Un sogno contro tutti
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Anteprima del libro
Un sogno contro tutti - Karima Racasi
Epilogo.
Un sogno contro tutti
ISBN 978-88-945151-0-7
© 2020, Edizioni Carpa Koi
Prima edizione gennaio 2020
www.edizionicarpakoi.it
Riservati tutti i diritti.
È vietata la riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, se non attraverso l’autorizzazione scritta da parte dell’autore e/o dell’editore.
Karima Racasi
Un sogno contro tutti
Dedico questo libro a mio marito e le nostre figlie.
E lo dedico anche a te mamma, ovunque tu sia...
Nota dell’autrice.
Ho scritto questo libro perché lo dovevo a me stessa. Perché la mia bambina
aveva fame di giustizia e di verità. Perché adesso ho voglia di riscatto e di liberare la coscienza e la mia anima da tutto quel fango che mi hanno tirato addosso. Perché le persone che mi stimano continuino a farlo e quelle che non vogliono sappiano cosa hanno perso.
Prologo.
Sul comò della mia camera da letto c’è una vecchia foto di famiglia incastrata dentro una cornice d’argento, forse un regalo di matrimonio.
Non so perché sta lì, nemmeno mi ricordo quando ce l’ho messa, eppure è da stamattina che non faccio che guardarla, come se l’immagine nascondesse chissà quale mistero. Invece si tratta di un comunissimo ritratto di gruppo, quattro persone a mezzo busto che sorridono in maniera sciocca.
A sinistra c’è mio padre, con addosso una giacca in tweed e in testa ancora tutti i capelli. Accanto a lui mia madre, perfetta nel suo tailleur grigio mélange. Più avanti invece ci siamo io e mia sorella Susanna, che indossiamo entrambe jeans e giubbotto in denim coordinato, secondo la moda dell’epoca. Ma non è tutto: anche i capelli hanno un look anni ‘80, eccessivi e ultra cotonati a effetto casco.
«Non ho mai visto tanta lacca per capelli come in questa foto» ridacchia Federico. «Tu e tua sorella potreste aver causato il buco nell’ozono.»
«Ah, ah… spiritoso. Non sapevo di aver sposato un comico.»
«Cercavo solo di allentare la tensione. Hai detto che non ti piace viaggiare da sola…»
«Sì… No… Cioè non lo so, non l’ho mai fatto prima.»
«Ti piacerà» insiste mio marito, ma fatico a credergli. Mentre mi guardo intorno, persa nei miei pensieri, mi cade di nuovo l’occhio sulla foto e su mia madre, così bella e così altera.
«È colpa sua, della mamma, se non viaggio da sola» dico a Federico. «Treno, nave, aereo, non fa differenza. Viaggiare da soli è da perdenti in ogni caso, diceva. Infatti lei non andava da nessuna parte senza papà, perché aveva paura di essere giudicata, di passare per una poveraccia, una che non ha nemmeno un cane a tenerle compagnia.»
Mentre parlo lo sguardo si nuove rapido dal volto di mia madre a quello di mia sorella.
«La mamma diceva che ovunque andassi era meglio stare in gruppo o almeno in coppia, con un’amica o con mia sorella.»
«Insomma, meglio male accompagnati che soli.»
«Precisamente» annuisco. Intanto riprendo a trafficare con i bagagli. Sulla poltrona di camera da letto c’è una valigia aperta, dentro solo biancheria intima, qualche maglione, due paia di pantaloni e un abito blu a pois.
«Accidenti, è ancora mezza vuota! Che ti dicevo? Non ci so fare, questa valigia è troppo grande, non è adatta ai viaggi brevi…»
«Stai calma, te la caverai» mi rassicura Federico.
«Sei sicuro?»
«Sono sicuro.»
Mio marito ce la mette tutta per tranquillizzarmi, d’altronde è lui quello razionale, io al contrario ho un carattere più emotivo che spesso è causa di complicazioni. La mia ansia nasce proprio da questa emotività, che tende a farmi vedere tutto in negativo, perfino una banale corsa in treno.
«Sarà un disastro» dico. «Finirò per perdere i bagagli o magari me li ruberanno alla stazione.»
Mentre parlo prendo il beauty case e lo chiudo in valigia. Ecco, ho fatto tutto. Sono pronta per partire.
Oddio, magari pronta
è una parola grossa. Sarei tornata a casa per qualche giorno, avrei rivisto la mia famiglia al completo, ma questo evento avrebbe potuto trasformarsi presto in un orribile ricordo. Con papà ci eravamo lasciati male, e con mia sorella… Che dire? Con lei mi lascio sempre male.
«Mia sorella mi odia» dico a Federico. «Lo so da anni.»
«Invece no.»
«Invece sì. Mi odia perché pensa che faccio sempre quello che voglio, e scommetto che sta già facendo circolare voci false e tendenziose sul mio conto per darmi il benvenuto.»
«È solo gelosa» prova a minimizzare Federico.
«No, non si tratta di questo» replico. Nel frattempo ritorno a fissare quella vecchia foto che oggi mi ossessiona.
Quanti anni avevo allora? Quindici, forse sedici. Per saperlo con esattezza dovrei chiedere a Susanna, lei ha una memoria di ferro e su queste cose non sbaglia mai.
Siamo nate lo stesso giorno, a pochi secondi di distanza l’una dall’altra, gemelle monozigote perfettamente sane e assolutamente identiche, viste da un occhio esterno.
Entrambe alte un metro e settanta, entrambe con i capelli biondo scuro (anche se Susanna tende più al castano), entrambe con gli occhi di un caldo color nocciola e lo sguardo sgranato verso un futuro che credevamo fantastico.
È così che ci avevano insegnato a scuola, a guardare il mondo con occhi spalancati. Ma nessuno ci aveva spiegato i pericoli in cui si incorre quando passi troppo tempo ad osservare le meraviglie altrui.
«Sì, forse hai ragione tu. Forse Susanna è solo gelosa» dico, come per riprendere il discorso interrotto poco prima. «Ma la mamma ha sempre detto che non era vero, che i dispetti e le cattiverie che faceva alle mie spalle erano la sua maniera per dirmi che mi voleva bene…»
«Potrebbe essere. Dove c’è gelosia c’è anche affetto» mi fa notare Federico. Ma a questo punto, mio marito direbbe di tutto pur di convincermi a partire. Oppure sono io che accampo scuse quando non c’è motivo d’aver paura.
«Così mi fai sentire in colpa» gli dico. «Dovrei pensare di più a mia madre, alle sue condizioni, invece di preoccuparmi delle cattiverie che dirà mia sorella.»
«Non dare tutto per scontato…»
«E tu non fare sempre il bravo!» lo zittisco.
Prendo in mano quella vecchia foto e la osservo con più attenzione. Io e Susanna siamo uguali, due frutti dello stesso albero. Siamo nate da brave persone, oneste ma molto attaccate ai dané
, i soldi. Bastava questo per spiegare cosa ci aveva cambiato e dove ci avrebbe portato la vita?
«Susanna mi ha sempre emarginato. Per lei non sono alla sua altezza…» mormoro. «Ma sai qual è la cosa peggiore? Per un po’ ci ho creduto davvero… Mi sono sentita inferiore…»
«Ti prego, Alice, non dire così.»
«Non ti preoccupare, mi è passata, almeno in parte. In ogni caso non permetterò a Susanna di approfittare della situazione per farmi del male. Grazie a te ho imparato a lottare per il bene delle persone a cui tengo.»
«Parli del diavolo…» commenta Federico, con lo sguardo alla porta di camera da letto. Le nostre bambine sono ferme sulla soglia, e ognuna regge tra le mani un pacchetto stretto da un fiocco colorato.
«Che storia è questa? Non dovreste essere già a scuola?»
«Papà ha detto che potevamo fare vacanza» risponde Noemi, la maggiore.
«Così andiamo tutti insieme alla stazione» aggiunge Dalila, anche lei felice di saltare qualche ora di lezione.
«Va bene, mi tocca partire, sono con le spalle al muro. Ma quelli?» indico i due pacchetti regalo. «Sono per