Ci hanno detto: Pensare la tradizione
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La tradizione è come un messaggio che viaggia fra le generazioni.
In questo modo la tradizione è una continuità fra noi, coloro che ci precedono e coloro che ci seguiranno. Questo è un meccanismo biologico ma esistono anche tradizioni spirituali che sono altrettanto, forse più, importanti. In questo senso siamo tutti “tradizionali”, cioè non possiamo prescindere dall’essere immersi in un fluire vivo di questa corrente che passa attraverso di noi ma che non inizia e non finirà con noi. Quindi, essere contro la tradizione è innaturale, è andare contro quello che noi siamo e quello che ci forma in senso quasi archetipo.
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Anteprima del libro
Ci hanno detto - Aurelio Porfiri
Introduzione: cos'è la tradizione?
Cosa vuol dire la parola tradizione
Spesso sentiamo parlare della tradizione e non sempre riusciamo a spiegare che cosa questa parola significa, perché essa può essere usata in tanti contesti che sono tra loro veramente diversi in importanza e peso. Ad esempio la tradizione di fare il presepe non è la stessa cosa dell’idea di tradizione nella Chiesa cattolica, che naturalmente prende un significato molto più profondo ed importante. Quello che c’è in comune è questa idea di tramandare, l’idea che noi siamo l’anello di una continuità. Questo ci è evidente se solo riflettiamo sulla nostra famiglia, che ci dà una immagine viva della tradizione. Noi veniamo dai nostri padri e diamo vita ai nostri figli. Questa idea di continuità è importante, non solo a livello personale, ma anche a livello sociale. La tradizione non ci impedisce di progredire, anzi essa è garante di ogni progresso che può esistere soltanto quando prima di fare un passo avanti si poggia bene il piede dietro. Poggiare bene il piede posteriore garantisce che il passo sia corretto.
La tradizione è come un messaggio che viaggia fra le generazioni.
In questo modo la tradizione è una continuità fra noi, coloro che ci precedono e coloro che ci seguiranno. Questo è un meccanismo biologico ma esistono anche tradizioni spirituali che sono altrettanto, forse più, importanti. In questo senso siamo tutti tradizionali
, cioè non possiamo prescindere dall’essere immersi in un fluire vivo di questa corrente che passa attraverso di noi ma che non inizia e non finirà con noi. Quindi, essere contro la tradizione è innaturale, è andare contro quello che noi siamo e quello che ci forma in senso quasi archetipo.
Come ho detto, ci sono tradizioni e tradizioni, non tutte hanno la stessa importanza e lo stesso peso. Ovviamente il mondo del cosiddetto tradizionalismo
non si preoccupa di difendere la tradizione dell’albero di natale, ma guarda a cose molto più importanti. Quello che dobbiamo capire è che guardare a questo mondo ci aiuta a capire cosa perdiamo quando non guardiamo alla tradizione con il dovuto rispetto e con la dovuta riverenza. Certamente non bisogna prendere tutto il tradizionalismo come se esso sia esente da pecche. Ci sono esaltati nel mondo tradizionalista come altrove. Eppure c’è anche molto di buono, che non va perso perché alcuni non sono all’altezza della grandezza dei propri ideali.
Del resto, cosa abbiamo avuto in questi decenni di disprezzo per l’idea di tradizione? Un abbassamento di tutti gli standard teologici, artistici, disciplinari. La tradizione è un porto sicuro ma comporta responsabilità e non dobbiamo vederla come una cosa arida e fissa. Essa evolve ma non in avanti, in profondità.
Il rispetto per le parole è un valore importante da difendere e diffondere. Noi potremmo capire molto meglio le questioni se ci affidassimo all’etimologia che ci offre una prospettiva sempre importante per inquadrarci in un dato contesto. Per la nostra parola tradizione
, il significato è quello di tramandare
. Ma c’è un legame fortissimo fra tradere e tradire. Anche quest’ultima parola denota un consegnare qualcosa, cioè qualcosa o qualcuno che invece si doveva vigilare. Quindi fra tradizione e tradimento sembra esistere un legame funesto, cioè il tradimento è la perversione della tradizione ed è il suo lato oscuro. L’agire tradizionale, a tutti i livelli, è consegna di un deposito prezioso (spirituale, familiare, culturale) tra le generazioni, ma questo deposito, laddove può essere modificato, non deve certo essere tradito.
Bisogna essere consapevoli del legame che esiste fra tradizione e tradimento e che essi a volte sono avviluppati ai due lati di una stessa radice verbale, un po’ come in Friederich Nietzsche sono Apollo e Dioniso ne La nascita della tragedia.
Questo ci richiama alla riflessione fatta da Divo Barsotti in Sospesi fra due abissi, una riflessione sulla libertà: La libertà! Che cos'è la libertà? È il potere che ha l'uomo di determinarsi, di scegliere, di fare se stesso, di crearsi. Potere che suppone, però, naturalmente, sia l'abisso del nulla dal quale l'uomo è stato tratto da Dio, sia l'abisso del tutto che lo chiama: Dio stesso lo trae. Per dirla in altre parole: è un potere di scelta. Ma fra che cosa? Fra due abissi. L'uomo inevitabilmente, come qualsiasi altra creatura, si trova sospeso fra questi due abissi. Da una parte l'abisso del nulla: l'uomo è un essere contingente, non ha in sé la ragione di essere, di sussistere, pertanto, di per sé, tende al nulla, all'abisso spaventoso del nulla. D’altra parte, benché non abbia in sé la ragione di essere, tuttavia è, ed è perché Dio nella Sua volontà onnipotente l'ha tratto dal nulla, gli ha dato l'essere. Ora, essendo Dio che l'ha tratto dal nulla, Dio anche lo chiama. L'atto della creazione è un atto onde l'uomo risponde alla volontà onnipotente divina, ed è, dunque, l'abisso di Dio che chiama l'uomo. Il potere dell'uomo è di determinarsi in un modo o nell'altro. L'uomo si trova sempre di fronte a questa scelta, in tutte le cose. Voi credete di scegliere fra i fagiolini lessi e le patatine fritte? No, scegli Dio o il nulla. Nel cap. 30 del Deuteronomio Israele si trova di fronte a una scelta: la vita o la morte, non c'è altro. Un vero atto umano pone sempre l'uomo di fronte a questa duplice scelta; non c'è la scelta di cose intermedie, perché nelle cose intermedie c'è sempre il segno e del nulla in cui precipiti e del tutto che ti chiama. Non c'è altra scelta. Puoi scegliere immediatamente un amante: nello scegliere un amante scegli il nulla, precipiti verso il nulla. Puoi scegliere lo studio della matematica: se in questo studio della matematica è il segno di una vocazione divina scegli Dio. Tu non lo sai, forse lì per lì non te ne accorgi, non hai la percezione viva e presente della grandezza della scelta, ma in ogni atto libero umano sempre si gioca questa scelta suprema: Dio o il nulla, il nulla o Dio
. Ecco, questo ci viene utile quando parliamo di tradizione e tradimento, da una parte il tutto della tradizione e dall’altra il nulla del tradimento, il rinnegare sè stessi per consegnare quello che si doveva custodire nelle mani del nemico. Sta a noi la scelta, soltanto a noi.
La tradizione? Non è un peso
La tradizione non è un peso da sopportare ma un tesoro da custodire. Essa non ci limita ma ci delimita, che è cosa ancora più importante. Essa cioè ci dice quali sono i confini leciti del nostro agire perché attinge ad una sapienza più grande. In essa noi troviamo un alveo protetto e non siamo lasciati senza difesa nella foresta. È importante capire che la tradizione non è un peso e che esiste una differenza importante fra tradizione e tradizionalismo. Il tradizionalismo è adesione alla tradizione, a volte sana, a volte meno. Se esso diviene una sorta di ideologia certamente tradisce lo scopo per cui uno si definisce tradizionalista.
Lo storico Francesco Saverio Venuto così ricostruisce per noi la genesi del tradizionalismo cattolico: Il tradizionalismo rappresenta un complesso e composito fenomeno storico di carattere filosofico, politico, e teologico. Apparso in Francia all’inizio del XIX secolo e poi diffusosi nel resto dell’Europa come reazione ai
dogmi della Rivoluzione francese, esso è stato innanzitutto una teoria filosofica con conseguenze politiche e, in seguito, anche una tesi teologica. J. De Maistre (1754-1821), L. de Bonald (1754-1820) e F. de Lamennais, suoi principali sostenitori, intesero condannare, pur con differenti sfumature di contenuto, le idee fondamentali dell’Illuminismo (razionalismo, individualismo, scetticismo) ritenute la fonte ispiratrice del movimento rivoluzionario francese. Secondo tali pensatori, soltanto la
restaurazione" della religione cattolica, unitamente alla proclamazione dell’infallibilità pontificia in senso massimalista (ultramontanismo), dell’istituzione monarchica secondo l’ Ancien ré gime e della loro reciproca autorità, avrebbe potuto garantire la costituzione di una giusta
società, pienamente adeguata alla verità metafisica
. Questa non si manifesta come un’evidenza raggiunta con la sforzo di un’impotente ragione individuale, quanto piuttosto come un’autorità da accogliere per tradizione
(secondo il senso letterale del termine latino tradere), ovvero come una primitiva
rivelazione da parte di Dio verso l’uomo, trasmessa per senso comune attraverso i secoli alla società degli uomini (ragione collettiva). Al teatino napoletano Gioacchino Ventura ( De methodo philosophandi, 1828) si deve la divulgazione e l’interpretazione in Italia di questa scuola
di pensiero francese e, in particolare, delle tesi di F. de Lamennais, che ebbero soprattutto il merito di offrire una voce più persuasiva a posizioni filosofiche similari e già presenti in ambito italiano, piuttosto che influenzarle" ( storiadellachiesa.it ). Questa ricostruzione è abbastanza accurata ma come tutte le incursioni nella storia rischia di perdere di vista un fattore importante dello sviluppo nella storia stessa e cioè che alcuni eventi particolarmente significativi non sono una esplosione a sè stante, ma semplicemente sono il punto di espressione massimo di un fenomeno già cominciato in precedenza. È come per le malattie, spesso le manifestazioni sensibili delle stesse non sono che estrinsecazioni di malesseri che covavano da tempo. Certo che la rivoluzione francese sarà un momento importante, così come il movimento illuminista. Su questo vale la pena riflettere di più.
Chi vuole vivere secondo la sana tradizione deve guardare con sana diffidenza la rivoluzione. Questo perché la rivoluzione è Dioniso mentre la tradizione è Apollo. La tradizione è richiamo all’ordine mentre la rivoluzione invoca il disordine, un disordine a volte necessario ma mai veramente benvenuto. Esistono rivoluzioni conservatrici che riescono ad unire la rivoluzione con valori quasi tradizionali, ma solitamente tradizione e rivoluzione non sono amici.
La tradizione è sforzo e lavorio, è fatica, non un peso insopportabile, è come Enea che porta il padre Anchise sulle spalle il quale conservava le ceneri degli antenati. Noi che amiamo la tradizione siamo tutti tedofori, portatori di fiaccola. Eppure dobbiamo sempre vigilare che la fiaccola rimanga accesa e che concentrati nella nostra corsa non dovessimo realizzare che il fuoco si era spento.
La rivoluzione e la tradizione
Le rivoluzioni sono spesso l’obiettivo critico preferito di coloro che si professano tradizionalisti. Non devo ripetere troppo le frasi di Joseph de Maistre, che vedeva nella controrivoluzione non una rivoluzione al contrario, ma il contrario della rivoluzione. Eppure queste controrivoluzioni non dovrebbero avere in sé sentimenti di odio, come pensava Nikolay Berdjaev qui citato in un articolo su alleanzacattolica.org nel 2017: Ancora più di ieri, in questa situazione venutasi a creare dopo il 1989, è necessario fare tesoro delle parole del filosofo russo, che non riguardano soltanto la Russia dopo la fine dell’Urss nel 1991: «È impossibile costruire la vita su un sentimento negativo, su un sentimento di odio, di rabbia e di vendetta. È impossibile salvare la Russia con sentimenti negativi. La Rivoluzione ha appena avvelenato la Russia di rabbia e l’ha ubriacata di sangue. Che ne sarà della povera Russia se la controrivoluzione l’avvelenerá con nuova rabbia e l’ubriacherá con nuovo sangue? (…) Il nostro amore deve sempre avere la meglio sul nostro odio. Dobbiamo amare la Russia e il popolo russo più di quanto odiamo la Rivoluzione e i bolscevichi. (…) La Rivoluzione russa è stata scatenata da sentimenti negativi, è stata opera dell’odio. Se sentimenti negativi di uguale forza venissero diretti contro di lei, se la lotta contro la rivoluzione si trasformasse in furore, si proseguirebbe in un’opera di distruzione. (…) In realtà, il più grande problema che si pone davanti alla Russia, come davanti al mondo intero, è di trovare una via d’uscita dal cerchio sanguinoso delle rivoluzioni e delle reazioni, per accedere a un nuovo ordine sociale» (pp. 118-119)
. Certo il concetto di rivoluzione avrà un posto importante nella riflessione del tradizionalismo non solo cattolico. D’altronde le rivoluzioni sono totalitarie, come ci dice un rivoluzionario doc come Louis de Saint-Just: Coloro che fanno una rivoluzione a metà non hanno fatto altro che scavarsi una tomba
. Lo stesso leader cinese Mao avvertiva che la rivoluzione non è un pranzo di gala. Ecco perché il tradizionalismo non può che avere il furore rivoluzionario come nemico principale. Abbiamo avuto questo nella Chiesa cattolica, pensiamo alla liturgia, alla teologia, alla disciplina. Se si vuole comprendere il tradizionalismo, esso va sempre inteso con sullo sfondo il concetto di rivoluzione, esso è una risposta ad un movimento rivoluzionario. È quindi, anche se non in modo palese, intrinsicamente controrivoluzionario e da questo concetto si dipana la sua incessante lotta.
***
Abbiamo visto in precedenza come il concetto di tradizione si oppone a quello di rivoluzione. Eppure alcuni parlano di un movimento chiamato rivoluzione conservatrice
, che fu particolarmente attivo nella Germania pre nazista. Cosa è la rivoluzione conservatrice? Uno dei maggiori conoscitori di questo fenomeno, Marcello Veneziani, nel suo libro del 2012 La rivoluzione conservatrice in Italia, così spiega: Il rivoluzionario conservatore, a differenza del reazionario, del tradizionalista e del conservatore puro, non esprime il rifiuto della modernità, ma vive fino in fondo la rottura tra passato e presente; egli non mira a difendere il passato assestandosi tra i suoi residui e le sue vestigia, né cerca di
ricomporre l’infranto secondo un’efficace espressione di Walter Benjamin. Egli intende piuttosto rinvenire i valori tradizionali nell’avvenire, ridare origine attraverso un nuovo ciclo, analogico rispetto al passato ma pur sempre nuovo nelle forme e nei problemi che investe. Il rivoluzionario conservatore si rende conto di vivere in uno scenario mutato e davanti a temi inediti ed esigenze inesplorate nel passato; così come, dall’altra parte, è consapevole che nessuna rivoluzione può sperare di insediarsi sul radicalmente diverso, sulla novità assoluta, perché non avrebbe un terreno su cui poggiare, una lingua con cui trasmettere, una legittimità da invocare
. A me sembra che questo concetto,