Caput mundi: Roma tra storia e mito
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Roma tutti accoglie come una madre, ma in essa possiamo anche scoprire quel mistero che la avvolge, quel non detto che non si può dire, o forse non si deve dire. Quando leggete queste pagine abbandonatevi alle storie che dicono, storie vere, storie non vere, tutto quello che leggete ha comunque uno scopo e una direzione. Vogliamo investigare il mito di Roma e Roma nel mito. E poi, ricordatevi, che non è detto che le storia non vere, siano per forza false.
Nel libro si parla di Roma e tradizione, mistero di Roma, donne romane, le pleiadi e i sette colli e l’estasi del Bernini. Uno sguardo pentangolare su Roma.
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Anteprima del libro
Caput mundi - Aurelio Porfiri
INTRODUZIONE
Aurelio Porfiri
Cosa possiamo dire su Roma che non sia stato già detto? Credo che Roma sia probabilmente una delle città più studiate al mondo. Questo libro scritto da più autori vuole essere un contributo alla sua conoscenza e vuole essere una passeggiata tra storia e mito, un viaggio fantastico che facciamo nella Caput Mundi , la Roma che tutti fa Romani, la Roma mitica, la Roma imperiale, la Roma cattolica…
Roma tutti accoglie come una madre, ma in essa possiamo anche scoprire quel mistero che la avvolge, quel non detto che non si può dire, o forse non si deve dire. Quando leggete queste pagine abbandonatevi alle storie che dicono, storie vere, storie non vere, tutto quello che leggete ha comunque uno scopo e una direzione. Vogliamo investigare il mito di Roma e Roma nel mito. E poi, ricordatevi, che non è detto che le storia non vere, siano per forza false.
ROMA E LA TRADIZIONE
Aurelio Porfiri
Roma come città tradizionale
Parlare di Roma è parlare di un contenitore infinito di storie, persone e personaggi. Quanti si sono dedicati a circondarla di attenzione e a investigarne i percorsi storici? Molti la studiano sotto vari aspetti, la Roma imperiale, pagana, cristiana, fascista e via dicendo. Tutto lecito ovviamente, però a me sembra che uno degli aspetti per cui Roma è meglio inquadrata è quello di essere una città di tradizione, una città tradizionale. Cosa significa questo?
Nel definire le città, spesso le chiamiamo città moderne o storiche o con altri nomi. Ecco, Roma è una città di tradizione nel senso che essa è basata sul concetto di tradizione che fu prima quella mitica, poi quella imperiale e poi quella cristiana (per non parlare di tradizioni anche importanti che hanno contribuito a forgiare Roma, come quella greca o ebraica). Roma non è semplicemente una città che ha tradizioni (come tutte le città), ma sul concetto di tradizione essa è costruita, essa è una luce che cammina nella notte dei tempi e che si manifesta ai popoli spesso in successive più o meno riuscite incarnazioni. Perché non solo guardiamo alla prima (e unica) Roma, ma anche alla seconda Roma (Costantinopoli), alla terza Roma (Mosca) e a quella che alcuni definiscono (per me impropriamente) la quarta Roma (Washington)? Perché Roma non è solo o soprattutto una città, ma è un simbolo, un symbállō che mette insieme qualcosa che forse non sempre ci è presente.
Il futuro di Roma è all’origine, è nell’idea che le ha dato vita, è nel mito che l’ha forgiata e che non è fantasia, ma lettura altra della realtà. Mai come per Roma vale la distinzione tra storico e istoriale di cui ci parla Aleksandr Dugin, essendo quest’ultimo non la storia cronologica ma la manifestazione dell’Essere: "Per istoriale intendiamo il genere di storia dell’Essere, la storia non come susseguirsi di fatti ma come successione di significati, di sensi. L’istoriale ( Geschichtliche) rappresenta una forma di lettura esistenziale dello storico ( Historische). Lo storico è il fatto che viene documentato, l’istoriale è la spiegazione del fatto, il suo aspetto ontologico. Nella storia, compiamo azioni, gesta, opere che possono essere storiche o istoriali. Affinché si rivelino istoriali, devono relazionarsi col Dasein, con la nostra identità, con le nostre profonde radici. Niente come Roma può adattarsi ad una lettura istoriale della sua realtà che è soprattutto metafisica. Roma si regge come città tradizionale, Roma è la sua tradizione, è tutto quello che di lei ci narra il mito. Vorrei fare un esempio per far comprendere questo concetto importantissimo. Qualche tempo fa, uno degli argomenti forti di coloro che protestavano ad Hong Kong contro la progressiva limitazione delle libertà civili e personali, era quello che non volevano la loro città ridotta ad essere come una
qualunque città cinese". Ma la realtà storica ci diceva che in realtà Hong Kong è una città cinese. Forse sbagliavano? No, perché danno di Hong Kong una lettura istoriale, non storica. Non guardano alla realtà fisica, ma a quella metafisica e a quello che questa rappresenta.
Roma non va letta in piena luce, ma in controluce e compresa attraverso le soste sulle varie soglie a cui si accede nelle realtà vere del suo essere e del suo manifestarsi. Roma va letta nella sua tragicità dietro cui si nasconde la ragione del suo trionfo.
Dobbiamo dunque affidarci al mito, che non è immaginazione, ma trasfigurazione.
Roma nel mito
La nozione di mito è scivolosa perché viene spesso presentata come sinonimo di qualcosa che non esiste. Dobbiamo stare attenti a fornire questa equivalenza perché ci inganna facilmente. Infatti se parliamo di mito di Roma o di origini mitiche di Roma non stiamo raccontando favole (che pure una importanza in rapporto al reale lo hanno eccome), ma stiamo affrontando Roma da un punto di vista diverso da quello della narrativa strettamente storica. Il mito nel nostro vocabolario assume significazioni multiformi che vanno dall’esaltazione di qualcosa al sogno irrealizzabile. Eppure il mito è concetto di fondamentale importanza in tutte le culture e in tutte le civilizzazioni.
Lo studioso Gianluca De Sanctis in un bel libro chiamato Roma prima di Roma, affronta il discorso del mito collegandolo giustamente alla categoria dell’oralità e facendo intendere che la scrittura è la fissazione di particolari storie in alcune versioni, ma non è detto siano quelle più vere.
Vorrei fare un esempio con il canto gregoriano, nato in un contesto di oralità. Le fissazioni scritte riportano la particolare versione di quella melodia che era conosciuta dal notatore, che magari non era altra da quella di un altro Monastero ma, pur nell’impianto melodico simile, conosceva poche (o molte) varianti. Tutto questo per dire che vivere in un contesto di scrittura è diverso dal vivere in un contesto di oralità, è veramente un modo diverso di affrontare il mondo che ci circonda. Il musicologo americano Leo Treitler in The Unwritten
and Written Transmission
of Medieval Chant and the Start-up of Musical Notation (1992, The Journal of Musicology) osservava che dobbiamo cercare di pensare noi stessi al di fuori delle nostre abitudini di pensiero e pratica musicale, non un compito da poco. L'impedimento è la nostra continua dipendenza dalla costruzione dell'istituto musicale che si formò nei primi anni dell’Era romantica intorno all'idea delle opere come testi con specificazione nelle partiture e data spiegazione acustica nell'esecuzione, eventi che rispettano le specifiche della partitura
(mia traduzione). Lo studioso francese Jacques Viret in La musica occidentale e la tradizione dice: Lo
spirito tradizionale appartiene all’oralità. La sua espressione musicale è la modalità; in occidente, i modi gregoriani (o
antichi,
ecclesiastici). La tonalità classica, o sistema tonale, ne deriva, ma se ne distingue radicalmente. essa si appoggia sulla scrittura: dal XII secolo la musica colta dell’occidente, attraverso la notazione, si è razionalizzata. essa ha intrattenuto, nel corso dei secoli, rapporti complessi e mutevoli con la tradizione
. Una osservazione molto interessante.
Quello che è vero per la musica lo è per tutto il resto e quindi dobbiamo pensare al mito come un modo in cui una certa cultura fa senso della sua realtà e in quanto tale dobbiamo avere un concetto più elastico del vero/falso che perseguiamo nel nostro pensiero moderno. Il mito può non essere vero, ma non per questo è falso. Un testo classico, Orality and Literacy di Walter J. Ong dice: Sebbene le parole siano radicate nel discorso orale, la scrittura le blocca tirannicamente in un campo visivo per sempre
(mia traduzione). Certo ci è difficile comprendere tutto questo dalla nostra prospettiva, ma dobbiamo tentare.
Parla del mito in un bel libro Marcello Veneziani, Alla luce del mito, in cui tra l’altro dice: Nell’epoca del disincanto, il mito appare sinonimo di finzione o leopardiana illusione. Quel che osserva Leopardi dell’illusione vale per il mito, ma con l’avvertenza preliminare che il mito non è il vero né il falso, semmai occhieggia tra ambedue; è una lettura simbolica e metafisica della condizione umana e terrena che si sottrae alle forme del tempo e dello spazio, alla conferma e alla smentita. Il mito non spiega ma dispiega, non segue la trafila delle verifiche né passa dagli accertamenti, ha suoi passaggi riservati dove non deve esibire documenti e subire controlli ma osservare simboli, riti e liturgie
. Poco dopo dice: "Per vivere l’uomo ha bisogno di favole, e quando ne ha distrutte alcune originarie finisce col fabbricarsene altre,