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Dove comincia l'Abruzzo
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E-book395 pagine2 ore

Dove comincia l'Abruzzo

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Info su questo ebook

Per una settimana i due terranauti Paolo Merlini e Maurizio Silvestri hanno viaggiato con i mezzi pubblici sulle strade d’Abruzzo, terra promessa di tutti i vagabondi del Dharma, e si sono resi conto che l’Abruzzo è l’esotico più vicino a casa nostra. Ospiti di pastai, ristoratori dannunziofili, vignaioli e pastori ultraottuagenari, tra saporiti formaggi e profumati vini autoctoni. I loro compagni di viaggio sono stati Mario Soldati e Agostino De Laurentiis in fuga da Roma dopo l’armistizio, Carlo Emilo Gadda giovane reporter a Campo Imperatore, Josè Borges generale catalano e guerrigliero borbonico, John Fante a Torricella Peligna… Si ritrovano a L’Aquila per incontrare “Ju Boss” e Raffaele Colapietra “il professore”, due personaggi ormai molto noti a seguito del sisma del 2009.L’Abruzzo è la regione dai mille viaggi possibili.Con le foto di Mario Dondero e la prefazione di Renzo Paris
LinguaItaliano
Data di uscita11 set 2020
ISBN9788898848799
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    Anteprima del libro

    Dove comincia l'Abruzzo - Paolo Merlini

    Paolo Merlini e Maurizio Silvestri

    Prefazione di Renzo Paris

    DOVE COMINCIA L’ABRUZZO

    Due terranauti in autobus tra saperi e gusto

    di Paolo Merlini e Maurizio Silvestri

    © 2014 - Edizioni Exòrma

    Via Fabrizio Luscino 73 - Roma

    Tutti i diritti riservati

    www.exormaedizioni.com

    Progetto editoriale Orfeo Pagnani

    Fotografie di Mario Dondero, Umberto Bufalini, Renato Santiloni, Maurizio Silvestri, Paolo Merlini, Virgilio Cinque, Gabriele Merolli, Mauro Vitale

    Impaginazione omgrafica, roma

    ISBN 978-88-98848-79-9

    ©Exòrma, omgrafica srl

    I diritti d’autore saranno interamente devoluti all’Associazione Bibliobus L’Aquila - www.bibliobusaq.it

    Questo è un libro di viaggio scritto a quattro mani.

    Perché sia chiara e immediata l’attribuzione dei vari brani all’uno o all’altro abbiamo impiegato due caratteri tipografici distinti.

    Paolo Merlini scrive in carattere graziato

    Maurizio Silvestri scrive in carattere lineare

    Ma i veri viaggiatori partono per partire;

    cuori leggeri, s’allontanano

    come palloni,

    al loro destino mai cercano di sfuggire

    E, senza sapere perché, sempre dicono: andiamo!

    Charles Baudelaire

    Due buoni compagni di viaggio

    non dovrebbero lasciarsi mai

    Potranno scegliere imbarchi diversi,

    saranno sempre due marinai.

    Francesco De Gregori

    …un Abruzzo immerso nella sua purissima luce, nel suo profondo silenzio.

    Foto di Mario Dondero.

    PREFAZIONE

    di Renzo Paris

    IL VIAGGIATORE INCANTATO

    Come in un romanzo di John Fante, Paolo Merlini e Maurizio Silvestri in Dove comincia l’Abruzzo raccontano il loro vagabondaggio in un Abruzzo immerso nella sua purissima luce, nel suo profondo silenzio. Con nelle orecchie il sound di oggi, giungono a L’Aquila, a Ortona, a Pescara, a Torricella Peligna, fino a Scanno, a Pacentro, salendo sul Gran Sasso e la Maiella. Ascoltano le storie di ristoratori, pastai, vignaioli, pastori, e il racconto si dipana attraverso i loro occhi affebbrati. Contagiato dal gustoso reportage, ho fatto anch’io un viaggio, ma a ritroso, quando i viaggi in Abruzzo si facevano in groppa alla mula o all’asino, in calessino, fino alla corriera. Ho riaperto i tre volumi di Antonio De Nino Usi abruzzesi (1879) e sono montato anch’io con la fantasia sul suo asino. Somarescamente, diciamo noi abruzzesi, cioè a cavallo di un somaro, parente della mula bianca di Berni, salgo su un calvario cretoso e brullo […] tengo sott’occhio quasi tutto il circondario di Penne. Dal somaro alla corriera di Carlo Emilio Gadda passano quasi sessant’anni. Nel suo Le meraviglie d’Italia c’è un brano del 1935 che dice: Salivamo, lungo la muraglia, dall’area de’ Marsi, lasciato nella luce del meriggio il Fucino: che si distese ampio allo sguardo nella sua tremolante fumea non appena l’autocorriera ebbe superato Celano. Soprattutto lo colpì la luce del fulgido mattino, proprio quella dei grandi cineasti che l’hanno celebrata nel mondo. Il vagabondaggio di Dove comincia l’Abruzzo è in presa diretta, live. Assistiamo ai loro preparativi per le partenze, ascoltiamo le loro canzoni preferite, ci intrufoliamo anche noi lettori in quegli autobus; convinti che dopo l’etnia abruzzese, dirupata con i suoi terremoti disastrosi, si dovrà tuttavia ritornare, con occhio vergine, all’esotismo romantico, tanto caro al turismo di massa di oggi. Ai tre mezzi di trasporto bisognerà aggiungere internet, che come il mappamondo di Lodovico Ariosto ci fa viaggiare rimanendo in casa, dove non può mancare una copia de Il viaggiatore incantato di Leskov (1873), che è il prototipo dei viaggi che seguiranno. Attraverso una vera e propria euforia per la cultura abruzzese tutta, da quella materiale a quella artistica, dalla cucina a D’Annunzio, Silone, Flaiano, fino forse al sottoscritto, che ha dedicato alla Marsica una trilogia narrativa, Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, accompagnati da ottimi fotografi come Mario Dondero, sono riusciti a invogliare i turisti a tornare al Grand Tour, quando, anche per la sua vicinanza a Roma, una tappa in Abruzzo era d’obbligo.

    L’Abruzzo conserva inalterato il suo genius loci. Rimane un luogo di una bellezza imprevedibile, fisica, viscerale.

    Foto di Mario Dondero.

    Per una settimana abbiamo viaggiato con i mezzi pubblici nella vera terra promessa di tutti i vagabondi del Dharma e ci siamo resi conto che questa regione è l’esotico più vicino a casa nostra.

    Mario Dondero, Paolo Merlini e Maurizio Silvestri sulla ferrovia abbandonata Sulmona-Carpinone.

    Foto di Renato Santiloni.

    PROLOGO

    Il silenzio tellurico del ventre di L’Aquila, la luce rosa del Gran Sasso, l’energia contagiosa di Pescara, la bellezza intimissima di Ortona, la fanteria elettrica di Torricella Peligna, la magica luce del cimitero di Colledimacine, la magnificenza terribile della Maiella, la solitudine travolgente della ferrovia di Palena, l’anima austera e altezzosa di Scanno, il fascino oscuro di Pacentro, la città invisibile di Tagliacozzo, la semplicità cristallina di Antrodoco. Tutti luoghi, tranne Pescara, che hanno in comune una merce preziosa, assai rara oggi: il silenzio, di cui l’Abruzzo, come da splendida intuizione di Giorgio Manganelli, è un grande produttore.

    Pur rimanendo escluso dai principali itinerari dei grandi viaggiatori dell’età romantica, l’Abruzzo ha affascinato una lunga schiera di viaggiatori, pellegrini e artisti soggiogati dal fascino esotico di quella terra selvaggia e solitaria. Questa zona della penisola era fuori dai circuiti battuti dal Grand Tour ma aveva il vantaggio di trovarsi molto vicina a Roma, imprescindibile tappa di ogni viaggio in Italia. A portata di mano ma lontanissimo, più lontano dell’Abruzzo, dice un personaggio del Decamerone per indicare una distanza favolosa. Furono i soliti intraprendenti viaggiatori inglesi i primi ad arrivare a metà del Settecento, attirati dalle rovine archeologiche di Alba Fucens e Amiternum, e a pubblicare i primi reportage che narravano dell’Abruzzo, questa parte dell’Italia così romantica e solitaria, come scrisse Lear, suscitando la curiosità di molti suoi connazionali. Nonostante le due autostrade abbiano forzato le barriere orografiche e determinato la fine di un secolare isolamento, l’Abruzzo conserva inalterato il suo genius loci, la sua anima rocciosa è stata appena scalfita. Rimane un luogo di montagne impervie, dalla natura primordiale, travolgente, di una bellezza imprevedibile, oppressiva e liberatoria al tempo stesso, fisica, prorompente, viscerale.

    Non esiste viaggio senza che si attraversi una frontiera. L’Abruzzo sembra avere una certa insofferenza verso i confini sentenziosi e rassicuranti segnati dalle carte geografiche. Come uno zodiaco, ha riferimenti indiscutibili come le montagne sacre del Gran Sasso e la Maiella, e delimitazioni ineffabili e misteriose. Non comincia sulla sponda del Trigno, che lo divide dal Molise; al di là di questo fiume la cultura e le caratteristiche antropologiche sono identiche. Non comincia sul prisma perfetto della Macera della Morte, che segna il confine interno con Lazio e Marche; qui la contaminazione culturale è totale, si può attraversare decine di volte questa frontiera senza accorgersi di un reale cambiamento. L’Abruzzo, pare incredibile, non comincia nemmeno sulle sponde dell’Adriatico, basta guardare le montagne e i tratti somatici delle genti balcaniche. Lo sostiene anche Piovene nel suo Viaggio in Italia, che l’Abruzzo ha una qualche somiglianza anche con la Dalmazia e l’Albania.

    Tuttavia un limite inderogabile segna dove finisce l’Abruzzo: le sponde del Tronto. Al di là di questo fiume le cose non sono più le stesse, la lingua e i dialetti subiscono una sterzata decisa virando verso il ceppo etrusco-sabino, il carattere delle genti è radicalmente diverso nonostante l’osmosi continua degli ultimi cento anni che ha alimentato la contiguità culturale del Piceno con la zona teramana. Anche la cultura gastronomica, la barriera più accessibile di ogni frontiera, è fondamentalmente diversa.

    L’Abruzzo è una terra di microcosmi abitati da gente dall’anima migrante, con caratteri così diversi che non sembrano appartenere allo stesso luogo bensì a terre lontanissime tra loro. Tuttavia ogni abruzzese serba nel cassetto di famiglia una storia epica e appassionante da raccontare: le vicissitudini dell’emigrazione, le vite transumanti, le drammatiche vicende dell’ultima guerra mondiale, che hanno profondamente coinvolto buona parte della regione, costituiscono un inesauribile serbatoio di avventure ed emozioni. Questo libro racconta le storie di queste persone e del tempo che abbiamo passato con loro. Anche se ha una diffidenza innata nei confronti del forestiero – che deve studiare prima di accogliere nella sfera più intima e affidargli i propri sentimenti – l’abruzzese si racconta con una certa fierezza, addirittura con entusiasmo, a volte con una vena di poetica malinconia.

    E dunque noi due siamo partiti con la curiosità di scoprire l’Abruzzo e gli abruzzesi. Per una settimana abbiamo viaggiato con i mezzi pubblici nella vera terra promessa di tutti i vagabondi del Dharma e ci siamo resi conto che questa regione è l’esotico più vicino a casa nostra.

    Ospiti di pastai, ristoratori dannunziofili, vignaioli e pastori ultraottuagenari, tra cibi gustosi e profumati vini autoctoni, abbiamo calcato le orme dei tanti viaggiatori che prima di noi hanno battuto le stesse piste: siamo stati rapiti dai racconti di Anne Macdonell e Edward Lear, affascinati dalle fotografie di Thomas Ashby, sorpresi dagli itinerari improbabili di Maurits Cornelis Escher…

    Sono stati nostri compagni di viaggio Mario Soldati e Agostino De Laurentiis in fuga da Roma dopo l’armistizio, Carlo Emilo Gadda giovane reporter a Campo Imperatore, Guido Piovene, Guido Ceronetti, Aldo Cazzullo, Paolo Rumiz, Ovidio e Silio Italico. Abbiamo evocato Ulisse e David Bowie.

    Ci siamo imbattuti nei miti e incontrato il pelide Achille a Chieti e John Fante a Torricella Peligna. E poi, trasformati in due hobos, siamo stati rapiti dalle poesie di Lawrence Ferlinghetti e dalle canzoni di Woody Guthrie.

    Siamo tornati nella città violata, L’Aquila, dove abbiamo catturato le parole di Raffaele Colapietra il professore, e ju boss ci ha regalato le sue storie.

    L’Abruzzo è la regione dei mille viaggi possibili!

    FALSA PARTENZA

    È quasi mezzanotte. La sveglia del telefonino è puntata sulle quattro e dieci. Mi rigiro nel letto e canticchio la canzone di Capossela: «…nascosti nella sera, partono treni a ogni ora…», e buonanotte! Domani si parte. Un’altra volta sulla strada con la valigia in mano. Immagino una tabella sbiadita che penzola oziosamente dalla palina. L’orario si legge appena e promette un magic bus tra quarantacinque minuti. Le malelingue cantate da Ivan Graziani di certo direbbero che sono ubriaco. Vero è che, come tutti i sognatori dell’altrove, sobrio al cento per cento non lo sono quasi mai. È il viaggio, che mi ubriaca.

    Lascio che la mente scarrocci, lascio i pensieri alla deriva.

    Un lunedì qualunque, di mattina presto, un bus della Start per Roma ci lascerà ad Antrodoco, ma come sempre il viaggio comincia molto prima della partenza, attraverso i viaggi fatti in precedenza e i tanti libri letti. L’aria profuma e ho un gran sorriso stampato in faccia.

    Pensare che questa volta non volevo partire… Sarà che invecchio, ma ho cercato mille scuse per restare a casa: il lavoro, la crisi, i figli piccoli. Poi il viaggio ha preso il sopravvento.

    Quando sono sulla strada, è come se dichiarassi guerra alla tristezza. L’Abruzzo poi è un pianeta bellissimo.

    A farmi compagnia ho i racconti di quelli che hanno viaggiato queste terre prima di me.

    Anne Macdonell. Lei, all’inizio del secolo scorso, arrivando da queste parti scrisse: […] superata la prima delle numerose difese naturali che l’Abruzzo oppone alla vita moderna, l’uomo ritrova sé stesso […]. Vette superbe dominanti panorami meravigliosi e vari, profili taglienti di monti che a guisa di anfiteatri abbracciano ridentissimi laghetti ove si specchiano secolari foreste, nevi quasi perpetue che coronano altipiani sterminati ricoperti da una fitta flora montanina, torrenti cristallini che gorgogliando sboccano da gole pittoresche e orride […]. A specchio dell’Adriatico, borghi, villaggi e città, sui quali aleggia l’aura di remote leggende o di duri domini feudali, abitati da un popolo leale, schiettamente ospitale, erede di fiere tradizioni da una generosa razza, fanatica nella sua religione e nei suoi affetti, della quale ha conservato usi, dialetti, canti e riti….

    Anch’io sento che sarà un viaggio magico. Una mia personale odissea.

    E se odissea deve essere, chiederò una consulenza a Ulisse.

    In fondo Ulisse aveva capito tutto. Espugnata Troia, pensa che il meglio della sua vita è bello che finito: la passione, l’eroismo, l’avventura, le sbronze con i commilitoni. Smontato l’accampamento, sale sulla barca che deve riportarlo all’isola petrosa e in un attimo, secondo me, si immagina vecchio, seduto all’ombra degli ulivi a raccontare per l’ennesima volta al suo gregge di quella volta che ideò il cavallo per ingannare i troiani. Sono certo che è proprio in quel momento che decide di prendersela comoda. Due soldi in tasca li ha, amici e desideri pure. Dà la colpa agli dèi avversi e così al talamo muliebre da dividere con Penelope, in fissa con la tessitura, preferisce le avventure con Circe e Nausicaa. Momenti ci lascia le penne con Polifemo, ma poi comunque vorrà ancora ascoltare il canto delle Sirene perché, come sintetizzerà millenni dopo Franco Battiato, è bellissimo perdersi in quest’incantesimo. Ecco, è bellissimo perdersi nell’incantesimo che ogni volta innesca il viaggio.

    Nella testa ho uno zibaldone di poesie che conto di seminare strada facendo. Ecco che ne affiora subito una. Alla pazienza del mio unico ascoltatore, Maurizio, solennemente recito:

    "Se è vero, come dite,

    che il mondo è dolore e sofferenza,

    cosa sono i fiori di tiglio e i nidi d’ape?

    E le foglie, che rivelano il vento.

    E questo mio essere contento, solo di poter vivere e vedere?".

    Silvano Agosti viaggia sempre con me.

    Una nuvola bassa bianchissima scorta il nostro bus. Trovo posto a bordo vicino a Jack Kerouac, che vedo solo io e che mi guarda e mi fa: «…la strada è vita!».

    Regole del viaggio:

    Mangiare quando ho fame e bere quando ho sete.

    Passa Poesia.

    Camminare il più possibile per sincronizzare lo scorrere del tempo col battito del cuore.

    Prendere nota di tutti i sogni.

    Portare il telefonino tenendolo il più possibile spento.

    Perdersi, se possibile!

    Al mattino ricordo esattamente il sogno. C’è un’astronave bianca che fluttua nello spazio e un omino con una tuta bianca attaccato al cavo di sicurezza. Una specie di 2001: Odissea nello spazio. L’astronauta si volta e sono io, infagottato in quella specie di scafandro da palombaro. È strano, non ho paura. Sento una voce nell’interfono del casco:

    "Torre di controllo a Maggiore Tom.

    Il tuo circuito si è spento,

    c’è qualcosa che non va.

    Puoi sentirci, Maggiore Tom?".

    Capisco tutto. In sogno sono finito nella canzone Space Oddity di David Bowie. Sono io il Maggiore Tom della Stranezza Spaziale, e come quello della canzone malgrado sia lontano più di centomila miglia mi sento molto tranquillo […].

    Sono io il Maggiore Tom della Space Oddity, e come quello della canzone malgrado sia lontano più di centomila miglia mi sento molto tranquillo […].

    Paolo Merlini nella stazione abbandonata di Castel di Sangro. Foto di Virgilio Cinque.

    DOVE COMINCIA L’ABRUZZO?

    Può sembrare una stravagante domanda, ma varie volte ce lo siamo chiesti prima di decidere che giro fare. Continuiamo a chiedercelo anche questo lunedì d’inizio primavera mentre in quel di Porto d’Ascoli aspettiamo il bus della picena Start per Roma. La fermata è a pochi metri dall’antica pietra miliare – messa dall’Anas, non dai legionari romani – all’arrivo della via Salaria. Ricordo anche che fino a pochi anni fa, sulla parete della casa all’angolo con la statale Adriatica, faceva bella mostra di sé una targa del Touring Club Italiano con le indicazioni necessarie al viaggiatore d’altri tempi. La targa in questione è sparita quando è stata ammodernata la facciata. Su questo accadimento le cronache riportano una dichiarazione del cantante Prince da Minneapolis: Sign o’ the Times!.

    La corsa delle 5.14 è ancora una di quelle che, come Dio comanda, fa il suo onesto servizio senza preoccuparsi troppo di arrivare a destinazione nel più breve tempo possibile. Infatti parte da Tortoreto che, per inciso, è in provincia di Teramo, quindi in Abruzzo… Come, come? Voi due siete di San Benedetto del Tronto, ultimo paese delle Marche… cioè quasi Abruzzo e partite col bus per Roma? Potrei fare il fico e dire che solo prendendo la strada sbagliata il viaggio decolla, ma continuate a leggere che ora vi spiego tutto.

    Dicevo che il bus delle 5.14 percorre la Salaria sul limitare della notte, raccattando passeggeri lungo la strada, proprio come un vecchio Greyhound anni Cinquanta. Pian piano salgono gli immigrati cinesi col passaporto rosso che spunta dal taschino della giacca di terital. Vanno a Roma in ambasciata per chissà quale pratica così come le famigliole indiane: padre, madre e un paio di figli piccoli. Gli indiani, una volta a bordo, inondano l’aria con gli odori delle loro cucine intrappolati negli abiti, profumi a volte dolci e a volte pungenti ma sempre esotici. Poi è la volta degli assonnati pendolari che ogni settimana fanno la spola con la capitale: studentesse ciarliere e presunti rapper di provincia. Questi hanno lo sguardo incazzato e le cuffie di ordinanza col filo che si ingarbuglia ai piercing sparati sulle gote implumi forse direttamente con una sparapunti da tappezziere. Ad ammaestrare tutti, spesso con frusta e sedia come un domatore del circo Takimiri, ci pensa il personale viaggiante che nella fattispecie si traduce in un autista e una ragazzotta picena profumata e gentile. Già pimpante anche alle ore antelucane, dispensa sorrisi ed emette a bordo il regolare titolo di viaggio per chi ne è sprovvisto come noi. Porto d’Ascoli-Antrodoco, biglietto di sola andata, viene via per il modico prezzo di sette euro e quaranta centesimi. Ecco, questa è la corriera stravagante del lunedì mattina e io, per una serie di motivi, la conosco tanto bene che potrei fare l’appello.

    Dunque andate ad Antrodoco? Ma come, non andavate in Abruzzo?

    Vabbè, ve lo dico: abbiamo voluto tenere conto dei confini prima che, all’inizio di quella che venne pomposamente definita l’èra fascista, una serie di Comuni fossero annessi loro malgrado al Lazio.

    Maurizio, il Mau, siede da una parte e io da un’altra. Ognuno segue i propri pensieri ed è già tanto se ci siamo detti buongiorno.

    Avrò fatto bene a partire? Sopravviverò a questo viaggio ai confini dell’Abruzzo? Intanto mi godo un piacevole dormiveglia fino a quando, alla fermata di Castel di Lama, percepisco le risa smorzate delle giovani appena salite sul bus. Con familiarità da habitué le ragazze salutano diligentemente l’autista con una frase di circostanza, accennando alla fatica doppia del lunedì mattina. Apro un occhio: sono quattro donne magrebine o forse mediorientali. Rispettose per il sonno altrui mettono la sordina e si siedono dietro di me. Continuano a parlottare sottovoce nella loro lingua, probabilmente in arabo. Immagino che si stiano recando a servizio presso qualche famiglia ascolana. Continuano a ciacolare allegramente intercalando i loro fonemi arabeggianti a improvvise risatine sincronizzate. Sensuale melodia che mi culla e mi porta altrove, dove una baritonale voce maschile mi recita una poesia in quartine. Quasi lo vedo, tra il sonno e la veglia, viene a trovarmi Omar Khayyam e io lo ascolto rapito declamare i suoi versi:

    "Non ricordare il giorno trascorso

    e non perderti in lacrime sul domani che viene:

    su passato e futuro non far fondamento

    vivi dell’oggi e non perdere al vento la vita".

    IL TORO OSSEQUIOSO

    Alle 6.06 arriva un’altra compagna di viaggio: l’alba. Lasciata Ascoli, procediamo sulla superstrada fino a Mozzano dove riprendiamo la statale, mentre il sole rischiara le alte pareti rocciose della Valle del Tronto. Dormo ancora un po’, apro gli occhi solo al Passo della Torrita. Il cielo è finalmente limpido e la neve che brilla in alto mi mette allegria. Il lago di Scandarello ci dice che siamo a pochi chilometri da Amatrice, ex Abruzzo, già in provincia di Rieti. Poi riconosco Bacugno.

    A Bacugno, frazione di Posta (Ri), ci andai la prima volta quell’anno che ero ramingo sulla vecchia Salaria in bicicletta – perché Bacugno è sulla vecchia Salaria, paradiso poco conosciuto dei cicloturisti freak come lo scrivente. Poi ci tornai qualche anno dopo, il 5 di agosto, attratto dalla cerimonia del Toro ossequioso, della quale, udite udite, avevo letto nelle pagine introduttive de La leggenda dei monti naviganti. Quel diavolo di Paolo Rumiz era riuscito a istradarmi ancora una volta. Alle dieci di mattina di un giorno feriale mi ritrovai in processione insieme a fedeli e paesani dietro al massiccio toro Azeglio agghindato a festa con drappi e nastri rossi. Sul sagrato della chiesa della Madonna della neve il povero Azeglio fu fatto inginocchiare per tre volte. Ero attratto da questa tradizione che affonda le radici nella notte dei tempi quando il rito pagano serviva a ringraziare del raccolto la Madre Terra. Poi giovani ancelle vestite con abiti tradizionali lanciarono delle ciambelle, prese al volo dai fedeli e consumate sul posto. Stop, fine. Dopo, solo un panino e un bicchiere di rosso all’osteria del paese, sotto una pergola così bella che te la saresti portata a casa.

    Questa terra per me ben rappresenta quell’altrove ricolmo di meraviglie che ha inizio superata la soglia di casa. Il bus transita per Posta, che merita una sosta, e ho fatto pure la rima.

    Tutti i vagabondi del Dharma sanno bene che da qui, grazie ai potenti mezzi delle Autolinee Troiani, è possibile raggiungere Leonessa, borgo sul versante settentrionale del massiccio del Terminillo, famoso per la sua patata autoctona (da intendersi come tubero…).

    Il Mau si è assopito mentre il bus arriva alle porte di Antrodoco. Qui la Salaria incrocia la ferrovia Terni-Rieti-L’Aquila che sbuca da un tunnel e inizia la salita per Sella di Corno prima di raggiungere il capoluogo abruzzese.

    Antrodoco la ami senza una ragione, magari perché qui inizia ufficialmente la strada statale 17 dell’Appennino Abruzzese e Appulo Sannitica, o per il fatto che il fiume Velino che l’attraversa le dà un tocco esotico. Un cartello indica che L’Aquila dista 40 chilometri e noi scendiamo alla fermata di fronte al Bar Velino annesso al distributore di benzina. Sono da poco passate le sette.

    IL RATTO DELLA SABINA - ANTRODOCO

    Solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora. Ho ancora in testa le parole di Guccini, consolatorie di ogni partenza antelucana, quando mettiamo piede ad Antrodoco. L’autobus della Start si allontana rapidamente, lasciandoci sotto la palina in compagnia del fluire delle acque del Velino, allegre e lucenti. SS 4 Salaria nella pancia degli Appennini, l’aria pungente e piena di promesse del mattino, il sole ancora troppo incerto per squarciare le ultime resistenze del buio, le più tenaci. Dall’altra parte della strada un capannello di gente in attesa dell’autobus ci osserva all’unisono come se fossimo due alieni, ma

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