Missione 1 – Il profumo di Jaistok
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Fantasy - romanzo (224 pagine) - Una nuova missione per i giovani agenti della K-Squad: come faranno a sventare il complotto su Jaistok, il pianeta profumato, ora che hanno perso gli agenti più esperti?
Non c’è pace nella galassia, e gli agenti K devono affrontare una nuova crisi.
Su Jaistok, il pianeta toki dal delizioso e corroborante profumo, Ceuff Scilzun, un giovane funzionario burgun, è stato accusato ingiustamente di aver ordito un complotto contro il viceré locale. La K-Squad deve trovare il modo di scagionarlo e placare la crisi diplomatica che si sta scatenando.
Ma Jezto Shaois, l’agente più esperto, è stato assassinato durante la missione precedente su Geofania, lasciando un vuoto incolmabile nella K-Squad, e Casey Smitherson, il custode di primo livello dell’Istituto K, continua a domandarsi se Billy, il terrestre chiacchierone, Lucaff, l’ex atleta burgun, la geniale Anniarz e Tea la gamer riusciranno a scagionare il rappresentante della Repubblica nel sistema più ostile a essa.
Insieme alla nuova arrivata nella K-Squad, la scorbutica toki Largisa, e allo stesso Casey, gli agenti K condurranno un’indagine serrata che li porterà dai quartieri più degradati ai luoghi più incontaminati del pianeta, sempre guidati dall’inconfondibile fragranza di Jaistok.
Nato nel 1970, laureato in Fisica, Andrea Ferrando è nato nel 1970 e vive a Genova. Di giorno conduce progetti di miglioramento aziendale, di notte si dedica alla fantascienza, all’horror e al noir. Pensa che le due cose siano collegate, ma deve ancora capire come. Qualche suo racconto è in giro per la rete o pubblicato su antologie cartacee come Il Magazzino dei Mondi 3 e 365 Racconti d’Estate di Delos Books. Per Delos Digital ha pubblicato racconti per le serie Chew-9, Urban Fantasy Heroes e The Tube. Ha una passione per la musica rock, per quello sport ormai desueto che è il tennis serve and volley e per la misurazione delle performance aziendali.
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Anteprima del libro
Missione 1 – Il profumo di Jaistok - Andrea Ferrando
9788825411317
Personaggi
Agenti K
Dorotea Nilssen
Giovane pilota e gamer di discendenza terrestre
Billy Maiker
Il più grande agente dell’universo secondo Billy Maiker
Giovane orfano contaballe di discendenza terrestre
Anniarz Ku’isi
Geniale ragazza prodigio di discendenza darzaki
Lucaff Menkun
Ex campione galattico di jufutsu, di discendenza burgun
Altri personaggi
Segfa Shaois
Figlia del capitano Shaois di discendenza flippis
Casey Smitherson
Custode di primo livello dell'Istituto K
Burocrate anziano di discendenza terrestre
Ceuff Scilzun
Giovane funzionario di discendenza burgun
Direttore della dogana di Jaispol
Largisa Fan Desnif
Giovane disoccupata di discendenza toki
Xepeteno Den Erufok
Il Principe dell’Artiglio, uomo di discendenza toki
Greno den Gireis
Segretario di Ceuff Scilzun, uomo di discendenza toki
1. Ceuff Scilzun
Ceuff diede una craniata sull’architrave della porta e si ritrovò con una mano incastrata nel fondo metallico del minuscolo lavabo incrostato. Si girò intorno, sbuffando, ma c’era poco da vedere. Il bagno pubblico della dogana di Jaispol, capitale di Jaistok nel sistema TKHS, era tutto lì, nei pochi centimetri sopra alla sua testa e nel paio di metri davanti a sé.
A onor del vero, le dimensioni di quel cubicolo erano sufficienti per quelli della discendenza toki, che costituivano il novantanove per cento di quelli che lo usavano. Loro, a differenza sua, erano grandi come un bambino burgun… e di gran lunga più fastidiosi.
Piegato in avanti con i crampi alle gambe, si guardò nello specchio. Gli parve di trovarsi davanti la versione settantenne di se stesso, il suo volto irsuto era velato da una coltre di stanchezza. Si schizzò addosso dell’acqua gelida per riscuotersi da quel torpore.
– E stia attento! – La voce stridula come carta vetrata di un toki lo fece raddrizzare. – Guardi che non siamo mica sul suo pianeta troglodita, qui ci teniamo al decoro e alla pulizia!
Ceuff si voltò e guardò in basso verso il proprio interlocutore.
Era un essere minuscolo, un uomo in versione mini. Proporzionato, anche bello a vedersi, con gli occhi azzurri e i lineamenti delicati tipici della discendenza toki. Ma la finezza si fermava ai tratti somatici, almeno nel momento in cui prese a inveire contro Ceuff con parole che avrebbero fatto arrossire anche uno scaricatore dell’astroporto minerario di Hetsgie.
– Problemi? – mormorò lui asciugandosi il viso.
Il toki continuò a insultarlo. – Adesso chiamo il direttore di questo posto e le faccio fare una bella multa come si merita! Ha bagnato dappertutto. Dovrebbero farvi tornare sul vostro sistema. Quando non c’era la Repubblica a schiacciarci, noi eravamo i dominatori della galassia!
Ceuff si morse le labbra. – Quindi voi siete così insignificanti per colpa della Repubblica? – sfidò il piccoletto. – Immagino allora che prima dello Schiacciamento foste enormi, simpatici e pure intelligenti. Oh, i bei tempi andati…
Il toki arrossì come un frutto di djaue e girò i tacchi, impettito.
– E comunque – gli gridò dietro Ceuff – per sua informazione, il direttore qui sono io!
Rimasto solo, decise di attendere qualche minuto. Non poteva uscire così alterato, avrebbe perso ancora autorevolezza presso i collaboratori.
Nessuno dei sottoposti lo amava, vuoi perché nessuno ama mai il proprio capo, soprattutto se imposto dall’alto; vuoi perché loro erano toki e lui era burgun, e fra loro c’erano centinaia di anni di odio che solo il benessere portato dalla Repubblica Federale Galattica era riuscito a domare… ma non ad assopire.
Ceuff si massaggiò la folta barba come se fosse la lampada magica delle fiabe dell’antichità. Sperò che ne filtrasse una specie di genio che lo aiutasse nella risoluzione di tutti i problemi che lo soffocavano. Invece ottenne solo di rendersi ancora più scompigliato.
Una vibrazione lo fece ritornare alla realtà. Ceuff mise una mano in tasca, estrasse il tablet e lo srotolò: sul display apparve l’immagine sorridente di suo padre.
– Come sta l’orgoglio della famiglia? – esordì Dirteff Scilzun, sottosegretario agli affari interplanetari del governo burgun.
– Normale, pa’ – disse Ceuff con un sospiro – come al solito.
– Qui a Gerebum parlano tutti di te, il più giovane rappresentante delle Repubblica incaricato! – Il vocione di Dirteff metteva a dura prova le orecchie di Ceuff. – Alla fine del tuo mandato un posto di prestigio non te lo nega nessuno. Vedrai!
Ceuff non disse niente, ma non ce n’era bisogno, suo padre era irrefrenabile.
– Questo è il sangue degli Scilzun, sempre pronti a servire la Repubblica. Non vorrei sbilanciarmi troppo ma, secondo me, potresti rinverdire i fasti del bisnonno. Uno Scilzun di nuovo presidente!
– Non penso, pa’. – Ceuff si guardò allo specchio per prendere il coraggio necessario.
– Come no, non essere modesto! All’accademia eri il migliore, non c’era toki, darzaki, terrestre o flippis bravo come te. E poi, quest’incarico: non ti hanno mica mandato a poltrire nella bambagia, ti hanno mandato nel sistema toki: il più ostile alla Repubblica. Non è un incarico che affiderebbero a chiunque, capisci?
– Forse l’hanno dato all’uomo sbagliato – suggerì Ceuff.
– Macché! – Il padre era impossibile da frenare. – Sei sempre andato d’accordo con chiunque… e poi tutti vogliono bene alla Repubblica, anche i toki, loro malgrado…
– Pa’, non hai idea di come sia qui – lo interruppe. – Le mezze parole, gli sguardi sospettosi lungo le strade, i controlli quando passeggio in centro…
Il padre ridacchiò. – Ma cosa vuoi che sia, noi Scilzun siamo indistruttibili.
– Lasciami finire pa’! – urlò Ceuff – Stammi a sentire per una buona volta!
Dall’altro capo della comunicazione piombò il silenzio.
– Senti, pa’ – Ceuff si guardò di nuovo allo specchio, faticava a riconoscere il ragazzo che aveva accettato quella sfida con fermezza e senso dell’avventura. – Io non ce la faccio più. Non so se riuscirò a portare a termine l’incarico.
– Cosa? – mormorò il padre.
– Io… ogni mattina che vengo qui mi prende l’ansia. Pensano che io sia un raccomandato che gli ha rubato il posto che meritavano. Torno a casa e devo stare attento perché nel tragitto qualche poliziotto potrebbe fermarmi con una qualsiasi scusa. Tre giorni fa mi hanno anche sbattuto in guardina, lo sai?
– Uno Scilzun non si arrende per queste cretinate – sbuffò il padre. – Ricordati del nonno: la medaglia al valore non l’ha conquistata frignando perché la gente non gli voleva bene.
– Papà! – Ceuff stava sul punto di crollare. – Come puoi non capire? Io qui non resisto più. Se entro la fine del mese non cambia la situazione…
Il padre non gli diede il tempo di finire la frase.
– Cosa vuoi fare, smidollato? – Gli altoparlanti del tablet sibilarono per lo sforzo. – Se osi rinunciare, non presentarti più qui! Non sarai degno di essere uno Scilzun!
– Ci sto provando, pa’ – mormorò Ceuff.
– Ma che provare e provare. Tu da lì non ti muovi fino alla fine del mandato!
E con un rantolo rabbioso, il padre chiuse la comunicazione.
La rabbia repressa di quegli anni su Jaistok esplose in Ceuff. Accartocciò il tablet nella mano per sfogarsi. Quando la riaprì, piccole schegge di vetro gli si erano conficcate nel palmo. Ma non sentiva dolore, non lo sentiva da tempo. Era tutto coperto dalla rabbia sorda che quel maledetto pianeta aveva instillato in lui.
Gettò i pezzi del tablet nel cestino rigenerante, passò le mani sotto l’acqua fresca e si sciacquò il viso.
Prese un bel respiro. Era ora di uscire da lì.
Tornò al varco doganale, dove gli addetti di livello più basso erano indaffarati come formiche, e simili a una piccola diga bloccavano il flusso costante dei turisti creando, in loro corrispondenza, rigonfiamenti nella lunga fila.
Al passaggio di Ceuff gli impiegati fecero un cenno di assenso, niente di troppo evidente. Un segnale di troppa deferenza verso un burgun come lui ne avrebbe sminuito l’autorità nei confronti dei loro simili.
Ceuff salì in ufficio e si accomodò alla scrivania che si era fatto fare su misura appena insediato in quell’incarico. Passò la mano lungo il bordo del tavolo, tremava ancora dalla rabbia.
Pensò alle minacce di suo padre. Pensò alle parole sul coraggio degli Scilzun. Era mai stato coraggioso? No, non lo era mai stato. Ma forse era arrivato il momento di esserlo.
Accese il display di comunicazione che aveva di fronte, aprì il messaggio che aveva in bozza da mesi. Il messaggio di dimissioni immediate. Non aveva mai avuto il coraggio di inviarlo, sempre a chiedersi cosa sarebbe successo, cosa avrebbero detto i suoi amici, suo padre, perfino i toki.
Cliccò su invio.
Si rilassò sulla sedia. Adesso l’avrebbe scoperto. A suo modo, era stato coraggioso.
Premette un pulsante e la grande finestra si aprì appena, lasciando entrare l’aroma inconfondibile del crepuscolo di Jaistok. Inspirò a fondo. L’aria fresca lo calmò all’istante. Era l’unica cosa che apprezzava di quel posto.
Il rinomato profumo di Jaistok non era una leggenda per attirare i turisti creduloni. Era un vero miracolo della natura. Bastavano due boccate e tutto si metteva a posto. Sapeva di gelsomino e pane appena sfornato, era capace di risvegliare memorie che non ricordava neppure di avere: la prima mattina di primavera sul suo pianeta natale, la merenda di frutta fresca che faceva da bambino, il sorriso dei suoi amici lontani.
Era per quello che la gente veniva lì da ogni parte del sistema. Un profumo unico e irripetibile, generato dalla combinazione delle terre rare disciolte nelle acque salmastre e del residuo dell’attività millenaria dell’enorme vulcano spento dell’emisfero boreale, mescolato con gli effluvi delle grandi foreste sempreverdi. Veniva portato dal vento che soffiava dalle scogliere del nord fino alle coste sabbiose, dove i turisti si adagiavano cullati dal clima sempre mite del pianeta.
Un paradiso con pochi eguali in tutta la galassia… ma quasi interdetto ai non toki a causa della proverbiale chiusura verso gli stranieri
.
Ceuff scrutò l’orizzonte viola, come a cercare una ragione per resistere ancora quei pochi giorni, quando uno strano movimento sulla pista di atterraggio catturò la sua attenzione. Grida, confusione. Era scoppiato una specie di parapiglia tra un gruppo appena sceso dalla navetta e un paio di addetti della sicurezza, il che era strano.
Ceuff si precipitò fuori per controllare cosa stesse succedendo, anche se l’ordine pubblico non era sotto la sua responsabilità. Era fatto così: cercava sempre di essere d’aiuto. E forse anche questo era un problema, per la mente chiusa dei toki.
Scese gli scalini minuscoli a quattro alla volta e in meno di un minuto uscì all’aria aperta. Corse verso il gruppetto di toki che litigava fra loro.
Ma appena fu abbastanza vicino da vedere meglio, capì di aver fatto un grosso errore.
2. Lucaff Menkun
Finiti gli esercizi di riscaldamento, Lucaff Menkun iniziò la solita routine. Era il protocollo che aveva ideato lui stesso quando era un agonista. Non lo era più da molto tempo, ma non aveva mai saltato un allenamento se non costretto da una delle sue missioni. Perché non solo era un ex campione olimpico di jufutsu, era anche un agente K.
Si asciugò con una salvietta, rimanendo un attimo a fissare il logo della marina della Repubblica ricamato sullo sfondo blu notte. Era l’unica cosa che gli rimaneva di Jezto, il capitano Shaois
, compagno di tante missioni con la K-Squad. Forse Lucaff aveva infranto le regole portando nella vita normale qualcosa che lo legasse all’Istituto K. Ma mai come ora che Jezto non c’era più sapeva di aver fatto la cosa giusta.
Dopo la morte de Il capitano
Jezto Shaois, Lucaff era anche diventato il più anziano della K-Squad.
C’era qualcosa che strideva in quelle parole: il più anziano. Non solo lui non si sarebbe mai sentito un vecchio, neanche se avesse superato i cent’anni, ma ora come ora era pronto a scommettere che nessuno avrebbe considerato tale un enorme burgun muscoloso di poco più di quarant’anni che ne dimostrava anche una decina di meno.
Prese pesi e tappetino e si mise fuori, sulla veranda in legno davanti alla porta di casa. Amava fare esercizio all’aria aperta. Sentiva tutti i pori della pelle beneficiare della luce del sole e dell’ossigeno puro di quel paradiso. E amava quel posto: le montagne così vicine da poterle toccare, la quiete della solitudine, lontano dal caos dell’universo.
Non che gli piacesse la vita tranquilla in generale. Non poteva affermarlo, dopo essere stato sempre sulla cresta dell’onda come campione conosciuto in tutto l’universo e dopo essere stato arruolato nella K-Squad. Ma quando non c’era da salvare la galassia, o da conquistare una medaglia d’oro, a Lucaff piaceva stare da solo, in compagnia del canticchiare dei volatili autoctoni, un bicchiere di multivitaminico e qualche attrezzo ginnico.
Si sdraiò supino e rilassò i muscoli della schiena. Tirò su il busto e le gambe rette fino a formare una v perfetta. Nonostante gli anni che passavano inesorabili, era ancora in grado di tenere la posizione per diversi minuti. Sorrise.
Altro che anziano.
Balzò in piedi e si chinò sul bilanciere. Con un movimento del capo accese il visore e si collegò al newsfeed per scorrere le ultime notizie. Tra le prime righe c’era un articolo su Anniarz Ku’isi. Quello era l’unico modo per rimanere in contatto con lei fuori dalle missioni.
C’era una qualche intesa con lei, ma Smitherson aveva detto che l’Istituto K proibiva ogni rapporto tra gli agenti nella vita normale. E allora Lucaff si accontentava di cercare nella rete qualche notizia su di lei, e desiderare che la prossima missione fosse prima possibile. Era certo che anche lei aspettava con ansia di incontrarsi di nuovo. anche se non si erano mai detti niente di esplicito. Ma ci sono cose per cui le parole non servono.
Quello che non sapeva era se anche ad Anniarz piacessero le montagne innevate. Fece una smorfia per la fatica e sistemò i dischi.
Anniarz era più una tipa da città. Un’intellettuale, di quelle a cui piacciono gli aperitivi letterari, o le cene raffinate. Aveva il QI più alto dell’universo, e poi era una dei darzaki, selezionati discendenti di scienziati e filosofi. L’articolo su di lei non era molto lusinghiero, ma a Lucaff non importava. Aveva sperimentato sul campo le qualità eccezionali della ragazza.
Come poteva pensare di piacerle? Solo perché nelle missioni vedeva la sua parte migliore? L’atletico campione sempre pronto a buttarsi nella mischia? Per di più, nell’ultima si era fatto fregare e aveva rischiato di rimanerci. Eppure, quando si era risvegliato, gli occhi di lei sprizzavano gioia…
Sollevò il bilanciere sopra la testa come se i dischi fossero di gommapiuma.
Un paracervo saltellò fuori dalla boscaglia davanti a lui. Parve sorridere dietro la folta peluria che aveva davanti al muso. Era la prima volta che lo vedeva così vicino a casa. Erano animali che vivevano nel folto del bosco. Si diceva che se riuscivi a guardarli negli occhi potevi vedere tutta la bellezza del pianeta passarti davanti.
Lucaff rimase ipnotizzato dalla sua bellezza mentre teneva più di cento chili sopra le braccia tese. In effetti c’era qualcosa in quello sguardo. Come se il DNA sviluppato durante i millenni di evoluzione del pianeta potesse riflettersi nel fondo delle pupille iridescenti. L’animale si stufò presto, emise il suo tipico fischio e sparì tra i cespugli da dove era sbucato.
Lui lasciò cadere il bilanciere che rimbalzò sul legno elastico della balconata.
Lucaff si sentiva come quella creatura: ogni tanto spuntava fuori, si guardava intorno, faceva quello che doveva fare e poi ritornava nel posto che preferiva, lontano da tutti. La differenza era che lui non sapeva fischiare.
Si asciugò ancora il sudore.
Sul visore, in basso, c’era una chiamata in arrivo. Un segnale di tipo 2.
Rispose senza esitazioni. Lo schermo gli restituiva il volto tondo e stempiato del custode Smitherson.
– Ciao Casey. Dove è l’appuntamento?
– Jaistok, settore TKHS – rispose l’altro.
– Lo conosco, è il pianeta profumato, vero? Una volta ci sono andato per un’esibizione. Oltre al profumo, mi ricordo della scortesia dei toki.
– Non tutti sono così – puntualizzò Casey.
– Può darsi. Forse perché sono burgun, ma mi hanno trattato come un essere inferiore. Non vedevo l’ora di abbandonare quel pianeta di nanetti.
– Hai qualche giorno di tempo, ti ho mandato le coordinate.
– Abbiamo trovato qualche nuovo agente? Non siamo mai rimasti solo in quattro.
– Ho qualche nome – disse Casey. – Spero di inserirlo prima dell’inizio della missione, gli ultimi arrivi non se la sono cavata male.
– I due terrestri intendi? – domandò lui guardando il bilanciere. – La ragazza ha qualche qualità, anche se per essere in forma come me dovrebbe perdere più di qualche chilo. Con un adeguato allenamento potrebbe diventare un agente passabile. Ma il ragazzo, quello ha malapena la metà dei miei anni e millanta di aver girato tutta la galassia!
Casey inarcò le sopracciglia, titubante. – Il Multitor VASET004 li ha scelti, esaminati e selezionati.
– La ragazza sa pilotare meglio della media, lo ammetto – tornò all’attacco Lucaff. – Ma il terrestre? È un contaballe! Quali sono le incredibili capacità che compensano il fatto che ci ha ammorbato con le sue storie inventate per tutta la missione?
Casey non rispose. Era come se una nuvola di preoccupazione si fosse addensata nel cielo aperto della sua fronte spaziosa. Non c’era bisogno di saper leggere la mente, per capirlo.
– Va bene, non insisto – riprese Lucaff. – Ci vediamo tra qualche giorno, capo.
Smitherson chiuse la comunicazione e Lucaff iniziò a mettere a posto gli attrezzi. Finalmente una nuova missione. Non ne poteva più di starsene con le mani in mano. Guardò davanti a sé, dove poco prima era sbucato il paracervo.
Anche per lui era il momento di uscire dalla boscaglia.
3. Anniarz Ku’isi
Anniarz Ku’isi alzò di un tono il volume della voce.
– Io so farlo meglio di chiunque altro.
Perché sua madre, all’altro capo della comunicazione, continuava a non capire?
– Ma hai cose più importanti a cui dedicare il tuo tempo – disse la madre. – Ti prendi un segretario, il migliore ovviamente. Non penso che nessuno rifiuterebbe di lavorare per una delle menti più brillanti dell’universo.
Anniarz intanto tamburellava con le dita sull’interfaccia. Stava verificando una strana elucubrazione che una sua studentessa le aveva proposto qualche minuto prima.
– Sai come sono i segretari… non mi va.
Doveva esserci un punto di debolezza nelle tesi o una qualche fallacia nella dimostrazione. Pareva solida anche se, nel profondo, non ne era sicura.
Intanto la madre continuava a parlare. – Hai paura che cerchi di accasarsi? Non ti farebbe male.
Ecco, finalmente Anniarz aveva trovato il punto debole! La studentessa non aveva tenuto conto di un vincolo di secondo grado. Comunque, un lavoro notevole.
– A quel punto – rispose nel frattempo – preferisco prendermi un accompagnatore.
Ma sua madre, come tutte le Ku’isi, non era una tipa da arrendersi al primo colpo.
– Così finisci per sprecare le tue doti in cose poco importanti!
Tolse per un secondo l’attenzione dai calcoli, sospirando.
Un puntino rosso lampeggiante divenne nitido nella sua visuale. Era la chiamata per una nuova missione. Accettò con una ditata, e il programma dei voli per raggiungere il punto d’incontro con gli altri agenti si installò sul suo calendario. 138 appuntamenti vennero spostati come in un balletto orchestrato da un coreografo impazzito. Persino il consiglio degli accademici di sei mesi dopo fu spostato di quattro giorni in avanti.
– Hai letto l’articolo su di te? – starnazzò sua madre. – L’hanno pubblicato stamattina sul New Darzak!
Anniarz capì il perché della chiamata.
– Chi te l’ha detto? La zia? Non sapevo seguissi i siti di pettegolezzi.
Ritornò sui calcoli. La studentessa del suo corso aveva trovato una soluzione intelligente. Mancava solo qualcosa perché fosse perfetta. Magari spostando quel fattore di pochi decimi si poteva generare un esperimento virtuale. Le sue dita si muovevano veloci quasi quanto la sua mente.
– Cara, sei ancora connessa? – chiese la madre. – Quell’articolo è pieno di malignità. È disgustoso.
Anniarz generò il grafico sul display: i punti dell’evidenza sperimentale erano ancora sparsi sullo schermo come chicchi di riso caduti da un sacchetto bucato. La soluzione pareva impossibile.
– Non vuoi leggere cosa hanno avuto il coraggio di scrivere?
Con gesto di stizza, Anniarz mise l’articolo sul display.
– Dov’è finito il piccolo genio?
– iniziò a leggere con la voce squittente. – Bel titolo, non c’è che dire.
– E l’articolo è ancora peggio. –