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Babbo dov'è Gesù?
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E-book200 pagine1 ora

Babbo dov'è Gesù?

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Info su questo ebook

È il 2010 sulla riviera romagnola. Nel vissuto quotidiano di un uomo, che potrebbe dirsi in sintonia con la realtà circostante, inizia uno strano viaggio.

La recente festa di pensionamento, una vita impegnata in mille lavori diversi fin dall'infanzia, una famiglia nella cosiddetta norma.

Un piede che, un po' alla volta, diventava ingestibile, sembrava quasi che volesse smettere di camminare…

Così vieni a sapere che hai la SLA e ancora non hai capito assolutamente nulla di tutto quello che ti aspetta. Non sai che è la tua famiglia ad avere la SLA.

Mentre quell'uomo affronta insieme alla sua famiglia il procedere dei giorni, fra l'ironia e la burrasca, il suo vero cammino si rivela essere un altro.

Quando la minore delle sue figlie decide di fissare la memoria, di ciò che era accaduto in una particolare circostanza di quella vita familiare, si accorge che iniziare a scrivere è come aprire una porta sull'origine remota di una storia, che sembra ancora gettare un riverbero di luce.
LinguaItaliano
Data di uscita8 apr 2021
ISBN9791220327091
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    Anteprima del libro

    Babbo dov'è Gesù? - Lara Gobbi

    incontro.

    IL TEMPO

    Dove vai?

    A dare un'occhiata in giro

    La giornata è cominciata bene fa che finisca com'è cominciata

    Anche Gesù è stato nel deserto

    Sì ma non aveva i gringos alle calcagna

    Lo chiamavano Trinità E. B. Clucher

    2009-2010

    1. L’accappatoio verde acquamarina

    Nell’autunno del 2009 il Bà era caduto in campagna, mentre accudiva i suoi piccioni e l’orto.

    Non si poteva proprio dire che lui allevasse quelle bestie e coltivasse l’orto. Aveva più un ché di simile ad un nativo americano, non per via della pelle, anche se qualcuno lo chiamava pellerossa, quando si ustionava con la canotta addosso e diventava rosso-viola nelle braccia e nel collo.

    Non era nemmeno a causa della sua passione per i western, lui parlava davvero con quei piccioni. Quando entrava dalla porta, che aveva costruito con una rete metallica, loro tubavano in un modo particolare, come per salutare l’umano che gli portava cibo e carezze. Si saranno mai chiesti dove andavano a finire uno alla volta? Quando ne prendeva uno o un paio, buttava l’occhio al cielo per quelle creature e per il cibo che ne riceveva senza finte nostalgie, con uno sguardo di genuina gratitudine, come un nativo americano.

    In una specialissima circostanza, si era preso cura per diverso tempo di un piccolo che non poteva alzarsi, né veniva più nutrito, dai suoi genitori. Aveva le zampe atrofizzate, non stava letteralmente in piedi.

    La gratitudine per la vita e per il cibo aveva forse spinto il Bà a quel gesto.

    Il suo orgoglio oltre a quei pennuti erano le uova di gallina con due tuorli, ma ancora di più poter offrire, a chiunque gli venisse in mente, i frutti dell’orto. Spesso avevano grandezze spropositate. Lui lasciava crescere, tanto non era roba da vendere, era tutta passione domestica la sua.

    (in giardino, 20.07.2010)

    Preparava cassette di fantasia di verdura e in estate anche frutta; i fiori di zucca e i cocomeri erano il fiore all’occhiello. Puliva bene tutto e posizionava quei doni come un vero pittore, recapitandoli di persona con la sua bici.

    Se sentivi il campanello suonare, poteva essere lui che stava arrivando.

    Dopo una vita che poteva dirsi normale, lui, nato nel 1943, aveva faticato in una moltitudine di lavori e attività.

    Aveva amici ad ogni angolo di strada o paese dei dintorni, aveva atteso di andare in pensione. Pensava di dedicare finalmente gran parte del suo tempo libero al suo svago preferito, che lo riportava ai ricordi dell’infanzia.

    Quando era caduto in campagna, invece, aveva intuito che presto avrebbe dovuto salutare quei luoghi.

    Nei giorni prossimi al Natale 2009, si erano concentrate nuvole imperative sulla nostra famiglia, io e la Baby ci preparavamo ai nostri interventi chirurgici del marzo successivo; ma stranamente c’era un incombente presentimento che sentivo non riguardarmi in prima persona.

    La fisioterapia, a cui si sottoponeva il Babbo, era la nolente sentinella del fatto che la perdita del tono muscolare in avanzamento, forse, non aveva a che fare con l’artrosi.

    È il giorno di Santo Stefano, io e Andrea siamo a casa del Bà, per poi andare tutti insieme a pranzo dalla Giò. Lui si sta facendo la barba, avvolto nel suo accappatoio verde acquamarina, con la porta del bagno aperta. Io sto passando nella sala e lo vedo con la coda dell’occhio, mentre all’improvviso da una posizione stabile, senza movimento, cade giù disteso a terra sul fianco sinistro. La gamba sinistra gli ha ceduto completamente. Corro, lo aiuto a rialzarsi, ma lui non vuole C’è il pavimento bagnato e sono scivolato, così dice.

    Il pavimento invece è completamente asciutto e protesto che non può essere quello il motivo; gli chiedo se si sente bene, lui conferma la sua risposta e mi dice di non preoccuparmi. Rifletto Cosa succede? Questo è lo stesso uomo che per un mal di gola scatenerebbe le sirene dei pompieri e la corsa ai parafarmaci? ... Eppure è il piede destro quello che da due anni ha problemi di gotta o artrosi, come dice il dottore!?

    Il tempo si ferma lì, con gli occhi fissi su quell’accappatoio verde.

    2. La diagnosi

    A marzo 2010, il Bà era venuto a trovarci in ospedale.

    Io ero appena uscita dalla sala operatoria. Avevo un dolore pazzesco al petto e al ventre, ma riuscivo a vedere il suo pesante e abbondante maglione verde.

    La Maria lo aveva rimproverato, perché era troppo caldo per stare in ospedale vestito così. Lui le aveva risposto che non era riuscito a trovare altro.

    In realtà quel maglione così ampio, verde fondo di bottiglia, era l’unico che era riuscito a mettersi da solo.

    Il fisioterapista, a quel punto, consigliava un’elettromiografia. Il medico di base, però, non riteneva di prescrivere accertamenti ulteriori. Per lui si trattava di artrosi.

    Poteva essere un azzardo, ma noi vedevamo segni che ci parlavano di altro. Prima di Pasqua, avevamo l’esito di quell’esame.

    Poi, a maggio 2010, abbiamo ricevuto la diagnosi definitiva: malattia del motoneurone, sclerosi laterale amiotrofica.

    E che cos’è esattamente dottore? È una malattia progressiva che comporta l’atrofizzazione dei muscoli, perché i neuroni del movimento non funzionano più a dovere E come prosegue la malattia? Anche gli organi interni si atrofizzano insieme ai muscoli volontari Quindi il cuore no? No.

    Insomma questa malattia mi farà morire? Di qualcosa si deve morire prima o poi, aveva risposto il neurologo.

    Non so cos’avesse pensato il Bà a quella risposta, ma nel tempo assumeva un’aria a dir poco pensosa, quando rivedeva quel medico.

    In estate, io e la Baby eravamo andate a ritirare il certificato di diagnosi, chiedendo ancora notizie al neurologo.

    Quali sono i tempi di questa malattia? Non abbiamo una casistica precisa, ma circa due o tre anni di vita, qualcuno anche cinque.

    Uscite dall’ambulatorio, dopo aver chiesto se Terzo poteva accedere a qualche protocollo sperimentale, ricevendo risposta negativa, avevamo chiesto se poteva viaggiare. Sbrigatevi se volete farlo, perché poi sarà più difficile e non si sa quanto tempo avrete.

    Così decidiamo che avremmo fatto tutto quello che ci sarebbe venuto in mente e lo avremmo fatto insieme.

    Durante quell’estate, il Bà veniva a volte alla fermata dell’autobus per salutarmi al mattino, in bicicletta.

    Era in pensione da due anni.

    Lui cavalcava quella bicicletta come un cavaliere stravagante, non riusciva a pedalare, stava seduto sulla sella e scalciava con i piedi per far avanzare la bici. Era la Maria che lo metteva sulla bici vicino alla ringhiera di casa, perché non ci riusciva più da solo ed era già caduto, attraversando la strada per tornare dalla spiaggia. Era il momento di lasciare anche la bicicletta.

    Il tempo è un grande fiume. Tutto quello che possiamo vedere di lui è un po' d'acqua raccolta nelle nostre mani. Anche se quell'acqua a volte è torbida, sappi che il grande fiume scorre limpido, prima e dopo di noi.

    Pane e tempesta S. Benni

    2011-2012

    1. Il saluto alla vita di prima

    Ero seduta in autobus con la Betta, tornando a casa dal lavoro, forse era l’inizio del 2011. Da poco tempo, cominciavamo a conoscere la malattia. Non ci siamo mai chiesti, nemmeno per un attimo, perché a noi? Quel giorno, dicevo alla Betta che non avevo la più pallida idea, di come l’avremmo affrontata. Insieme certo, ma un uomo come mio Babbo, da sempre vitale, vigoroso, energico, in movimento e soprattutto che non aveva la minima simpatia, per un semplice prelievo del sangue ... come avrebbe fatto ad affrontare una malattia del genere? Un cuore come il suo; un motore inattaccabile e tremendamente forte, che sarebbe stato decisivo e sapevo, con certezza, senza per nulla attribuirmi velleità profetiche, che avrebbe battuto, fino all’ultimo, il tempo della malattia.

    Il tempo era diventato come non mai, un concetto concreto. Era arrivato il tempo di raccogliere immagini dal mondo.

    Il Bà e la Mà, come tante coppie, si erano detti in passato che andando in pensione, avrebbero voluto fare qualche viaggio. Per conoscere meglio l’Italia, magari per tornare a Roma, al compimento dei loro 50 anni di matrimonio.

    Un assaggio di questo progetto era stato il viaggio in Egitto con me e Andrea, nel 2007 dopo le nostre nozze.

    Poi avevamo fatto scampagnate nei boschi delle foreste casentinesi, visitato i paesi in collina, nelle vicinanze.

    Nel 2011, in quel frenetico istante, avevamo un progetto nuovo.

    Una raccolta di immagini con l’intenzione di farne una scorta da tenere con noi, non per la vecchiaia di Terzo e la Maria, ma per la imprevedibile durata della malattia. Un saluto alla vita di prima.

    Andrea sembra il più infaticabile a gara di fantasia.

    Noi cinque insieme avevamo già organizzato uscite, ma in questo momento diventa una costante della domenica.

    Le gite, le visite ai musei dei dintorni, Verucchio, le Chiese, anche quella di San Leo, lo Zoo di Poppi, l’acquario di Cattolica, Oltremare, Rimini addobbata per le feste, Cesenatico, Cervia, Ravenna e la nostra Bellaria Igea Marina.

    (Zoo di Poppi, 27.03.2011)

    (Acquario di Cattolica, 02.01.2011)

    A San Leo, il Bà vuole scendere nella cripta della Pieve, dalla piccola scala di legno, usando già a fatica il bastone e sempre aiutato dalla Mamma.

    Si ferma là dentro, impalato, a fissare la finestrella di destra, che in quel buio lascia passare in forte contrasto la luce del sole. Gli chiedo cosa stia guardando, dice Le fronde degli alberi che si muovono di fuori. Capisco che guarda oltre.

    Gli chiedo se stia bene lì dentro, in quel piccolo spazio buio e lui mi risponde di sì, con uno sguardo stupito e meravigliato. Durante l’inverno, il Bà è in carrozzina e non sta più in piedi nemmeno con la stampella, se non per

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