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Le jour où la plui viendra
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E-book95 pagine1 ora

Le jour où la plui viendra

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Info su questo ebook

Un'estate in Costa Azzurra negli anni '70, la pelle che brucia dal sole e dal desiderio di vita, le notti stellate che fanno da culla a nuove emozioni. Due ragazzi, Danièle e Roberto, s'incontrano e vivono un fugace sentimento che rimane ostinato nei loro cuori, anche quando ognuno tornerà alla vita di tutti i giorni, a Parigi lei, Torino lui. Hanno percorsi completamente differenti eppure non riescono a rinunciare a quell'amore ancora da scoprire, iniziando così una storia fatta di attese, promesse e lacrime soffocate. Due vite parallele, sogni diversi da realizzare. Quando amare qualcuno significa anche lasciarlo andare?
LinguaItaliano
Data di uscita10 ago 2015
ISBN9788891197603
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    Anteprima del libro

    Le jour où la plui viendra - Manuela Chiarottino e Rob Strawburn

    twitter.com/youcanprintit

    ***

    Avevamo pranzato in un ristorantino in riva al mare e cercato di parlare un po’, cosa molto difficoltosa per me, anche se lei tentava di insegnarmi qualche parola comune in francese e poi eravamo andati a riposare un poco nel bungalow.

    Si era messa a suo agio, mentre, seduto sul mio letto elucubravo sul da farsi.

    Lei era venuta a sedersi vicino a me e aveva cominciato a parlare, dei suoi sogni di diventare una grande ballerina classica. Io recepivo abbastanza di quanto mi raccontava e pensavo che sicuramente ce l’avrebbe potuta fare perché l’aspetto e il fisico non le mancano e, oltretutto, mi sembrava molto decisa a raggiungere i suoi scopi.

    Non avevo il coraggio neppure di prenderle una mano perché se l’avesse ritirata mi sarei sentito troppo a disagio.

    Intanto pensavo: e se mi dicesse di sì e il nostro rapporto si facesse intimo? Mi piace moltissimo ma ho ancora troppa paura, visto la mia recente disavventura, di innamorarmi di nuovo seriamente; inoltre ho appena iniziato la mia vita lavorativa a Torino e lei ama disperatamente la danza e oltretutto vive a Parigi.

    ***

    Ricordo ancora quando capii che l’unica cosa che desideravo dalla vita era diventare una ballerina di danza classica.

    Potevo avere sei anni, mia madre mi portò a teatro, ad assistere a un balletto, e appena vidi le ballerine uscire sul palco, così eteree nei loro tutù di nuvola, il mio cuore iniziò a battere più forte. Come tornammo a casa, la pregai di iscrivermi a un corso di danza e lei acconsentì.

    La prima volta che indossai un tutù quasi piansi dall’emozione, e se quelle erano solo le lacrime di una bambina, diverso fu quando per la prima volta, da ragazza, calcai un vero palcoscenico.

    Prima di uscire ero agitatissima, continuavo a ripetere di essere grassa, di essere brutta, di non ricordarmi i passi, presa da una vera crisi isterica. Allora, quella che era la mia insegnante, mi afferrò per le spalle e mi girò verso un grande specchio verticale. Quella che vidi fu una figura esile e flessuosa come lo stelo di un fiore, la mia gonna pareva fatta di zucchero filato e i miei piedi sembravano più piccoli così calzati di seta bianca. Avevo i capelli raccolti sulla nuca ma qualche boccolo sfuggiva ribelle sulla fronte, feci per sistemarli, ma lei mi disse: Non farlo, sei bella così. E credimi, se ti ho affidato la parte di prima ballerina e perché credo in te. Non deludermi.

    Non lo feci, ballai come non avevo mai ballato prima e ricevetti uno scroscio di applausi.

    Certo, non era uno spettacolo importante, ma fu la conferma che quella era il mio solo interesse e che non avrei potuto fare nient’altro. Da quel momento studiai tutti i giorni per perfezionarmi e diventare una ballerina professionista, con la speranza di arrivare anche ad alti livelli. Come potevo rinunciarci? Si potrebbe credere che per me non contasse l’amore… niente affatto! Ma nutrivo per la danza la stessa passione che potevo nutrire per l’uomo che amavo, non avrei mai potuto rinunciarci e nello stesso tempo anch’io sognavo un sentimento concreto, fatto di carne, di carezze e di baci languidi.

    Il mio motto era Chi dice di amarmi deve amare anche questa parte di me.

    Questo era il motivo per cui non avrei mai potuto lasciare Parigi, la scuola, il teatro. Non potevo.

    Volevo provare a dirgli tutte queste cose, sapevo che dovevo farlo. A Parigi avevo una storia con un ragazzo, che andava avanti tra continui tira e molla, proprio perché mi accusava di dare più importanza alla danza che a lui. Ora avevo conosciuto questo ragazzo italiano, che avrebbe potuto rimpiazzarlo nel mio cuore, ma sempre la danza rischiava di interporsi tra noi.

    Certo non gli avrei detto di quel ragazzo, non ancora.

    Provai a parlargli della mia situazione, in uno strano idioma franco italiano, che forse solo noi potevamo comprendere, guidati più dagli sguardi e dal cuore che dalla reale comprensione. Lui continuava a dirmi che capiva, ma il suo sguardo diveniva man mano più triste e melanconico, come se i problemi pratici iniziassero a costruire un muro tra di noi e, a ogni parola, il muro crescesse in altezza.

    Fu a quel punto che io poggiai la mia mano sulla sua e poi accadde tutto in un istante.

    Si avvicinò fino a sfiorare il mio fiato, io avvicinai il mio volto, e lui posò dolcemente le sue labbra sulle mie. Fu un bacio a fior di labbra, quasi goffo e senza pretese, quasi un saluto tra amici poco più che intimi, ma mi sembrò, e ancor oggi penso fu così per entrambi, che tutto quello che i nostri occhi si erano promessi in quei giorni, stesse diventando realtà.

    Il tempo si era fermato, anche quel muro sembrava diventato invisibile, eppure entrambi sapevamo che era ancora lì, tra di noi. Ero sicura che avrebbe osato di più, dopo quel primo timido contatto, che avrebbe sentito i palpiti del mio cuore come io pensavo di sentire i suoi, ma si ritrasse.

    Fu una doccia gelata.

    Non capivo, non volevo capire, anche se razionalmente sapevo che andare oltre sarebbe stato ancor peggio, considerando che da lì a poco ci saremmo detti addio.

    Lo lasciai con le solite frasi di convenevoli, teniamoci in contatto, ti scriverò, a tute l’hour. Ci scambiammo gli indirizzi, i numeri di telefono, e la promessa di rivedersi l’estate successiva o forse anche prima, chissà. In fondo eravamo distanti ma non all’altro capo del mondo.

    Certo per me non sarebbe stato possibile recarmi facilmente da lui. Non mi era permesso assentarmi dalle lezioni se non per gravi motivi, pena l’esclusione, inoltre non avevo grandi mezzi economici. I miei erano separati e io vivevo da entrambi, in periodi alterni, se questo da una parte li portava a viziarmi per accaparrarsi il mio affetto, dall’altra aveva creato una maggiore difficoltà nell’aiutarmi economicamente. Mia madre appoggiava il mio sogno per la danza, suo antico rimpianto, ma aveva poco disponibilità, mio padre invece non lo aveva mai condiviso del tutto, ma aveva acconsentito al patto che io dimostrassi la massima serietà e impegno.

    Come avrei potuto gestire un amore lontano?

    Mi sentivo una donna, una donna determinata, è vero, ma non ancora indipendente.

    E poi, come poteva resistere un amore alla distanza?

    E’ col cuore gonfio di questi dubbi e tormenti che partii, cercando di convincermi che, dopotutto, era stata

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