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Con lo sguardo nel cielo: Un uomo di nome Bach
Con lo sguardo nel cielo: Un uomo di nome Bach
Con lo sguardo nel cielo: Un uomo di nome Bach
E-book287 pagine5 ore

Con lo sguardo nel cielo: Un uomo di nome Bach

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Info su questo ebook

Di fronte alle ferite ed incongruenze di questo nostro caotico e pazzo mondo, viene proprio da chiederci: che ce ne facciamo di duecento pagine su Bach? A che ci serve la memoria di un parruccone grassoccio e pure un po’ scorbutico, morto duecentosessantasette anni fa, se la gente non sa più neppure a che santo votarsi per tirare avanti e non cedere alla disperazione?
Per l’autore, la riposta è chiarissima: Bach serve, e parecchio, tanto ai bambini di un campo-scuola quanto all’adolescente che studia musica, all’adulto educatore in parrocchia e al genitore in cerca di una storia davvero edificante! Serve come modello di marito e di padre; serve come figura di enorme spessore artistico; serve come esempio di testarda e irriducibile fede. Nel mondo dei giovani, musicisti e non, c’è la grande urgenza di mostrare che qui non si ha per niente a che fare con roba vecchia, buona solo da gettare, ma con una persona straordinaria capace di un’arte senza pari, che ha ancora tantissimo da insegnare e donare.
Con la prefazione del teologo liturgista Mons. Nicola Bux ed il commento della cantante jazz Clizia Miglianti, questo libro è il risultato della sistemazione in un unico volume dei due precedenti testi, “Bach: un grido di dolore, un sospiro d’amore, un palpito di fede” e “Bach ieri, Bach oggi”, confluiti insieme per dare a giovani ed adulti la possibilità, non certo di esaurire lo scibile sul grande maestro, quanto di poter delineare un quadro agile e piacevole dell’uomo, del musicista e del credente che fu Johann Sebastian.  
LinguaItaliano
Data di uscita22 nov 2017
ISBN9788827520871
Con lo sguardo nel cielo: Un uomo di nome Bach

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    Anteprima del libro

    Con lo sguardo nel cielo - Alessio Cervelli

    RINGRAZIAMENTI

    PREFAZIONE

    (Di Mons. Nicola Bux)

    Come ho già affermato in precedenza per il volume Bach ieri, Bach oggi [1] , allo stesso modo credo che questo testo, risultato dall’accostamento dei due precedenti saggi in materia, possa fornire un'ottima guida didattica agli studiosi di ogni ordine e grado in ambito musicale e teologico. Esso infatti permette, in modo agile e veloce, ma non con superficialità, l'accesso a nozioni solitamente rintracciabili in testi iperspecialistici, spesso in lingua straniera, o scritti esclusivamente per gli esperti, del settore o teologico o musicale.

    L'obiettivo apologetico, che l'autore persegue con efficacia, si nutre anche di una fresca capacità comunicativa e della giusta subordinazione della scienza a una retta e profonda fede. In queste pagine, l'arido politicamente corretto della trattatistica positivista cede il passo ad una profondità d'analisi che sente la necessità di superare le barriere in cui ci siamo per troppo tempo cinti, a causa di una pretestuosa conquista di oggettività del tutto umana. L'allargamento degli orizzonti, per una maggiore comprensione delle cose, è possibile in questa sola prospettiva: queste pagine ne sono una dimostrazione.

    Al giovane autore non sarebbe stato possibile concepire la musica di Bach come il risultato dell'anelito alla unio mystica menomata nella liturgia protestante, vedere l'opera del kantor come aderenza alla chiamata pietistica di Spener, concepire la sua attenzione numerologica non come semplice passione per cruciverba, … se non come ardente cammino di purificazione verso una Perfezione irraggiungibile. Solo così è possibile caricare di significato contenuti che altrimenti si sgretolerebbero: questo anche grazie al confronto storico e teologico coi Padri e gli Scrittori antichi della Chiesa.

    Solamente riconoscendo la genuinità e oggettività del bello – sono parole dell'autore – sarà possibile riconoscere la Verità e il valore dei suoi profeti, così come dice San Tommaso d'Aquino: " Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est, Tutto ciò che è vero, da chiunque sia detto, proviene dallo Spirito Santo". Soltanto in base a questa retta linea di pensiero, dunque, possiamo domandarci e risponderci con assoluta serenità: la bellezza dell'arte di Bach, di un protestante, ha qualcosa da dire al culto cattolico di oggi? Indubbiamente sì!

    d. Nicola Bux

    Giovedì 8 settembre 2017

    Natività della Beata Vergine Maria


    [1] Cfr. A. Cervelli, Bach ieri, Bach oggi, StreetLib 2015.

    INTRODUZIONE GENERALE

    Non nascondiamoci dietro a un dito, non chiudiamo gli occhi di fronte alla realtà delle cose! Tra giganti della fede (come il Cardinale Caffarra) che vengono chiamati alla Casa del Padre, dubia e correctiones che vengono inviati al Papa, la drammaticità dell’oggettiva perdita del senso sacro della preghiera e della vita cristiana nello sfacelo di certa sciatteria, mentre due uomini, uno negli USA e uno in Corea, sembrano bambini bizzosi che non si rendono conto dell’abisso verso il quale stanno spingendo il mondo...insomma, viene proprio da dirlo: che ce ne facciamo di duecento pagine su Bach, quando qualcuno che vuole camminare nella fede e discernere la volontà del Signore non sa davvero che pesci prendere?

    A che ci serve la memoria di un parruccone grassoccio e pure un po’ scorbutico morto duecentosessantasette anni fa, se la gente non sa più neppure a che santo votarsi per tirare avanti e non cedere alla disperazione?

    Mi torna in mente il motivo che spinse l’allora Cardinale Pacelli ad assumere con sé in segreteria di stato Mons. Montini. A tutti i giovani preti che si presentavano per il colloquio, poneva una domanda del tipo: Di fronte ad una crisi diplomatica tra Russia, USA, Germania e Italia, lei cosa farebbe?. Tutti sfoderavano le loro tesi risolutive più o meno brillanti. Ma Mons, Montini dette una risposta diversa da tutti: Per prima cosa, io andrei a dire la mia Messa. Fu questo che colpì profondamente Pacelli: prima di tutto occorre la fede, e soprattutto occorre la forza che viene dalla preghiera, in grado di illuminare le menti e di farci scoprire fatti e risorse assolutamente inaspettati.

    Ecco: di fronte a tutta la situazione che ci circonda, che cosa posso fare? Tenere stretto il mio breviario, studiare teologia, scrivere di Bach, suonarlo e ascoltarlo rammentando la forza d’animo di quest’uomo, e soprattutto inginocchiarmi davanti al tabernacolo. Fatto questo, a qualunque persona che mi chiederà conto della mia fede in questo tempo di caos e d’incertezza, indicherò la fede, quella nella quale sono stato battezzato, quella per la quale sono stato cresimato, quella per la quale al mattino di ogni giorno dico il mio sì a Cristo con quel " Domine, labia mea aperies: Signore, apri le mie labbra".

    Una goccia d’acqua nell’oceano? Ovvio! Ma credo fermamente nel moltiplicarsi del bene, specialmente quando la Grazia è il fattore vincente di moltiplicazione e la carità è il carburante che permette a quella macchina meravigliosa che è il cuore dell’uomo di continuare ad amare.

    A tal proposito, vi descrivo una scena, capitata nemmeno un mese fa da adesso, cioè dal momento in cui scrivo queste righe d’introduzione.

    Campo-scuola estivo di una quarantina di bambini; la Messa celebrata in una semplicissima cappella ricavata da quello che una volta era un fienile, o una legnaia. Per sostenere i canti, ovviamente modernissimi e dal sapore emotivo/sentimentale come vanno tanto per la maggiore oggi, il sottoscritto ha a disposizione una tastiera elettronica di una quindicina d’anni, con in memoria anche un suono che molto vagamente e con non poco sforzo di fantasia ricorda il ripieno dell’organo. Ma appena distribuita la Santa Comunione e terminato il canto, per evitare il calare del silenzio durante la reposizione della Santissima Eucaristia e la purificazione del calice con conseguente inevitabile baraonda dei pargoli, butto là a memoria la prima parte di " Jesus bleibet" della Cantata BWV 147.

    E scocca il fulmine!

    A sera, i bambini, finiti i giochi del dopocena, dovrebbero andare in camera, farsi una doccia veloce e mettersi a letto… già, dovrebbero!

    Come sempre, c’è l’euforia d’essere insieme, tra amici di scuola e di squadra di calcio, senza genitori nei paraggi con le loro scoccianti (almeno dal punto di vista dei bimbi) premure. Mentre gli educatori sono dabbasso a tentare di preparare le attività educative e ludiche del giorno dopo, dai piani superiori si sente arrivare, immancabile, la fanciullesca caciara.

    Salgo le due rampe di scale che portano alle camere da letto e vado a vedere cosa accade nelle camere (come se non lo sapessi già). Qui, tra mucchi di scarpe da ginnastica ammassate alla finestra per non cadere vittime di siffatte armi chimiche, valigie e trolley aperti dappertutto e ciabatte disseminate sul pavimento, i bimbi si avvicinano e mi chiedono: Cos’era quella canzone che hai suonato prima, alla Messa?. Non è una canzone, rispondo (quante volte ho dovuto fare questa precisazione Iddio solo lo sa!), è la parte finale di una Cantata di Bach.

    Sguardi perplessi.

    Qualcuno si ricorda di questo nome letto su chissà quale antologia, qualcun altro l’ha sentito rammentare… e, immancabilmente, arriva la domandona da mille dollari: Chi è Bach? Ce lo racconti?. Subito una quindicina di bambini si accatasta letteralmente sui cinque letti presenti nella stanza, con uno che mi si mette accanto e che, ogni dieci secondi, si avvicina sempre di più fino al punto di prendermi il braccio sinistro, metterselo intorno al collo e poggiare la testa sulla sinistra del mio torace, mentre un altro, l’ultimo arrivato in camera, siccome non trova posto dove accomodarsi per sentire quella storia, se la prende poco… e mi si piazza comodamente seduto su un ginocchio.

    Mezz’ora dopo, i bambini hanno ascoltato la storia semplice di un uomo, di un padre, di un marito, di un musicista che ha avuto una vita non facile e che ha affrontato le difficoltà forte dell’amore per la sua famiglia e della forza della sua fede… e si addormentano tranquilli e contenti. Con una promessa, però: l’indomani, alla Messa, devo suonare qualcosa di altrettanto bello e, a sera, tornare da loro per un altro racconto.

    Credo sia una delle più plastiche ed immediate dimostrazioni di quanta fame di ascolto, confronto e bellezza abbiano in cuore i nostri ragazzi, distratti certamente dalla frammentazione della famiglia e della società, storditi da diavolerie tecnologiche varie, rimpinzati di tutta l’internetica possibile…eppure ben capaci di spegnere i cellulari, chiudere la bocca e aprire le orecchie per ascoltare la vita di un uomo la cui musica li ha colpiti durante la Messa celebrata tre ore prima. Dalla vita e dalla musica di quest’uomo, il passo è davvero breve perché inizino le domande su quel Signore Gesù in cui egli ha tanto creduto. E da Bach la visuale si sposta sul Dio crocifisso e risorto, così… spontaneamente.

    Davvero sono così senza speranza le giovani generazioni?

    Non sono forse semplicemente digiune di tante cose, tra cui l’ascolto, il tempo loro dedicato e l’incontro col bello?

    Ai bambini basta poco per entusiasmarsi: la vita di un uomo, per quanto tosta, diventa la storia di un eroe dell’amore familiare e della fede. A noi adulti, giovani e meno giovani, invece, occorre tanto di più, perché difficilmente riusciamo a farci di nuovo come bambini, pronti a chiedere con entusiasmo e fiduciosi nel ricevere.

    Bene.

    Eccoci qua, dunque, a tentare di fornire del materiale utile a chi, educatore, studente di musica, catechista o semplice appassionato, abbia voglia di sapere qualcosina su questo personaggio che a oltre 250 anni dalla sua morte è in grado ancora di emozionare bambini, giovani e adulti.

    Due anni fa, in calce al mio libretto Bach ieri, Bach oggi, scrivevo:

    Sono persuaso del fatto che, a trent’anni appena di età, sia autentica e sconsiderata presunzione ritenere di conoscere approfonditamente quello sconfinato universo che è Johann Sebastian Bach. Non sono né un esperto bachista né una guida idonea per istruire circa uno dei più grandi musicisti della storia…se non addirittura il più grande! [1]

    Un po’ di tempo è trascorso, le consapevolezze umane e intellettuali hanno avuto modo di sedimentarsi, sottoporsi ad autocritica e vagliare l’insieme delle pagine che in un passato nient’affatto lontano (primi anni 2000) avevo iniziato a mettere insieme all’unico scopo, non di erudire su Bach, bensì appena di introdurre i giovani a Bach, anzi, ad un pezzettino del Bach organista, come ha giustamente intuito ed espresso in un suo lavoro multimediale l’ottimo amico e cineasta Elia Mori [2]: questo, allo scopo di

    mostrare ai ragazzi di oggi, specialmente a quelli impegnati negli ambienti delle parrocchie, che qui non si ha per niente a che fare con roba vecchia, buona solo da gettare, ma con una persona straordinaria capace di un’arte senza pari, che ha ancora tantissimo da insegnare e donare [3].

    Sono ancora convinto che per poter scrivere eruditamente su Bach occorra un’intera vita di studi. Sono tuttavia egualmente persuaso che oggi, nell’ambito ecclesiale, pastorale e specialmente nella formazione laicale a puro livello divulgativo vi sia un’enorme carenza di buoni tentativi nello sminuzzare e distribuire la grandezza dell’alta musica di Dio e di quei grandi uomini che a vari livelli, con fervori differenti, si sono lasciati interpellare dal mistero e se ne sono fatti cantori.

    Così, da un lato abbiamo un’esigua élite di ultraspecialisti in musicologia e filologia barocche, e dall’altro una sempre più grande e drammatica frattura di questo prezioso mondo musicale rispetto alla vita, alla cultura e alla liturgia nella Chiesa.

    E il paradosso è che tale divorzio ha finito con l’interessare l’opera e la testimonianza di grandi musicisti che invece avevano effuso sudore e sacrificio con passione proprio in favore del popolo che si raccoglieva davanti all’altare, sotto le navate delle Case di Dio sparse in quest’Europa che ancora insiste nel rifiutare le sue radici giudaico/cristiane.

    Qui non ho affatto l’intenzione di proporre una trattazione pacata, asettica, politicamente corretta, che badi a mettere d’accordo tutti perché nessuno si senta urtato. Ma, come ho già precedentemente affermato,

    In relazione alla vita liturgica e musicale delle nostre chiese locali, dunque, gli intenti di questo piccolo lavoro sono due:

    a) fornire all’organista liturgico, specialmente se giovane, uno strumento agile e piano per poter compiere un sereno percorso esegetico, senza pretese accademiche, con l’unico proposito di meglio comprendere Bach come il più grande compositore per organo barocco (su quest’aspetto si concentrerà la totalità dello sforzo, lasciando ad altri il compito di riflettere, indagare e scrivere sugli altri settori del lavoro compositivo bachiano);

    b) capire se e in quale modo rendere al popolo di Dio un servizio concretamente migliore nella liturgia e nella preghiera attraverso la musica organistica di Bach, perché questa è una curiosa ironia dei nostri tempi: forse un luterano può esser preso da maestro pure per la musica della liturgia cattolica? [4]

    Tuttavia c’è qualcosa che mi ha insegnato il continuo contatto con la gente, sia nella preziosità del rapporto umano e nel confronto face to face nella vita reale, sia per quanto possibile anche nel contatto mediato dalla realtà virtuale ed internetica: non soltanto i musicisti in formazione hanno bisogno di roba semplice che possa loro dare gli strumenti per comprendere cristianamente ciò che studiano e suonano, ma anche larga parte della gente (catechisti, insegnanti di religione, semplici appassionati) che ha interesse a farsi un’idea per avere un pochina di consapevolezza in più nel loro percorso di formazione e nel cammino della loro vita di battezzati. Oltre all’accoglienza favorevole e ai sentimenti di consenso che i miei due piccoli saggi divulgativi su Bach hanno ottenuto, ci sono stati davvero tanti e tanti inviti a raccogliere in un unico lavoro questi testi che, agli occhi dei lettori che mi hanno scritto, apparivano in effetti come l’uno il completamento dell’altro. Evidentemente non è bastata una riedizione del mio primo volumetto in una versione ab origine restituta [5] : mi viene chiesto qualcosa che sia un tutt’uno, un punto fermo per l’insegnamento pastorale e l’attività di ambito catechetico.

    Allora, eccoci qua! Queste pagine sono il tentativo di quel tutt’uno. Ho accolto di buon grado gli stimoli ricevuti in tal senso: spero che il risultato sia cosa gradita, che ci faccia crescere tutti – me per primo! – nell’amore di Dio attraverso questo grande uomo, marito, padre e musicista che tante e tante sue opere scelse appunto di firmare S.D.G.: Soli Deo Gloria.

    Alessio Cervelli

    Domenica 24 settembre 2017

    XXV del Tempo Ordinario


    [1] A. Cervelli, op. cit., pag. 124.

    [2] E. MORI, Questo è Bach, ragazzi!, DVD, Shelve, Salerno 2017.

    [3] Ibidem, quarta di copertina del DVD box.

    [4] A. CERVELLI, Bach ieri, Bach oggi, op. cit., pp. 6 – 7.

    [5] Bach: un grido di dolore, un sospiro d’amore, un palpito di fede, op. cit.

    PRIMA PARTE

    IL SACRO NEL NOME DELL’ORGANO

    E LA QUESTIONE LUTERO

    CAPITOLO I

    IL SACRO NEL NOME DELL’ORGANO

    In un mondo che ambisce così tanto a quella che, con termine assai improprio, chiama laicità, ci potremmo chiedere: per­ché occuparsi dell’organo, del nome che lo designa come strumento, della correttezza della sua esegesi strumentale ed esecutiva?

    Per poterci dare una risposta, vorrei iniziare, non con un ragionamento razionale rigoroso, bensì con un semplice e genuino aneddoto.

    Città di Siena, ottobre 2016.

    Missione ai giovani organizzata per il 25° di fondazione della Cappella Universitaria.

    Mi inviano ad incontrare i ragazzi di una quinta superiore di un istituto tecnico di elettronica e meccanica. Coi ragazzi – si sa – hai due o tre minuti al massimo per catturare l’attenzione; dopodiché potresti dir loro quanto di più bello ci sia al mondo: non ascolteranno mai, perché ti hanno già catalogato come noioso rompiscatole di cui non frega niente a nessuno. Come poter dunque catturare l’attenzione di un gruppo di diciottenni tutti impastati nel loro sacrosanto senso pratico della vita, senza tanti grilli filosofici per la testa e con quelle mani benedette, ancora così giovani eppure già segnate e rese ruvide da ingranaggi, attrezzi e grasso da motore? La cosa migliore è fare come i missionari gesuiti del ‘600/’700: non si deve voler radere al suolo niente della cultura e dell’esperienza di chi si ha davanti, ma occorre anzi avvicinarcisi, ascoltarla, capirla, apprezzarla nei suoi molti lati buoni, per poi accettare la sfida di entrarci dentro per tentare di portarvi una scintilla nuova che non inneschi un incendio, non distrugga, non incenerisca, … ma semplicemente illumini nell’esperienza di un incontro che nulla vuol togliere, perché tutto vuole donare.

    Ragazzi, domando, guardandoli negli occhi uno per uno e cercando di offrire un buon sorriso a quei giovani che ho davanti, prima dell'avvento dell'automobile e del treno, qual è la macchina più grande, ingegnosa, complicata e appassionata che l'uomo ha creato con le sue mani?.

    Dopo qualche timido tentativo, piomba un silenzio perplesso dall'altra parte: non se ne ha proprio idea.

    Ragazzi, è l'organo!

    Sguardo attonito: Quello che si suona in chiesa?, chiede un giovane.

    Esatto! L'organo è la macchina che per secoli è stata la più grande, complicata ed ingegnosa che l'uomo abbia mai costruito. Basta pensare che già nel '700 esistevano organi alti decine di metri, e che necessitavano di tantissimo materiale per la loro costruzione e a volte di una squadra intera di uomini robusti per fornire l'aria. E tutto questo sforzo per realizzare una macchina che ha come scopo... produrre bellezza!.

    Bellezza?, chiede sorpreso un altro ragazzo.

    Certo! Quanto sforzo per costruire un macchinario così complesso che non serve a dar da mangiare, non a produrre energia, non a costruire qualcosa di pratico: serve a trasformare in bellezza musicale quello che l'uomo si porta dentro al cuore!.

    Occhi spalancati dall'altra parte.

    Ragazzi, voi che studiate meccanica, elettronica... mettete passione in quello che fate, lasciatevi infiammare di passione per quello che create con le vostre mani. Perché le cose veramente importanti nella storia dell'umanità le hanno create coloro che hanno saputo sognare e guardare oltre l'immediata materialità delle cose, con passione e amore.

    Eccoci: finalmente si cominciano ad intravvedere sguardi scintillanti e sognanti dall'altra parte.

    Quindi continuo: Vedete, questa macchina è servita ad un uomo, grande e appassionato, per trasformare il suo dolore in bellezza, per elaborare dentro di sé la sofferenza, e mutarla in dono per gli altri e in preghiera da levare al Cielo.

    Cioè...?, chiede un biondone di quasi due metri, ben piazzato, che forse qualche professore scambierebbe pure per un bullo o un poco di buono, e che invece mi sfodera uno sguardo sognante indimenticabile.

    Bene, vi racconto una storia... Vi va?.

    Sì!!! esclamano tutti insieme, quasi fosse il coretto vivace di una classe allegra di bambini.

    La storia che ho raccontato a quegli adolescenti è la stessa (certo in quella sede più semplice, piana e colloquiale) che incontreremo nelle pagine di questo volumetto: non anticipo niente, allora.

    Piuttosto, quanto all’interrogativo che ci eravamo posti all’inizio, la risposta in realtà è semplice e cristallina, perché si trova da molto tempo sotto gli occhi di tutti: nessu­no strumento musicale negli ultimi 1200 anni è stato oggetto di altrettanta cura e pari inventiva. A partire dalla Sacra Litur­gia, l’organo è stato voluto e visto da gran parte dell’umanità come mezzo e momento per trovare per sé e per i propri simili almeno un attimo di profonda serenità - trascendente o soltanto genuinamente frutto di un naturale umano calore - nella vita di ogni giorno. Ciò diventa possibile solo se l’organo viene proposto secondo la sua autenticità.

    § I.1 – L’HYDRAULOS: UN ANTENATO INTERESSANTE

    Fig. 1 - Ricostruzione di Hydràulos

    Il 245 a.C. è la data convenzionale fissata per l’invenzione di uno strumento a canne, funzionante mediante pompa idrau­lica, ad opera di Ctesibio d’Alessandria. Tale strumento viene chiamato hydràulos [1] (fig. 1), cioè aulo ad acqua. Sarà questo interessante marchingegno ad offrire le basi per la nascita dell’organo liturgico.

    Proprio da esso, o meglio, dal modo con cui nei secoli se­guenti venne chiamato dobbiamo partire per un corretto per­corso d’esegesi. Ctesibio (III sec.

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