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La musica delle scritture - Versione completa
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E-book615 pagine7 ore

La musica delle scritture - Versione completa

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Questo libro affronta e incrocia il linguaggio teologico e biblico depositato nella tradizione cristiana col linguaggio musicale insito nel sistema armonico-tonale. Rendendo ragione e cercando di esprimere con altre 'parole' quanto espresso dal linguaggio filosofico-teologico. Risulta impressionante scoprire come la musica esprima con una precisione disarmante quanto la riflessione filosofico-teologica ha espresso in secoli e come la musica precisi e dirima quelle divergenze teologiche, vedi ad esempio la formula del Filioque, che hanno contribuito a separare il mondo cattolico da quello ortodosso e non solo. Alcune pagine inoltre sono dedicate a qualche riflessione inerente il colore e la teologia.
LinguaItaliano
Data di uscita5 set 2015
ISBN9788893064828
La musica delle scritture - Versione completa

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    Anteprima del libro

    La musica delle scritture - Versione completa - Pierluigi Toso

    LA MUSICA DELLE SCRITTURE

    (La Tradizione)

    Le tre età, questo è il titolo che comunemente indica l’opera di Giorgione che imprime la copertina di questo lavoro. Altro titolo che a volte è riportato per descrivere il contenuto del dipinto in questione è Lezione di musica e personalmente credo che le due deduzioni sintattiche siano entrambe valide, tanto da compenetrarsi. Io intitolerei tale quadro La Creazione della musica o dell’universo, interpretando in questo secondo caso la partitura come il disegno architettonico su cui D-o[1]

    [2] Scrivo in tal modo per rispetto della tradizione ebraica che per non porre a rischio il rispetto fisico del nome divino lo annota così, infatti, è molto facile che una pagina di carta sia getta e calpestata. Non compio la stessa operazione per i nomi traslitterati dall’ebraico inerenti D-o, quali ad esempio il tetragramma sacro in quanto non saprei come ridurli per proteggerli.

    si è basato per creare ogni cosa. Un concetto che la tradizione ebraica assume nella Tôráh, la quale è vista come progetto originario di D-o per la stessa Creazione. In tale contesto la musica è la Tôráh e i protagonisti possono essere individuati come le Tre Persone in cui è descritto il D-o dei cristiani, anche se in tal senso quanto detto dalla Tradizione cristiana è sempre da reinterpretare con categorie di pensiero più consone alle Scritture stesse. D’altronde, dall’analisi musicale legata alla Tradizione che investe la prima parte di questo lavoro emergerà come tali Persone ed i loro rapporti insieme alla loro origine sarebbe forse cattolicamente da correggere, ascoltando ad esempio il mondo ortodosso, soprattutto con riferimento alla formulazione del Filioque. Queste sono solamente alcune parole d’anticipo sull’inizio di una partita, termine non a caso anche musicale, che inizierà fra qualche riga. Parole che credo esprimano non solo l’importanza della musica relazionata alla Tradizione e alle Scritture, ma anche la grandezza di un artista come Giorgione da Castelfranco, che concentrò la sua attenzione, in quelle poche opere che ci ha lasciato, su temi fondamentali per un uomo credente, ma anche per un uomo ri-cercatore di bellezza[2].

    "Tutta la questione su D-o

    è comprendere se Egli sia

    canto monodico[3] o polifonia."

    "La donna è il primo armonico

    dell’uomo[4]."

    La musica vera restituisce" a D-o

    la realtà più profonda dell’umanità

    e in qualche modo di D-o stesso[5]."

    "Beati coloro che non hanno visto

    e hanno creduto (Gv 20,29).

    La musica è tale possibilità

    di beatitudine".

    BREVE NOTA INTRODUTTIVA

    Le pagine di questo lavoro sulla musica, che ora vado ad iniziare, seguono inscindibilmente lo sforzo d’inchiostro fatto riguardo alla Bellezza nella Bibbia, non a caso tôb, oltre che essere stato il termine cardine del lavoro estetico che ho intrapreso nei confronti delle Scritture, è anche un termine cardine cui vengono connessi il canto e il suono liturgico[6]. Inoltre, anche filosoficamente la connessione tra bellezza e musica è evidente ed in qualche modo assoluta, tanto che Plotino inizia con le seguenti parole le pagine dell’Enneade intitolate Intorno al Bello: Il bello si trova, soprattutto, nell’ambito della vista; si trova poi nell’ambito dell’udito, secondo la combinazione delle parole, e così pure si trova nella musica, in ogni genere di musica. Belli sono infatti i ritmi e le melodie[7]. E, giungendo ai giorni nostri, riprendo le parole di uno dei protagonisti di un testo di un politico e filosofo contemporaneo, il quale scrive nella bocca di Sinesio: Il Nisseno l’ho venerato quando ormai Plotino mi aveva condotto alla somma cima[8]. Una cima confermata nella musica, a tal punto che Basset e Iplixis, due interlocutori dell’abbate Sinesio ed intervallati da quest’ultimo, ne affermano il legame. Basset, riguardo all’esperienza vissuta nei giorni di terra antistante il monastero, dice: Ai vostri ordini, santo abate. Solo che, cominciando a parlare di tali mutamenti, è difficile che taccia in noi ciò che più d’ogni altra cosa vorreste che taccia: la logica, questo elemento rumoroso, soprattutto in noi, forse per una nostra deformazione professionale. D’altra parte, senza rimuoverlo, la spiegazione è difficile, sia pure con parole molto semplici. Sarebbe più fedele alla verità con parole liriche, con parole che partecipano alla musica. Ancor più fedele, con la musica stessa. Essa rende la visione del silenzio, forse non esattamente, ma qualcosa di vicino[9]. La confessione dell’abbate sembra riprendere quanto ascoltato, tanto che, per quanto concerne la descrizione di coloro che ne hanno guidato la vita afferma. Bach è mio maestro come i grandi Padri della Chiesa, anch’egli fonte primaria dello spirito tedesco (come Goethe). (…) Forse che esagero se dico che Bach è stato la sorgente alla quale hanno attinto tutti i popoli europei, che è il poeta più religioso, più cristiano del discorso musicale? (…) Bach è un grande navigatore nella difficile rotta verso il divino[10]. A questo punto è fondamentale l’intervento di Iplixis, perché dà la misura del percorso estetico e musicale dei vangeli, cominciando dai sinottici per giungere ad intuire quanto avviene col quarto vangelo: Vedi, noi creature umane partiamo dal basso e ci sforziamo di arrampicarci più in alto possibile. Ma ci sono anche, nei secoli, cinque o sei prediletti degli dèi, che partono dall’alto, da altezze impenetrabili, e scendono fino al punto in cui talvolta riusciamo a vederli o a toccarli, noi, creature terrene, loro, i celesti. Il meccanismo secondo cui si compie la nostra ascesa, lo riusciamo a spiegare. Ma ci è impossibile spiegare il meccanismo di coloro che scendono dalle altezze. Non riusciamo a concepire da dove attingono la loro fantasia, il loro pensiero, la loro arte. Per noi restano miracoli. Omero - chiunque fosse - , Dante, Shakespeare e un altro dio, il dio della grazia, Mozart. Perché? Come? Da dove? – ci si chiede. E la sola risposta è: D-o[11]. A questo punto il passo filosofico verso la teologia o la filosofia delle Scritture permette di accostarsi ancora una volta ai testi Sacri, cercandone il senso più profondo ed elevato, ricordando però come sia necessario tenere presente quanto scritto nel Sefer ha-Haggadah, dove si legge: Si racconta che quando Davide ebbe finito il libro dei Salmi, si sentì molto orgoglioso. Egli disse a D-o: ‘Padrone del mondo, chi fra tutti gli esseri umani che hai creato canta più di me la tua gloria?’. In quel momento sopraggiunse una rana che gli disse: ‘Davide, non inorgoglirti. Io canto più di te in onore di D-o’ (89b). Dunque non bisogna mai dimenticarsi dell’origine umana narrata in Genesi se si vuole mantenere quell’umiltà indispensabile a sondare qualcosa dell’Assoluto che dalla terra ha tratto le dita che stanno lasciando queste righe, sperando che lo spirito insufflatomi da D-o, come ad ogni uomo, guidi le mie mani[12].

    Una conferma ulteriore, del fatto che la Bellezza biblica sia intrinsecamente legata alla musica, come sottolineato nel libro già citato, viene dalla conclusione dei Salmi, dove l’ebraico che rende il versetto 6 del salmo 150, cioè kôl hanneshamah[13] tehallel Yah, connette il musicale al teologico[14], in altre parole vi è la conferma dell’unità intrinseca esistente tra la musica e le Scritture, tanto che si può affermare come la musica sia l’esegesi esteticamente più conforme, al testo biblico, che si possa esprimere. Inoltre, che la musica sia biblicamente l’arte suprema e che conglobi anche le altre arti è confermato dal termine ebraico ‘amôn, un apax che descrive la Sapienza dimorante in D-o fin dall’inizio, Sapienza equiparata ad un architetto, la quale si rivelerà musicalmente nel Testamento Primo grazie a quell’uomo che nella sua doppia natura, umana e divina, è paragonabile all’unità musicale esistente tra il V° ed il VII° grado di una scala tonale, cioè tra la Dominante e la Sensibile. Un fatto intuito in qualche modo da Agostino, il quale, nel De Musica, identifica nella musica le stimmate dell’armonia della creazione (VI, 17, 56-58). In altre parole l’umanità sofferente di Gesù esprime un evento musicale irrinunciabile dell’armonia universale. Un’armonia che, in continuità, anzi in una straordinaria co-incidenza, con quanto rilevato affrontando il tema della bellezza nella Bibbia[15], vedrà proprio il fondamento etimologico del suo linguaggio, cioè la funzionalità, sovrapporsi alla quell’ordine funzionale di bellezza descritto nei primi versetti del libro della Genesi e rilevato in maniera inequivocabile dai commenti rabbinici più importanti. Resta dunque da comprendere se tale linguaggio sarà escatologicamente superato tramite un ritorno alle origini o se invece tale ritorno sia solamente una rinuncia a guardare il futuro. Evidentemente la prima risposta è quella che soddisfa maggiormente chi scrive queste righe, ma soprattutto è quanto emerge da un serio confronto tra le Scritture e la Musica che queste Ultime sorreggono.

    A questo punto anticipo dunque come anche questo lavoro, come quello inerente la Bellezza nelle Scritture, approderà a Gesù Cristo, non dimenticando però come la musica attraversi tutte le Scritture, infatti, persino Eliseo per profetizzare ebbe bisogno di un accompagnamento musicale (2 Re 3,15-16) e, non a caso, il termine chag, che in ebraico significa festa e che deriva dal verbo danzare ovvero chgg, esprime il culmine della gioia raggiunta dall’uomo biblico; quel culmine già toccato proprio argomentando riguardo all’estetica biblica. Che l’humus ebraico, relazionato alla musica abbia segnato in maniera profonda anche altri popoli è mostrato in maniera emblematica nella musica espressa negli spirituals nati dai popoli africani ridotti in schiavitù negli Stati Uniti[16]. Non a caso il termine ebraico che indica il lavoro indica anche la schiavitù, a dimostrazione di come la sofferenza vissuta da quegli uomini e quelle donne strappati e deportati dalla propria terra si sia caricata di quel lavoro custodendo nel contempo, grazie alla musica, la speranza fondata di una libertà raggiungibile nel regno dei cieli. Gli spirituals raccolgono dunque l’origine di schiavitù ebraica, ma giungono ai confini del superamento della melodia approdando all’armonia, approdando cioè alla rivelazione musicale del Testamento Primo; rivelazione che sarà oggetto costante delle pagine che seguiranno. Chiudo con la preghiera di non strumentalizzare quanto affermerò, riguardo alla musica rivelata nel cristianesimo, per derivarne una relativa superiorità nei confronti delle altri tradizioni musicali[17]. Comprendo che tale passo di tentazione è quasi inevitabile, così come quando si affermano superiorità relative nei confronti di bellezza, ad esempio tra le arti di civiltà differenti. In tal senso ho già cercato di comunicare come il bello non vada relativizzato, ma serva ad un dialogo di crescita e di reciproco rispetto, tale è anche la situazione di quella che considero come arte suprema ovvero la musica. Prego dunque il lettore di riconoscere, se crede, il fondamento del legame esistente tra la rivelazione biblica e la musica e azzardo, tra ogni rivelazione, sia essa buddhista, induista, islamica, ebrea o cristiana e la musica che in qualche modo produce; ricordando come la gara migliore per l’umanità sia il dialogo arricchente nel bello e non una corsa di pretesa superiorità da parte di uomini fatti di terra, come colui che sta scrivendo queste righe.

    INTRODUZIONE

    1 La fede musicale

    L’incontro con la musica è inevitabile per ogni uomo e per ogni società, persino un sordo percepisce le vibrazioni che i suoni producono e tale fatto estende esteticamente la percezione della musica riservata comunemente in maniera esclusiva al senso dell’udito. Che tale incontro si riveli decisivo e fondamentale per la storia dell’umanità è mostrato dalla stretta connessione esistente in tutti i miti conosciuti, presenti nelle civiltà antiche[18], tra la musica e le divinità. Basti pensare ai greci, ma ben prima di loro gli egiziani e soprattutto i cinesi, i quali avevano raggiunto un sistema quasi temperato con migliaia d’anni d’anticipo sull’intuizione europea. Non solo, ma la musica, in tali popoli, è stata associata all’origine dell’universo e tali cosmogonie sono diventate sia metafisica che filosofia pratica ovvero educazione. In tal senso sarebbe sufficiente citare due pensatori come Pitagora e Platone, ma ancora una volta non si possono dimenticare esperienze orientali come quella indiana; se, infatti, i greci sembrano essere l’origine di tutto lo scibile umano lo si deve soprattutto alla loro volontà di lasciare per iscritto le loro conoscenze, cosa che gli altri popoli citati non facevano. In particolare, per quanto riguarda la musica, i popoli orientali provano ripugnanza a scrivere la loro musica – salvo che per scopi mnemonici – o ad eseguire della musica scritta[19]. Tale fatto spiega una certa assolutizzazione nei confronti della grecità e di quanto ha prodotto in campo musicale, oltre che in altri luoghi culturali e di fede mediati come ad esempio le stesse Scritture. Quanto appena affermato motiva, in gran parte, il lavoro di questo libro, che vede le proprie pagine rivolte alla ricerca di una comprensione reciproca tra la musica e la Bibbia. Nel Primo Testamento la musica è esplicitamente espressa nei Salmi, con indicazioni riguardo all’esecuzione strumentale, ed anche nel Testamento Primo proprio il libro che lo chiude, l’Apocalisse, fa riferimento a strumenti come la tromba per indicare il tempo decisivo e definitivo per la storia dell’umanità. Tale annotazione rivela e rileva come le Scritture siano attraversate dalla musica e come il tempo decisivo per l’uomo sia il tempo della musica. Un tempo che si estende ad ogni fede e cultura esistente, tanto che le parole di Tagore: Dobbiamo stabilire un intimo e particolare rapporto tra noi e le cose della terra, suonando una nostra personale melodia[20], valgono per ogni uomo.

    Lo scopo delle pagine che seguiranno questa introduzione sarà però leggermente più preciso rispetto ad una generale analisi o elenco delle forme musicali principali esistenti, infatti, cercherò di far emergere come esista una differenza sostanziale, vorrei dire ontologica, tra la musica espressa dalla Bibbia, la quale trova il suo apice nel Testamento Primo, e le musiche antiche, le quali peraltro sono sostanzialmente relazionate alla musica ebraica. In tal senso proprio la musica permette una relazione di dialogo e verità tra tutte le fedi e le culture esistenti, arrivando persino a quelle considerate più primitive, come ad esempio la cultura musicale dei pigmei, i quali possiedono miracolosamente un’espressione polifonica, anche se tale polifonia, forse meglio definibile come un inizio di eterofonia, non è paragonabile a quella esistente nel mondo cristiano.

    Se mi affretto a scrivere queste pagine, pur non sapendo ancora se saranno edite e lette da qualche altro volto umano, è perché credo che il monito della rivelazione, cioè dell’Apocalisse, sia vero in ogni tempo e proprio il tempo della musica vada trovato quanto prima, prima cioè che giunga quel "mox per l’uomo che chiude ad ogni ulteriore ricerca e possibilità di vita nella verità. Credo così di interpretare ancora una volta le parole di Tagore, il quale disse: Dobbiamo arrivare presto a una decisione e intonare un canto che duri in eterno[21]. E continua: Accordiamo le corde della nostra vita a questa formula. Sia che mangiamo, sia che camminiamo, sia che riposiamo o sogniamo, facciamo risuonare di continuo questa frase: ‘Tu, o D-o, sei nostro padre!’. Tutti dovranno sapere che su questa terra esiste un Padre. Per questo motivo il D-o-Gesù è venuto nel mondo! E le corde della sua vita erano così ben accordate che, pur nei momenti più tragici e dolorosi, non hanno mai perso la loro armonia[22]. Queste ultime parole, dette da un uomo d’India, che certamente non si è mai professato confessionalmente cristiano, mi aiutano a far comprendere come la musica non sia un’arte per pochi, un superfluo di cui l’uomo comune o il povero non avverta il bisogno. La musica è il vero ossigeno per l’uomo, il quale non può digiunare da essa senza avvertire una sofferenza ben maggiore della fame prodotta dall’assenza di cibo. Anche in tal senso Tagore giunge in mio soccorso dicendo: Come non si può restringere la percezione della bellezza, limitandola ai soli sensi, così non si può considerare della stessa qualità la soddisfazione che deriva dal mangiare e quella che nasce dall’ascolto di un liuto, le cui vibrazioni sembrano non finire mai"[23].

    Oltre all’importanza universale della musica, che ho brevemente messo in evidenza nelle righe precedenti, è innegabile come la musica sia intrinsecamente legata sia alla filosofia sia alla teologia, legame rilevato in maniera inequivocabile da Tommaso d’Aquino, il quale giunse ad affermare che il musico dice l’inesprimibile del filosofo e del teologo. L’importanza teologica musicale, anch’essa già accennata precedentemente, si riverbera nelle liturgie sia ebraiche sia cristiane e tale compenetrazione è argomentata con estrema precisione in pagine sostanziose di libri ben costruiti[24]. Da tali pagine emerge l’importanza del Canto Gregoriano, così come dei modi musicali legati alla lettura dei libri del Primo Testamento. Lo stesso inchiostro inoltre precisa la presenza della musica strumentale nella Bibbia ed i pronunciamenti ecclesiali inerenti l’utilizzo della musica nella liturgia, oltreché il valore intrinseco della musica stessa, la quale, insieme ad altre arti, è vista come un’espressione umana di bellezza, mentre D-o solo è la bellezza increata[25]. Nelle medesime pagine, cui ho fatto riferimento, si analizza anche la differenza esistente tra l’arte umana e l’arte divina, differenza che parte ovviamente dal presupposto che la prima sia un’imitazione della seconda. Tale affermazione è vera, ma parziale, infatti, è grazie all’arte umana che è possibile intuire qualcosa di quella divina ed in tal senso gli artisti sono veri e propri profeti, ed alcuni di loro meriterebbero di salire all’onore degli altari. Tracciare una distinzione netta tra l’arte sacra e l’arte profana è d’altronde un’operazione quanto mai ardua, la quale è stata presuntuosamente fatta da coloro che hanno stilato documenti ecclesiali inerenti tale argomento, uomini che però hanno individuato solo parzialmente ciò che si può definire sacro in merito all’opera artistica, perché non hanno tenuto conto delle opere non confessionali, di quelle opere che non sono funzionali alla liturgia come il Canto Gregoriano, ma che hanno una tensione universale. A tal proposito rilevo un tentativo di apertura nelle parole di G. Ravasi[26], il quale individua la presenza biblica in opere profane, i cui autori vanno da J.S. Bach a Charpentier, da Haydn Stockausen, passando per Mozart. Eppure anche Ravasi limita in qualche modo la musica quando, nel confronto con altre origini religiose che vedono il loro inizio musicale coincidente col divino, ad esempio quella indiana, si appella giustamente alle Scritture, sottolineando come arte e scienza portino in sé una traccia inquinata, simboleggiata in maniera inequivocabile dall’origine delle arti nella discendenza di Caino, per la precisione in Lamek. Una sottolineatura che le Scritture esprimono quando vi è il confronto con le culture pagane, le quali utilizzano le arti a fini non biblici. Eppure, nel medesimo lavoro, Ravasi attraversa in maniera profonda, seppur sintetica, la bellezza della musica che affonda le sue radici nella Scrittura fino a ricavarne le stesse radici linguistiche ebraiche e greche. Partendo dalla Genesi fino all’Apocalisse, in un percorso che personalmente riconosco irrinunciabile, mette in evidenza la sinfonia non solo vocale, ma anche strumentale, ponendo le basi di quella che si è espressa ed è stata catalogata come musica classica. Ma, anche Ravasi si deve fermare di fronte al rischio di idolatria, di fronte a quel rischio in cui incorre chiunque si ponga di fronte al divino e ne cerchi l’essenza. Con questo lavoro riaffronto quel rischio e cerco di dare alcune ragioni nuove del legame esistente tra la musica e il divino, cercando tale legame nelle strutture della musica, nel suo stesso linguaggio. Un linguaggio che ha trovato i suoi massimi oratori nei compositori già citati, ma anche in altri. Un linguaggio che permette di abbattere quel muro tra sacro e profano che il protagonista dei vangeli ha chiaramente distrutto con la sua morte e la sua risurrezione e che ha anticipato a una donna samaritana quando le disse: Credi a me donna, che viene l’ora quando né in questo monte, né a Gerusalemme adorerete il Padre. Ma viene l’ora, ed è adesso, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità (Gv 4,21.23)[27]. Quell’ora è giunta da tempo, ma deve sempre giungere nuovamente, un’ora che compositori quali Beethoven e Mozart hanno fatto udire. Per tale motivo, in pagine inerenti la bellezza nella Bibbia[28] ho cercato di individuare la progressione sinfonica di Beethoven relazionata al percorso estetico dei vangeli sinottici, mentre per quanto concerne Mozart lascio il sostegno di quanto appena affermato alle parole di due teologi cristiani, che hanno avuto ed hanno tuttora, attraverso ciò che hanno lasciato scritto, un peso ben più grande del mio. Teologi che hanno confermato musicalmente l’intuizione di K. Rahner, il quale ben fece a mettere in evidenza l’esistenza dei cristiani anonimi, definizione poi completata dall’invito di un suo collega svizzero, che nominerò successivamente proprio in relazione a Mozart, il quale mise in guardia dal vivere come atei anonimi. Tale dialettica è applicabile a quella che viene comunemente individuata come arte sacra, così come è utilizzabile nei confronti dell’arte considerata profana. Le parole delle prossime righe, dedicate a Mozart, cercheranno di proprio di porre in evidenza come sia facile alzare muri tra arte sacra e profana che Gesù stesso ha compiutamente abbattuto con la sua vita.

    Karl Barth[29] non poté sottrarsi al confronto con la musica ed in particolare con Mozart, al quale dedicò alcuni scritti[30], tra questi ultimi il più pesante, quello che ha la forza di una pietra angolare è senz’altro costituito dalle pagine presenti nella Dogmatica Ecclesiale[31]; righe in cui il teologo tedesco riesce ad esprimere musicalmente la coerenza della Provvidenza. Espressioni che gli giungono direttamente dall’ascolto della musica del compositore austriaco che viene identificato spesso con la musica stessa. Per Barth Mozart ha udito la pace di D-o e l’ha tradotta in note, ha udito quanto ogni uomo potrà vedere solamente dopo la morte, ha udito quell’unità semplice, senza pieghe, che solo il regno di D-o e la sua bellezza incarnano. La musica di Mozart mette d’accordo e ripristina quell’unità tra i cristiani che secoli di riflessione teologica[32], insieme evidentemente ad un’etica conseguente, hanno di fatto diviso. Un esempio emblematico in tal senso giunge da un altro teologo, questa volta cattolico, uno di quei pensatori che non a caso hanno fatto del tema della bellezza e della musica il loro compagno di viaggio. Il nome di tale uomo è H.U. Von Balthasar, il quale dedica alcune righe esplicite[33] al compositore su cui non si è ancora posato un granello di polvere, a colui di cui scrive, in relazione alla sua musica, che la confessione del peccato si incontra nella confessione della grazia ed il timore di D-o nella fiduciosa speranza della redenzione. Von Balthasar non dedicò solo alcune righe della sua vita a Mozart, ma rifletté a fondo sul problema della musica e sulla relazione che quest’ultima ha con la teologia; non a caso il teologo svizzero era molto ferrato riguardo alla musica e rinunciò alla carriera musicale solamente per poter intraprendere quella teologica, anche se credo non si possa dubitare che alla fine trovò la musica proprio nella teologia e viceversa, pur giungendo alla seguente conclusione: "La musica è quella forma che ci avvicina di più allo spirito, il velo più sottile che ci separa da lui. Ma condivide essa pure il destino tragico di ogni arte: dover rimanere nostalgia, e, dunque, qualcosa di provvisorio. (…) Essa è un punto limite dell’umano, e a questo limite comincia il divino. La musica è un monumento eterno al fatto che gli uomini seppero presagire che cosa è D-o, il quale, eternamente semplice, vario e dinamico, fluisce in se stesso, e nel mondo come Logos[34]. Alle riflessioni di Barth e Von Balthasar aggiungo le righe di un testo dedicato al compositore salisburghese[35], righe che testimoniano come i significati più religiosi, una religiosità che nasce dall’indubbia fede cattolica di Mozart[36], emergano nelle sue opere più libere; quelle composte poco prima della morte. Tali opere recano il titolo di Ave Verum e Requiem e mentre per la prima è sufficiente riportare le parole di Karl Geiringer: Il brano è composto solo di quarantasei battute; raramente si è messo tanto fervore e bellezza classica in così poco spazio; per l’ultima opera di Mozart, quella che resterà incompiuta e completata successivamente da F.X. Süssmayer, le parole non possono che toccare il divorzio con la destinazione liturgica di tale musica[37], confermando come esista una sacralità musicale non riconosciuta di cui Mozart resta l’emblema insieme a Beethoven. Eppure, il 5 dicembre 1956, il Requiem trova finalmente l’inizio della sua collocazione sacra grazie all’esecuzione nella cattedrale viennese, un inizio che dimostra come in tale musica ci si avvicini al mistero divino. Dunque, oltre al teologo che sento a me più vicino come sensibilità, ovvero Von Balthasar, il quale è giunto all’intuizione della musica come presagio di D-o, altre parole si sono alzate per ricercare la sacralità anonima musicale; io invece, nelle pagine di questo libro, come già anticipato in precedenza, mi spingo oltre. Cercherò, infatti, di evidenziare non solo come la musica ci faccia intuire D-o, ma come essa stessa sia legata intrinsecamente alla rivelazione divina, tanto da mostrarne i medesimi movimenti e le stesse regole". Porrò l’attenzione sulla musica come teologia, cioè su come ogni sistema musicale, in particolare quello tonale, sia intrinsecamente legato all’humus teologico che lo ha sorretto. In altre parole farò emergere l’identità esistente tra il depositum fidei cristiano ed il sistema polifonico tonale, accennando anche ad alcuni altri legami inerente il rapporto tra altre musiche ed altre fedi, quali ad esempio quella indiana e quella araba. Un’identità che affonda le sue radici nelle Scritture, in quella musica detta esplicitamente, ad esempio nei Salmi, e rivelata in alcuni verbi ed in alcuni movimenti redazionali, quali ad esempio quelli contenuti nei racconti genealogici. Tutto ciò potrebbe apparire esoterico, cioè poco scientifico ed inventato, ma in realtà è solo la dimostrazione di quanto hanno inconsciamente espresso le musiche di compositori come Mozart e Beethoven ed i testi di teologi quali quelli cui ho fatto riferimento in precedenza. Oltre ai due giganti musicali cui ho appena fatto riferimento non va dimenticato J.S. Bach, il quale ha espresso coscientemente un inizio di quello che risulta essere il rapporto tra la musica scritta, nella sua notazione, ed il legame che questa può avere con le Scritture, tanto che in alcune composizioni legò il numero delle battute all’indicazione precisa del salmo che musicava o ad esempio alla totalità degli apostoli[38]. La ricerca bachiana ed il ruolo che ha svolto tale compositore come mediatore tra il sistema modale e quello definitivamente temperato, alla luce di quanto espliciterò in merito alla relazione intrinseca esistente tra le fede ed il sistema musicale di un popolo, pone Bach nella situazione di poter essere considerato un genio ecumenico[39]; mentre Mozart, ma prima di lui Haydn, è senz’altro un genio di ispirazione cattolica[40].

    Il percorso che seguirò metterà dunque in evidenza come la musica cristiana, cioè il sistema musicale che si è sviluppato nelle culture di matrice cristiana, in particolare europee, sia unico e derivi la propria originalità proprio dall’intrinseca connessione con le Scritture da cui proviene, in particolare dal vangelo quadriforme e dall’Apocalisse. In termini Plotiniani cercherò di rendere evidente, per quanto possibile, Nell’ambito dei suoni, le armonie nascoste producono le armonie manifeste e, per questa via, danno all’anima la possibilità di aver percezione del bello, mostrando il medesimo in altro[41]. Questo è il compito più elevato della musica cristiana, una musica che supera ontologicamente la musica greca ed il suo sistema di scale, un sistema che peraltro affonda le sue radici in culture precedenti come quella fenicia, la quale influenzò sostanzialmente la musica ebraica. Tale diversità e peculiarità cristiana si individua nel sistema tonale, il quale, esprime la rivelazione della Sensibile e della Controsensibile, in altre parole mostra due gradi e due note, rappresentate da due semitoni, che non erano presenti nella musica pentatonale che investe di fatto ogni cultura antica. Non è un caso se ancor oggi in Cina sia utilizzata la pentatonica e se a partire da Guido d’Arezzo, ma forse prima, nel mondo cristiano si sia diffuso il sistema di sovrapposizione per terze che ha portato alla triade ed alla conseguente armonia tonale, giungendo alle opere di quel compositore che da sempre sento vicino, quel Beethoven di cui Wagner scrisse: Soltanto il linguaggio musicale del Maestro però ha saputo esprimere l’indicibile (…)[42]. Evidentemente non potrò non dedicare qualche riga a Schönberg, il quale, forte delle sue origini ebraiche, ha aperto il sistema tonale fino a riportarlo ad una nuova antichità. Alcune pagine, come accennato in precedenza, saranno dedicate anche ad una breve analisi di altre musiche, come quella indiana ed araba, quest’ultima legata all’Islam ed alle culture con cui tale fede si è incontrata e a volte scontrata.

    Lo scopo di questo lavoro, oltre a quello appena descritto, è anche quello di contribuire alla comprensione di come la musica sia la vera parola dell’uomo, una parola cui ogni uomo dovrebbe dedicarsi, perché è il canto l’organo con cui l’uomo riesce a comunicare musicalmente, e quando quest’organo non è perfettamente educato manca all’uomo il suo vero linguaggio[43]. Un canto che non divide l’uomo dal suo prossimo, ma che anzi lo unisce, infatti, l’individualità risulta una manifestazione dell’unione dal momento che le note di un canto: per quanto ogni nota possa andare per proprio conto, non potrà però rifiutarlo del tutto, perché è unita a lui in maniera inseparabile. La stessa melodia ritorna di continuo a mostrare questa unione. Talvolta le note escono e si discostano dal tema fondamentale, danno l’impressione che il motivo musicale finisca col disperdersi o addirittura scompaia; ma si tratta solo di un gioco per ritornare poi subito, con rinnovata intensità, al tema principale[44]. Il problema risiede nella ricerca dell’armonia di tale canto esistenziale, un’armonia che necessita di una buona accordatura e, Una volta accordate bene le corde, e solo dopo aver eseguito nel modo più perfetto il canto essenziale, è finalmente possibile lasciar libere le note di giocare senza paure di stonature: così la relazione dell’Uno con i vari aspetti della società si potrà manifestare in tutte le sue forme[45]. Forme che trovano la loro unità nella bellezza che ha mostrato il kalós incarnato, non a caso tale unione è riconoscibile in tutta l’armonia dell’universo e le vesti della festa dell’unione sono sparse per tutto il cielo, a dimostrazione che l’intera bellezza presente nel mondo ha un solo significato: tanta preparazione, tanto splendore sono solo per unirsi a D-o[46].

    2 Il depositum fidei gerarchico della musica

    Le prime forme di polifonia di cui si ha una documentazione storica risalgono all’organum e al gymel. La prima vede la sovrapposizione di una quarta o di una quinta al canto, mentre la seconda consiste nella sovrapposizione al basso di una terza o di una sesta, una tecnica che darà vita al falsobordone mediante l’aggiunta di una terza voce. Pur essendo, come vedremo, l’armonia intrinsecamente legata alle rivelazioni teologiche cristiane, la sola intuizione esplicita teologica inerente la musica è la teologizzazione del tempo. Evidentemente mi riferisco alla struttura musicale e non ai sentimenti che questa può suscitare, soprattutto quando è legata esplicitamente ad un testo, in particolare cristiano. Infatti, in quest’ultimo caso è evidente il legame teologico esistente tra il testo e la musica, ma proprio il fatto che si riveli necessario l’apporto delle parole alle note evidenzia come non si fosse compresa l’intrinseca teologicità della musica. Come precisato l’intuizione teologico-musicale esistente, fino alle pagine che vado ad esporre, è legata al tempo ed al cosiddetto tempus perfectum che veniva individuato in quello che comunemente si indica come tempo composto, cioè un tempo ternario.

    I vertici della chiesa cristiana si sono espressi più volte riguardo alla musica presente nella liturgia, intuendone in tal senso l’importanza, pur non comprendendone, lo ribadisco, l’intrinseca teologicità. Affermo questo perché l’impostazione gerarchica nei confronti della musica è stata sempre fin troppo prudente per poi doversi arrendere ad una realtà che ha di fatto emarginato la sostanza della bellezza musicale che un coro o degli strumenti possono esprimere. Ma riguardo alla considerazione appena fatta sarà bene far seguire una sintesi dei pronunciamenti dei vertici ecclesiastici della chiesa in merito.

    Inizio tale percorso dalle parole di Giovanni XXII il quale, riprendendo il pensiero dell’aquinate, scrive nella Costituzione Pontificia del 1324-25 come le novità presenti nella musica del tempo influenzino negativamente gli ascoltatori, sottolineando in particolare la cattiveria delle bontà metriche introdotte contrarie a quel tempus perfectum cui accennavo in precedenza[47]. A ciò si aggiunga la considerazione sul canto della donna all’interno del coro ecclesiastico, canto femminile che viene categoricamente rifiutato. Un’ulteriore interessante precisazione riguarda la percezione musicale inerente il canto Gregoriano e la sua definizione, infatti, questi viene visto come Cantus nella sua accezione etica, cioè come dovere e non si sottolinea come tale canto non abbia senso se privato della sua estetica[48].

    La situazione appena descritta non poteva non far nascere una reazione, la quale ha di fatto dato vita alle chiese riformate protestanti, ancora una volta, infatti, se è vero che Lutero motivò con ragioni etiche le sue scelte, è altrettanto vero che quest’ultime vennero da un uomo che aveva ben compreso l’importanza della musica e ne aveva intuito la profonda teologicità. Mi ripeto riaffermando come non possano esistere ragioni etiche vere che non approdino e non vengano generate da ragioni estetiche, cioè da ragioni di bellezza, o meglio, dal paradosso della bellezza. E proprio la bellezza percepibile esteticamente nella musica ribadisce quanto ho rilevato e forse in qualche modo rivelato riguardo ai contenuti portanti delle Scritture.

    Lo stesso Lutero era ben formato musicalmente, tanto che veniva definito come Orfeo con tonaca e tonsura. In tal senso la posizione pastorale che aveva nei confronti della musica era conseguente, infatti, per tale uomo la musica era donum Dei, un dono, che le pagine di questo libro mostreranno essere in qualche modo D-o stesso. Per Lutero la musica ha varie funzioni che vanno da quella pedagogica a quella kerigmatico-catechetica e teologica, senza contare che ne rivela anche la funzione unificante, soprattutto quando si manifesta come coro. Per quanto concerne le posizioni cui ho appena accennato credo sia utile riportare le seguenti parole del fondatore del protestantesimo: Cantare è un’arte ed un esercizio nobile. Non ha nulla a che fare con gli affari del mondo, con la confusione del mercato o le rivalità della corte. Il cantante non teme il male, dimentica le sue preoccupazioni ed è felice… Ho sempre amato la musica. Preferirei essere ignorante in qualsiasi altro campo tranne che in quello musicale. Chiunque è ben preparato per la musica è preparato per la vita. Perciò è essenziale che venga insegnata nelle scuole. Un insegnante deve saper cantare o io non lo considero tale. Né dobbiamo ordinare dei giovani come preti se questi non hanno appreso ed esercitato, nel corso dei loro studi, l’arte del cantare[49]. Quanto appena espresso da Lutero e sottolineato dalle dita di chi scrive, potrebbe far pensare che personalmente aderisca alla riforma protestante considerandola più giusta rispetto al mondo cattolico, in realtà mi limito solamente a sottolineare come Lutero fosse un monaco ordinato sotto il cattolicesimo e sotto quella chiesa che ancora non era ulteriore divisa dalla nascita delle chiese riformate. In tal modo confermo ed esprimo proprio la coerenza di Lutero con la sua origine, cioè con quel patrimonio teologico che lo ha portato a comprendere come la musica fosse essa stessa teologia, anzi la teologia più elevata; tanto da non potervi rinunciare ed in tal senso non ho alcuna difficoltà a prendere posizione insieme a lui ed a fare mie le sue parole. Parole che definiscono la musica come una preziosa ancilla theologiae, paragonandola in tal senso a ciò che significava la filosofia per Tomaso d’Aquino, anche se personalmente considero la musica superiore alla filosofia stessa, perché la musica unisce, mentre la filosofia troppo spesso ha diviso e continua a dividere. Evidentemente la considerazione appena fatta è parziale, in quanto anche la musica potrebbe essere percepita come un elemento di divisione, tanto che esistono musiche orientali inascoltabili per l’orecchio occidentale e viceversa. A tale critica, da me ora anticipata, risponderò con le argomentazioni che faranno emergere il legame intrinseco esistente non solo tra la musica armonico-tonale e la fede cristiana, ma anche tra le altre maggiori strutture musicali esistenti e gli ambiti religiosi di riferimento.

    Dopo Lutero[50], o meglio, durante il suo dispiegarsi, si è pronunciato il Concilio di Trento, il quale non si è speso molto sulla musica, riprendendo le critiche espresse in precedenza dal Concilio di Basilea svoltosi nel 1435. Di fatto, il Concilio di Trento, non si pose il problema di uno specifico cristiano nella musica cultuale[51], comunque durante l’assise si fece sia del canto Gregoriano sia della polifonia, ed il musicista che diede il contributo musicale più massiccio e più importante fu di Jacobus de Kerle, il quale compose delle Preces speciales. Al periodo vissuto dal Concilio di Trento risale anche l’episodio in cui papa Marcello II, che visse solamente 21 giorni di pontificato, si sdegnò nei confronti dei cantori il venerdì santo. In sintesi si può affermare che in ogni caso il Concilio di Trento diede impulso ad una riflessione musicale gerarchica, tanto che furono numerosi i concili ed i sinodi locali in cui il tema della musica venne affrontato; il problema è che la prospettiva di tali riunioni fu improntata alla ricerca dell’eliminazione di ciò che confonde nella musica e non alla ricerca della fondatezza teologico-strutturale della musica stessa.

    Il percorso sin qui visto approda ad un editto emanato dal cardinale vicario Costantino Patrizi, il quale il 16 agosto del 1842 ordinò l’esecuzione esclusiva di musica a cappella, prescrivendo la richiesta di una licenza particolare per l’uso degli strumenti nella liturgia. Dopo tale editto si giunge finalmente al primo regolamento inerente la musica sacra redatto sotto Leone XIII nel 1881. In tale testo vengono precisate le fonti da cui attingere per la composizione dei mottetti, i quali devono essere estratti o dalle Scritture o dalla penna dell’aquinate o da qualche altro santo; inoltre, i testi biblici, non possono essere spezzettati o omessi in parte. Per quanto concerne gli strumenti viene concesso l’uso dell’organo, ma questi dev’essere in funzione del canto e deve sostenere quest’ultimo. Gli altri strumenti invece vengono limitati ai fiati, quest’ultimi usati con moderazione e riconosciuti possibili in quanto presenti nei testi del Testamento Primo e del Primo Testamento; mentre quelli troppo fragorosi, tra cui vengono compresi anche il clavicembalo ed il pianoforte, vengono banditi. Un passo in avanti, in una direzione di apertura musicale, viene fatto col secondo regolamento, emanato dalla S. Congregazione dei Riti il 21 luglio del 1894, il quale, oltre a sottolineare l’importanza del canto Gregoriano e della polifonia alla maniera del Palestrina, permette altri generi di canto, sottolineo l’uso del verbo permettere, perché viene precisata la non approvazione di altri canti, ma solo la tolleranza. Tale apertura investe anche il mondo strumentale, infatti, accanto all’organo vengono permessi anche altri strumenti se usati con perizia.

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