Il mio allegro funerale
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Info su questo ebook
Ne nasce l’impulso per un originale racconto in cui quattro sconosciuti s’incontrano, ne scaturirà un legame particolare e forte.
In un paesino vicino a L’Aquila, la nebbia avvolge tutto, il mondo sembra rimasto fuori da un’osteria in cui le vite di Alberto, Paolo, Paola e Vittorio si intrecciano.
Una cena, del buon vino, l’atmosfera magica e ovattata.
Ed ecco l’occasione per scavarsi dentro e mettersi a nudo e magari dare una direzione diversa alla propria esistenza, per qualcuno, o per proseguire la strada intrapresa tanti anni prima.
Antonio Di Biase è nato nel 1946 a L’Aquila. Vive a Novara.
Laureato in Fisica, si è specializzato in Informatica, ambito in cui poi ha lavorato.
Appassionato di calcio, ha praticato questo sport a livello agonistico e poi è diventato allenatore.
Questa esperienza lo ha portato a scrivere due libri: Analisi delle Situazioni di Gioco (2004) e Palla “al Centro” (2012), editi da “Edizioni Nuova Prhomos”.
Ora si è cimentato in un libro di narrativa dal contenuto in parte autobiografico.
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Anteprima del libro
Il mio allegro funerale - Antonio Di Biase
felicità".
Il mio triste funerale
… non capisco dove mi trovo, faccio capriole nell’aria, vado a testa in giù, poi in su e poi ancora giravolte e… c’è tanta luce celeste ed un silenzio armonioso attorno a me.
Ma in che mondo sono? Sulla terra? Sinceramente una cosa del genere non mi è mai capitata. Però mi piace librarmi nel vuoto, come essere sopra un aquilone spinto dal vento.
Sarà giunto il tempo di andare a curiosare cosa c’è dopo
? Ma esiste un dopo?
Sono una persona estremamente razionale, questo anche a causa del mio lavoro di informatico e per questo non ho mai immaginato un’altra vita dopo la morte.
C’è chi crede ancora nei miracoli. Io no perché qualsiasi evento, che altri chiamano un miracolo, per me ha sempre una spiegazione scientifica e razionale.
Non mi convince neanche la credenza cristiana, che manda i buoni in paradiso, dove godono di uno stato di eterna beatitudine, mentre i malvagi, all’inferno, sono sottoposti a supplizi indicibili.
Perché nella mia vita terrena non ho mai visto segnali che potessero ipotizzare un’equità in una vita ultraterrena.
Piuttosto ho visto troppe ingiustizie. La povera gente rimanere povera, i ricchi continuare ad essere ricchi, i potenti dominare il mondo incuranti di chi soffre, le disgrazie accadere a chi già ne aveva avute tante, malattie incurabili ai poveri bambini che non si rendono neanche conto di cosa sta accadendo e tante e tante altre cose ingiustificabili.
Per me dopo la morte c’è un mucchio di cenere buttata al vento oppure una naturale decomposizione.
Ho sempre invidiato chi ha il privilegio di credere che, terminata la tortuosa vita terrena, per i buoni si aprono le porte verso un lungo viale fiorito, un amico cielo stellato, montagne con mille colori e musiche celestiali.
Mentre per i cattivi c’è l’inferno, luogo di punizione e disperazione.
Però, nell’assistere a tutto ciò che mi sta accadendo, un barlume di speranza mi coinvolge, mi intriga, ma insomma allora c’è un dopo? Una nuova vita n + 1
?
Quasi quasi mi vien voglia di dire di sì. Si muore ma… non si muore, o meglio si rinasce? E dove si rinasce? Sul pianeta Terra oppure in uno dei tanti miliardi di pianeti che sono nell’universo?
Perché non mi vorrete far credere che tra tante palle
in movimento nel cosmo ci sia solo la nostra abitata?
Si può quindi vivere una meravigliosa vita n + 1
se nella vita n
ti sei comportato bene, altrimenti la tua vita n + 1
sarà sempre più triste?
E cosa accadrà dopo tante e tante altre vite? Ci sarà una fine? E dopo la fine cosa ci sarà ancora? Il nulla? E dopo il nulla?
Questo è un bel mistero!
Intanto sono qui beatamente sospeso e assisto ancora a quello che succede nella vita terrena.
Mi piace!
Ma vediamo, vediamo! Guardali, lì, tutti sotto di me: si abbracciano affranti, piangono intensamente, come io ho pianto per la scomparsa dei miei cari ed in particolare di mio fratello.
E il mio amore infinito? Quella meravigliosa creatura che ho sempre adorato, da quando i nostri cuori si sono uniti in uno solo, che ha dato un senso e gioia alla mia vita, dov’è?
Lì, in un angoletto della maestosa chiesa, piange, piange, proprio non sa darsi pace! Le è stata strappata una parte del suo corpo, è rimasta sola con i ricordi e non sa cosa ne sarà di lei.
Sono tutti vestiti di nero, che disperazione!
Eccoli lì i rappresentanti delle squadre di calcio che ho allenato, i giocatori piccoli, grandi, i bravi e i meno bravi in assoluto silenzio! Avrò lasciato qualcosa di me nei loro pensieri?
Però a questo punto mi arrabbio. Mi metto ad urlare più forte che posso per farmi sentire, ma so già che non mi sentiranno.
«Ma cosa fate? Cos’è questa tristezza? E le lacrime? Mannaggia, ma non vi avevo detto che al mio funerale volevo una grande banda? I suonatori col pennacchio rosso sul cappello, fuochi d’artificio, balli, pranzi e sorrisi proprio per festeggiare la mia vita felice
?».
Si può avere una vita migliore di quella che ho vissuto? Non so, molto probabilmente sì, ma sono sempre stato grato ai miei genitori di avermi regalato l’opportunità di vivere una vita straordinaria.
Tra le tante, ho anche avuto la fortuna di riuscire a vedere e sentire tutte le bellezze che abbiamo attorno a noi, per esempio: il sole che si tuffa in mare in una sera d’estate, il soffio del vento che accarezza un campo di grano, i molteplici colori che si muovono attorno a noi, il sorriso di chi ha bisogno e ti ringrazia, il pianto di un bambino che nasce, le note di un piano stonato, le rondini che tornano a primavera e…
Ricordo quando dicevo al mio amico Renzo (non riusciva a sorridere nemmeno se lo pagavo) di fermarsi a cogliere la magnificenza del nostro mondo, diceva che tutto questo a lui non interessava, ripeteva che ero un sognatore e avevo la testa tra le nuvole!
Lui, un pessimista nato, si lasciava trascinare dalla velocità di tutto ciò che aveva attorno, senza fermarsi a riflettere, ad ammirare e godere delle bellezze che aveva davanti.
C’è gente che celebra il proprio compleanno, cioè un avanzamento della vita verso la fine, senza sapere apprezzare tutto quello che la vita gli ha regalato ed io non posso nemmeno festeggiare la mia fine dopo che mi sono stati donati così tanti anni di felicità? No, questo non lo accetto!
Anita, un addio così triste proprio non me lo dovevi fare!
Però tu, caro nipotino, se mi chiedessi ancora una volta, come quando eri piccolo nonno sei felice?
, io ti risponderei sempre di sì anche se mi aspettavo un funerale completamente diverso!
Non mi piace quello che sto vedendo del mio funerale, ma in attesa di capire cosa ne sarà di me, dopo questo misterioso periodo di passaggio, non voglio farmi rattristare da quello che vedo ancora laggiù.
Ho vissuto bellissimi momenti con tante delle persone che ora mi stanno piangendo. Possibile che non se ne ricordino e si sentano così tristi!
Vicino ad Anita ho visto Paola e Paolo con i loro due figli. Sono di colore, li hanno adottati in Kenya.
Oh mio Dio! In un flash me li rivedo tutti e due in quell’incontro a Pizzoli.
Il ricordo è un po’ nebuloso, sono passati tanti anni, ma… torna tutto chiaro come se lo stessi rivivendo momento per momento.
Riconosco facce, persone, luoghi e fatti.
Vacanze all’Aquila
Con mia moglie Anita, abbiamo sempre scelto delle vacanze semplici: luoghi conosciuti dove sentirci completamente a nostro agio. La villeggiatura era un motivo per stare ancora più insieme del solito, noi due soli con il nostro amore.
È così che, ogni tanto, andavamo a fare una vacanza nella mia bella L’Aquila. A me piaceva tanto tornare nella città natale, rivedere e rivivere, almeno per pochi giorni, i cari amici dell’infanzia per raccontarsi ancora tutte le belle giornate che da ragazzini passavamo a giocare per la strada.
Eravamo un po’ vecchietti, il solito mal di schiena, qualche dente in meno e una memoria che vacillava, però, quando ci ritrovavamo, lo spirito era ancora quello di allora e il desiderio di far casino davanti a un buon bicchiere di vino rimaneva.
Che bello girare ancora per L’Aquila: dietro quell’angolo la fontanella dove mi attaccavo
per bere quell’acqua pura e fredda (certamente molto ma molto più buona di quella che si beve imbottigliata nelle dannose bottiglie di plastica chissà da quanti giorni); sulla salita di Brigida non c’era più il negozietto dove si acquistava un po’ di tutto ed anche le caramelle gommose che a me piacevano tanto.
I grandi supermercati li avevano fatti fuori i piccoli negozi, come una balena inghiotte in un solo boccone un banco di impotenti pesciolini.
Ma il quartiere della Banca D’Italia, dove io abitavo, era ancora lì intatto, solo qualche segno dell’invecchiamento e i danni del terribile terremoto del 2009.
Era lì anche il maestoso castello cinquecentesco, Museo Nazionale d’Abruzzo. Oltre le tante preziose opere d’arte contenute c’era anche lo scheletro del Mammut ritrovato nel 1954 a Scoppito, un paesino vicino a L’Aquila.
Ricordo benissimo che papà portava me e i fratelli a vedere l’estrazione dalla terra dell’imponente animale. Lavoravano con minuscoli cucchiaini e strani strumenti per cercare di rendere l’operazione meno dannosa possibile. Poi ci fu la ricostruzione minuziosa del maestoso animale in un’enorme sala del castello. Avevo appena otto anni e quella ricostruzione l’ho seguita con stupore per tutto ciò che erano riusciti ad ottenere da un mucchio di ossa grandi e piccole.
Ogni volta, con Anita, andavamo a rivedere la spettacolare fontana delle novantanove cannelle che gettano acqua notte e giorno dagli altrettanti mascheroni che avrebbero dovuto rappresentare simbolicamente tutti i signori dei castelli.
Tornavamo, doverosamente, alla Basilica di San Bernardino da Siena perché lì era ben custodita la processione del Cristo Morto che percorre le vie del centro della città ogni Venerdì santo.
Buona parte dei Simulacri e i Simboli processionali sono stati realizzati da mio nonno e da suo figlio Remo Brindisi, noto artista dell’arte figurativa moderna di fama internazionale.
Da ragazzino andavo spesso nella loro casa in via Garibaldi a vedere zio disegnare i vari elementi che componevano la processione e nonno, aiutato da suo figlio, scolpire con taglienti sgorbie il legno da cui piano piano venivano fuori le maestose figure, a dimensione umana, del Cristo Morto, della madonna e dell’angelo.
Quante immagini indelebili: angoli misteriosi, stradine piene di neve, il campetto in terra dove giocavamo a pallone, ripide salite e discese per arrivare in centro e i portici dove la sera si andava a strusciare le scarpe su e giù con i compagni per conquistare qualche sguardo dalle giovani ragazze.
Tutti questi ricordi li tengo per me, ancora nel cuore come fossero accaduti ieri.
Alcuni giorni a Pizzoli
Non poteva mancare una vacanza di qualche giorno a Pizzoli, un paesino vicino a L’Aquila, a trovare il mio amico Leo.
Aveva una piccola osteria situata nell’angolo di uno dei quattro cantoni al centro del paese. Lì si trovavano la sera i vecchietti
per bere un bicchiere di vino rosso, allungato con la gassosa e per una partita a briscola chiamata; quattro chiacchiere sul passato e infervorati commenti talvolta animati.
Quegli incontri serali, ormai inevitabili abitudini, erano la conclusione di giornate passate a coltivare l’orto di casa, forse più prezioso della cara moglie, ad andare a pesca di qualche trota nel fiume lì vicino (io che amo gli animali speravo sempre nel fallimento di questa operazione). Poi qualche lavoretto nel garage di casa per riparare oggetti rotti, insomma bisognava pur far passare la giornata!
Ma quella sera a Pizzoli accadde qualcosa di veramente strano e inusuale per quella stagione e quel paese. Nel buio più profondo scese una fitta nebbia in tutta la zona come ad impacchettarla e nasconderla misteriosamente dal resto del mondo.
Pizzoli e null’altro.
Vado o non vado all’osteria di Leo? Io, tenace come sempre, non volevo rinunciare alla mia consueta serata con gli amici. E allora, nella speranza che anche loro facessero la mia stessa scelta, via, presi la vecchia bicicletta e con il mio consueto amico fischio mi avviai verso l’osteria.
Pur conoscendo bene le stradine del paese, feci molta fatica a trovare la meta e, dopo qualche giro a vuoto su e giù dalla bicicletta, riuscii ad arrivare a destinazione.
Che delusione vedere Leo appisolato su una vecchia sedia di legno e paglia, dorme? Solo una lampada accesa, oltre che non vedere fuori quasi non ci vedevo nemmeno dentro, e i miei amici?
Nulla, probabilmente spaventati più dall’atmosfera misteriosa di quella strana sera (dove per la strada quasi non si vedevano nemmeno i lampioni accesi e non si udiva alcun rumore) che dalla impenetrabile nebbia, avevano rinunciato all’abituale incontro nell’osteria.
Che fare? Tornare a casa e lasciare Leo al suo insolito torpore?
Chissà, spinto quasi da un forte istinto che mi diceva che quella sera doveva accadere qualcosa di diverso, senza svegliare Leo, mi servii un bel bicchiere di vino, presi le carte e, su un tavolo, iniziai a incastrarle una con l’altra per formare un grande castello.
Questi giochetti si fanno proprio per ingannare il tempo quando non passa mai. Ogni tanto cadeva tutto, ma la testa dura, oppure il fato, visto quello che è accaduto dopo, mi diceva che non dovevo uscire dal locale se non dopo aver costruito l’imponente opera.
Pace e silenzio, la costruzione stava prendendo forma, iniziavo a divertirmi.
Improvvisamente sentii dalla strada un forte rumore provocato dal motore di un’automobile certamente di grande cilindrata. Poi il silenzio, seguito dal cigolio della porta dell’osteria; vidi entrare un omone alto e piuttosto panciuto, aveva lunghi baffi neri ed un cappello mai visto così grande.
Chiaramente, quest’uomo era qualcosa di completamente estraneo al contesto: indossava un vestito elegante, presumo molto costoso, camicia bianca e cravatta celeste ben intonata con la giacca ed i pantaloni blu scuro, scarpe a punta nere e lucidate a dovere, faccia rasata e austera.
Mi sentii piccolo piccolo di fronte a lui.
Ma chi è questo qui e cosa cavolo vuole?
Mi venne incontro con passo sicuro, mi sentivo ancor più in inferiorità visto che ero seduto e lui in piedi.
Con voce gentile ma imponente mi chiese:
«Per cortesia mi sa dire dove siamo? Perché dovevo andare a Roma ma, gira e rigira in questa terribile nebbia, credo di aver perso la strada».
Vista la gentilezza mi tranquillizzai e risposi:
«Signore, lei è a Pizzoli, un paesino vicino a L’Aquila; dato il tempo, le conviene aspettare qui prima di riprendere il suo viaggio per Roma».
Vidi l’elegante signore abbastanza contrariato per il problema che si era creato. Con voce piuttosto seccata, disse:
«Va bene, aspetto che questa maledetta nebbia vada via e poi riprenderò il viaggio. Si può mangiare e bere qualcosa qui?».
Io risposi, ma sono certo che il signore non sentì perché proprio in quel