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Un canto nuovo: La musica sacra nel sesto capitolo della Sacrosanctum Concilium
Un canto nuovo: La musica sacra nel sesto capitolo della Sacrosanctum Concilium
Un canto nuovo: La musica sacra nel sesto capitolo della Sacrosanctum Concilium
E-book179 pagine2 ore

Un canto nuovo: La musica sacra nel sesto capitolo della Sacrosanctum Concilium

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Periodicamente si fanno commemorazioni su commemorazioni di discorsi, documenti, eventi. La Chiesa, naturalmente, non sfugge a tutto questo. Uno dei documenti più commemorati è la Costituzione Conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. Ma di cosa facciamo memoria? Cosa abbiamo ritenuto, per usare il linguaggio paolino nella prima lettera ai Corinzi, quando sono state richiamate alla nostra memoria le vie che la Chiesa (attraverso i padri conciliari) ci ha indicato in Cristo? Cosa abbiamo perduto?
     Naturalmente, terrò in primo piano la mia personale prospettiva, che è quella del musicista di chiesa, ma anche mi sfuggiranno alcune considerazioni sul panorama liturgico generale; considerazioni modeste e fatte con spirito di modestia, senza pretendere di dire cose fondamentali, ma esposte solo con il desiderio di “solleticare” lo spirito critico dei molti amanti della liturgia che con attenzione seguono quello che scrivo. Infatti qui vorrei focalizzarmi proprio sul capitolo VI della SC, commentando i passaggi che si riferiscono alla musica sacra. Ma questi passaggi non possono comprendersi senza avere sullo sfondo l’intero documento conciliare.
      Al paragrafo 10 della SC viene detto: “Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore“. Culmine e fonte e quindi indispensabile fare senso suo modo in cui il documento ci parla.
         Documento spesso usato per portare avanti visioni unilaterali e personali. Mi è sembrato, per esempio, molto singolare che da parte di alcuni ci sia una difesa strenua di alcuni paragrafi della SC ma non delle istanze e dello spirito traboccanti dall’intera costituzione conciliare. L’ermeneutica portata avanti da Benedetto XVI e dagli studi di Mons. Agostino Marchetto è quella della continuità. I documenti del Vaticano II vanno letti in continuità con il magistero precedente e non come rottura con la storia e con la Tradizione della Chiesa, “Tradere” non tradire.
LinguaItaliano
EditoreChorabooks
Data di uscita13 feb 2021
ISBN9789887529583
Un canto nuovo: La musica sacra nel sesto capitolo della Sacrosanctum Concilium

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    Anteprima del libro

    Un canto nuovo - Aurelio Porfiri

    cantore

    Introduzione

    "Richiama alla memoria queste cose,

    scongiurandoli davanti a Dio

    di evitare le vane discussioni,

    che non giovano a nulla,

    se non alla perdizione di chi le ascolta."

    (2 Timoteo 2, 13-15)

    Periodicamente si fanno commemorazioni su commemorazioni di discorsi, documenti, eventi. La Chiesa, naturalmente, non sfugge a tutto questo. Uno dei documenti più commemorati è la Costituzione Conciliare sulla liturgia Sacrosanctum Concilium. Ma di cosa facciamo memoria? Cosa abbiamo ritenuto, per usare il linguaggio paolino nella prima lettera ai Corinzi, quando sono state richiamate alla nostra memoria le vie che la Chiesa (attraverso i padri conciliari) ci ha indicato in Cristo? Cosa abbiamo perduto?

    Naturalmente, terrò in primo piano la mia personale prospettiva, che è quella del musicista di chiesa, ma anche mi sfuggiranno alcune considerazioni sul panorama liturgico generale; considerazioni modeste e fatte con spirito di modestia, senza pretendere di dire cose fondamentali, ma esposte solo con il desiderio di solleticare lo spirito critico dei molti amanti della liturgia che con attenzione seguono quello che scrivo. Infatti qui vorrei focalizzarmi proprio sul capitolo VI della SC, commentando i passaggi che si riferiscono alla musica sacra. Ma questi passaggi non possono comprendersi senza avere sullo sfondo l’intero documento conciliare.

    Al paragrafo 10 della SC viene detto: " Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. Il lavoro apostolico, infatti, è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al sacrificio e alla mensa del Signore". Culmine e fonte e quindi indispensabile fare senso suo modo in cui il documento ci parla.

    Documento spesso usato per portare avanti visioni unilaterali e personali. Mi è sembrato, per esempio, molto singolare che da parte di alcuni ci sia una difesa strenua di alcuni paragrafi della SC ma non delle istanze e dello spirito traboccanti dall’intera costituzione conciliare. L’ermeneutica portata avanti da Benedetto XVI e dagli studi di Mons. Agostino Marchetto è quella della continuità. I documenti del Vaticano II vanno letti in continuità con il magistero precedente e non come rottura con la storia e con la Tradizione della Chiesa, Tradere non tradire.

    Alcune contrapposizioni forti, specialmente nel mondo della musica per la liturgia, si sono dimostrano ancora ben vive e tenaci. Gli schieramenti in vario modo contrapposti rivendicano con molta decisione le loro posizioni in contrasto con altri schieramenti; questo non sarebbe naturalmente un male se fatto con spirito di collaborazione e confronto; del resto il grande filosofo Schopenauer diceva che chi è amico di tutti non è amico di nessuno. Ma, spesso, l’aria sembra quella dell’aut aut, o questo o niente, o noi o nulla, la difesa a spada tratta di questo o quel repertorio o strumento musicale. Allora echeggia in me questa sentenza attribuita a Talleyrand: Soprattutto niente zelo. Certo, nella sacra Scrittura, nel salmo 119, leggiamo: Mi divora lo zelo per la tua casa; ma quanto di questo zelo che si vede in alcuni operatori musicali per la liturgia è veramente per la casa di Dio e non per le proprie passioni e inclinazioni (pur legittime se si capisce che non devono essere per forza assolute e imposte a tutti)? Non dimentichiamo che sempre nella Bibbia, nel libro dei proverbi, troviamo scritto: Lo zelo senza riflessione non è cosa buona, e chi va a passi frettolosi inciampa. Ora, deve essere ben chiaro che non si intende asserire che tutto è possibile nella liturgia, anzi, bisogna essere vigili che non si violi la dignità del culto divino. Quello che dico è che bisogna guardare ai problemi come opportunità di approfondimento di alcune difficoltà oggettive derivanti anche dall’incontro con la cultura che cambia.

    I veri problemi della musica liturgica, almeno per quello che io ho sentito e per quello che anche io vivo nelle parrocchie, si sono affrontati molto di sfuggita. Quando ci si continua ancora a scontrare per il canto gregoriano o per le chitarre e non si capisce che i veri problemi vanno affrontati altrove (e quell’altrove per me è anche un luogo fisico in Roma…) ci si lascia soltanto accecare da una vana passione, senza che questo possa portare a nulla di concretamente utile. Non che il gregoriano o la chitarra (per esemplificare) non siano questioni serissime, ma sono conseguenze di ben altri problemi, non problemi in se stessi. Ecco a cosa mi riferivo quando ho parlato del pericolo di ideologizzare le questioni. Pericolo che esiste dalla parte conservatrice dei liturgisti ma non di meno da quella progressista. Anzi, ho trovato più intransigenza da quest’ultima che fra i cosiddetti tradizionalisti.

    Varie domande vengono alla mente: si fa quanto necessario per la formazione liturgico musicale dei sacerdoti? Come si può pretendere che la musica in chiesa sia di qualità quando non si è disposti ad investire risorse economiche ed umane in questo? La dottrina sociale della chiesa vale anche per i musicisti di chiesa? E queste non sono che alcune delle domande che vorrei fare. E ancora: è ancora un mondo dominato da una mentalità clericale? I laici non si sentono stimolati o tutelati? La chiesa Italiana deve rivedere qualcosa in questo campo? Forse qualcosa di tutto questo. Laddove si investe, come per esempio nei paesi anglosassoni (guardando, oltre che al mondo cattolico, anche ad altre denominazioni come anglicani, battisti, luterani, metodisti e via dicendo) i risultati si vedono chiaramente. Io stesso ho constatato il livello delle celebrazioni in chiese in cui il musicista viene considerato un professionista, con tutti gli onori e gli oneri. Ricordo celebrazioni a cui ho partecipato a New York, a Norwich, a Hong Kong…non è che si cantassero musiche a doppio coro, ma la celebrazione era sempre curata da capo a fine con l’occhio sempre fisso sui soggetti concreti che avrebbero partecipato. L’assemblea era accolta e guidata da capo a fine, non lasciata a se stessa. Un mio amico americano, liturgista di una certa importanza nel suo paese, mi riferiva durante una sua visita recente in Italia di una celebrazione a cui aveva partecipato in una nostra città del sud. Mi raccontava scandalizzato della sciatteria con cui veniva portato avanti il rito mentre io mi sentivo imbarazzato nel pensare che, quello che a lui sorprendeva, da noi è quasi la norma. Certo non è tutto così, non voglio fare di tutta l’erba un fascio; ma la situazione generale è sotto gli occhi di tutti.

    Insomma, un vero progresso dalla sciatteria musicale nelle nostre chiese non può prescindere da un rinascimento liturgico che sappia andare alle fonti dell’autentico spirito della riforma promossa dal Concilio senza farsi traviare da istanze personali o di parte che non tengono conto dei dati reali. Molti si chiedevano: chi salverà il canto gregoriano? Chi salverà quel compositore? Chi salverà le chitarre? Io a mia volta vorrei chiedere a tutti questi: se andiamo avanti così, chi salverà la piena, attiva e consapevole partecipazione alla vita liturgica di tutti noi?

    Ecco perché mi sembra utile rileggere il sesto capitolo della SC e cercare di valutare quello che il Concilio ha veramente detto sulla musica sacra. Per molti sarà una sorpresa. Questi articoli sono apparsi nella rivista Liturgia molti anni fa e sono poi stati completati e rivisti quasi completamente recentemente per la pubblicazione nel blog Stilum Curiae. Ora sono organizzati per essere letti in questo libro che spero sarà gradito.

    La celebrazione solenne

    "C’è chi conosce tutte le note,

    e chi conosce la musica."

    Lu Ji, ( L’arte della scrittura, Guanda, Parma 2002, pag. 12)

    Chi legge queste righe, come del resto chi le scrive, ha idee proprie, una propria formazione umana, culturale e professionale. Qualcuno è laico, qualcuno è prete, qualcuna è suora, qualcuno vescovo e via dicendo. Però tutti una cosa in comune l’abbiamo: amiamo profondamente la liturgia, e ci impegniamo a renderla sempre più degna e bella. Questo, del resto, è stato sempre lo scopo di chi ci ha preceduto nella storia, i nostri fratelli e sorelle nella fede, che si sono prodigati con riti splendenti di bellezza e musiche di livello artistico eccelso perché il popolo cristiano si sentisse sempre più coinvolto nelle sacre celebrazioni. Ogni periodo storico ha manifestato esigenze diverse e ha posto questioni nuove, che la Chiesa ha sempre cercato di affrontare tenendo in mente il bene dei fedeli. Nel secolo trascorso, molti grandi sconvolgimenti hanno mutato il quadro politico e culturale della nostra società: in ogni parte del mondo sono nate nuove istanze sociali e culturali e qualcosa del passato si è fatalmente perduto. Eppure dovremmo stare attenti che quanto è essenziale nel passato per la nostra sopravvivenza culturale, non venga mai a mancare. Questo è purtroppo qualcosa a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni nella Chiesa cattolica, questo atteggiamento contro la tradizione, contro tutto ciò che ci viene dalla nostra vita di fede e mutuato dall’esperienza che ereditiamo dai nostri padri.

    La Chiesa, che come madre vuole solo il bene dei suoi figli, ha cercato di dare una risposta alle tante domande che le venivano dai rinnovati segni dei tempi. Si è sentita in dovere di non far finta di niente ma di porsi sempre più come pellegrina sulle strade della storia (per prendere in prestito un’espressione cara a Giovanni Paolo II). Questa risposta dunque, non è stata breve ed elusiva ma vasta ed articolata, ed ha toccato svariati campi della sua vita, tra cui quello liturgico. Questa risposta è stata il Concilio Ecumenico Vaticano secondo. Naturalmente, siamo nel diritto di chiederci se la domanda che la Chiesa si è fatta fosse posta nei termini più adeguati. Questo lo dico perché possiamo osservare che, purtroppo, alcune riforme che provengono dal Vaticano secondo, sono certamente problematiche. Questo specialmente se pensiamo alla liturgia. Abbiamo messo da parte un rito che, con tutti suoi limiti, era (ed è) certamente un rito venerabile per storia, tradizione e arte (il cosiddetto rito di Pio V, ora forma straordinaria del rito romano); abbiamo sacrificato una lingua così impregnata della nostra tradizione cristiana come il latino, oggi pressoché sconosciuto e dimenticato; abbiamo accantonato un patrimonio musicale che ha pochi rivali (se ne ha) nel panorama musicale nelle creazioni per scopi celebrativi. Abbiamo fatto tutto questo, ma cosa ne abbiamo avuto in cambio? Cosa ha funzionato perfettamente e cosa invece stenta a decollare? Qual è la radice dei problemi attuali e come possono essere risolti?

    Mi rendo perfettamente conto che una parte di un documento giuridico va letta e inserita nel contesto generale sia del documento, che del quadro legislativo in cui viene ad essere inserito. Così come della tradizione storico-giuridica dell’istituzione che promulga quella particolare norma. Io mi limiterò a volare sopra tanti argomenti che meriterebbero ben altra attenzione. Se non lo facessi, eccederei di molto i limiti di questo studio.

    Solenne uguale a festivo? Il paragrafo 113

    L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati solennemente con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo. Questa celeberrima frase ci offre un programma di lavoro importante. La liturgia, per rivestirsi di maggiore nobiltà, richiede tre cose importanti: il canto, i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo (per questo aspetto, nello stesso paragrafo ci sono rimandi ad altri articoli che ne parlano più specificamente). Ora leggiamo il testo in questa maniera: " L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini uffici sono celebrati con il canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva del popolo. Come vedete funziona, no? Eppure ho tolto una parolina, proprio perché chi legge possa rimarcare la differenza tra il testo ufficiale e questo lievemente modificato e, quindi, trarne le opportune conseguenze. La parola che manca è solennemente. Nel testo non viene detto soltanto che la forma del culto è più nobile quando i tre elementi citati (canto, sacri ministri e partecipazione attiva) sono presenti; ma esso è più nobile quando tutto ciò viene fatto solennemente. Come qualifica quella parola solennemente tutta la frase? Come va letta? Cosa significa in pratica celebrare solennemente? Da questo momento intraprenderemo un percorso (che per forza di cose deve essere breve) in cui ci imbatteremo in questioni storiche, musicologiche e perfino etimologiche. Alla fine però spero di aver chiarito cosa si dovrebbe intendere per liturgia celebrata solennemente secondo la mente dei padri conciliari.

    Il vocabolario Zingarelli della lingua italiana ci dà questa definizione della parola solenne: Di festa, cerimonia che si celebra con apparato e pompa particolari, /Insigne, Maestoso. La definizione appena letta ci fa capire come la parola solenne si applica a situazioni particolari, non ordinarie. Quindi si oppone il termine solenne al termine ordinario. Il termine italiano solenne deriva dal latino sollemnis ed è l’unione dei due termini sollus (intero) e amno (anno) e propriamente si può tradurre che ha luogo ogni anno. Altri autori preferiscono leggervi l’unione di sollus e omnis, mutando il significato in tutto intero, pieno. Anche questo significato ci offrirà spunti di riflessione più avanti. Quindi, il termine, nell’accezione più comune, denota un qualcosa che accade con regolarità e che quindi implica attesa. Troviamo molto spesso il termine impiegato in vari autori latini. In una terminologia più religiosa, solenne non muta di molto il suo significato, mantenendo quello della scansione annuale di qualche avvenimento religioso, implicando anche il senso di celebrazione di un sacrificio. Nella Sacra Scrittura, questo termine ricorre più volte, specialmente nell’Antico Testamento. C’è da dire che il termine sollemnitas non sempre viene tradotto con il corrispettivo italiano solennità, ma spesso (come diremo più avanti nel testo) si sceglie il termine festa. Così come si traduce in italiano con la parola solenne o solennità quando dal latino non si trova il termine corrispettivo ma termini che evocano qualcosa di grande e maestoso. Prendiamo ad esempio un brano dalla Genesi che nella Vulgata e nella Neo-Vulgata viene scritto planctu magno atque vehementi e nella Bibbia di Gerusalemme si trova lamento molto grande e solenne (Gen 50, 10).

    Ho potuto contare più di 80 presenze di questo termine nell’AT. Ovviamente esso viene anche impiegato in tutte le sue

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