile, come se stesse sognando o fosse ipnotizzato. «Gwydion, obbedisci» lo rimproverò Morgause, ma Kevin tese la mano per fermarla e sussurrò: «Il ragazzo è in trance. Gwydion, parla…».

    «Oh, quanto sangue…» biascicò il bambino. «Come nei sacrifici sugli antichi altari… sangue sparso sul trono…»

    Niniane inciampò e il vino, rosso come sangue, volò su Gwydion e sulle ginocchia di Viviane. La Signora di Avalon si alzò, sgomenta. Gwydion sbatté le palpebre e si dimenò come un cucciolo. «Cosa…» disse confuso. «Mi dispiace… lascia che ti aiuti.» Prese l’otre dalle mani di Niniane. «Oh, sembra sangue. Vado a prendere uno straccio in cucina.» E corse via veloce come qualunque ragazzino vivace.

    «Bene, ecco il vostro sangue» commentò disgustata Morgause. «Adesso anche il mio Gwydion si perde tra sogni e visioni morbose?»

    Viviane si tamponò la veste macchiata. «Non disprezzare il dono di un altro solo perché tu non possiedi la Vista!»

    Gwydion tornò con un panno ma, quando si chinò, esitò. Morgause glielo strappò di mano e con un cenno chiamò una delle ancelle perché pulisse il tavolo e il focolare. Il ragazzino era pallido e, invece di reagire prontamente come al solito, distolse lo sguardo come se si vergognasse. Morgause avrebbe voluto abbracciarlo e coccolarlo, lui, l’ultimo dei suoi figli, quando quasi tutti gli altri se n’erano andati via di casa, ma sapeva che se l’avesse fatto non l’avrebbe gradito. Così non aprì bocca e abbassò lo sguardo sulle mani congiunte.

    Niniane si protese verso Gwydion, ma Viviane lo chiamò a sé con un cenno e lo squadrò severa. «Dimmi la verità: da quanto tempo hai la Vista?»

    Gwydion abbassò gli occhi. «Non lo so… non sapevo come chiamarla…» Era nervoso, evitava di guardarla.

    Viviane proseguì con calma. «E la nascondevi per orgoglio e per amore del potere, non è vero? Ti sta dominando, ma ora devi essere tu a dominarla. Siamo arrivati qui appena in tempo… anzi, spero non sia troppo tardi. Sei stanco di stare in piedi? Su, siediti e riposati.»

    Con grande meraviglia di Morgause, Gwydion si sedette docilmente ai piedi delle due sacerdotesse. Niniane gli posò una mano sulla testa e lui si appoggiò alla giovane.

    Viviane si rivolse di nuovo alla sorella: «Come ti ho già detto, Gwenhwyfar non darà figli ad Arthur, ma lui non la ripudierà: lei è cristiana e la loro religione proibisce a un uomo di respingere la propria consorte…».

    Morgause scrollò le spalle. «E allora? Ha abortito più di una volta, credo. E non è più molto giovane. La vita è così incerta per le donne…»

    «Ah, Morgause» replicò Viviane, «hai già cercato di approfittare delle incertezze della vita perché tuo figlio arrivasse più vicino al trono, non è vero? Ti avverto, sorella mia… non ti immischiare nelle decisioni degli Dei!»

    Morgause sorrise. «Mi sembrava di averti sentito predicare molte volte – o era Taliesin? – che niente accade contro la volontà degli Dei. Se Arthur fosse morto prima di salire sul trono di Uther, non dubito che gli Dei avrebbero trovato un altro…»

    «Non sono venuta qui a discutere di teologia, povera sciocca!» ribatté sprezzante Viviane. «Credi forse che, se avessi potuto fare come volevo, ti avrei affidato il potere di vita e di morte sulla stirpe regale di Avalon?»

    La voce di Morgause era piccata ma di velluto: «Eppure la Dea ha deciso diversamente, mi pare. E poi sono stanca di queste vecchie profezie… Se gli Dei esistono, e non ne sono così certa, non credo che si degnino di immischiarsi nelle faccende umane. Né aspetterò un loro segnale per fare ciò che devo. Chi ha detto che la Dea non può agire anche tramite me…?». Notò che Niniane era sconvolta da quelle parole e pensò: Oh, sì, eccone un’altra come Igraine che crede a tutte quelle chiacchiere sugli Dei. «Comunque, quanto al discendente di Avalon, come vedi l’ho cresciuto bene.»

    «Sembra un bambino sano e robusto» riconobbe Viviane. «Ma puoi giurare di non aver insinuato in lui nessun difetto?»

    Gwydion alzò la testa di scatto. «La mia madre adottiva è stata buona con me, a differenza di lady Morgaine che non si è mai degnata di venire qui a vedere se suo figlio era vivo o morto!»

    «Ti è stato detto di parlare solo se interrogato, Gwydion» lo rimproverò Kevin. «E poi non conosci gli scopi e le ragioni di Morgaine.»

    Morgause scrutò quel bardo deforme. Forse Morgaine si è confidata con questo storpio, mentre io ho dovuto strapparle il segreto con gli incantesimi e la Vista? Si sentì avvampare di rabbia, ma Viviane intervenne: «Basta così. L’hai cresciuto bene perché ti tornava comodo, eppure non hai dimenticato che è di un passo più vicino al trono di quanto fosse Arthur alla sua età, e di due passi più vicino di tuo figlio Gawaine! Quanto a Gwenhwyfar, ho visto che avrà una parte nel destino di Avalon: non può essere del tutto priva della Vista, poiché una volta ha attraversato le nebbie ed è giunta sulle nostre sponde. Forse, se avesse un figlio e sapesse che è per il volere e le arti di Avalon…». Per un momento guardò Niniane. «Con una potente maga al suo fianco che le evitasse di abortire, potrebbe averlo.»

    «Troppo tardi» dichiarò Kevin. «È per colpa sua che Arthur ha tradito Avalon e ha abbandonato la bandiera del drago. La verità? Temo che l’astuzia di Gwenhwyfar sia malamente usata…»

    «La verità» osservò Niniane, «è che tu non la sopporti, Kevin. Perché?»

    L’arpista abbassò gli occhi, fissandosi le mani deformi e mostruose. «Vero. Il solo pensiero mi irrita. Sono pur sempre un essere umano… Ma anche se le volessi bene, direi che non è la regina adatta per un re che governa grazie ad Avalon. Se le accadesse una disgrazia, non mi straccerei le vesti. Perché, se desse un erede ad Arthur, penserebbe di averlo avuto per grazia di Cristo, nonostante l’aiuto della Signora del Lago. Non posso fare a meno di pregare perché questo non succeda.»

    Morgause sfoderò il suo sorriso felino. «Può darsi che Gwenhwyfar cerchi di essere più cristiana dello stesso Cristo. Ma io conosco abbastanza bene le Sacre Scritture – Lot aveva chiamato qui da Iona un prete come precettore dei nostri figli – e dicono questo: un uomo può ripudiare la moglie solo per adulterio. E persino qui a Lothian abbiamo sentito che… la regina non è poi così casta. Spesso Arthur è lontano a combattere, e tutti sanno che lei guarda con favore tuo figlio, Viviane.»

    «Tu non conosci Gwenhwyfar» ribatté Kevin. «È una cristiana molto devota, più di quanto sia ragionevole, e Lancelet è troppo amico di Arthur. Lui non alzerebbe mai e poi mai un solo dito contro di loro. A meno che non li sorprendesse insieme nel suo letto davanti a tutta la corte.»

    «Si potrebbe organizzare anche questo» insinuò Morgause. «Gwenhwyfar è troppo bella perché le altre donne le possano volere davvero bene. Senza dubbio qualcuna vicino a lei potrebbe provocare uno scandalo per forzare la mano ad Arthur…»

    Viviane fece una smorfia. «Ma quale donna tradirebbe così un’altra donna?»

    «Io lo farei» rispose Morgause, «se fossi convinta che è per il bene del regno.»

    «Io no» replicò Niniane, «e Lancelet è un uomo d’onore ed è troppo amico di Arthur per abbassarsi a tanto. Se vogliamo che la regina venga ripudiata, dobbiamo escogitare qualcos’altro.»

    «A quanto ne sappiamo» osservò Viviane con voce stanca, «Gwenhwyfar non ha fatto niente di male. Non possiamo accusarla se adempie al proprio dovere di moglie fedele. Se scandalo deve esserci, è necessario che ci sia qualcosa di vero. Avalon ha giurato di sostenere la verità.»

    «E se lo scandalo fosse reale?» suggerì Kevin.

    «Allora tanto peggio per Gwenhwyfar» commentò Viviane. «Ma non mi renderò complice di accuse false.»

    «La regina ha almeno un altro nemico» aggiunse Kevin, assorto nei suoi pensieri. «Da poco è morto Leodegranz delle Terre dell’Estate, e con lui la giovane moglie e il figlio che portava in grembo, e ora il regno appartiene a Gwenhwyfar. Ma c’è un parente di Leodegranz che sostiene di essere suo figlio, sebbene io non ci creda… Immagino che costui sarebbe felice di rivendicare il regno secondo l’antica tradizione delle Tribù: andando a letto con la regina.»

    «È un bene» intervenne Gwydion, «che alla corte cristiana di Lot non ci sia una simile consuetudine, vero?» Ma parlò sottovoce, così tutti fecero finta di non averlo sentito. Morgause pensò: È arrabbiato perché nessuno gli presta ascolto. Ma posso prendermela con un cucciolo che mi morde con i suoi dentini?

    «Secondo l’antica consuetudine» spiegò Niniane, aggrottando lievemente le sopracciglia, «Gwenhwyfar non è davvero sposata se non genera un erede maschio. Quindi, se un altro uomo la portasse via ad Arthur…»

    «Ecco, questo è il problema» disse ridendo Viviane. «Arthur si terrebbe stretta la moglie con la forza delle armi. Non esiterebbe a farlo.» Si rabbuiò. «L’unica certezza che abbiamo è la sterilità di Gwenhwyfar. E se dovesse restare di nuovo incinta, ci sono incantesimi per fare in modo che non porti a termine la gravidanza. Quanto all’erede di Arthur…» Si fermò e lo sguardo si posò su Gwydion che, mezzo addormentato, teneva la testa sulle ginocchia di Niniane. «Ecco un figlio della stirpe regale di Avalon… e figlio del Grande Drago.»

    Morgause trattenne il respiro. In tutti quegli anni, aveva sempre pensato che Morgaine avesse avuto un figlio dal fratello per un caso fortuito. Adesso vedeva l’audacia del piano di Viviane, e ne era impressionata: mettere sul trono un figlio di Avalon e di Arthur.

    Che ne sarà del Re Cervo quando il giovane cervo sarà cresciuto…? Per un momento Morgause non capì se quel pensiero era suo o era l’eco della domanda di una delle due sacerdotesse. Aveva sempre avuto quegli sprazzi di Vista, di tanto in tanto, ma non riusciva a controllarli e, a dire il vero, non se ne era mai preoccupata.

    Gwydion aveva sgranato gli occhi. Si protese in avanti, a bocca aperta. «Signora…» sussurrò quasi senza fiato. «È vero che io… io sono il figlio del… Sommo Re?»

    «Sì» rispose Viviane, stringendo le labbra. «Anche se i

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