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Diversi
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E-book211 pagine2 ore

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Info su questo ebook

Vi porto nella vita di Amira, nei frammenti dei ricordi dell’amore impossibile con Khan. Possiate, attraverso i suoi occhi, vedere la vostra storia d’amore più importante. 
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2021
ISBN9791280343017
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    Anteprima del libro

    Diversi - Naomi Peirano

    Peirano

    Naomi Peirano

    Diversi

    Romanzo

    Studio Byblos

    Prefazione

    Voglio usare questo spazio per raccontarmi e ringraziare le persone che mi sono state vicine in questo percorso. Non sono una scrittrice, non avrei mai pensato di poterlo diventare, un giorno o l’altro, o di pubblicare qualcosa.

    Tutto è iniziato come un gioco, ed è diventato emozione pura, che ha iniziato a fluire senza sosta.

    Voglio partire da quella che per me è il punto fondamentale, nella vita e nella scrittura: io credo nell’amore vero, quell’Amore che ti toglie il respiro, che ti dà tante emozioni, da non saperle spiegare, da non capire se siano gioia o sofferenza.

    L’Amore in grado di far prendere decisioni che non si sarebbero immaginate, di fare rinunce, purché l’altra persona stia bene e sia felice.

    Mi piace credere che per ognuno di noi ci sia, questo Amore, sulla Terra. Nella mia vita ho avuto l’onore di vedere alcune di queste coppie del persempre.

    Penso si abbia una sola possibilità, nell’arco di una vita e che, quando si presenta, dobbiamo riuscire a riconoscerla, non importa come potrà finire.

    Il mio secondo valore fondamentale è l’Amicizia: ho riscoperto dopo tanto tempo quanto possa far bene al cuore e, soprattutto, quanto possa nascere nei luoghi e situazioni più improbabili.

    Per questo devo ringraziare alcune persone, quelle che hanno ispirato questo libro, perché solo dopo averle conosciute ho ricominciato a scrivere: Emanuela e Romina, ragazze conosciute su Facebook, che mi hanno incoraggiata con tanto entusiasmo, da darmi un’energia senza eguali!

    Loro, mi hanno spronata a credere nelle mie possibilità e nell’emozione che traboccava dalle mie parole, mi hanno spinta a trasformare quello che era un gioco, in un vero e proprio libro.

    Quindi, grazie Romina, grazie Emanuela, siete preziose!

    E in ultimo, ma non per importanza, ringrazio la mia famiglia, e in special modo mia madre.

    La mia famiglia è il mio sostegno da sempre, mia madre è Madre, Amica e Confidente.

    Mi ha sempre incoraggiata a scrivere, anche con il mio stile un po’ maccheronico, perché quando scrivi di emozioni, devi lasciare che le emozioni parlino attraverso di te e arrivino al cuore di chi ti ascolta o ti legge.

    Lei mi ha insegnato che l‘Amore può tutto, anche nei momenti più bui; per questo penso che a lei, prima di chiunque, debba andare il mio abbraccio più grande.

    E ora... buona lettura. Vi porto nella vita di Amira, nei frammenti dei ricordi dell’amore impossibile con Khan. Possiate, attraverso i suoi occhi, vedere la vostra storia d’amore più importante.

    Ero stata davanti a paparazzi molte volte, ma uno studio televisivo era abbastanza nuovo per me, illuminato di una luce aurea, led accesi ovunque e chiacchiericcio dietro le quinte e nella sala.

    Ormai ero abituata ai flash e al rumore degli scatti delle macchine fotografiche, ai giornalisti che lo inseguivano e alle fan che urlavano il suo nome, ma, ogni volta, per me era un’emozione nuova, adrenalina che saliva nelle vene e che rendeva sempre più vivo il sogno che avevamo costruito.

    Premessa

    Eravamo in una settembrina umida Milano, negli studi di Cologno Monzese. La musica aveva un volume altissimo, il pubblico urlante che chiamava a gran voce la presentatrice per avere un autografo e poi chiedeva un autografo a Lui, sembravano matte, tornavano composte solo quando inquadrate dalle telecamere, tutte tirate a lucido e splendenti sorridevano per apparire meravigliose.

    Le luci sembravano rendere tutto perfetto, erano auree rendevano l'atmosfera quasi paradisiaca, avvolgevano lo studio in una nebbia bianca.

    Non era il mio mondo, ne ero consapevole, non lo era dopo due anni e questo mi faceva sorridere.

    Ne avevamo passate tante, eravamo i Bonnie e Clyde dei paparazzi.

    Io ero nel mio camerino, con me Mihriban e Isah che badavano al bambino.

    Mi scrutavo nello specchio: facevo ancora fatica ad accettarmi, vestita elegante, magari anche con qualche capo d’alta moda.

    Ero la piaga della povera Isah, la stylist di Khan. Portavo i miei lunghi capelli nella solita treccia di lato e cercavo di fare in modo che il make-up fosse sempre più leggero possibile, ma ammetto che con gli abiti che sceglieva per me, sapeva lasciarmi di stucco. La gravidanza mi aveva lasciato una certa morbidezza, ma il mio fisico era quello di una giovane donna che amava fare sport e, con i suoi outfit, Isah riusciva a valorizzarmi in una maniera incredibile.

    Mihriban mi si avvicinò, apparendo alle mie spalle, dal riflesso dello specchio.

    Chi guardi? chiese, e io le risposi sorridendo.

    Qualcuno che a volte non riconosco, Abla(sorella)

    Continuai, per alcuni secondi, a guardare quegli occhi verdi studiarmi dallo specchio.

    Avanti Abla, andrà tutto bene mi rassicurò Mihriban, spronandomi ad alzarmi dalla seggiola. Tu vai, pensiamo noi a lui disse, indicando con la testa Isah con il piccolo.

    Un attimo ancora, ed ecco che il tecnico mi avvisò del mio ingresso in scena.

    Ebbi giusto il tempo di sbirciare il monitor e vedere una mia gigantografia con la divisa da chef e il mio nome a caratteri cubitali sul grande schermo.

    Nello studio mi sembrò di entrare in un altro mondo: gli applausi erano fastidiosi e adrenalinici al tempo stesso, i fari erano così abbaglianti, che per un secondo feci fatica a distinguerequello che avevo intorno; poi lo vidi.

    Seduto come un dio tra i suoi simili, si alzò e mi si avvicinò, come per salvarmi.

    Pur abituata alla sua bellezza, ne rimanevo ancora abbagliata: più alto di me di una trentina di centimetri, spalle larghe, un fisico scolpito da ore e ore di allenamento e vita sana, i capelli di nuovo lunghi, portati alla vichinga, quello stile che piaceva e non piaceva a Isah, perché non sapeva mai come modificare il suo look. Una bella barba curata, lunga al punto giusto, occhi neri, nei quali adoravo immergermi e nei quali era pericoloso perdersi, quando lui aveva voglia di giocare.

    Sorrideva mentre mi veniva incontro: aveva quel sorriso beffardo, da mascalzone, che amavo disperatamente. Mi stava gettando un’ancora e sapeva di essere lui il sostegno del quale avevo bisogno per reggermi in piedi.

    «Non aver paura» mi sussurrò in turco all’orecchio, mentre il pubblico ancora applaudiva il mio arrivo.

    «Harika (meravigliosa)» disse poi, prima di baciarmi il collo proprio sotto l’orecchio. Ebbi appena il tempo di sorridergli, stringergli la mano, intrecciando le dita alle sue, che la presentatrice mi si rivolse gentilmente mentre sedevo sul divanetto bianco.

    Era ora di raccontare, ora di svelare il segreto della nostra storia.

    Ora di rivelare la storia di queste due anime tanto diverse, eppure destinate a stare insieme.

    Frammento I

    Com’è iniziata la vostra storia?

    era una domanda normale quella che mi aveva rivolto Giorgia e posta con il più

    curioso e gentile dei toni, eppure mi sembrava la più complicata di tutte.

    Come spiegare come una favola era diventata realtà?

    Dopo tanto tempo… non sapevo da dove iniziare.

    Credete nelle favole? mi rivolsi al pubblico sorridendo, poi cercai negli occhi di Khan le immagini di tutto quello che dovevo raccontare e sorridemmo entrambi.

    È  iniziata come una fiaba … ed è stata la più bella di tutte.

    Aveva qualcosa di particolare: la gente era calamitata dalla sua energia, dalla sua bellezza, dal suo sorriso. Io. beh, io lo guardavo da lontano. Non che anch’io non fossi attratta da lui, ma mi sembrava di invadere un mondo così perfetto e fragile al tempo stesso, che preferivo tenermi in disparte, ammirarlo un po’ come si fa con un’opera d’arte. Osservavo i suoi occhi: gli occhi di qualcuno che nemmeno riconosce quanto successo stia avendo, gli occhi di chi non è cosciente di cosa rappresenti per gli altri, gli occhi di chi gioca con sé stesso e con lo charme che possiede, ma con l’innocenza di un ragazzino.

    Eppure mi sembrava stanco; ormai avevo imparato a conoscerlo: il sorriso non mancava mai dalle sue labbra, ma i suoi occhi parlavano di tutt’altro. Tutti lo chiamavano... ovunque urlavano il suo nome. Io lo osservavo e avrei voluto portarlo via da lì.

    Veniva al Tuscany ogni sera... e tutte nel locale lo adoravano, compresa me. Si percepiva a distanza il suo arrivo imminente, perché le ragazze correvano in bagno a sistemarsi il make-up, magari leggermente rovinato a causa del caldo, e noi cameriere, invece, facevamo la lotta a chi doveva servire la sala dei vip. Da quando lo frequentava lui, il locale era diventato la meta più ambita della movida di Istanbul; con il senno di poi, probabilmente potrei dire di avere frequentato posti migliori, ma il Tuscany aveva la capacità di farti sentire a casa e rimaneva nel mio cuore il migliore del mondo: potevi divertirti e sentirti a tuo agio, come se fossi tu stesso ad organizzare il tuo evento. Non era enorme, ma poteva accogliere con tranquillità un centinaio di persone; musica tutte le sere, il più ambito ristorante della zona, i migliori barman, provenienti da tutto il mondo. Sale vip dedicate, ballerine per le serate a tema e camerieri di altissimo livello.

    Avevo fatto esperienza come barman per molto tempo; per questo ero finita a lavorare lì: ero esperta di cocktail e mi piaceva sperimentare; fui assunta un anno prima, anche se il motivo per il quale entrai al Tuscany non fu esattamente il lavoro. Poco tempo prima di approdare ad Istanbul, in uno dei miei viaggi conobbi Yousuf, uno dei titolari; fu alchimia immediata; lui era più vecchio di me, alto, dagli occhi verdi, brizzolato e col fisico di chi ama tenersi in forma, ma senza esagerare; ci comprendevamo senza dover parlare, ci capivamo perfettamente… in ogni senso. Era stata una storia importante, che non rinnegherò mai; lui mi convinse a trasferirmi, offrendomi un lavoro, ed io ne fui felice.

    (Quindi eri fidanzata quando hai conosciuto Khan? rise sorniona Giorgia, guardandomi negli occhi.

    Hayır (no) negai con le mani ridendo; Khan mi osservò e sapevo che in quello sguardo c’era ancora un po’ di quella gelosia di un tempo, faceva il finto arrabbiato per quello che avevo detto "Quando conobbi Khan, uscivo dalla storia con Yousuf  in realtà, ma da poco tempo, tra noi era rimasta una bella ed affezionata amicizia o forse un sentimento sorrisi appena e presi la mano di Khan La storia con Yousuf non finì perchè non c’era sentimento, ma perchè non potevamo stare assieme, semplicemente quello alzai appena le spalle Io lo accettai con il tempo, con la rabbia forse e con il silenzio inclinai appena il capo Ma lui rimase profondamente segnato dalla cosa e tra noi rimase una sorta di relazione affettuosa, fuori dalla storia d’amore, ma nemmeno una sola amicizia".

    Al Tuscany, Yousuf fece emergere il meglio di quello che sapevo fare, tanto che uno dei cocktail per le serate di festa, prese il nostro nome: lo Youmir era il nostro cocktail, segno della nostra storia prima e della nostra amicizia poi… per questo motivo, se i titolari erano nei paraggi, ero io la prescelta per lavorare nelle sale vip e non mi dispiaceva: era più tranquillo e mi divertivo. Era lì che lo vedevo sorridere, rilassarsi... sembrava stesse a casa.

    Fu la sera prima del suo compleanno che il mio mondo cambiò davvero. Venne per gestire i dettagli della festa con i proprietari; io ero già dietro al bancone, ma non lo sentii arrivare.

    Ciao mi disse in turco; io lo comprendevo bene, ma lo parlavo ancora a stento, viste le mie origini italiane.

    Ciao gli dissi in italiano ed il suo sguardo da sexy mascalzone, divenne quasi stupito, stranito dal non trovarsi di fronte ad uno svenimento per il suo arrivo; mi sorrise.

    (Era strano, ero talmente abituato a vedere tutte le ragazze emozionarsi; lei non batté ciglio disse Khan stringendo la mia mano, per poi baciarne il palmo; Giorgia si mise a ridere ed il pubblico applaudì).

    Italiana? mi chiese ed io annuii. Allah Allah disse ridendo. Bene.

    Quella sera... cambiò la mia vita.

    Fu come entrare in uno di quei film dove non riesci a spiegarti nulla fino alla fine: mentre lavoravo al bancone, mi sentivo osservata; avevo solo il coraggio di lanciare un’occhiata ogni tanto, per cercare di carpire qualche parola, o anche solo per vederlo sorridere ed era destino… ogni volta che ero io a guardare, i nostri sguardi si incrociavano, lui sorrideva ed io… facevo lo stesso.

    Fu circondato da persone in un attimo: i suoi manager, il padre, la madre; subito dopo i proprietari del locale. La madre era minuta, quasi fosse una ragazzina vicino a lui, lo osservava da lontano come se fosse disinteressata, ma lo sguardo era fiero, materno e sorridente.

    Non interveniva, ma se lui cercava il suo parere, la risposta era pronta Tamam (ok) e la sua opinione era quella che a Khan davvero interessava.. Sopra ogni cosa. In un attimo, mi ritrovai catapultata nell’organizzazione della festa per il giorno dopo: un compleanno ricco di giornalisti/paparazzi/tv. Facevo il mio lavoro senza parlare, osservavo da lontano ed organizzavo i camerieri perché servissero ciò che preparavo e si fece mezzanotte prima che i genitori di Khan lasciassero la sala; poco dopo i manager risero divertiti e poi sono sicura di aver sentito una frase del tipo: un invito dei proprietari a scendere in mezzo agli altri; lo estesero a Khan, ma lui era semi sdraiato su un divano; sembrava già stanco e non era da lui. Lo vidi scrollare il capo e, in un attimo, rimanemmo pressoché soli nella sala.

    Vai dissi io alla cameriera, che aveva l’aria di svenire di lì a poco dall’emozione, e rimasi sola con lui nella sala, mi apprestai a pulire il bancone e poi, lentamente, mi avvicinai a lui.

    Khan Bay (signore, fratello), desidera altro? Lui sorrise appena, ma il suo sguardo era cambiato da prima; vidi un’immensa stanchezza e forse un po’ di tristezza dentro a quegli occhi. Ci credi che vorrei fosse già passato il mio compleanno? Mi stava dando del tu, mi stava parlando in italiano, stava conversando con me. La cosa mi pareva strana, rimasi in piedi stupita del fatto che si stesse rivolgendo in maniera tanto amichevole e lo osservai per un lungo istante.

    Ingoiai la saliva, la poca che mi era rimasta, e risposi cercando di essere gentile.

    Perché avete organizzato un enorme show televisivo, invece che una normale festa di compleanno? Maledetta schiettezza italiana. Lui mi guardò con aria stupita, come se non fosse abituato a sentirsi dire la verità in faccia da una persona, e si mise a ridere.

    E tu come hai fatto a capirlo? Rise tra le labbra, mordendo appena quello inferiore.

    Cosa potevo fare? Dirgli: Ti ho guardato negli occhi? Sei troppo puro per tutto questo? Scrollai appena il capo.

    L’ho immaginato. Ero in piedi davanti a lui, arretrai appena. Difficile non stancarsi con tutti questi impegni, no? Gli ammiccai, guardandolo negli occhi Ma mi dica Khan Bay, desidera altro? Una parte di me desiderava mettere fine a quella vicinanza che si era creata, ma fu lui a cercare i miei occhi.

    Siedi. Lütfen (per favore). Non mi hai detto il tuo nome ed io non ho voglia di scendere ora. Ammicò Almeno se mi rimproverano, ho un buon alibi

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