Urbanistica: fondamenti, procedure e criticità: Aggiornato con tutte le novità del decreto Sblocca Italia
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Anteprima del libro
Urbanistica - Lorenzo Camarda
1. TERRITORIO, URBANISTICA E TUTELE
1.1 Ratio, origini e disciplina
Urbanistica deriva dal latino urbs (città, centro abitato), ma il concetto è più antico e si può dire che nasca con lo sviluppo della società e in particolare con l’irrobustirsi del rapporto tra uomo e territorio. Più precisamente tra l’uomo e le attività che l’essere umano esercita su un determinato territorio. In questo senso, risulta indovinata la definizione di territorio inteso come terminale necessario di tutte le attività umane[1]. In quest’ottica l’urbanistica assume la fisionomia di una disciplina composita in cui si coniugano la geografia fisica, la geografia politica, il diritto, l’economia, la sociologia e ogni altra disciplina inerente le attività umane sul territorio (urbano ed extraurbano).
In quest’ottica, sia pure per punti, si ritiene utile tracciare un breve excursus storico di questa disciplina nell’intento di evidenziare un filo rosso che tiene unita la materia. Al tempo stesso si intende, sia pure per cenni, sottolineare le differenti sensibilità che, in materia, hanno caratterizzato la storia del mondo occidentale. Quantomeno a partire dal XVI secolo ai giorni nostri (che costituisce il perimetro temporale di questa indagine).
A partire dal XVI secolo, in Inghilterra, si registra un fenomeno nuovo che altera il tradizionale equilibrio tra uomo e territorio precedentemente stabilizzatosi nel tempo con il ripetitivo avvicendarsi di medesimi mestieri (da padre in figlio) nei medesimi luoghi. A determinare il cambiamento concorre in maniera vistosa la conversione dell’economia da agricola in pastorale (laddove erano necessarie molte braccia per coltivare il terreno serve ora la presenza di pochi uomini a guardia delle greggi) che provoca un disordinato esodo verso le città. Ne consegue carestia e insicurezza nelle città prese d’assalto da una popolazione affamata[2].
La concentrazione di moltitudini di persone nelle città si acuisce con l’avvento dell’era industriale del XVIII secolo che spopola le campagne e rende le città focolai di disordini caratterizzati da conflitti sociali e con gravi ricadute sullo sviluppo urbano, sicurezza urbana e in incolumità pubblica. È il prezzo dello sviluppo economico, ma è anche lo specchio di una miopia politica nel gestire lo sviluppo delle città da parte delle classi dominanti. Ne è la prova il crescente interesse per la situazione sub-umana in cui il proletariato è costretto a vivere nelle periferie delle città che costituisce la migliore argomentazione politica per Marx ed Engels (Il Manifesto dei lavoratori, 1848) le cui idee trovano credito soprattutto in Inghilterra[3]. Non a caso l’urbanistica moderna trova origine nel XIX secolo configurandosi come tentativo di correzione dei mali della città industriale, di cui restano testimonianza le diverse ipotesi di città ideali degli utopisti di questo secolo (Owen, Richardson)[4].
Il XX secolo e il XXI secolo sono testimoni di un’altalenante presa di coscienza da parte delle classi dei governanti in ordine alla necessità di coniugare le esigenze dello sviluppo industriale e quelle di tutela della salute pregiudicata dai fattori inquinanti prodotti dalle attività industriali e immessi nell’aria, nell’acqua e nel suolo. Sorgono, così, i regolamenti di natura sanitaria che mirano a tutelare l’igiene, ridurre la sporcizia, disciplinare le misure delle distanze e delle altezze, assicurare la luce e l’aria tra gli edifici che si moltiplicano per effetto dell’esplosione demografica metropolitana.
Alla luce di queste considerazioni si ritiene che, tra le definizioni di urbanistica, la più moderna possa essere quella fornita da Paolo Stella Richter La finalità dell’urbanistica non è quella di soddisfare questo o quel determinato interesse … essa ha invece ad oggetto, almeno potenzialmente, tutti gli interessi che sul territorio devono trovare soddisfacimento, poiché la sua finalità è quella della ottimizzazione dell’uso del territorio globalmente considerato
.
Ordinamento italiano
Nel nostro ordinamento giuridico la L. 17 agosto 1942, n. 1150 è la legge fondamentale dell’urbanistica[5]. La mancanza, sino al 1942, di una legislazione urbanistica generale non deve indurre a pensare che lo sviluppo urbanistico ed edilizio nel nostro Paese sia avvenuto sempre e solo in modo spontaneo ed incontrollato. Non mancano gravi distorsioni di cui si è accennato nel paragrafo precedente, tuttavia nella storia del nostro ordinamento si riscontrano fonti normative già nel Medio Evo[6] che testimoniano forme di illuminata intelligenza in materia.
Giova ricordare che sino agli inizi del XX secolo l’attività edilizia era disciplinata prevalentemente dai Regolamenti edilizi comunali (con gli allegati piani di espansione) e dalle convenzioni urbanistiche tra Comuni e proprietari. Tra le disposizioni normative più importanti, sino alla L. 1150/1942, spicca Il T.U. leggi sanitarie 27 luglio 1934, n. 1265 modificato con L. 1° maggio 1941, n. 422 che disciplina la materia soprattutto sotto il profilo igienico-sanitario. Successivamente al varo della legge fondamentale torna utile richiamare, tra le altre, la L. 6 agosto 1967, n. 765 che mira a limitare l’attività costruttiva in assenza di strumenti urbanistici fondamentali; la L. 28 gennaio 1977, n. 10 che trasforma la licenza edilizia in concessione onerosa; il Testo Unico dell’edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in acronimo T.U. Edilizia) che detta i principi fondamentali e generali per la disciplina dell’attività edilizia, dunque legge quadro per questa materia; il Testo Unico delle espropriazioni (D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327) che detta i principi generali per le espropriazioni per pubblica utilità, dunque legge quadro per questa materia.
Punto di partenza della nostra esposizione è la L. 1150/1942. La conoscenza di questa legge (fonte statale) è importante per capire i punti stabili del ragionamento giuridico in materia ed interpretare correttamente l’evoluzione che la stessa ha subito nel corso del tempo. Questa legge precede il varo della Costituzione (1948) e pertanto crea dei problemi di interpretazione rispetto al dettato costituzionale. Essi sono risolti con la regola della sopravvivenza della norma antecedente alla Carta costituzionale in quanto compatibile alla stessa Carta e, per i casi controversi, a mezzo del ricorso alla Corte costituzionale. Ciò vale anche per le leggi costituzionali successive di riforma della Costituzione (in particolare per la Riforma del Titolo V Parte II della Costituzione a opera della Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3).
Secondo la Costituzione, la materia urbanistica (rectius governo del territorio)[7] è disciplinata dalla legislazione concorrente (art. 117, comma 3 Cost.). Ciò vuole dire che, in materia, l’attività legislativa regionale deve rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato che dovrebbero essere contenuti in una legge cornice (Legge Quadro). Nel nostro ordinamento giuridico la legge dello Stato è la L. 1150/1942, ma essa non è esaustiva in quanto non abbraccia tutta la materia rientrante nel governo del territorio.
Infatti, il governo del territorio
comprende:
urbanistica (pianificazione);
edilizia (controllo dell’attività edilizia);
edilizia pubblica residenziale (interventi per realizzare il c.d. diritto alla casa);
espropriazione per pubblica utilità (espropriazioni finalizzate all’urbanizzazione).
Si ricordi che i principi fondamentali ai quali fare riferimento da parte delle leggi regionali sono i seguenti:
pianificazione (che obbliga tutti i Comuni a dotarsi di uno strumento urbanistico);
sussidiarietà (che colloca il potere in capo all’ente più vicino al cittadino, stabilendo, nel contempo, l’obbligo di intervento in sussidiarietà da parte del livello di governo superiore, allorquando non sussista l’adeguatezza del livello di governo competente per materia);
leale collaborazione tra gli enti (che obbliga tutti i soggetti pianificatori a collaborare tra loro nel rispetto delle competenze attribuite loro dalla legge e nel rispetto dei distinti interessi della collettività che rappresentano);
sostenibilità (che obbliga tutti i soggetti pianificatori a porre limiti allo sviluppo nell’ottica della conservazione dei beni collettivi);
precauzione (che obbliga tutti i soggetti pianificatori a valutare i rischi ambientali in senso lato che potrebbero derivare dalla stessa pianificazione).
Ambiente, salute e proprietà
Esiste un forte legame tra urbanistica[8] e ambiente inteso nell’accezione più ampia del termine che M.S. Giannini definisce sotto tre diversi profili:
ecosistema;
paesaggio;
beni culturali.
L’ecosistema si configura come habitat (flora e fauna) di un determinato territorio che si presta a essere tutelato dall’aggressione di ogni tipo di inquinamento. Il paesaggio si configura come beni paesaggistici (bellezze naturali, paesaggio o beni ambientali) comprendenti anche il paesaggio opera dell’uomo (es. costruzioni tipiche, ville, giardini)[9]. I beni culturali si configurano come beni di pregio definite dagli artt. 10 e 11 del Codice dell’ambiente[10].
La Costituzione distingue tra tutela (attività conservativa) e valorizzazione (attività promozionale) e stabilisce:
che la tutela dell’ecosistema, del paesaggio e dei beni culturali [tutti elencati nell’art. 117, comma 2, lett. s) Cost.] siano di competenza legislativa esclusiva dello Stato;
la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali (tutti elencati nel art. 117, comma 3 Cost.) siano di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regione.
La scelta del legislatore di collocare la tutela dell’ecosistema, paesaggio e beni culturali all’interno della legislazione esclusiva risponde alla esigenza di creare una sorta di cintura di sicurezza
che impedisca alla legislazione regionale di intervenire in una materia così delicata sconvolgendo i regimi dei vincoli, delle autorizzazioni e delle sanzioni o intacchi gli standard minimi di tutela. Non sarebbe, invece, censurabile una legislazione regionale che, senza intaccare questi meccanismi, prevedesse per esempio degli interventi finanziari per incentivare il restauro dei beni culturali o prevedesse forme di tutela a beni culturali di interesse locale non contemplati dalla legislazione statale.
Tentando un punto di sintesi in ordine alla competenza legislativa, così come prevista dalla Costituzione a seguito della Riforma del Titolo V Parte II, risulta:
sono di competenza legislativa concorrente (Stato e Regione) tutte le materie riconducibili, in quanto integrate tra loro, nella materia governo del territorio ed elencate nell’art. 117, comma 3 Cost. Esse sono: governo del territorio, valorizzazione dei beni culturali e ambientali, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, tutela della salute. [N.B. La costituzione del vincolo paesaggistico su singoli beni compete alla Regione e allo Stato, mentre alla Regione compete la formazione dei piani paesaggistici (che sono atti amministrativi) nel rispetto della legge (il quadro normativo che costituisce il presupposto di legittimità). Tali piani prevalgono, in ogni caso, sui piani urbanistici di ogni livello. Peraltro, ai piani urbanistici comunali e provinciali compete la possibilità di un’ulteriore (più rigorosa) tutela dei valori del paesaggio];
sono di competenza esclusiva dello Stato la tutela dell’ecosistema, del paesaggio, dei beni culturali.
Allo stesso tempo si ravvede uno stretto rapporto tra urbanistica, intesa nel senso lato del termine, e salute intesa come welfare (stato di benessere psico-fisico). Si potrebbe dire che ogni scelta urbanistica (compresa quella edilizia) tenta o dovrebbe tentare di rispondere al benessere della collettività che di quella scelta è destinataria ed è utente. Ed è abbastanza intuibile il beneficio che deriva allo stato di salute psico-fisica la scelta di un ordinato sviluppo dei centri abitati, rispettoso del paesaggio (anch’esso inteso in senso lato, cioè comprensivo delle bellezze naturali e artistiche) in equilibrio con le necessità produttive. Così come risulta sufficientemente chiaro, anche se non sempre a prima vista, i danni che derivano all’uomo da uno sviluppo urbanistico/edilizio insensato destinato a rendere insopportabile, o gravemente pregiudizievole al vivere quotidiano. Queste riflessioni ci aiutano a capire quanto sia importante che la legislazione preveda un’ampia e obbligatoria partecipazione di tutti i portatori di interesse (stakeholder) privati (cittadini singoli e associati) e pubblici nel processo di formazione dei piani.
La storia dell’urbanistica ci insegna quanto sia difficoltoso assicurare uno sviluppo ordinato del