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Deindustrializzazione e processi di riqualificazione urbana. Città postmoderne a confronto
Deindustrializzazione e processi di riqualificazione urbana. Città postmoderne a confronto
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E-book174 pagine2 ore

Deindustrializzazione e processi di riqualificazione urbana. Città postmoderne a confronto

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Che cosa succede nelle città coinvolte nei processi di deindustrializzazione? Come superano le crisi in cui si trovano inevitabilmente coinvolte? Il presente studio ripercorre l'origine e lo sviluppo della città in Europa, ne ricostruisce il processo di deindustrializzazione e riqualificazione urbana attraverso il riferimento ad alcuni casi di rilievo in ambito nazionale, europeo e internazionale (Genova, Essen, Detroit).

Giulio Trivelli, dopo essersi laureato in sociologia, si è occupato di ricerche sul territorio in ambito locale con particolare riferimento al rapporto tra città e produzioni creative nella cultura postmoderna. Più recentemente si sta occupando delle trasformazioni in corso nelle subculture giovanili contemporanee.

Attualmente frequenta un corso pre-phd presso l'Università di Cambridge.
LinguaItaliano
Data di uscita27 dic 2012
ISBN9788891101266
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    Anteprima del libro

    Deindustrializzazione e processi di riqualificazione urbana. Città postmoderne a confronto - Giulio Trivelli

    633/1941.

    Vorrei ringraziare Vania per l’editing e

    Yuna, perché è la migliore compagna di vita che potessi desiderare.

    Introduzione

    Con l’avvento della crisi dell’industria, molte fabbriche o organizzazioni sono state costrette a chiudere i battenti. Alcune hanno spostato la loro sede in Paesi in via di sviluppo che permettevano maggiori profitti, altre si sono parcellizzate per poter massimizzare al meglio la produzione. Ma, ad ogni azione corrisponde un effetto. Molte città, infatti, nate proprio intorno ad insediamenti industriali e cresciute in ragione di questi, sono profondamente mutate, a seguito del processo di deindustrializzazione, che ha portato segni indelebili nelle loro economie; soprattutto nel caso di quelle che, sull’industria avevano basato la propria esistenza.

    Da qui, l’interrogativo che ha portato alla scelta di questo lavoro: che cosa è successo a queste città? Come hanno reagito a questo processo, che le ha rese orfane del loro passato e le ha lasciate in preda ad una forte crisi economica e sociale? La risposta a queste domande è stata cercata nello studio di alcune città che, più di altre, sembrano essere state in grado di offrire una risposta creativa alla crisi, che le ha attraversate. Reinventandosi completamente per far fronte alle necessità, hanno saputo dare delle risposte inedite ai bisogni dei loro cittadini, risollevando l’economia, contrastando i grandi tassi di disoccupazione conseguenti allo smantellamento delle industrie e restituendo un volto nuovo alla città stessa.

    Per queste ragioni, dopo un’iniziale percorso teorico, che si propone di spiegare il passaggio dalla città moderna a quella postmoderna, si è passati all’analisi di tre casi che, con evidente riscontro empirico, hanno mostrato come sia stato possibile uscire dalla grande crisi dell’industria.

    Partendo, quindi, dall’analisi della città industriale, vista con gli occhi di Marx, scrupoloso osservatore degli effetti dell’industria sulla società, si descriveranno i mutamenti avvenuti nelle città moderne, attraverso l’analisi dei classici, che hanno contribuito al pensiero sociologico. Le riflessioni degli autori si avvicenderanno nella descrizione dei vari passaggi storici, che hanno accompagnato la trasformazione della città industriale in post-industriale. Ci si soffermerà anche sulla figura del flâneur, cartina al tornasole del repentino mutamento subìto dalla città nei primi del ‘900. Successivamente, si analizzeranno i motivi, i valori, i modelli, e le interpretazioni sociologiche di quella che oggi, da più parti, viene definita città postmoderna. Si passerà, poi, all’analisi dei casi di Genova, Essen e Detroit, mettendo a confronto i modi attraverso i quali, le tre città, hanno avviato e condotto i propri processi di riqualificazione urbana.

    Analizzando brevemente la storia di ognuna e il contesto socio-economico, che le ha caratterizzate, si passerà, successivamente, alla descrizione delle attività e dei progetti di rinnovo urbano, ponendo attenzione anche agli effetti sociali provocati. Infine, si cercherà di mettere in evidenza gli aspetti comuni e le differenze riscontrate nell’analisi delle tre città, mostrando come la risposta creativa ai processi di deindustrializzazione abbia cercato di limitare i danni di un declino inevitabile.

    Capitolo 1 – La città industriale

    La nascita dell’urbanizzazione – intesa come processo, che porta alla nascita di una città – è, senza dubbio, ampiamente discusso nella letteratura scientifica. Argomenti quali la ragione per la quale gli uomini paleolitici decisero di passare dal nomadismo alla residenza stabile in un territorio o, anche, le ragioni interconnesse allo sviluppo dell’agricoltura a discapito della caccia, sono tutti esempi non certamente in grado di coprire il dibattito in auge, riguardo la nascita delle città [Secchi, 2000]. Meritevole di un percorso a se stante, in questo lavoro, si partirà dall’ipotesi, che si siano già assunte tali nozioni e che, per questo, sarà possibile procedere soffermandoci in prima battuta sull’analisi della società industriale o capitalistica, per arrivare al nodo centrale di tale studio, ossia i processi che hanno coinvolto città connotate da caratteristiche prettamente industriali nella modernità evolutesi, poi, in città postmoderne. Nell’ultima parte, verranno analizzati casi di città con le suddette caratteristiche nel dettaglio, in un’osservazione orizzontale, che le metterà a confronto secondo determinati paradigmi conoscitivi.

    1.1 – La borghesia e la nascita dalla città

    In riferimento a quelli, che potrebbero essere considerati i prodromi della società industriale, due sono i processi ampiamente riconosciuti, che hanno portato alla sua nascita: da una parte la nascita della borghesia e, dall’altra, le grandi scoperte scientifiche, che dal ‘600 in poi si tradussero in tecnologia. «Perenne rintraccia la nascita della borghesia nei mercanti girovaghi del medioevo, quegli avventurieri, che dopo l’anno mille comparirono in talune città europee rompendo l’economia chiusa del feudo» [Detragiache, 1988, p.11]. In ogni modo questi individui che non avevano «status» sociale definito capirono che – se ne volevano acquisire uno – avrebbero dovuto cambiare la società. La conseguenza fu che l’economia della società feudale ne rimase inesorabilmente influenzata; non solo perché la produzione prima era strettamente legata al feudo, ma, perché non esisteva il concetto di valore di scambio, ossia la produzione finalizzata alla vendita e/o lo scambio non solo per fini di fabbisogno. Molto tempo dopo Max Weber avrebbe formulato la sua celebre definizione secondo la quale la città è uno «stabile insediamento di mercato» [Weber, 1903]. Ma oggi il mercato è enorme e sicuramente più dinamico rispetto a quello del feudo, ciò non toglie comunque che, non esiste più da quel momento la produzione rispetto alla produzione per l’autoconsumo. I mercanti avevano cambiato la loro società rompendo la chiusura del «genos», inducendo gli individui ad incontrarsi nello scambio con la conseguenza che questo non è meramente economico (merce contro denaro) ma che, aveva cambiato quegli usi e costumi, che inducono alla trasformazione sociale.

    Farinata degli Uberti chiede nell’Inferno di Dante, di sapere chi gli rivolga la parola, «chi furon li maggior tui?» è ormai fuori del suo tempo. Ciò che definisce lo «status» nella città non sono più gli antenati, ma il mestiere che si fa. Le città diventano, quindi, luoghi di nuove economie, di nuove società. La nuova classe borghese investita a pieno del suo «status» avrà nell’Inghilterra Elisabettiana una fortissima spinta, promossa dall’etica protestate, che bolla il nobile accidioso, mentre «un raggio di approvazione divina investe il borghese che si dà da fare finché non muore il giorno» come, propriamente, ci ricorda Max Weber [ibidem]. Il successo terreno, infatti, è la prova che Dio ha scelto il borghese per la sua salvazione. «cielo e terra congiurano per indurre il borghese ad operare a trarre profitto» [Detragiache, 1988].

    Dallo stesso humus nasce e si sviluppa la città. Inizialmente, piccolo agglomerato o borgo – da qui nascerà il termine borghese – si espanderà sempre di più fino a divenire città. Popolata da cittadini, appunto, farà nascere una società non più integrata nella famiglia allargata, nella comunità di vicinato e stretta alla sola solidarietà affettiva ma, formata da individui, che badano a se stessi e che competono nella corsa alla vita. Una buona immagine ci è offerta dalle parole di Detragiache [1988], che descrive la nascita della città industriale sottolineando i passaggi che l’hanno vista figlia del furor borghese di metà ‘700.

    L'industria inizialmente si localizza dove può sfruttare l'acqua per muovere i suoi ingranaggi, l'acqua per i lavaggi, salti d'acqua per le centrali, ma quando vengono decisamente abbassati i costi di trasporto dell'energia l'industria si localizza in città.

    La città presenta un quadro elettivo di fattori di localizzazione. Intanto la città è la sede della classe che conduce l'industrializzazione, la borghesia, poi la città è un mercato di sbocco dei prodotti e di approvvigionamento dei prodotti. La città è il luogo da cui possono essere tratti dall'artigianato i quadri dell'industria, le maestranze specializzate. La città è il luogo in cui esistono i servizi di cui l'industria si vale, dai servizi tecnici a quelli creditizi e finanziari [ibidem, p. 17].

    Come vediamo, le città industriali devono la loro posizione geografica alla presenza sul territorio di quegli elementi naturali, che permettono alle fabbriche di portare avanti la produzione. In prima battuta, infatti, le città industriali nacquero vicino ai fiumi o bacini acquiferi in prossimità delle coste, in base alle loro necessità di produzione. Da lì, lo sviluppo sempre maggiore della città; popolata dalla manodopera delle industrie che si stanziava in prossimità delle stesse e che diede vita a nuove problematiche connesse all’esponenziale crescita demografica.

    Città è nodo di traffico: sulla città convergono le comunicazioni sia quelle stradali che quelle ferroviarie. La città realizza le condizioni per il formarsi delle economie di agglomerazione, in quanto, attraverso la giustapposizione su spazi ristretti di attività e di popolazione, si abbassano i costi e si favoriscono gli scambi e integrazioni produttive fra le imprese.

    Il modello di società, che così viene emergendo, è un modello di società in cui il modo prevalente di produrre è l'industria, si produce nell'industria e il modo in cui la società si dispone sul territorio è la città, il modello può dunque essere definito industrial-urbano. […] I fattori di inurbamento paiono essere di natura economica e di natura socio-culturale e gli uni e gli altri sia con riferimento alla società di destinazione, la città, appunto, sia con riferimento alla società di origine [ibidem].

    La città, nuovo spazio urbano vivibile, si presenta inizialmente inadeguata a soddisfare le necessità dei suoi abitanti. Nate come centri di produzione industriale, dinamiche prettamente economiche, le nuove città necessitavano di spazi e luoghi, che potessero ospitare il gran numero di neo abitanti, che si muovevamo, quasi come in un esodo, dalla campagna. Il problema era che le città mancavano – per via delle caratteristiche che le avevano fatte nascere – di quelle strutture necessarie a provvedere alla sopravvivenza dei suoi cittadini. Dalla possibilità di avere esercizi commerciali, dai quali acquisire beni primari, fino alla gestione del tempo libero. Concetto tutto nuovo, nato nelle città industriali. È intuibile che le contingenze della vita di campagna non permettevano la possibilità di avere del tempo libero a disposizione, durante la giornata; questo perché l’intera esistenza delle persone era regolata dai ritmi della natura, che impegnavano tutto il giorno e tutto il tempo dell’anno e, conseguentemente, della vita.

    La città attrae popolazione perché offre salari più elevati resi possibili dall’industria, in cui la produttività del lavoro è più elevata ed è crescente. Ma la città attrae anche perché consente l'individualizzazione della vita, consente di rompere i legami, di misurarsi a tutto campo con le proprie valenze; la città si presenta come «teatro vivo», come luogo di competizione, come luogo di modernità. I fattori espulsi dalla comunità di origine, dalle società locali, fattori di natura economica, sono rappresentati dalla stagnazione economica presente in queste società, stagnazione che con l'aumento della popolazione dovuta ai nuovi mezzi terapeutici e profilattici, tende a peggiorare la condizione della popolazione inducendola così all’esodo [ibidem].

    Molte furono le rivoluzioni sociali che il trasferimento nelle città causò fin dai primi anni del’800: il modo di vivere la quotidianità, le relazioni interpersonali, ma anche il rapporto con il territorio. Il repentino mutamento dei costumi, la nascita della moda, ma anche il cinema, e i mezzi di comunicazione elettrica, portarono ad enormi mutamenti sociali, che cambiarono completamente la vita delle persone, che si trasferivano in città.

    Non scevro da criticità, il territorio cittadino era anche centro di povertà e disagio. Molte famiglie erano costrette a trasferirsi in cerca di lavoro nelle fabbriche dove venivano sfruttati e le condizioni di lavoro erano, per giunta, molto pericolose.

    L'emigrazione dalle società locali è generata anche da fattori di natura socio-culturale. La famiglia allargata e la comunità del vicinato sono strutture protettive, che difendono l'individuo, lo circondano, lo stringono di solidarietà affettiva. Quando, tuttavia, comincia a diffondersi la cultura urbano-industriale, queste strutture protettive tendono ad essere colte come delle camice di «Nesso» che stringono, che impediscono di vivere la propria vita individualmente, in forma piena, di vivere il proprio tempo. […] Le società locali tendono così ad essere abbandonati con una immigrazione che, dapprima

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