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Un anello è per sempre
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E-book213 pagine2 ore

Un anello è per sempre

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Info su questo ebook

Un anello è per sempre, racconto autobiografico di Luna, una ragazza vivace e brillante alla soglia dei trent’anni. L’anello non rappresenta un pegno d’amore, ma la causa dello stravolgimento della sua vita e dei suoi sogni.
Con leggerezza e ironia Luna si racconta e racconta tutte le sue disavventure, ma sempre con il piglio energico che la contraddistingue e con la voglia di riprendere il completo controllo della sua vita.

Luna Marina Tavernese è nata a Segrate (MI) il 10 gennaio 1994.
Laureata a pieni voti nel giugno 2017 in Fashion Design presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
La sua vita viene stravolta in seguito a un’embolia polmonare, nel novembre 2018, che le ha provocato seri problemi motori e spezzato i sogni di artista. Dopo un periodo buio, ha deciso di reinventarsi dipingendo e creando arte in altri modi.
Ha deciso di dettare alla mamma un racconto personale sulla sua esperienza vissuta prima e dopo, affrontando i temi dolorosi in chiave ironica e con lo spirito evidente della sua giovane età.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2023
ISBN9788830679191
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    Anteprima del libro

    Un anello è per sempre - Luna Marina Tavernese

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Introduzione

    Hola, mi chiamo Luna Marina, sono del ‘94 e sono una sfigata cronica… ho deciso di scrivere un libro semplice e simpatico con la mia storia nonostante tutte le mie sfortunate pagine di vita di questi ultimi anni.

    Racconterò le mie avventure e disavventure sul mio stato di salute, ma anche tanto altro…

    1.

    Meningite

    2 gennaio 2016, sono in autostrada, sto guidando verso casa e piove a dirotto, vedo solo il tergicristallo che va avanti e indietro velocissimo e le luci delle macchine mi abbagliano.

    Sto rientrando dalla casa al lago dopo avere festeggiato il capodanno con amici.

    Da prima di Natale, avevo tanto raffreddore e mal di collo come sempre, e non ho dato peso alla cosa.

    Arrivo sotto casa e parcheggio a fatica la macchina nel box, mi sento stanca, infatti la febbre inizia ad aumentare.

    Per fortuna sono a casa, vado a dormire, sarà solo influenza.

    Non ricordo molto bene cosa sia avvenuto in quelle ore, la mattina seguente mi sono svegliata presto (molto strano per me), quando mi sono alzata mi veniva da rimettere, ma il bagno era occupato e sono corsa in cucina. Mia mamma mi ha seguita preoccupata, ho rimesso nel lavello e poi ho perso i sensi.

    I miei mi hanno raccontato che ho iniziato a guardare nel vuoto e mia mamma, insospettita da una strana sensazione, ha chiamato l’ambulanza.

    In pochi minuti mi sono riempita di macchie violacee su tutto il corpo, sembravano frustate, gli occhi sono diventati rosso sangue e ho iniziato a bestemmiare e urlare.

    Premetto che non avevo mai bestemmiato prima.

    Non volevo essere toccata, i miei genitori hanno davvero pensato che fossi posseduta da qualche strano demone e forse era davvero così…

    I paramedici hanno pensato a qualche danno cerebrale e a fatica mi hanno portato sull’ambulanza, non capivano che cosa avessi e in ospedale sono finita in terapia intensiva. Non riuscivo più a muovermi.

    Mi hanno sedata per tenermi tranquilla e preziosi minuti passavano.

    Quando mi sono svegliata ho detto: dove sono?? In ospedale!!!

    Perché non riesco a muovermi?

    Vedo solo un armadietto grigio con un foglio bianco, ma non riesco a leggere. Poi una signora, che pulisce il pavimento, mi dice qualcosa del figlio che ha la mia età …ma non capisco … mi fa vedere una foto però non vedo che la luce del cellulare. Poi non ricordo molto. La sensazione che provo è angosciante.

    I miei mi spiegano che i medici stanno cercando di capire che tipo di influenza sia, e intanto mi somministrano ogni tipo di antibiotico. Pensano che forse sono vittima di qualche strana sostanza e mandano mio padre a controllare a casa se ci sono strani farmaci, droghe o non so cosa… I miei, convinti ancora che si tratti di un virus influenzale, dopo tutta la giornata vengono mandati a forza a dormire qualche ora e mi sedano di nuovo.

    Durante quella notte in ospedale mentre dormivo mi hanno svegliato, una dottoressa e una infermiera. e mi hanno detto che forse avevano capito cosa avessi.

    Dovevano però attaccarmi un catetere all’arteria femorale per tutti i prelievi e ho dovuto firmare per autorizzare anche se non capivo nulla… non volevo far telefonare ai miei per non spaventarli ancora di più. Ho firmato con uno scarabocchio senza vedere molto e mi sono addormentata subito perché mi avevano fatto una anestesia totale.

    Ancora non si sapeva bene cosa avessi, sicuramente, non era una influenza, e vi risparmio l’elenco di visite e prelievi. Certo non ero in un grande ospedale, ero in una piccola realtà a Cernusco Sul Naviglio e sicuramente non si erano mai visti casi come il mio.

    Quell’ospedale non mi ispirava fiducia, ci ero già stata qualche anno prima a causa di una caduta durante un corso di acrobatica. Facendo un tuffo che sarebbe una capriola saltata, il ginocchio aveva ceduto, sono finita a terra con la faccia e ho sentito il mio sedere sulla testa. Pensavo di riuscire a girarmi sul capo e invece sono atterrata prendendo un forte colpo di frusta alla schiena.

    Tutti pensavano che mi fossi rotta la schiena, compreso l’istruttore, ma per fortuna è andata bene.

    Il giorno dopo mi sono svegliata e non muovevo quasi le gambe. Al pronto soccorso di questo ospedale mi hanno trattata con indifferenza quasi scocciati, dopo tre ore di attesa, non mi volevano fare neanche una lastra alla schiena. Ho insistito tanto perché avevo dolore dappertutto, ma l’esito era negativo e quindi sono tornata a casa. Tuttavia l’esperienza in questo ospedale e quella dottoressa indisponente mi era bastata.

    E purtroppo ero ancora lì, proprio in quel maledetto posto.

    Il giorno, dopo mi hanno spostato in una stanza da sola in isolamento, ero in setticemia per la meningite e rischiavo di perdere la vita o alla meno peggio qualche arto, non muovevo nemmeno un dito e quando mi sfioravano il corpo sentivo solo dolore, come delle pugnalate.

    Meningite, che sfiga, ho pensato ad un ragazzo della mia età, Alessandro che due anni prima ne era morto appena tornato da una vacanza. All’ospedale di Desenzano non erano riusciti a salvarlo.

    Nei giorni successivi gli amici, anche quelli che non sentivo da anni, venivano a trovarmi, mi guardavano da lontano, ma potevano entrare uno alla volta con mascherina e guanti e i giorni passavano lentamente. Ovviamente i miei mi erano sempre accanto e tutti i familiari con cui avevo trascorso il Natale e gli amici del capodanno sono stati messi in profilassi.

    Quando dovevo mangiare, mi imboccavano perché non riuscivo ancora a muovere nulla, ma almeno il cibo riuscivo a mandarlo giù e ricordo che il pollo lesso e gli spinaci mi piacevano anche se non li avevo mai mangiati in vita mia.

    I sospetti che avevano nutrito i medici erano confermati, era proprio meningococco di tipo C, un batterio molto pericoloso che ancora adesso non capisco come sia arrivato nelle mie mucose nasali.

    Certo si spiegava il mal di testa e il mal di collo che avevo da tempo e la valanga di antidolorifico che non era mai abbastanza.

    Qualche giorno dopo, mi hanno comunicato che dovevo fare il prelievo del midollo, per controllare il liquor e se quindi il mio cervello aveva subito danni, sono entrati in camera gli infermieri e come un sacco mi hanno alzata con il lenzuolo per adagiarmi su un lettino, anche se con delicatezza, io ho percepito di essere stata lanciata con forza.

    Sentivo un forte dolore su tutto il corpo, non riuscivo a muovermi, mi sembrava di essere come Pinocchio, tutta di legno. Mi hanno chiesto se riuscissi a mettermi a gamberetto, con molta fatica ci sono riuscita e così ho percepito che un po’ mi muovevo.

    Mi hanno chiesto anche se volessi fare l’anestesia, ho risposto di no, tanto a me l’anestesia mi fa effetto in ritardo (già sperimentato coi dentisti e con la gastroscopia fatta sempre nello stesso ospedale dove l’anestetico ha fatto effetto una volta tornata a casa) … per cui, meglio essere bucata una volta che due.

    Ma con la mia solita fortuna, al primo tentativo la dottoressa ha fatto cilecca e così anche al secondo tentativo.

    Meno male che è arrivato il dottore esperto che è riuscito subito, quell’ago enorme ancora me lo ricordo, pensavo di evitare l’anestesia per ridurre i buchi, ma non è andata così.

    Chiusa nella mia cameretta della terapia intensiva per far passare le giornate, tra una visita e un’altra, ascoltavo sempre un canale di musica in tv, suonava spesso la canzone di Jess Glynne Take me home

    e quella canzone sembrava dedicata proprio a me, non la dimenticherò mai. In quel momento, l’unico grande desiderio era tornare a casa mia e con le mie gambe possibilmente.

    Pensavo a Bebe Vio, e mi chiedevo come sarebbe finita.

    È arrivato anche il 10 gennaio, giorno del mio ventiduesimo compleanno, certo lo avevo immaginato ben diverso, ma comunque ho ricevuto tanti regali, una mini torta a forma di cuore dalla mia mamma, tanto affetto da parte di parenti e amici e anche i medici della terapia intensiva hanno chiuso un occhio per lasciarmi festeggiare un po’.

    In quel giorno, ricordo che è scomparso David Bowie, proprio in quel periodo per il mio esame in università stavo studiando il suo stile e questo essere iconico ci lasciava.

    I giorni passavano lentamente, mi spostarono di reparto perché stavo migliorando; poco alla volta stavo in piedi e attaccata al letto muovevo qualche passetto, avevo ancora molte macchie sul corpo e tanti dolori, ma la terapia intensiva non serviva più.

    In stanza con me ora c’era una vecchietta che chiamava sempre la mamma e di notte urlava.

    Mi faceva tanta pena, pensavo a mia nonna Mirella con la quale avevo passato tanto tempo durante la sua malattia, ora era il mio angelo custode perché se ne era andata un sabato mattina lasciandomi un vuoto incolmabile.

    La vecchietta era molto istruita, e anche se straparlava, era simpatica e durante il giorno discutevamo di tutto e parlavamo molto.

    Ora riuscivo a sentire le mie gambe e con l’aiuto dei miei genitori potevo mettermi in piedi.

    Provavo e riprovavo abbracciata a papà a camminare in ospedale lungo i corridoi.

    Non credevo possibile dopo tutti quegli anni di danza, di acrobatica e corsi di circo di dovere fare così fatica a muovere pochi passi.

    Avevo perso molti chili, e questo in fondo non mi dispiaceva, ma ero molto debole.

    Passarono ancora pochi giorni e finalmente riuscivo a camminare

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