La striscia di luce: Racconti
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Anteprima del libro
La striscia di luce - Stefano Ugolini
d’inverno
La striscia di luce
Arrivato in cima si affacciò sulla vallata, ma davanti a lui c’era solo un vuoto grigio, solcato dai fiocchi di neve. Poco sotto passava la stradina, invasa da rovi gelati. Si voltò indietro. La forte nevicata stava già cancellando le tracce del suo passaggio.
Scrollò le spalle per sistemare sulla schiena lo zaino, con il sacco a pelo legato sopra e si rimise in marcia, trascinando la gamba sinistra intorpidita. Non scese verso la stradina ma continuò a camminare in alto, sopra la scarpata.
Poco dopo apparve il fianco destro della casa, sull’ultimo gradino sotto il bordo della vallata. La neve si era addossata al muro, coprendo quasi del tutto la porta.
Non voleva lasciare tracce davanti all’ingresso. Continuò a costeggiare il bordo della scarpata fino all’altro lato della casa, finché vide sotto di sé il tettuccio del ripostiglio. Cercò di sprofondare il più possibile nella neve, per abbassare il livello del salto e vi si lasciò cadere. Fece un passo avanti e si ritrovò sotto lo spiovente del tetto, davanti alla finestra. Provò a infilare le dita nella spaccatura fra le ante e la soglia, ma con i guanti non ci riusciva. Se li tolse. Le mani erano rosse e con delle vesciche alla radice delle unghie. Infilò tre dita in basso, verso il centro, dove la spaccatura era più larga e tirò. Il gancio interno cedette e la due ante si aprirono. Si rimise subito i guanti. Si tolse lo zaino e lo gettò all’interno. Puntò il gomito sul bordo, con una mano afferrò lo spigolo interno del muro e si diede un po’ di slancio con la gamba destra. Si ritrovò con la testa dentro e anche le spalle erano ormai passate. Annaspò con le braccia nel vuoto, prima di rovesciarsi sul pavimento. Rimase qualche minuto ad ansimare a terra, con un dolore fortissimo alla gamba, poi si alzò, riaccostò le due ante, raccolse lo zaino e si diresse verso l’altra stanza.
Appena entrato intravide nella penombra, sulla sinistra, la sporgenza del grande camino, con accanto un po’ di legna. Sicuramente ne avrebbe trovata dell’altra nel ripostiglio. La stanza era vuota. Sulla parete a sinistra l’unica finestra lasciava filtrare una debole luce, che si spandeva su una porzione del pavimento. Sul muro di fronte si distinguevano i segni bianchi lasciati da vecchi mobili, stampati sull’intonaco dalla fuliggine del camino: il rettangolo di un cassone, poco sopra alcune strisce di mensole, più in alto il segno bianco di un crocefisso. Su un angolo dello stesso muro, si apriva il vano buio delle scale che portavano al piano terra.
Si avvicinò alla finestra e allungò la mano verso il gancio arrugginito che fermava le due ante ma subito si arrestò. La finestra dava sulla vallata e poteva essere vista dal basso. I cardini dell’anta di destra avevano un po’ ceduto, aprendo una fessura fra il legno e il muro. Vi accostò l’occhio. Il vento si era calmato e l’aria era più scura. Nello spazio della fessura, i fiocchi di neve cadevano su uno sfondo grigio e uniforme.
Nessuno, dal basso, avrebbe visto il fumo uscire dal camino. Tirò fuori dallo zaino l’accendino e la carta, accatastò la legna e le diede fuoco. Si sedette sul sacco a pelo arrotolato, davanti al camino.
Fuori si faceva buio. Ebbe paura che la luce filtrasse all’esterno, allora prese dalla legna un piccolo tronco e lo appoggiò alla fessura, chiudendola in parte. Aprì lo zaino, tirò fuori i barattoli e li allineò a sinistra del camino. Tentò di aprirne uno, ma con le mani doloranti non riusciva a sollevare l’anello sul coperchio. Prese un pezzetto di legno per far leva. Il liquido interno era un blocco di gelo. Mise il barattolo vicino al fuoco. Quando lo riprese scottava e dovette aspettare prima di portarselo alle labbra. Il liquido era tiepido e i legumi, appena masticati, gli spandevano in bocca una poltiglia fredda.
Aveva sete. Pensò di andare a prendere della neve al piano terra, aprendo la porta di ingresso o una delle due finestre sul davanti della casa. Imboccò il vano delle scale e appoggiandosi al muro scese con il barattolo in mano. La grande stanza di sotto era vuota e molto buia, ma dalle finestre filtrava un po’ di luce. Intravide in fondo alle scale qualcosa di bianco. La porta, esposta al vento, si era inclinata. Parecchia neve era penetrata all’interno e si era accumulata in un angolo. Gettò via quello che rimaneva dei legumi e riempì il barattolo. Risalì e lo mise vicino al fuoco. Sul fondo rimasero appena due dita d’acqua. Bevve avidamente. Aveva ancora sete, ma non aveva la forza di tornare di sotto.
Andò a orinare nell’altra stanza, poi slegò il sacco a pelo e lo srotolò davanti al camino, a una certa distanza dal fuoco. Si sedette e si sfilò gli stivali. Alzò il pantalone sulla gamba sinistra e abbassò la calza. Dal ginocchio in giù la pelle era scura e macerata. Il piede non lo sentiva neppure. Gettò altri due ceppi nel camino, si tolse la giacca e si infilò nel sacco a pelo. Rimase per un po’ ad ascoltare il crepitio del fuoco e a osservare le screziature di luce sul soffitto.
Era al sicuro. Il fuoco si sarebbe spento prima dell’alba e il camino avrebbe smesso di fumare. Anche se il tempo fosse migliorato, nessuno avrebbe notato la casetta in alto sulla vallata, sepolta dalla neve. Si accucciò nel sacco a pelo con le mani tra le cosce e si addormentò.
Si risvegliò con un fastidio agli occhi. La stanza gli sembrava piena di luce. Girò la testa a sinistra. In alto, sulla parete, c’era una macchia gialla. Dovette girarsi e richiudere gli occhi. Li riaprì appena e vide la cenere nel camino, la legna e la carta, i barattoli allineati. La parete di fronte ora gli appariva nitidamente, con i suoi segni bianchi sull’intonaco scalcinato. Guardò il soffitto scrostato e ammuffito e si girò ancora verso sinistra. I suoi occhi si stavano abituando e ora poteva guardare la macchia di luce sul muro.
Scivolò a fatica fuori dal sacco a pelo. Non riuscì ad infilarsi lo stivale sinistro, perché la gamba gli faceva male. Si mise la giacca e andò zoppicando verso la finestra. Tolse il tronchetto che chiudeva parzialmente la fessura e subito la macchia gialla divenne una lunga striscia di luce, alta quasi come tutta la parete. Richiuse gli occhi e attese ancora un po’.
Lo spazio della fessura era bianco e azzurro. Vi incollò l’occhio. La luce risaliva la vallata da sinistra, nell’aria limpida. Solo in lontananza, sul fiume gelato e sulla strada, era sospesa un po’ di bruma, come una polvere luminosa. I laghetti di ghiaccio e le zone più umide apparivano come macchie grigiastre. Al centro della vallata, la grande quercia, con la chioma ricoperta di gelo, sembrava una nuvoletta bianca posata sulla pianura. Di fronte, la parete rocciosa a strapiombo sul fiume, bordata in cima di bianco, era in ombra.
Ai piedi della scarpata, i tetti del villaggio, arrotondati dalla neve, mandavano ombre lunghe. Sotto gli spioventi, dall’alto si vedeva solo qualche tratto di muro, di pietra rosa e bianca. Le porte e le finestre erano macchioline scure sulle pareti. Da quasi tutte le casette saliva un filo di fumo. La strada in discesa, ricoperta di neve pressata, si allargava in una piazza rotonda, delimitata a destra da due case più grandi delle altre, poi scendeva