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Una mummia nella tenda
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E-book297 pagine4 ore

Una mummia nella tenda

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Info su questo ebook

Dopo le avventure passate credevo che i nostri problemi fossero finalmente risolti, sebbene non possa certo dire che la mia relazione con il faraone Reshef sia del tutto semplice da gestire. Avete idea di cosa significhi stare con un ragazzo che vive agli antipodi della storia?
Eppure le cose sembravano andare tutto sommato bene, fino a quando, sotto i miei occhi increduli, Reshef non è caduto vittima di un nuovo, terribile attentato.
Forse avrei anche potuto salvarlo, se non mi fossi trovata nell’Antico Egitto, dove lui mi aveva condotta con un viaggio nel tempo non programmato. E forse non saremmo dovuti fuggire da Tebe, se il feroce popolo degli Hyksos non avesse invaso la sua terra per conquistarla. E forse non avremmo dovuto affrontare un insidioso viaggio nel deserto, se Reshef non si fosse messo in testa di riprendersi a tutti i costi il suo regno...
Ma che ci volete fare, dopotutto ho già avuto a che fare con la testarda e supponente mummia di un faraone. Se poi quel faraone è colui che mi ha rapito il cuore, non posso che rimanergli a fianco per aiutarlo nel suo progetto.
C’è solo un piccolo dettaglio: ora che è tornato a essere una mummia, Reshef non si ricorda più di nulla... nemmeno di me. Riuscirò a rinfrescargli la memoria?
LinguaItaliano
Data di uscita18 apr 2023
ISBN9791220705554
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    Anteprima del libro

    Una mummia nella tenda - H. Joking

    1

    Aprii il frigorifero ed estrassi il latte canticchiando un motivetto tra me e me. Papiro se ne stava accoccolato sul cuscino della poltrona in vimini, come amava fare, scrutandomi con i luminosi occhi verdi.

    L’aria era calda e dal parco poco distante giungevano i gridolini e le risate dei bimbi che si godevano il pomeriggio afoso. Anche io facevo lo stesso… soltanto a modo mio. Da alcune ore, infatti, ero tutta presa a studiare un nuovo e voluminoso manuale di chimica organica trovato in biblioteca. Non appena l’avevo aperto, ne ero rimasta letteralmente catturata, tanto da non accorgermi dello scorrere del tempo. Soltanto i morsi dello stomaco, infine, mi avevano convinta a lasciare la lettura e scendere di sotto per cercare qualcosa da mettere sotto i denti.

    Estrassi una fetta di pane dal tostapane e aprii il barattolo di marmellata.

    «Dovevo aspettarmelo!» esclamò in quel momento mia madre, entrando come una furia e mettendosi a camminare su e giù per la cucina. Nonostante l’ora, indossava ancora la sua vestaglia di seta rosa e di sicuro non era un buon segno.

    «Che cosa?» domandai senza capire.

    «È stato un flop! Un autentico flop!» rispose lei, confermando i miei sospetti. «Il mio spettacolo, lo stesso spettacolo che doveva riconsegnarmi al successo, è stato un completo fallimento!»

    Non le prestai troppa attenzione e continuai invece a spalmare con tranquillità la marmellata sulla fetta di pane. «Ancora con questa storia?» chiesi.

    «Ancora con questa st…? E con quale altra storia dovrei intrattenermi, se non riesco a pensare ad altro?» mi rimbeccò lei. «Un’attrice del mio calibro messa in ridicolo davanti all’intera platea!»

    «Te ne farai mai una ragione. Sono passati quasi due mesi,» le feci notare.

    «La cosa peggiore è non poter dare la colpa a nessun altro, all’infuori di me. Non cercare di convincermi del contrario, Daphne, è proprio così… La colpa è soltanto mia,» continuò lei senza avermi ascoltata.

    Finalmente mi sedetti e addentai l’ottimo spuntino che mi ero preparata. «Prima o poi imparerai a perdonarti.»

    «Ancora non mi spiego come ho potuto! Come ho potuto sbagliare quella battuta, proprio durante la prima dello spettacolo! Oh! Da quel momento è andato tutto nel peggiore dei modi!»

    «Credo che tu stia esagerando un tantino.»

    Mia madre però sembrava preda di una crisi di nervi peggiore del solito. «Potrebbero coniare un nuovo modo di dire: i famosi lapsus della Strega dell’Ovest! Mai attrice nella storia del teatro ha subito simile umiliazione!»

    «Non essere così tragica. Non è andata poi tanto male.»

    «Non è andata male? Non è andata male? Ma se riesco ancora a vedere l’espressione incredula del regista, che mi fissa da dietro le quinte. E quelle odiose risate del pubblico… smetteranno mai di rimbombarmi nella testa?»

    Si abbandonò sulla poltrona del soggiorno con un sospiro e io presi a sorseggiare piano il latte. Ero davvero dispiaciuta di saperla in quello stato, mentre avrei potuto dire di trovarmi in una condizione opposta.

    «Mamma, non fartene una colpa,» cercai perciò di consolarla. «Anche ai più grandi può capitare di dimenticare una battuta, qualche volta. Lo spettacolo non è stato un flop, come dici, e alla fine hai ricevuto anche molti applausi.»

    «Con ripetuti fischi!» precisò lei.

    «Ma te l’ho detto, saranno state due persone, io ero presente!»

    «Almeno tre!» sillabò fendendo l’aria con tre dita, mentre la testa continuava a ciondolarle sul petto.

    «Comunque non sufficienti per giustificare il tuo ritiro dallo spettacolo e la scelta di abbandonare la tournée

    Finalmente, mia madre parve rianimarsi e si drizzò scioccata. «Ma Daphne cara, ho dovuto farlo! Il mio orgoglio ferito non avrebbe retto a un’altra figuraccia simile,» dichiarò.

    «Quale figuraccia?» la corressi. «Tu sei un’attrice di grande livello. Non puoi farti abbattere per così poco…»

    «Dimentichi quel video,» mi interruppe con voce tagliente.

    Sospirai, preparandomi a ripetere lo stesso identico copione che avevamo già recitato decine di volte. Di tanto in tanto, parlare con mia madre mi dava l’impressione di trovarmi davvero sul palcoscenico di una teatro insieme a lei.

    «E va bene, qualcuno ha fatto un video e l’ha diffuso su internet, lasciando un commento poco rispettoso,» ammisi, «ma…»

    «Quel video sarà un incubo per il resto dei miei giorni!» mi interruppe strillando con un accento melodrammatico.

    «Oh, andiamo…»

    «È così,» confermò puntandomi contro il dito. «Hai detto bene, un’attrice di grande livello. Lo ero, quando ogni cosa era più semplice e libera da detestabili gingilli elettrici. È tutto finito. La mia carriera è finita. Io sono finita!»

    Affondò il volto tra le mani ma la conoscevo abbastanza per sapere che non c’era altro da aggiungere per farle cambiare idea. Così misi piatto e bicchiere ormai vuoti nel lavello e rassegnata mi rivolsi al gatto. «Almeno tu sei soddisfatto, non è vero, Papiro?» domandai grattandogli dietro l’orecchio.

    Quasi avesse compreso le mie parole, fece oscillare la splendida coda bianca emettendo fusa. Ma, chissà perché, ebbi l’impressione fossero fusa di malinconia.

    Sollevai un angolo delle labbra. «Il tuo padrone manca tanto anche a me, sai?» bisbigliai.

    Papiro mi scrutò come se avesse compreso quelle parole.

    Il sospiro di mia madre ci interruppe per la seconda volta. Sembrava più una specie di grugnito.

    «E adesso dove te ne vai?» le chiesi, vedendola frugare nella borsetta alla ricerca delle chiavi della macchina.

    «A farmi i capelli!» strillò lei affranta. «Così conciata, ormai potrei essere scambiata per una… per una mummia!»

    Ebbi un tuffo al cuore, ma non lo diedi a vedere. «Non dire stupidaggini. Le mummie possono rivelarsi molto affascinanti,» risposi, facendo un occhiolino complice a Papiro.

    Mia madre non mi sentì neppure e uscì di casa borbottando qualcosa tra sé e sé. Doveva essere davvero abbattuta quel giorno per arrivare a paragonarsi a una mummia e mi accorsi che aveva dimenticato persino di togliersi le ciabatte, prima di andarsene.

    Mi lasciai sfuggire un sorrisetto e salii di sopra assieme a Papiro. Ma non appena svoltai per entrare in camera mia, andai a sbattere contro qualcuno.

    Confusa sbattei le palpebre e sollevai il volto. Lui era lì, innanzi a me, come se lo fosse sempre stato.

    Reshef mi scrutava dall’alto con quei profondi occhi neri capaci di mandarmi in confusione. La linea del trucco sulla tempia si congiungeva quasi con le lunghe e perfette sopracciglia, mentre un sorriso appena percepibile si affacciava dalle labbra. Il suo corpo troneggiava su di me con forza ed eleganza scultorea. Il petto liscio infatti sembrava scolpito da divini scalpelli, con l’unico obiettivo di calibrare la muscolatura in modo sublime. Una veste color cremisi, impreziosita da ricami d’oro che ritraevano le acque di un fiume cariche di pesci e fiori di loto, ne avvolgeva le magnifiche spalle, cadendo maestosamente in un sontuoso strascico. Le braccia erano messe in risalto da bracciali d’oro massiccio, mentre un cerchio d’oro, più semplice del solito, gli cingeva la fronte, facendogli cadere due ciondoli a forma di uva sulle tempie.

    Ogni parte di lui sembrava studiata apposta per risultare attraente e irresistibile. Fu una sensazione simile a travolgermi non appena lo vidi.

    Mi gettai al suo collo con tale trasporto che per poco non cademmo entrambi, poi gli scoccai un bacio a stampo sulle labbra. «Devo ancora abituarmi a vederti comparire così all’improvviso,» ammisi, riprendendo fiato ma continuando a stringerlo a me, quasi temessi potesse scomparire da un momento all’altro così come era comparso.

    Reshef si sciolse in un adorabile risata. «Beh, se questo è l’effetto che ti fa, spero proprio che non ti abituerai mai,» mormorò, poi mi prese il mento e dolcemente mi indusse a sollevarlo.

    Quando i nostri sguardi si incrociarono di nuovo, fu come se due magneti si attivassero improvvisamente al centro delle nostre anime e lui si piegò svelto su di me.

    Sentii le sue dolci labbra posarsi sulle mie, cercarle bramose. Passai le mani tra i morbidi riccioli neri che gli cadevano sulle spalle, poi le feci scivolare sulla pelle dorata del suo petto, mentre lui mi stringeva più forte a sé.

    Reshef avanzò di un passo, poi un altro e io lo seguii attratta dall’ebbrezza del percepire il suo respiro confondersi con il mio. Senza staccarmi da lui, mi accorsi che eravamo ormai giunti alla sponda del letto. Appena me ne resi conto, mi sfuggì un rantolo, mentre le mani di Reshef scivolavano sempre più impazienti sul mio corpo.

    Non riuscivo, non potevo, oppormi a lui e a quello strano potere che esercitava su di me tutte le volte. Avrebbe potuto fare qualsiasi cosa e non sarei stata certo io a fermarlo… sennonché, proprio in quel momento, con la coda dell’occhio scorsi un impercettibile movimento accanto all’armadio. Allora, misi da parte tutti quei pensieri e mi bloccai di colpo imbarazzata.

    «C’è una speranza che Hapu e Neshi non ti seguano ogni volta?» domandai schiarendomi la voce.

    I due servitori, infatti, se ne rimanevano in disparte osservando l’impetuosa scena che si stava svolgendo tra me e il loro padrone come si guarderebbe qualcuno intento a sorseggiare con sonnolenza una tisana. Quello d’altronde era il loro compito: sorvegliare, servire e assistere il faraone in qualsiasi momento.

    «Ignorali, sono soltanto servitori,» mormorò Reshef facendo scintillare lo sguardo sulle mie labbra, quasi si preparasse a mangiarle.

    Ma se lui era abituato a fare come se i due nemmeno esistessero, per me era un tantino più difficile. «Non è che fingere di essere soli mi riesca così semplice,» ammisi tesa, mentre lui prendeva a baciarmi il collo.

    «Ehi, voi due, dileguatevi!» ordinò Reshef con un soffio.

    I due servitori sobbalzarono e si affrettarono a lasciare la stanza.

    Sorrisi e scossi la testa. «Reshef…»

    «Che c’è?» chiese lui, facendo spallucce. Bastò un’occhiatina, però, perché capisse perfettamente le mie intenzioni.

    «E va bene,» sbuffò, facendo roteare gli occhi e affrettandosi a estrarre il Pulviscolo degli Dèi, quella magica clessidra di sabbia bianca capace di far viaggiare avanti e indietro nel tempo. «Fermi voi due! Venite qua, vi riporto subito indietro. Aspetta qui, Daphne. Tra un attimo farò ritorno e ricominceremo da dove ci siamo interrotti.»

    Ridacchiai, fermando il pugnale che già stringeva per lacerarsi la pelle e offrire al Pulviscolo degli Dèi il sacrificio che reclamava in cambio.

    «Il sangue dell’unico figlio del sole è troppo prezioso per essere sparso inutilmente,» mormorai, osservando dispiaciuta tagli e cicatrici di cui erano piene le sue mani e che lui si procurava per venire a trovare me soltanto.

    «Quello stesso sangue ribolle nelle mie vene ogni volta che sento il tuo profumo,» disse con voce impercettibile Reshef, sfiorandomi con il naso la pelle del collo e inspirando in un modo che mi fece il solletico.

    Risi di nuovo e mi scostai da lui, più che altro per non rischiare di essere travolta dal suo fascino ancora una volta. Lui parve capire il mio intento e si lasciò cadere sul letto sbuffando.

    A quel punto, mi girai verso Hapu e Neshi, che ancora attendevano confusi istruzioni dal loro padrone.

    A differenza di Reshef, che, dopo essersi risvegliato come mummia, si era rigenerato per mezzo dei suoi vasi canopi e aveva recuperato il fresco aspetto di sempre, i due servitori se ne rimanevano ancora avvolti nelle loro vecchie e sudice garze, mentre i corpi, spigolosi e scricchiolanti quali erano, sembravano più un mucchio di vecchie ossa tenuto in qualche modo insieme. Il povero Neshi poteva contare addirittura su un occhio soltanto.

    «Ciao ragazzi!» li salutai, nonostante tutto, sinceramente felice di vederli. Sentendomi rivolgere a loro con affetto, mentre il padrone se ne rimaneva in disparte, tutto preso com’era a soffocare chissà quale impulso scaturito dalla nostra semplice unione, i due si sciolsero un po’.

    «Come butta?» fece Hapu con un cenno della mano.

    «Daphne, cara! È sempre un piacere rivederti!» disse Neshi prodigandosi in un inchino non necessario e degno di una regina.

    Sapevo di poter capire ciò che dicevano soltanto grazie all’antica formula magica pronunciata dal signor Campbell, il guardiano del museo, quando aveva scelto di riportare alla vita tutte le mummie presenti al Museo di Archeologia e Storia dell’antico Egitto di Washington, rendendomi possibile interagire con il loro mondo. Almeno per una cosa potevo essergli riconoscente…

    «Sarebbe un piacere maggiore se non dovessi portarmi appresso questo mucchio di bende e polvere,» lo corresse Hapu.

    Neshi strabuzzò l’occhio. «Che cosa vuoi dire?»

    «Voglio dire che sono stanco di non poter assaporare un succoso pezzo di carne, stanco di temere che mi cadano le braccia per ogni peso che sollevo e, soprattutto, sono stanco, stanco e stanco di sapere che il peggior pericolo da cui devo guardarmi sono le termiti!»

    «Bisogna considerare il lato positivo della cosa. In fondo, siamo vivi,» gli fece notare Neshi rivolgendomi, nonostante quelle parole, un sorriso velato di malinconia.

    «Vivi? Doversi nascondere quando bussano alla porta, non potersene andare a spasso nemmeno nei giardini privati del palazzo, per paura che qualcuno possa vederti, non riuscire nemmeno ad andare in bagno, poiché privo di intestini… E la chiami vita, questa?» sbottò l’altro.

    «Hapu, finiscila di infastidire Daphne con questi ripugnanti dettagli. A nessuno interessa dei vostri intestini,» intervenne Reshef premendosi le tempie infastidito.

    Neshi si prodigò in un secondo inchino e questa volta sfiorò quasi il pavimento con ciò che rimaneva del suo naso. «Avete assolutamente ragione, padrone, adesso come allora.»

    Hapu invece si limitò a incrociare le braccia sul petto. «Sì, certo, ma allora andava decisamente meglio!» bofonchiò tra sé.

    Reshef non fece più caso a loro, ma, quasi avesse recuperato le forze, si girò a fissarmi, appoggiando il capo sul palmo della mano e rivolgendomi uno sguardo rovente. Papiro si stese al suo fianco facendo le fusa e lui prese a solleticargli la nuca con un dito. Sembrava un leone pronto a divertirsi con la sua preda.

    Mi sistemai nervosamente gli occhiali dalle asticelle dorate che portavo sempre sul naso, sapendo di essere io quella preda. «Allora, dimmi, come vanno le cose a Tebe?» chiesi, dando qualche colpo di tosse.

    Reshef colse la mia tensione e un sorrisetto storto gli si disegnò in faccia. «Nulla di interessante. Tutto procede in una piatta monotonia,» rispose, senza dare alcuna importanza alla faccenda e continuando a tormentarmi con quello sguardo.

    «Dimentichi che io vivo nel ventunesimo secolo e che, per una come me, la monotonia del tuo tempo può risultare estremamente affascinante,» gli feci notare, dando fondo a tutte le mie energie per resistere al desiderio divenuto ormai bruciante di gettarmi tra le sue braccia, come pure lui voleva. Ma Hapu e Neshi erano ancora lì con noi e non potevo fingere che ciò non facesse la differenza. Così proseguii: «Allora, in quali attività si è intrattenuto il magnifico rampollo degli dèi?»

    Reshef sbuffò annoiato, capendo che nonostante fosse il faraone di tutto l’Egitto, in quel momento non sarebbe riuscito a convincermi a venir meno ai miei propositi. «Oh, beh, ho ricevuto alcuni funzionari provenienti dalle cave della Nubia, ho legiferato un paio di decreti amministrativi, ho risolto qualche disputa giuridica e ho presenziato ad alcune cerimonie religiose… che fascino può nascondersi in simili attività?» bofonchiò, portando le mani dietro la nuca e mettendosi a fissare il soffitto.

    «Davvero non riesci a immaginarlo?» domandai esterrefatta. «Hai detto che hai assistito ad alcuni riti religiosi, allora devi aver incontrato anche i sacerdoti…»

    «È così.»

    «Beh, e allora?»

    «Allora cosa?»

    «Come si comportano? Anche loro si devono nascondere, come fanno i tuoi servitori?» chiesi facendo un cenno verso Hapu e Neshi.

    «A dire il vero, loro non ne hanno bisogno.»

    «No, di certo, sono furbi quelli!» non resistette dall’intromettersi Hapu.

    «Che cosa volete dire?»

    «Vuole dire che hanno trovato il modo per nascondere le loro, come dire… mutilazioni,» spiegò Reshef.

    Sgranai gli occhi sorpresa. «Cioè nessuno sa che sono mummie?»

    «Con gli abiti che hanno iniziato a indossare, chi lo sospetterebbe?» disse Hapu. «Potrebbero nascondersi persino delle capre là sotto.»

    Neshi ridacchiò in modo sommesso. «Carina questa!»

    «Già, il fetore le ricorda molto, non è vero?» annuì Hapu sorridendogli per la prima volta in modo complice.

    Trattenni a mia volta un sorriso, poiché pure loro erano avvolti dalle stesse bende odorose e non avrei mai voluto farglielo notare. «Perlomeno, adesso svolgono soltanto il loro compito, senza cercare di sostituirsi a te nelle decisioni politiche,» mi limitai a dire.

    «Già, anche perché, sorvegliati come sono, non ne avrebbero la possibilità.»

    «Vuoi dire che ancora non ti fidi di loro?»

    «Prendo soltanto le giuste precauzioni, tutto qui. In fondo, dovrebbero ritenersi fortunati nel sapere che una dea ha voluto risparmiare loro la vita. Che importanza ha se le missive che ricevono vengono esaminate e se alle loro porte si intravede qualche guardia?» disse guardandomi.

    Arrossii, sentendolo alludere a me in quel modo.

    «E adesso torniamo a noi…» mi interruppe lui a quel punto, alzandosi dal letto con nuova energia e cambiando d’un tratto argomento. «Dammi il braccio.»

    Non appena glielo porsi, Reshef estrasse da chissà dove un bracciale d’oro tempestato di rubini grossi quanto ciliegie e me lo mise al polso. Impiegai qualche secondo per abituarmi al peso considerevole di quel preziosissimo gioiello, mentre i suoi riflessi mi riempivano gli occhi. Persino Hapu e Neshi di fronte a tanta bellezza sgranarono impressionati ciò che rimaneva delle loro palpebre bruciate dal tempo.

    «Oh, Reshef, è… è stupefacente!»

    «È soltanto un gingillo,» sorrise facendo spallucce, «ma si intona con il colore della tua pelle,» aggiunse facendomi scorrere un brivido lungo la schiena.

    Hapu e Neshi continuavano a scrutare me e Reshef, senza perdere una sola sillaba. Le loro pupille guizzavano avide e curiose di scoprire cosa sarebbe successo.

    Raccolsi un lungo sospiro. «Io non so nemmeno cosa dire,» mormorai infine, «se non che… non posso accettarlo.»

    Stavolta nemmeno Reshef riuscì a mascherare il suo stupore e le bocche di Hapu e Neshi caddero aperte, tanto che per un attimo temetti potessero staccarsi. Era ovvio che, da dove venivano loro, un simile modo di ragionare non era nemmeno immaginabile.

    Il faraone fu il primo a riprendersi. «Anche questa volta?» ridacchiò con aria di rimprovero. Sembrava non capire cosa non andasse nel suo dono e ciò lo confondeva.

    «Ascolta, so che sembra assurdo, ma i tuoi regali sono davvero troppo preziosi.»

    Reshef gonfiò il petto. «Sono soltanto stupide pietruzze di cui i miei forzieri sono pieni,» disse con orgoglio. «Ma tu sei infinitamente più preziosa,» aggiunse, sfiorandomi il viso con due dita.

    Arrossii, percependo la pelle bruciare dove lui la sfiorava. Reshef cercò il mio sguardo. «Andiamo, accettalo. Qualunque di questi sciacalli farebbe a gara per averne uno simile,» disse, facendo cenno verso i servitori.

    «Sei davvero dolcissimo, ma… non posso,» ribadii, sfilandomi il bracciale dal polso e porgendoglielo.

    Reshef esitò un istante, infine cedette. «E tu sei incredibile. Nessun altro lo avrebbe fatto al posto tuo. Per questo ti amo ancora di più,» bisbigliò tirandomi a sé. «Vieni qui.»

    Fece passare le braccia attorno ai miei fianchi e mi strinse come se non volesse più lasciarmi andare. Posai la guancia contro il forte petto che si intravedeva sotto la tunica e inspirai il profumo inebriante della sua pelle. Una squisita miscela di oli profumati, con una nota di incenso, si insinuò nella mia gola.

    Anche Reshef affondò il naso tra i miei capelli e, ispirando profondamente, parve catturato da un sentimento analogo. «Il tuo profumo…» mormorò, «un’altra cosa che mi manca da impazzire quando sono dall’altra parte.»

    Sapevo bene cosa intendesse, perché anch’io provavo la stessa nostalgia ogni volta che era lontano.

    «È così che vorrei stare per sempre,» bisbigliai. «Con il tuo cuore che batte accanto al mio.»

    «E per il tuo,» aggiunse lui.

    Sospirai e lo strinsi più forte.

    «Che cosa c’è?» chiese lui.

    Sorrisi, malinconica, e percepii un nodo stringermi la gola al pensiero di non poterlo avere accanto a me tutte le volte che avrei voluto. «Nulla, davvero,» mentii nonostante tutto.

    Ma lui parve leggermi nel pensiero. «Devi essere felice,» disse. «Voglio che tu sia felice,» aggiunse.

    «Ma lo sono…»

    Reshef mi baciò le labbra. «Dolce Daphne, so quello che ti scuote, poiché è la stessa cosa che scuote me,» rivelò. «Proprio per questo, voglio proporti un gioco!»

    Corrugai la fronte. «Che cosa hai in mente?»

    «Daphne, ormai io so praticamente tutto del tuo mondo, giusto?» rise.

    Esitai, sapendo che un giovane che proveniva dal passato come lui non potesse nemmeno immaginare quante sorprese riservava ancora il nostro secolo. «Beh, mettiamola in questi termini…» gli concessi.

    «E tu invece non sai nulla del luogo da cui provengo io.»

    «Ti sbagli, ho preso ottimi voti all’esame di Storia Antica,» lo corressi. Ma lui non mi udì neppure e mi prese invece la mano perché lo seguissi. «Ehi, ma dove mi porti?»

    «Ancora non lo indovini?» ammiccò, portandomi al centro della stanza.

    Sgranai gli occhi, senza riuscire a capacitarmi che quel prodigio capace ogni volta di consegnarmi e togliermi il ragazzo che amavo, per riportarlo alla sua epoca, potesse un giorno coinvolgere pure me.

    «Veramente… io… potrei…?»

    Reshef estrasse il Pulviscolo degli Dèi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e si preparò a servirsene. «Nessuno si accorgerà di niente. Ti riporterò subito a questo istante.»

    Il cuore mi svolazzò nel petto. «Oh, Reshef, ma è… è fantastico!»

    «Pronti voi due!» fece lui ai suoi servitori.

    Quelli sobbalzarono e si affrettarono a raggiungerci.

    Non potevo credere stesse succedendo davvero. Tra non molto avrei visto con i miei occhi e toccato con le mie mani quella terra lontana, di cui fino ad allora avevo letto soltanto nei manuali di storia e che da tempo riempiva la mia immaginazione.

    Reshef tenne sospesa la clessidra innanzi a sé. La osservai con maggior attenzione, tanto da riconoscere, sull’intelaiatura in pregiatissimo ebano nero, i corpi intrecciati dei serpenti che vi erano scolpiti.

    «Come funziona?» domandai.

    Reshef non staccò lo sguardo dal prezioso oggetto. «Il meccanismo esatto non lo

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