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Se ve lo racconto non ci credete
Se ve lo racconto non ci credete
Se ve lo racconto non ci credete
E-book179 pagine2 ore

Se ve lo racconto non ci credete

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Info su questo ebook

Era un giorno caldo quel 22 giugno dell’estate 2019. Uno come tanti, si potrà pensare, contraddistinti dalla noia e dall’afa estiva: invece sarà proprio quello il giorno in cui tutto cambierà.
Matteo esce di casa, saluta tutti e va lì, dove già sapeva. Ad aspettarlo non c’è nessuno, se non la luce del mattino, il silenzio della campagna e se stesso, nonché la persona che intende combattere.
Attraverso un racconto denso di avvenimenti, indecisioni e ricordi dolorosi, Matteo decide di aprirsi veramente, grazie a queste pagine, su quel fatidico giorno che gli cambierà per sempre la vita. In un misto di coraggio, tracotanza, sincerità e comicità cinica, l’autore racconta della sua sopravvivenza alla paura e all’incertezza di un futuro fino ad allora oscuro, ma soprattutto ai suoi demoni interiori che troppo a lungo lo avevano tormentato.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2022
ISBN9791220127530
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    Anteprima del libro

    Se ve lo racconto non ci credete - Matteo Iervolino

    Prefazione

    In un freddo pomeriggio del mese di novembre dello scorso anno, leggo un messaggio su Whatsapp: è un messaggio di Matteo, un mio ex alunno, che mi chiede un appuntamento telefonico. In serata mi comunica del suo progetto ormai in divenire: sta scrivendo un libro sulle vicende più importanti della sua vita e mi chiede di occuparmi, alla fine del suo lavoro, della prefazione. Accetto con piacere, grata a Lui di aver pensato a me! Il ricordo e la stima degli ex alunni sono, a mio avviso, rispetto alle altre professioni, quel qualcosa di prezioso che rende unico il mestiere del docente.

    Matteo mi manda, dopo pochi giorni, i primi sei capitoli: li leggo di getto, è una lettura scorrevole, piacevole e che evoca in me tanti ricordi. Ho avuto il piacere e la fortuna di essere la sua professoressa di greco durante gli anni del liceo; ho conosciuto Matteo, come alunno, dall’inizio del secondo anno di liceo classico, si era trasferito dall’indirizzo scientifico, a Lui poco affine.

    Come Lui stesso afferma nelle pagine del libro, al classico ha trovato terreno fertile per lo studio della storia, della filosofia e della letteratura, sue grandi passioni. Ed il mondo classico ha sicuramente lasciato un’impronta nel suo cuore e nel suo libro: già nel primo capitolo, non a caso intitolato Magna Grecia, Matteo spazia da Diomede ad Ulisse, da Afrodite ad Enea.

    A Matteo, a scuola, è sempre piaciuto fare il minimo sindacale, come lui stesso dice, perché preso da innumerevoli interessi, nella scuola ed oltre la scuola: indimenticabile per me il suo spirito di imprenditorialità! Non era difficile in classe capire quando Matteo era stufo di fare lezione: il suo continuo sbuffare è diventato epico, soprattutto nelle ore delle materie a Lui poco congeniali.

    Conosco Matteo sin da bambino, conosco i suoi genitori, come ci si conosce tutti in una piccola realtà come quella del Gargano Nord, l’ho sempre incontrato in giro, circondato da amici, ma soprattutto l’ho incontrato e lo incontro in quel luogo speciale che per noi è sinonimo di estate: San Menaio. È straordinario leggere nelle pagine del suo libro il suo amore per la famiglia, per la sua terra d’origine, nella quale un giorno tornerà, per i suoi amici: sono i valori nei quali crede Matteo!

    Tra tanti ricordi sicuramente belli che sto ripercorrendo nella mia mente leggendo il libro e scrivendo questa prefazione, affiora, però, indelebile in me il ricordo di quel 22 giugno, è l’unico che vorrei non avere; ricordo nitidamente la telefonata di mia figlia che mi diceva di Matteo, l’incredulità, il susseguirsi di telefonate con gli amici di classe che mi davano sue notizie, nei giorni successivi le telefonate con Lui. Matteo ha toccato il fondo, ma ha avuto la forza di ricominciare più forte di prima.

    L’ultimo anno di liceo lo abbiamo trascorso insieme con una consapevolezza diversa, pur tra tante difficoltà. Ho apprezzato la sua determinazione, la sua forza e la sua capacità di trarre insegnamento anche da quella terribile esperienza. Matteo ha capito quei concetti che ha cominciato a studiare con la tragedia greca: acquisire la conoscenza è un processo doloroso, ci insegna Eschilo. Adesso Matteo ha imparato a godere della vita, si è riavvicinato allo studio ed alla lettura, da sempre fedeli alleati di una vita vera. Ed a Lui, come a tutti i miei alunni di ieri, di oggi e di domani, rivolgo, con l’affetto che nutro incondizionatamente nei loro confronti, l’augurio di una vita non solo buona, ma anche bella!

    Claudia Pasquarelli

    Breve analisi del dolore

    Mi sono ritrovato più volte a chiedermi dove sta la vera sofferenza; ebbene, sono giunto alla mia personale conclusione. La sofferenza sta nel muovere contro il dolore, il che vuol dire che non solo dobbiamo soffrire, ma dobbiamo anche sforzarci a farlo. Mi spiego meglio: quante volte abbiamo dovuto sforzarci di uscire da una situazione complicata? Vi faccio un esempio, e cioè il mio. Io non solo ho tentato di uccidermi perché soffrivo, ma mi sto ancora sforzando di uscire dalla mia situazione dopo che il tentativo (per fortuna) non è andato a buon fine. Io, per la mia paura di fare male agli altri, ho preferito fare male a me stesso. Quello che ho fatto è stato il mio tentativo di scappare dal dolore. Ma nel ricordare la mia storia, voglio anche dire, a chi si appresterà a leggere queste pagine, che c’è sempre un’alternativa al dolore vero, e soprattutto un modo diverso per poterlo affrontare: abbiamo sempre una scelta. Anche se in passato abbiamo sofferto per qualcosa, non significa che la nostra sofferenza dovrà stare per sempre con noi.

    Così come me, anche voi più e più volte non solo vi siete dovuti far carico del dolore che la vita vi ha addossato, ma vi siete dovuti anche sforzare di uscire da quella situazione e quindi infliggervi altro dolore. Quante volte vi siete chiesti: A cosa serve tutta questa sofferenza?. Vi do la stessa risposta che mi sono dato io, serve a sentirsi vivi! Quindi miei cari amici, senza sofferenza non sareste le persone che siete oggi. L’intera esistenza, a mio modo di vedere, si basa sulla sofferenza, perché senza sofferenza non si potrebbe godere della vita. Vi voglio lasciare con un augurio nietzschiano: vi auguro di essere incompresi, sconfitti e presi a calci dalla vita e vi auguro di resistere, perché, come disse lo stesso Nietzsche: "Resistere è la sola cosa che al giorno d’oggi può dimostrare se un uomo ha valore".

    Buona vita.

    Matteo Iervolino

    1

    Magna Grecia

    Laggiù fra un bosco e il mare

    Dov’è caldo il sole

    È nato un giorno il sogno

    Della mia gioventù.

    Vincenzo di Lalla

    Nel luogo da cui provengo esiste una parte della leggenda del mito di Diomede, fedele compagno di Ulisse. Peccato che infine entrambi si aggiudicarono da parte di Dante un posto dritto all’Inferno, nella bolgia dei mali consiglieri, dove condivisero per sempre una fiamma dalla doppia punta. A questo punto, non saprei ben dire con chi dei due condividerei più volentieri il destino cruento… eppure c’è qualcosa che mi fa identificare di più forse con Diomede, perché è un po’ l’eroe della mia terra e perché condividiamo le radici; ma più di tutto sono sicuro di una certa somiglianza tra di noi per il suo carattere caparbio e le sue imprese. Spesso mi sono ritrovato in lui, nella sua rabbia, nell’ira dell’eroe pronto a morire sul campo di battaglia, ma specialmente per la sua perseveranza nell’andare avanti anche se il suo destino non proseguiva come aveva immaginato. Quando leggevo delle sue gesta, in lui ammiravo e ne condivido tutt’ora la tracotanza. Infatti, sempre secondo il mito, Diomede in battaglia ferisce la dea Afrodite e suo figlio Enea, motivo per cui sarà destinato alla sua fine da esule. E così anch’io, forse proprio per sfida, volevo andare come lui oltre i limiti, osando sfidare ciò che gli uomini fino ad allora non avevano osato.

    Ma ora senza farvi troppe anticipazioni, forse è il caso che cominci questa storia dall’inizio.

    Sono nato precisamente il 4 maggio 2001 a San Giovanni Rotondo, nella fertile e fervente Puglia.

    Non scelsi ovviamente io come e dove nascere, ma da quanto mi è stato raccontato, già da prima che venissi al mondo diedi non pochi problemi: mia madre si beccò l’epatogestosi poco prima di partorire, ed era continuamente sconfortata dai medici, che continuavano a ripeterle: Questo bambino nascerà rachitico, secco, con malformazioni, non sembra sano.

    E invece, a dispetto di tutti, nonostante qualche segno premonitore del fatto che la mia vita sarebbe stata molto problematica, quando nacqui si trovarono di fronte un bel bambino scuro, lungo sessanta centimetri e dal peso di ben quattro chili.

    Fortunatamente quel momento è stato testimoniato anche grazie ad una pellicola. Ad appena dieci giorni dalla mia nascita, uscito dall’ospedale, mentre ero al riparo nella carrozzina in compagnia di mia madre, lei stessa mi descrive quell’immagine di noi due che stavamo andando al mercato. Nel tragitto però passammo vicino allo studio di zio Gustavo, e lì mi fecero la mia prima fotografia.

    Mi ritrasse esattamente com’ero: piccolo ma robusto, dalla carnagione scura, con tantissimi capelli in testa, mi contraddistingueva dagli altri bambini proprio un ciuffo di capelli bello folto sulla fronte. Alla faccia dei medici e di quei brutti segnali premonitori, forse lo feci quasi apposta a nascere così carino! Alla fine, penso di essere stato molto fortunato a nascere sano, per la gioia dei miei genitori. D’altronde, buon sangue non mente.

    A mia madre sono molto legato, così come a tutta la mia famiglia. Con lei in particolare, però, ho un rapporto speciale, forse perché potremmo dire che siamo cresciuti letteralmente insieme in un certo qual modo: quando sono nato lei era giovanissima, aveva appena venticinque anni. Anche mio padre anche era molto giovane… però con lui, almeno finché non compii diciotto anni, non ho mai avuto un buon rapporto, o almeno non così solido così come lo ebbi con mia madre.

    Lei mi insegnò sin da subito ad essere molto indipendente.

    Può sembrare assurdo, ma posso ricordare quando avevo circa sei mesi. Spesso in inverno andavamo a San Severo, in provincia di Foggia, a trovare i bisnonni e gli zii, ed eravamo spesso solo noi due. Forse per questo sono sempre stato un piccolo viaggiatore, mi piaceva godermi il viaggio in silenzio e guardare dal finestrino; tutt’ora adoro muovermi in macchina con quello stesso spirito.

    Dal lato del passeggero ho il privilegio di poter osservare tutto, pertanto per me è importante condividere il viaggio in quel modo: mi piace vedere posti nuovi e sicuramente non sono il tipo che sta fermo, non ci riesco proprio. Voglio ricordare che anche Aristotele sosteneva l’importanza del cammino, che aiuta a pensare: proprio lui e i suoi discepoli, i peripatetici, usavano pensare e filosofare proprio mentre passeggiavano sotto i portici dell’Accademia.

    Riguardo la mia precoce indipendenza, invece, un episodio che mi raccontano spesso per farmi sorridere è di quando architettai con animo machiavellico la mia fuga da casa.

    Avevo circa due anni e ad un certo punto sentii di avere molta fame, volevo fare colazione. Mio padre però era chiuso in bagno, mia madre era in giro per casa a sistemare tutti i giocattoli, dunque nessuno dei due mi degnò di attenzione. In quel momento cominciai ad ingegnarmi, non ne potevo più dalla fame! Spostai piano piano la mia sediolina di plastica azzurra fino a raggiungere la porta e mi ci piazzai sopra. Mi ingegnai per bene perché, essendo un nanerottolo, non sarei mai potuto arrivare da solo alla maniglia. Poi però arrivò la parte difficile, ovvero superare l’anticamera della porta, che tra l’altro era una specie di vetrina molto difficile da aprire: bisognava alzare il gancio e tirare per bene la maniglia. Non so come ma ci riuscii e in qualche secondo diedi prova delle mie doti da Arsenio Lupin.

    In tutta calma raggiunsi il negozio di alimentari che era giusto di fronte casa mia, dovevo solo attraversare la strada. Conoscevo Michele, il titolare, che però non si accorse nemmeno che ero entrato e che il degno erede di Arsenio Lupin era riuscito ad accalappiare dal banco frigo un pacco di Kinder Pinguì e una busta di latte, quella col tappo rosso, onnipresente in casa mia.

    Mi ero finalmente guadagnato la tanto attesa colazione, ma quando mi apprestai ad andare al bancone, per fare finta di pagare, mi trovai davanti un omone che mi dissero poi essere un rappresentante di quella stessa marca di latte che avevo trafugato. Lui mi guardò stupito e disse sconvolto: «E tu che ci fai qui…?! Dai andiamo a casa, queste te le pago io».

    Fu anche gentile ad offrirmi il mio bottino…! Quando mi riportò a casa però fortunatamente non venni punito, stranamente i miei genitori ancora non si erano accorti di nulla fin quando quel buon uomo non bussò alla porta con me in braccio.

    Mio padre era ancora chiuso in bagno, mia madre era piuttosto esaurita nel riordinare tutta la casa, perché solo Dio sa cosa passano le madri con i figli piccoli… si resero conto solo in quel momento di quanto fossi stato fulmineo: nel giro di cinque minuti ero uscito e ritornato, vivo e vegeto per fortuna.

    Non riuscivano a spiegarsi come potessi essere sparito di casa in silenzio, ma quando me lo chiesero mi limitai a rispondere: «Ho aperto la porta».

    Semplice.

    Questa fu solo una delle tante che ho combinato da piccolo, ma è la storiella più carina che mi hanno raccontato della mia infanzia; una storia che potrebbe far ridere molti, ma che è una piccola anticipazione della mia irrequietezza. Già a due anni giravo per casa da solo, facevo tutto quello che volevo, di solito avvisando, ma proprio in virtù del fatto che non volessi dipendere da nessuno per soddisfare le mie necessità.

    Tornando alla mia famiglia in senso più ampio, posso dire di essere nato in una piccola ma grande famiglia, in un paese poco distante da quella che sarebbe stata, ma non per sempre, la mia città: Vico del Gargano.

    Vico è una cittadina che mi piace molto, dalle radici storiche profonde (infatti abbiamo anche un castello Normanno Svevo Aragonese, che era stata la residenza di Federico i di Svevia) e che apprezzo moltissimo. In tutta onestà amo davvero il sud e mi reputo fortunato nell’essere nato lì, tra il mare e la montagna.

    Di fatto, la posizione strategica di Vico la rende una città unica, arroccata su una collina, ma con il mare a distanza di soli cinque chilometri dal centro. Si può dire, allora, che noi di Vico siamo nati

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