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La città di pietra
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E-book715 pagine10 ore

La città di pietra

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Info su questo ebook

Per Elli e Fabio, da nove mesi partiti a bordo dell'Imperia, è giunto infine il momento del ritorno. Mentre veleggiano verso le coste della Sicilia, la mente della ragazza è costellata di preoccupazioni: cosa ne sarà stato dei loro compagni? Come avranno fatto a sopravvivere senza più il rifugio della Base Primaria e, soprattutto, senza la protezione dell'Averon? Ma una grande sorpresa li attende al loro arrivo, quando la nuova, misteriosa dimora dell'Ordine dei Guardiani li accoglierà nel suo grembo. In un'altalena fra passato e presente, Elli conoscerà nuovi amici e affronterà nuovi nemici, mentre i Custodi si preparano a sferrare il loro colpo più micidiale. L'ora in cui si avvererà la profezia di Elanora è forse vicina? Dopo Il cerchio si è chiuso, il secondo, appassionante capitolo della Trilogia dell'Averon, la saga real fantasy ambientata nell'odierna Palermo.
LinguaItaliano
Data di uscita30 set 2018
ISBN9788895974231
La città di pietra

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    Anteprima del libro

    La città di pietra - Loredana La Puma

    Ringraziamenti

    Prologo

    Esisteva solo oscurità in quel luogo. Impossibile percepire delle pareti, un soffitto o anche un semplice pavimento. Il vuoto era l’unico sovrano che vi regnasse. Si udiva qualcosa, però: un suono ritmico e cadenzato. I passi di una persona che avanzava spedita, stranamente fragorosi in quel nulla assoluto.

    Il rumore cessò. Di punto in bianco apparvero sette sagome fiocamente luminose, tutte già disposte in cerchio, fluttuanti a circa mezzo metro da terra. I loro volti erano nascosti da un pesante cappuccio, nero quanto i mantelli che li avvolgevano. Dalla conformazione si sarebbero detti uomini, ma in realtà non avevano l’aspetto di persone in carne e ossa: erano opalescenti come fantasmi.

    I riflessi biancastri che proiettavano avevano avuto l’effetto di rischiarare appena l’ambiente. Il pavimento appariva adesso nero, liscio e molto lucido.

    Anche colui che poco prima aveva camminato su quella lastra oscura era ormai ben visibile: un ragazzo sui vent’anni o poco più era fermo in piedi, proprio al centro del cerchio. Indossava anche lui un mantello nero, ma stava a capo scoperto. Il volto era magro, assai pallido, incorniciato da una fitta cortina di lisci capelli neri che gli arrivavano alle spalle; gli occhi, di un nero carbone, davano l’idea di due tunnel senza fondo. Chiaramente era il solo a trovarsi lì fisicamente, gli altri sette non erano che proiezioni. Fu il primo a parlare.

    «È molto vicina adesso» disse, senza spostarsi di un millimetro. Fece solo vagare gli occhi dall’una all’altra delle tre sagome alla portata del suo sguardo. L’eco della sua voce risuonò tutto intorno per alcuni istanti, poi tornò il silenzio.

    Una delle proiezioni infine, quella che gli stava proprio di fronte, si mosse appena e parlò. La voce che si udì era incredibilmente acuta; più simile a quella di una donna che a quella di un uomo, in realtà impossibile da definire. In effetti più che un timbro femminile ne sembrava una raccapricciante storpiatura: «Sta tornando? Ne sei certo?»

    «Posso nuovamente percepire la sua presenza» spiegò l’altro, «e ogni giorno questa sensazione è sempre più forte. Presto sarà di nuovo qui.»

    «E quanto alla missione?» A porre la domanda era stata un’altra delle sagome. Anche questa aveva una voce stridente, fredda, quasi insopportabile da udire.

    «I miei uomini hanno eseguito le mie indicazioni alla lettera» rispose il ragazzo, «e i risultati non si sono fatti attendere. Il Quarto Frammento è nelle nostre mani.»

    «E i primi tre?» chiese prontamente l’entità accanto.

    «Lo saranno presto» assicurò lui. «La mole di ricordi da esplorare è infinita e la mia purtroppo non è una scienza esatta… ma vi garantisco che li avremo quanto prima.»

    «Sembri risoluto, eppure avverto un dubbio potente vibrare dietro le tue parole» affermò l’essere che aveva parlato per primo. In qualche modo, sembrava godere di una maggiore autorità rispetto ai suoi compagni.

    «Mi stavo solo chiedendo se questo piano tanto laborioso darà davvero i frutti sperati» confessò il ragazzo dopo un attimo di silenzio. «Come fate a essere così sicuri che, una volta ricomposto l’Eversor, la ragazza cederà alle nostre condizioni?»

    «Lo farà, perché non avrà scelta» dichiarò il suo interlocutore, continuando a fluttuare sinistramente a mezz’aria.

    Il suo tono chiaramente non ammetteva repliche, e infatti il ragazzo non osò ribattere. Strinse appena le labbra, accennò un inchino, si voltò e lasciò il cerchio, allontanandosene poi rapidamente. Raggiunse quindi un’entrata e la varcò. Dietro di lui, la porta da cui era appena uscito si richiuse e subito scomparve nel nulla: alle sue spalle adesso non vi era altro che un muro di pietra. Era sbucato in uno stretto corridoio dalle pareti umide, immerso nella penombra. L’unica fonte di luce erano alcune torce infisse alle pareti, le cui lingue di fuoco non erano però rossastre, bensì di uno sgradevole verde acido dai guizzi neri.

    D’improvviso, come se non avesse atteso che la sua comparsa, qualcosa si mosse in un cono d’ombra poco distante. Ne emerse un uomo, anch’egli ammantato di scuro, che prese ad avanzare con un’andatura sbilenca. Appariva molto anziano, con un viso così rugoso da sembrare scolpito nella pietra, ma ciò che del suo aspetto attirava più l’attenzione era sicuramente quella testa calva così spaventosamente sporgente in avanti.

    «Ah, sei tu, Enzo» constatò il ragazzo con una certa indifferenza, posando appena lo sguardo sul nuovo arrivato. «Come mai qui?»

    «Mio Signore, vi porgo le mie scuse per la mia venuta inattesa.» L’uomo si inchinò quasi fino a terra. La sua voce era intrisa di servilismo e di devozione, ma vi si avvertiva anche una chiara nota di paura. «Ero solo ansioso di conoscere il responso dei Sette. Vogliate perdonare la mia impudenza!» Il vecchio rimase piegato in due, azzardandosi soltanto ad alzare il viso di quando in quando.

    «Niente di nuovo» annunciò il ragazzo gelidamente. Si avviò poi a passo rapido lungo il corridoio. L’uomo gli arrancò dietro, sforzandosi di tenerne l’andatura. «Dobbiamo andare avanti col piano come stabilito. Nulla di più.»

    «Chiedo perdono, mio Signore» azzardò l’uomo titubante, lanciando al ragazzo delle timorose ma continue occhiate di sbieco, «ma non posso fare a meno di notare che in questa faccenda c’è qualcosa che vi turba parecchio.»

    Il ragazzo si fermò. Nei suoi occhi lampeggiò un’ondata di pura collera, mentre a denti stretti sibilava: «Te lo dirò una volta soltanto, mio squallido amico. Non ho la minima intenzione di tollerare concorrenti, di nessun tipo. Quando finalmente l’Averon sarà nelle mie mani non accetterò di condividerne il potere con nessuno. Con lei, meno che mai!»

    «Ma… S-signore» balbettò l’uomo, questa volta visibilmente spaventato. «I Sette… hanno già deciso! Non potete mettervi contro di loro!»

    «Davvero, non posso? E chi lo dice?» Il tono del ragazzo era beffardo, quasi di sfida.

    «E… e la ragazza?» domandò ancora il vecchio con voce tremante. «Cosa intendete farne, allora?»

    Il ragazzo si finse sorpreso. «Mio caro Enzo» chiese in tono ironico, «non sarai forse in pensiero per la sua sorte?»

    «Oh no, mio Signore, affatto!» si affrettò ad assicurargli l’uomo, inchinandosi di nuovo. «Cosa andate mai pensando? È unicamente per la vostra sorte che io, indegnamente, mi preoccupo. I Sette vogliono la ragazza, Signore! Quando il nostro piano sarà compiuto si aspettano di vederla cadere nelle loro mani! Come pensate di ovviare a questo?»

    «Oh, ma loro l’avranno» lo informò il ragazzo con una risata sommessa. «Priva di vita, certo… ma l’avranno! Dirò loro che non ho avuto scelta.»

    «È pericoloso, mio Signore! È pericoloso!» ripeté l’uomo, pallido, torcendosi le mani. «Se i Sette dovessero capire che non avete intenzione di rispettare i loro ordini, per voi sarebbe la fine!»

    «Già. Per me… e per tutti i miei più stretti collaboratori» sottolineò il ragazzo, rivolgendo al vecchio un’occhiata fortemente allusiva. «Tieni pure a bada il tuo animo da coniglio: quando finalmente avrò quel dannato ciondolo, anche i Sette saranno costretti a temermi, e se vogliono conservare il dominio di questo avamposto non avranno altra scelta se non quella di scendere a patti con me! L’Averon presto sarà mio, e la povera Elli non sarà più un problema. Nel frattempo… c’è una persona che ho intenzione di affidarti.» Il ragazzo si voltò verso sinistra, dove uno stretto passaggio si apriva nella parete. Ne uscì un’esile figura incappucciata, che si avvicinò a passo malfermo e accennò un inchino.

    Enzo esaminò con aria critica il nuovo arrivato. «Un altro novizio?»

    «Non è un semplice novizio» spiegò l’altro con una risata soddisfatta e al tempo stesso sottilmente crudele. «Si tratta in realtà di un caso veramente molto, molto particolare. Lo definirei un curioso scherzo del destino! Non so ancora esattamente come, ma ho la netta sensazione che questo ragazzo potrà essermi parecchio utile in futuro. Lo voglio pronto a entrare in azione nel giro di sei settimane, e vedi di non deludermi!»

    Capitolo 1: Il passato ritorna

    L’ennesimo lampo squarciò il cielo, illuminando a giorno le cime dei pini. L’acqua cominciò a venire giù a rovesci e in pochi minuti il terreno coperto di aghi e pigne si ridusse a una fanghiglia impraticabile. Eppure, nonostante quel tempo da lupi, due sagome stranamente informi stavano risalendo velocemente la collina. Dal piccolo cottage di legno in cima all’altura le si sarebbe potute scambiare per delle formiche giganti, così scure e dalla testa rotonda.

    Una delle due si fermò dietro il tronco di un albero e si portò una mano al viso, facendosi scivolare sulle spalle il cappuccio che fino a quel momento aveva portato sul capo. Era un ragazzo sui venticinque anni, con i capelli castani e un pizzetto appena accennato. Socchiuse gli occhi alla luce incerta dei fulmini e si scostò i ciuffi bagnati che gli ricadevano sulla fronte, poi si guardò cautamente intorno. Fece quindi cenno alla seconda figura incappucciata di venire avanti. Anche quest’ultima, una volta al riparo del tronco, si sporse a osservare la casa a pochi metri di distanza.

    «Allora?» chiese con impazienza il ragazzo. «Via libera?»

    «Sì, non sento nulla» rispose l’altra persona dopo un secondo. La voce era quella di una ragazza, acuta e cristallina.

    Il ragazzo aspettò ancora un attimo, poi fece un cenno di assenso e spiccò una corsa verso il cottage. La sua compagna lo seguì a ruota. Mentre il rombo dei tuoni scuoteva il colle dalla cima alla base, i due giovani raggiunsero la casa e constatarono, con evidente sollievo, che la porta di legno non era sprangata.

    Una volta dentro e all’asciutto, il ragazzo scrollò più volte il capo per liberarsi dell’acqua che gli inzuppava i capelli. La ragazza invece si tolse il cappuccio e cominciò a esaminare il nuovo ambiente. Non vi trovò nulla di speciale, solo una vasta camera dal soffitto alto, con un camino e una scaletta che sembrava condurre a una mansarda; l’arredamento consisteva unicamente in un tavolo sgangherato e in una credenza dai vetri polverosi. Quanto all’osservatrice, invece, si trattava di una bellezza davvero non comune: non era alta, ma i suoi lineamenti erano incredibilmente eleganti. Aveva luminosi occhi verdi dal taglio a mandorla, e meravigliosi capelli ramati, la cui lunghezza in quel momento era un mistero, essendo infilati all’interno del lungo mantello marrone che portava sulle spalle. Anche il ragazzo ne indossava uno identico, ma con una S gialla ricamata sul lato sinistro, laddove quello della sua compagna si fregiava di una R rossa.

    «Perfetto!» esclamò il ragazzo con una smorfia. «Ce li siamo fatti scappare!»

    «Ce li siamo… cosa?!» sbottò lei incredula. «Io direi piuttosto che ce la siamo cavata per un pelo! Mi dici che accidenti avresti voluto fare da solo contro cinque di Loro?» Guardò severamente l’altro per qualche secondo, poi nei suoi occhi scintillò un lampo divertito. «Mettiti comodo e rilassati» gli consigliò. «Dovremmo solo ringraziare il cielo per questo acquazzone provvidenziale!»

    Il ragazzo sbuffò e si guardò a sua volta intorno.

    «Davvero provvidenziale» mugugnò torvo. «Bloccati qui senza cibo, fino a chissà quando.»

    «Beh» gli fece notare lei con uno sorriso allusivo, togliendosi con un solo elegante gesto il mantello zuppo, «non è stata certo mia l’idea di arrampicarci fin quassù senza provviste!»

    Il ragazzo si gettò a sedere sul pavimento e si prese il viso fra le mani.

    «Un disastro!» gemette infine scuotendo il capo. «È il mio primo incarico da Supervisore di Terzo Grado ed è stato un fallimento su tutta la linea!»

    In un primo momento l’altra lo guardò comprensiva, poi contorse il viso in una smorfia e incrociò le braccia: «Sai, Nico, mi piacevi molto di più quando non avevi tutte queste manie di grandezza!» dichiarò con decisione.

    Il ragazzo di nome Nico le rivolse uno sguardo stupito, quasi offeso.

    «Ma come sarebbe a dire?!» esclamò accigliato. «Non eri tu che mi accusavi di non prendere il mio ruolo nell’Ordine sul serio? Non ripetevi sempre che ero troppo strafottente per i tuoi gusti?»

    «Sì, questo è vero» ammise lei, «ma se non altro a quei tempi eri molto più simpatico. E poi questa tua nuova aria da ragazzo responsabile non ti si addice per niente. Insomma, non è nella tua natura. Tu sei molto più portato a fare il ribelle, o al massimo, il misantropo con la battuta pungente sempre pronta!»

    «Questa poi!» sbottò Nico. Suo malgrado scoppiò a ridere. «Nella mia vita me ne hanno dette di tutti colori, ma misantropo-con-la-battuta-pungente-sempre-pronta… mai!»

    Anche la ragazza rise e i due si scrutarono per un po’ prima che quest’ultima suggerisse in tono pratico: «D’accordo, vediamo un po’ se riusciamo a non morire di fame.» Si diresse quindi a passo deciso verso la credenza e, tirandosi sulle punte dei piedi, aprì uno degli sportelli in alto. «C’è qualcosa là in fondo!» annunciò, cercando vanamente di afferrare l’oggetto cilindrico che si trovava nell’ultimo ripiano, decisamente al di fuori della sua portata.

    Nico si avvicinò con un sorrisetto, quindi si appoggiò al muro e incrociò le braccia. In quella posa si godette lo spettacolo, lanciandole ogni tanto uno sguardo ironico. «Alice» le disse dopo un po’ in tono paziente, «basta che tu dica soltanto: Nico, per favore, puoi prenderlo tu? Non ci arrivo!»

    «Non ci penso nemmeno!» dichiarò lei, con fierezza. Si spostò quindi al centro della stanza, afferrò le gambe del pesante tavolo di legno e prese a trascinarlo con tutte le sue forze in direzione della credenza. «Tutti… uguali… voi… uomini! Maschilisti… fino… al… midollo!» Dopo aver speso parecchie energie per trascinare il tavolo fino al mobile, Alice se ne servì a quel punto come rialzo per raggiungere lo scaffale. «Ecco qui!» disse sfinita, porgendo a Nico un misero barattolo arrugginito di pelati.

    «Wow!» commentò quest’ultimo afferrandolo. Lo osservò con disgusto. «Quest’affare sarà qui almeno da una decina d’anni! Se mangiamo quello che c’è qua dentro temo che ce ne pentiremo per il resto dei nostri giorni.»

    «Immagino di sì» concordò la ragazza dopo una nuova occhiata alla latta che Nico teneva tra le mani.

    Con un’alzata di spalle i due si portarono al centro della stanza, stesero entrambi i mantelli sul pavimento polveroso e vi sedettero sopra a gambe incrociate. L’idea di restare a digiuno non sembrava averli impressionati, come se fossero stati del tutto avvezzi a privazioni del genere.

    Dopo diversi minuti di infruttuosi tentativi, Nico riuscì infine ad accendere un fuocherello nel camino annerito alle loro spalle. Entrambi si distesero lì accanto per cercare di asciugarsi almeno sommariamente.

    A un certo punto la ragazza si voltò verso Nico con un’espressione indagatrice.

    «Nico, dimmi la verità… che intenzioni hai per davvero?» gli chiese. «Insomma, hai appena ventiquattro anni e sei già al Nono Livello!» Si fermò un attimo e poi aggiunse in tono scherzoso: «Non vorrai per caso diventare il Supremo Reggente più giovane della storia, eh?»

    Nico non sorrise. Si limitò a fissare il soffitto e a mormorare un vago: «Può darsi.»

    A quella risposta Alice sbarrò gli occhi stupita. Il suo tono di voce si fece altamente sarcastico: «Stupendo… così potrai fare il paio con Igor. Sai, non credevo che fossi fatto di quella pasta!»

    «Ehi!» esclamò Nico risentito, tirandosi a sedere di scatto. «Non vorrai paragonarmi a quella specie di esaltato, spero!»

    Alice si mise a sedere a sua volta. «Beh, visto che ti comporti come lui…» replicò tranquilla.

    Il ragazzo si voltò verso il fuoco e per un po’ lo fissò in silenzio. Il riverbero della fiamma illuminava adesso il suo volto pensieroso e indecifrabile, reso ancor più enigmatico da quell’alone rossastro che danzava sui suoi lineamenti.

    «Fino a quando non sarò diventato perlomeno un Alto Funzionario» spiegò infine tornando a guardare Alice negli occhi, «nessuno mi prenderà mai sul serio, lo capisci?»

    «Ti riferisci al tuo progetto di legge?» azzardò lei con cautela. «Quello che conferirebbe ai bambini dell’Ordine il diritto di scelta?»

    «E a cosa se no?» Nico aveva uno strano sguardo di sfida negli occhi. Era come se il riflesso della fiamma sfavillasse ora dietro le sue iridi piuttosto che sul suo volto.

    Alice fece per parlare, poi sembrò ripensarci e si voltò a fissare il pavimento.

    Il suo gesto però non era sfuggito a Nico.

    «Perché quella faccia?» le chiese prontamente. «A te farebbe forse piacere vedere i tuoi figli sepolti in quella biblioteca polverosa dalla mattina alla sera? Ti piacerebbe vederli costretti a quegli allenamenti massacranti, obbligati a combattere e a rischiare la vita ogni giorno della loro esistenza?»

    «No» rispose la ragazza incerta, «però… nel mio caso è diverso. Se mai avessi dei figli, lo sai, uno di loro potrebbe essere come me, e in questo caso preferirei che fosse preparato a sostenere un peso del genere. E poi… l’Ordine è la mia famiglia, la mia vita! Solo fra di voi ho trovato degli amici, delle persone che mi capiscono e mi rispettano. Il mondo esterno non è stato certo altrettanto benevolo con me…» Nell’ultima frase di Alice si era percepita una chiara vena di malinconia e di risentimento. La ragazza abbassò lo sguardo e per un po’ rimase a fissare la suola infangata della propria scarpa. «Io sono fiera di quello che faccio» affermò infine decisa, «la vita che conduco adesso mi piace, è l’unica che mi si addica veramente. Non ero felice là fuori, mentre adesso lo sono.»

    «Questo lo so» le assicurò Nico. «Ma il fatto che tu ami questa vita di per sé non significa proprio nulla. Riflettici: tu hai avuto la possibilità di scegliere, hai avuto modo di capire che la vita del mondo di fuori non faceva al caso tuo. Ma non è affatto detto che quello che non è andato bene per te non andrà bene neanche per i tuoi figli! Come fai a sapere a priori quello che vorranno o che non vorranno? Tu non sai cosa vuol dire crescere nell’Ordine… non sai cosa significa avere la sensazione, giorno dopo giorno, che qualcun altro stia decidendo della tua vita al posto tuo! Io ci sono passato e, credimi, non è affatto piacevole. È come se qualcuno ti tenesse costantemente un cappio intorno al collo, e lo andasse stringendo sempre di più fino a toglierti il respiro! Per me è inconcepibile che si possa predeterminare l’esistenza di una persona ancora prima che venga al mondo, e mi batterò con tutte le mie forze affinché questo non accada mai più!»

    Alice lo scrutò per qualche secondo pensierosa, poi ammise in tono prudente: «Sì, immagino che tu abbia ragione. Se io vedo le cose in maniera diversa probabilmente è proprio perché per me l’Ordine è stato una specie di ancora di salvezza… ma in effetti non posso sapere cosa voglia dire nascere e crescere al suo interno.»

    Il volto teso di Nico si sciolse in un sorriso.

    «Allora… sei dalla mia parte?» le chiese speranzoso. «Vorrebbe dire molto per me!»

    «Come sempre!» lo rassicurò Alice. Poi con un sorrisetto sarcastico aggiunse: «Allora sarà meglio che cominci a chiamarti Vostra Eccellenza! Così inizi ad abituarti al suono!»

    «Ah, ah, ah!» il ragazzo finse di essersi offeso. «Davvero molto, molto spiritosa!»

    Un momento dopo però lo sguardo di Nico cadde sul braccio sinistro della ragazza; la sua espressione si fece subito seria e preoccupata. La afferrò delicatamente per la spalla e la fece voltare di lato.

    «Ehi, ma stai sanguinando!» esclamò.

    «Già, è vero» notò distrattamente Alice. Piegò anche lei la testa verso il proprio braccio. «Lo avrò strisciato contro qualche ramo.» In effetti la manica della sua maglietta era lacerata e una lunga striscia rossa percorreva l’arto dalla spalla fino al gomito. «Ma non preoccuparti, è solo un graffio.»

    Ma Nico sembrava pensarla diversamente: stava già trafficando col suo mantello e un attimo dopo ne estrasse una garza e una bottiglietta di plastica contenente un liquido verdognolo.

    «Non dire scemenze!» l’apostrofò il ragazzo con decisione, rovesciando la boccetta contro la benda. «Il taglio è profondo, quanto meno dobbiamo disinfettarlo.»

    Alice si lamentò non appena la garza entrò in contatto con la ferita. «Ahia! Ma brucia!»

    «Meglio» decretò Nico, tamponando delicatamente il taglio in tutta la sua lunghezza. «Vuol dire che sta facendo effetto.»

    All’improvviso però la mano del ragazzo si fermò: aveva alzato lo sguardo verso Alice, il cui volto era a pochi centimetri dal suo. La ragazza lo fissò per alcuni secondi, occhi negli occhi, poi si fece avanti di slancio e lo baciò.

    Inizialmente Nico ricambiò il bacio, ma dopo alcuni secondi si tirò bruscamente indietro. Si alzò di scatto, il viso voltato dall’altro lato, l’espressione incredula e agitata. Sembrava che non avesse più il coraggio di guardare in faccia la ragazza.

    «Alice… io…» balbettò infine confuso, sempre fissando la parete. «Senti… facciamo finta che non sia successo, d’accordo?»

    La ragazza aggrottò la fronte e si alzò a sua volta in piedi. Il suo sguardo era minaccioso quando raggiunse Nico e si andò a piazzare di fronte a lui, costringendolo se non altro a guardarla in viso. «È questo che vuoi?» esclamò con una voce acuta e vibrante di rabbia. «Allora farai meglio a fingere anche che non abbiamo passato gli ultimi due anni a girarci intorno!»

    «Alice…» prese a dire di nuovo il ragazzo, ma sembrava non trovare le parole. Scosse il capo e si allontanò a grandi passi verso l’altro lato della stanza.

    «Cosa provi per me?» gli chiese a bruciapelo la ragazza dopo alcuni istanti di raggelante, pesantissimo silenzio. Non lo stava guardando, osservava le doghe del pavimento.

    Nico sussultò. Forse non si era aspettato una simile domanda, o forse non si era aspettato che gli venisse posta in maniera così diretta…

    «Io…» disse lui, sempre più confuso. «Alice… sono più grande di te! Tu hai solo diciotto anni e…»

    «Cosa provi per me?» gli domandò ancora l’altra con maggior decisione, tornando a fissarlo dritto negli occhi.

    «E poi…» proseguì Nico come se non l’avesse udita «… io sono il tuo Supervisore. Non sarebbe corretto!»

    «Cosa provi per me?»

    «Tu hai un incarico di grande responsabilità e… e se ti distraessi dal tuo compito questo potrebbe portare a delle conseguenze disastrose…»

    « Cosa accidenti provi per me?» urlò quasi la ragazza.

    Nico ammutolì e sbiancò. La guardò a lungo e infine, con un filo di voce, le rispose semplicemente: «Io… ti amo.»

    Ogni traccia di rabbia svanì immediatamente dal volto di Alice. Di fronte a quella rivelazione, che pure si era sforzata di provocare in tutti i modi, anche lei parve restare senza parole.

    Nico prese a camminare nervosamente su e giù per la stanza, passandosi più volte la mano fra i capelli. «Ti amo da morire» le disse ancora. «E… e questo mi spaventa a morte!»

    «Perché?» chiese Alice risentita. «Che motivo c’è di avere tanta paura?»

    «Io credevo… credevo di sapere quello che volevo prima di incontrarti!» sbottò il ragazzo con rabbia, fermandosi finalmente di fronte a lei. «Avevo deciso di andarmene via, di piantarla con mio padre e con l’Ordine, una volta per tutte! Ma da quando sei entrata nella mia vita… beh, hai cambiato tutto, e quando me ne sono reso conto ormai era troppo tardi. Perché credi che mi stia dando tanto da fare? Da cosa credi sia nata l’idea di cambiare la situazione dall’interno? Tutto quello che ho fatto negli ultimi mesi, l’ho fatto pensando a te, perché sapevo perfettamente che non avresti mai accettato di lasciare l’Ordine, mentre io d’altro canto non potevo pensare di passarci tutta la vita, non così com’è adesso almeno! E ora… non lo so, non capisco più niente. Tutti quei tuoi discorsi sulla nostra missione e sul destino dell’umanità… mi hai quasi convinto che valga davvero la pena di essere un Guardiano! Ma guardami: sto cercando con tutte le mie forze di diventare Supremo Reggente! Proprio io» proseguì con una risatina beffarda, «che appena due anni fa ero pronto a sparire nel nulla fregandomene di tutto e di tutti. E adesso non so più se quello che sto facendo lo sto facendo per te, o se lo sto facendo per me stesso, o per il bene dell’Ordine o… o per i figli che vorrei avere con te. Non ho mai avuto un briciolo di controllo sulla mia vita, e adesso… adesso non capisco se ce l’ho ancora di meno o se finalmente ho trovato qualcosa che dia un po’ di senso alla mia stupida esistenza. È un gran casino, e l’hai provocato tu!»

    Il ragazzo smise di parlare e cercò di riprendere fiato. Nella fretta di tirare fuori tutto quello che provava le parole si erano accavallate le une con le altre in una generale confusione, e in effetti Alice lo fissava adesso con un’espressione piuttosto allibita.

    «Questa sì che è una dichiarazione romantica!» commentò infine la ragazza. Forse tentava di sdrammatizzare, ma anche lei appariva parecchio scossa.

    Per un po’ rimasero a fissarsi senza parlare. Evidentemente la situazione aveva preso una piega che nessuno dei due aveva mai neanche lontanamente immaginato. Potendolo fare, lo si capiva dai loro sguardi stravolti, avrebbero cancellato volentieri quell’ultimo quarto d’ora dai propri ricordi.

    «Forse hai ragione tu» mormorò infine Alice. «Sarà meglio andare avanti come se non fosse accaduto nulla.» Pronunciare quelle parole doveva esserle costato ogni briciola di determinazione in suo possesso, e altrettanto si poteva pensare del breve cenno di assenso che Nico le rivolse.

    La situazione pareva tornata a uno stato di calma; ma era una quiete apparente, che niente aveva a che vedere con l’atmosfera serena che aveva regnato prima che Nico scorgesse la ferita sul braccio di lei. Niente sarebbe stato più come prima, non adesso che i loro veri sentimenti erano usciti allo scoperto.

    Probabilmente fu proprio la comprensione di questa verità che a quel punto spinse il ragazzo a prendere Alice fra le braccia e a baciarla di nuovo. Fu un bacio straordinariamente appassionato, come se davvero il sentimento di cui si nutriva fosse rimasto intrappolato troppo a lungo.

    I due ragazzi si abbracciarono stretti, come impauriti dall’intensità di ciò che stavano provando.

    «Cosa accadrà adesso?» si chiese Nico scuotendo il capo. «Siamo così… così diversi!»

    «Eppure siamo anche uguali» affermò Alice. Tentò di sorridere. «Andrà tutto bene, vedrai.»

    «Tu… accidenti» mormorò Nico, stringendola ancora più forte. «Tu sei una Rivelatrice. Hai degli obblighi che non puoi… non puoi rifiutare!»

    «Non lo farò infatti» lo rassicurò la ragazza. «Ma non rinuncerò neanche a te. Mai.»

    Elli si svegliò di soprassalto e balzò a sedere sul proprio giaciglio, urtando con la testa il fondo della cuccetta sovrastante. Lassù dormiva Nina, la sola altra donna dell’equipaggio oltre a lei e alla piccola Laura; era una ragazza sui trent’anni, abbastanza simpatica, ma che aveva lo spiacevole difetto di russare come un rinoceronte.

    Elli si massaggiò la testa e cercò di rimettersi a dormire, ma i gorgoglii e i risucchi della sua compagna di cabina le resero l’operazione praticamente impossibile. Un po’ seccata scostò allora la coperta e, dopo essersi infilata di malavoglia le scarpe, uscì dalla porticina di fronte, quindi attraversò il minuscolo corridoio che separava il loro alloggio da quello del resto dell’equipaggio.

    La barca non smetteva un secondo di ondeggiare e rullare. Ma ormai, dopo nove mesi di quella vita, lei non ci faceva quasi più caso. Salì agilmente la scaletta che portava al boccaporto reggendosi al corrimano e sbucò infine sul ponte dell’Imperia, a respirare a pieni polmoni la gelida aria invernale.

    Il suo sguardo si rivolse meccanicamente allo sfavillante tappeto di stelle che riluceva sopra la sua testa. Durante le prime settimane a bordo aveva trascorso nottate intere distesa sul ponte ad ammirarlo. Col tempo era diventato uno spettacolo consueto, tuttavia la sua magnificenza non mancava mai di stupirla. Stavolta però c’era una novità. Gli astri erano un po’ meno luminosi del solito, e questo poteva voler dire solo una cosa: si stavano avvicinando alla terraferma. Elli sapeva già di non sbagliare: Lutho in persona, il comandante della nave, la settimana prima le aveva comunicato che si stavano avvicinando a casa. Del resto ormai anche lei era in grado di leggere un po’ le carte nautiche e i dati del satellite, e se i suoi calcoli erano giusti avrebbero toccato terra verso mezzogiorno dell’indomani.

    La ragazza si strinse nel maglione di lana che indossava e attraversò rapidamente il ponte diretta a prua. Passando accanto al timone fece un cenno di saluto a Raffaele, un napoletano sulla quarantina che Fabio aveva tentato invano un’infinità di volte di battere a poker; quella notte il turno di guardia toccava a lui. L’uomo le rispose con un grugnito, ed Elli si ritrovò a pensare con un sorrisetto che i membri dell’equipaggio dell’Imperia – sei persone oltre a lei, Fabio e Laura – erano in assoluto i Guardiani più strambi e fuori dai ranghi che le fosse mai capitato di incontrare. Certo, se il Supremo Reggente dell’Ordine non fosse stato Nico Ernani, suo padre, il cui passato era tutto fuorché irreprensibile, difficilmente una missione così delicata e importante sarebbe stata affidata a gente tanto al di sopra delle righe. Ma a lei erano andati a genio fin dal primo istante; dopotutto era pur sempre figlia di suo padre, benché questo le fosse rimasto del tutto ignoto fino all’anno prima.

    Arrivata a prua, Elli si sistemò sul parapetto, come faceva sempre, e rivolse il viso verso il largo. Il mare, a quell’ora una massa scura e informe, era piuttosto calmo, ma il vento teneva. Sarebbero arrivati all’ora prevista. L’Imperia squarciava in due le onde con uno scroscio costante e regolare, mentre il vento si divertiva a giocherellare con i suoi capelli ondulati, riempiendole i polmoni di aria salmastra. Di fronte a lei, verso est, il cielo si faceva ogni secondo più chiaro sulla linea dell’orizzonte, ma in maniera talmente graduale da risultare quasi impercettibile. L’alba era vicina.

    Elli socchiuse le palpebre e scrutò quanto più lontano possibile, ma era ancora troppo buio per intravedere le coste della Sicilia. A quel pensiero la ragazza avvertì un improvviso brivido di eccitazione. Benché i mesi passati a bordo dell’Imperia fossero stati per molti versi i più belli della sua vita, adesso che cominciava ad avvicinarsi il momento del ritorno si sentiva sempre più tesa ed elettrizzata. Da un lato non vedeva l’ora: rivedere Rita, Luca, suo padre, suo nonno… Dall’altro, però, aveva anche una gran paura di ciò che avrebbe potuto trovare. Intanto non sapeva nemmeno se stessero tutti bene: i contatti con i Guardiani che un tempo avevano vissuto alla Base Primaria erano stati evitati con ogni cura per timore che i loro eterni nemici, i Custodi, potessero intercettare gli eventuali messaggi. E la stessa Base segreta dove Elli l’anno prima aveva vissuto i mesi più intensi della sua esistenza ormai non esisteva più: era andata distrutta durante uno spaventoso attacco organizzato dall’ex-Supremo Reggente dell’Ordine, Igor Sorrentino, che si era poi suicidato alcuni giorni dopo.

    Elli si era chiesta con angoscia più e più volte in che stato versasse l’Ordine adesso. Non ne aveva la minima idea in realtà, ma temeva gravi disordini a causa del tradimento di Enzo D’Alcamo, niente meno che il suo antico istruttore. Il signor Enzo era passato dalla parte dei Custodi e, lei ne era convinta, il giorno dell’attentato aveva approfittato della confusione per fuggire indisturbato dai sotterranei della Base. Probabilmente era andato poi a spifferare ai Custodi tutti i loro segreti, se già non l’aveva fatto in precedenza. Senza più un rifugio sicuro, con le loro vere identità probabilmente allo scoperto, i Guardiani della Base Primaria erano stati inoltre privati della protezione dell’Averon, il misterioso ciondolo il cui potere teneva alla larga i Custodi, e che solo lei, Elli, sembrava avere la facoltà di controllare.

    E se fosse tornata a casa solo per scoprire che qualcuno dei suoi amici era stato ucciso?

    Scosse la testa come per scacciare quel pensiero. A quel punto un’immagine inaspettata le attraversò la mente come un fulmine: una stanza illuminata solo da un fuoco che ardeva in un camino, due ragazzi distesi su quelli che sembravano mantelli dell’Ordine. Li riconobbe all’istante: erano i suoi genitori, Nico e Alice. E d’un tratto ricordò tutto: era questo che stava sognando poco prima di svegliarsi.

    A poco a poco, come se il suo cervello fosse stato vivificato dalla frizzante brezza marina, i particolari del suo sogno le tornarono alla memoria, uno dopo l’altro, straordinariamente limpidi e precisi. Quando infine li ebbe messi tutti a fuoco, Elli si ritrovò a piangere, e senza nemmeno capirne bene il motivo. In fondo quel sogno non le aveva rivelato alcun dettaglio sconvolgente, niente che non sapesse già o che non avesse immaginato… eppure adesso sentiva un gran magone dentro di sé. Probabilmente, si disse, la sua reazione era dovuta al fatto che Nico non aveva ancora avuto modo di raccontarle i particolari della storia fra lui e sua madre, cosicché lei non aveva mai saputo, fino a quel momento almeno, in che modo fosse iniziata. La ragazza si asciugò il viso col dorso della mano. Quanto si amavano… com’era stata crudele la vita con loro! Sarebbe stato così anche per lei e Fabio? La loro situazione non era poi così diversa, eccetto che per un particolare: Elli non era affatto sicura che il ragazzo ricambiasse i suoi sentimenti, visto che lui faceva di tutto per farle pensare il contrario.

    Finalmente un sottile raggio di luce illuminò l’orizzonte.

    Elli continuò a pensare a ciò che aveva visto. Non aveva alcun dubbio a riguardo: non si era trattato di un semplice sogno, ma di una visione, una visione del passato. In fondo, lei era una Rivelatrice.

    «Elli?» chiamò una vocina sottile. La testolina bionda di una bambina di circa sette anni sbucò fuori dal boccaporto e prese a ruotare a destra e a sinistra come in cerca di qualcosa.

    «Laura!» esclamò Elli accorrendo in quella direzione nella luce incerta dell’alba. «Che fai in piedi a quest’ora?» chiese poi con una certa ansia. Prese la bambina in braccio. «Qui si congela, ti prenderai un raffreddore!»

    La piccola si stropicciò gli occhi ancora impastati di sonno. «Mi sono svegliata e non ti ho trovata» spiegò.

    «E così hai pensato bene di fare un giretto di perlustrazione!» constatò Elli, fingendo un tono severo.

    In quei nove mesi, fra lei e la bambina si era instaurato un rapporto quasi simbiotico: Laura la seguiva praticamente dappertutto, ed Elli dal canto suo aveva sviluppato nei suoi confronti un atteggiamento decisamente protettivo. Questo perché la ragazza sentiva che in qualche modo prendersi cura di Laura fosse un suo preciso dovere, in quanto era stata proprio lei a salvarle la vita durante l’attacco alla Base. Quella bambina adesso era completamente sola al mondo; per come la vedeva Elli, quella situazione non si sarebbe mai venuta a creare se lei non si fosse intromessa nel corso del destino, strappandola con la forza alla morte. Nei mesi passati l’aveva perciò accudita come avrebbe fatto con una sorella minore: le aveva rimboccato le coperte ogni sera, l’aveva consolata dopo ogni brutto sogno, le aveva raccontato le stesse favole che la sua madre adottiva aveva inventato per lei quando era piccola. Benché infatti Laura, come ogni bambino dell’Ordine, fosse straordinariamente intelligente, per Elli restava pur sempre una bambina di sette anni che aveva appena perso la sua famiglia. Le ricordava un po’ se stessa quando, dopo la morte di sua madre, si era ritrovata da sola in Istituto, circondata solo da visi estranei. Elli aveva delle reminiscenze vaghe di quel periodo, ma rammentava ancora perfettamente il senso di smarrimento e di vuoto che si può provare in una situazione del genere.

    «Allora, perché non torni a dormire adesso?» suggerì alla bambina indicando il boccaporto con un cenno del capo.

    «Non ho più sonno!» cantilenò Laura ridacchiando e dondolando le gambette per aria. «Cos’è quello?» aggiunse subito dopo, con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte.

    Elli si voltò e solo allora capì a cosa alludesse la piccola: c’era una sottilissima striscia scura là dove cielo e mare si toccavano. Doveva essere lontanissima, ma un’ottima visibilità consentiva di percepirne la presenza.

    «Stiamo per toccare terra» annunciò Elli con un fremito di gioia. «Torniamo a casa!»

    La bambina tuttavia non sembrò entusiasta della notizia: corrugò la fronte e osservò l’esile linea nera con un’aria imbronciata. Quindi puntò ostinatamente il viso dall’altro lato e decretò: «Io non ci torno, là!»

    Per un secondo Elli rimase senza parole, poi però le venne in mente che l’atteggiamento di Laura era più che comprensibile: era naturale che non volesse rivedere il luogo in cui aveva vissuto i momenti più orribili della sua breve vita. Così cercò di rassicurarla. «Non andremo alla Base, Laura» le disse in tono comprensivo. «Non esiste più… lo sai bene. Non so dove andremo a stare, ma di certo non lì.»

    Elli cercò di guardarla in volto per capire se le sue parole l’avessero sollevata o meno, ma Laura si limitò a scalciare nervosamente; un chiara richiesta di essere posata di nuovo sul ponte. Quando Elli l’ebbe lasciata andare, la bambina si aggrappò con le mani al parapetto e tornò a guardare verso la terraferma, che adesso appariva leggermente più nitida.

    «Laura» le chiese cautamente Elli dopo un po’, «cosa c’è che non va? Hai voglia di parlarmene?»

    La bambina ci pensò su per qualche istante. «Che cosa…» prese a dire poi, anche se con un evidente sforzo «… che cosa mi succederà quando torneremo?»

    Elli spalancò gli occhi, colpita. Certo, era questo che angosciava tanto la piccola. Come aveva fatto a non capirlo subito?

    «Oh, ma non devi preoccuparti per questo!» la confortò allora. Si accovacciò sulle punte dei piedi per abbassare il proprio viso fino al suo. «Non crederai forse che ti lasceremo da sola, vero? Probabilmente verrai affidata a un Tutore» le spiegò, rammentando cos’era accaduto a Fabio dopo la morte dei suoi genitori. «Ma sarà comunque un Guardiano. Rimarrai sempre nell’Ordine con tutti noi.»

    La bambina si rabbuiò ancora di più. Mentre il mare passava dal nero al grigio-rosato, prese a fissare le onde che spumeggiavano contro la fiancata della barca, evitando ancora una volta il suo sguardo diretto.

    «Sì, me l’ero immaginato…» dichiarò dopo un po’ con un filo di voce. «Ma io non voglio!»

    «Beh, sei ancora un po’ troppo piccola per stare per conto tuo!» replicò Elli cercando di assumere un tono scherzoso. In realtà aveva il cuore gonfio di pena per la bambina, e quello strano senso di colpa che avvertiva costantemente nei suoi riguardi si faceva di secondo in secondo più schiacciante.

    «Non ho detto che voglio stare per conto mio» specificò Laura. Guardava sempre dall’altro lato. «Ho detto solo che non voglio un Tutore. Cioè… non ne voglio un altro.»

    «In che senso non ne vuoi un altro?» le domandò Elli con una specie di sorriso. «Adesso non ne hai nessuno!»

    Dopo qualche secondo di silenzio, Laura sussurrò: «Ci sei… tu.»

    Lo fece così piano che Elli per un istante ebbe qualche difficoltà ad afferrare ciò che aveva detto. Quando finalmente comprese, la sua reazione fu quella di spalancare la bocca per lo stupore: Laura intendeva forse dire quello che stava pensando lei?

    «Io… voglio stare con te!» confessò infatti la bambina tutto d’un fiato. «Voglio che sia tu la mia Tutrice!»

    Elli, completamente spiazzata da quella richiesta, rimase immobile senza riuscire a dire una parola. Stava ancora cercando di rimettersi dallo shock, quando d’un tratto le venne in mente che in effetti non sapeva nemmeno cosa le leggi dell’Ordine prevedessero in proposito.

    «Laura» cercò quindi di spiegarle in tono misurato, «io… io… non so se posso farlo. Forse bisogna avere una certa età… o essere sposati. Nel mondo di fuori è così che funziona, e scommetto che ci saranno regolamenti simili anche fra i Guardiani.»

    «Sì, ma se…» fece ancora per dire Laura, ma all’improvviso si zittì e rivolse un’occhiata di traverso al boccaporto.

    Si voltò da quella parte anche Elli, che adesso si trovava in ginocchio sul ponte: la capigliatura scura di Fabio stava emergendo dall’apertura e in breve anche il suo proprietario fu interamente visibile. Già vestito di tutto punto, aveva ancora l’aria fortemente assonnata e i capelli più arruffati che mai. Elli avvertì un piccolo tuffo al cuore, come ormai le accadeva ogni volta che lo vedeva spuntare senza preavviso.

    Il ragazzo si stiracchiò nella prima luce del mattino ed emise un sonoro sbadiglio prima di notare la presenza di Elli e di Laura sul ponte. Si affrettò a ricomporsi. «Oh, buongiorno signorine!» disse a quel punto. «Siamo mattiniere oggi, eh?»

    «Più di te, sicuro!» replicò Elli con un sorriso ironico.

    Alla vista di Fabio Laura era ammutolita, e quando il ragazzo si avvicinò e le fece una carezza sui capelli si irrigidì come un pezzo di legno.

    «Elli» disse la bambina dopo qualche secondo, con aria immusonita, «posso andare a fare colazione?»

    «Certo» rispose l’altra con calore, «due minuti e ti raggiungo!»

    Laura annuì con scarsa convinzione, lanciò un’altra occhiata torva a Fabio e poi si allontanò dileguandosi di nuovo all’interno del boccaporto.

    «Quella bambina non mi può soffrire!» osservò il ragazzo con una smorfia. Fissava il punto in cui i riccioli dorati di Laura erano spariti sottocoperta.

    «Dai, Fabio!» sbottò Elli in tono di rimprovero. «Ha sette anni. È normale che ogni tanto sia antipatica con qualcuno, no? E poi, dopo tutto quello che ha passato…»

    Fabio fece un’altra smorfia, ma questa volta vi si intravedeva del sarcasmo. «Sei troppo indulgente con lei» le fece notare. «Non dovresti, anche se ti fa pena!»

    «Non mi fa pena!» precisò Elli, con una nota risentita. «È solo che credo abbia diritto a un po’ di comprensione, tutto qui. Voi invece vi ostinate a trattarla come se fosse un’adulta!»

    Fabio le lanciò a quel punto uno sguardo interrogativo. Elli di contro sbuffò spazientita e si affacciò al parapetto: possibile che non riuscisse mai a nascondergli nulla? Quando c’era qualcosa che non andava Fabio glielo leggeva in faccia all’istante. E dire che avrebbe dovuto essere lei la Rivelatrice!

    «Vuole essere affidata a me» gli annunciò infine con un sospiro, curando di tenere bassa la voce. Aveva timore che la bambina fosse ancora nei paraggi. «Vuole che diventi la sua Tutrice.»

    «Che cosa?!» esclamò Fabio allibito. «Ma dai, è assurdo!»

    Elli lo scrutò di sbieco. Sembrava che la notizia l’avesse sconvolto ancora più di quanto aveva sconvolto lei.

    Tornò a fissare la striscia di costa, che davanti a loro si faceva sempre più riconoscibile. «Potrei farlo?» gli chiese dopo un po’.

    «Non lo so, ma sarebbe una pazzia!» dichiarò lui risoluto. «Elli, hai solo ventun anni, accidenti! E hai già sulle spalle più responsabilità di quante ne abbia qualsiasi altra persona al mondo. Lo so che nel tuo solito modo contorto ti senti in colpa verso di lei, ma questa sarebbe davvero una sciocchezza. Ci sono tanti altri Guardiani, con una vita ben più tranquilla della tua, che possono prendersi cura di quella bambina.»

    Elli non rispose. Detestava sentirsi dire che era contorta, specialmente da lui.

    «Fabio, porta il tuo fondoschiena qui entro due secondi!» gracchiò in quell’istante la voce rude di Lutho, da qualche punto imprecisato della cambusa.

    Fabio si allontanò di malavoglia. Evidentemente temeva di non aver espresso la sua opinione con sufficiente chiarezza, ma Elli aveva capito perfettamente come la pensava il ragazzo. Tuttavia, e nonostante i sentimenti che provava per lui, sapeva anche che qualunque cosa le avesse detto a riguardo non avrebbe potuto influire minimamente sulla sua scelta: quella era una faccenda che riguardava soltanto lei e Laura.

    Elli tornò a guardare la prua della barca che tagliava in due la massa blu scuro del Mediterraneo. Badare a una bambina di sette anni? Ma se a malapena riusciva a badare a se stessa!

    Capitolo 2: La città di pietra

    «Accidenti, ti hanno colpita?»

    «No, ma c’è mancato un pelo!» «Quanti sono? Sei riuscita a contarli?»

    «Una decina. Forse quella di seguirli fin qui non è stata una grande pensata!»

    «Dobbiamo uscire allo scoperto, non c’è altro da fare!»

    «No, sono troppi. È una pessima idea.»

    «Ne hai forse una migliore?»

    Rita rimase qualche istante in silenzio a riflettere, mordicchiandosi il labbro inferiore. Infine scosse il capo con aria rassegnata. «No, direi proprio di no» rispose seccamente, cercando di dare un’occhiata oltre il gigantesco container dietro al quale si erano rifugiati.

    «Allora, che si fa?» le chiese quindi Luca in tono d’urgenza.

    «È ovvio, no? Usciamo allo scoperto!» annunciò la ragazza con decisione, impugnando con entrambe le mani la lunga asta metallica che fino a quel momento aveva tenuto stretta nella sola mano destra.

    I due ragazzi si guardarono per un momento, poi Luca fece un cenno di intesa. Entrambi balzarono fuori dal ristretto spazio fra il muro e il cassone di legno in cui erano rimasti nascosti fino ad allora. All’unisono, dieci figure ammantate di nero si voltarono verso di loro; si distinguevano a stento nella semioscurità incontrastata di quel capannone polveroso, ma fu sufficiente per far capire ai due ragazzi di essere letteralmente circondati.

    «Pessima idea…» borbottò Luca con una smorfia.

    «Una volta tanto doveva pur andarci male, no?» osservò Rita stringendo l’asta con maggior vigore.

    «Che ne dici, vendiamo cara la pelle?» le chiese il ragazzo con un mezzo sorriso, come se le avesse proposto di uscire a mangiare una pizza.

    «Ma sì, divertiamoci un po’!»

    Gli uomini in nero sembravano in attesa di un qualche segnale per scagliarsi contro i ragazzi, o forse stavano assaporando il velo di paura che si scorgeva dietro le espressioni spavalde dei due.

    Rita fu la prima a muoversi. Fece per scattare in avanti, ma non aveva ancora mosso un passo che un’improvvisa ondata di luce azzurra invase il magazzino illuminandolo a giorno. Sia lei che Luca si voltarono increduli verso il portone d’ingresso al capanno; fino a un secondo prima, ci avrebbero giurato, era completamente chiuso, mentre adesso era spalancato. Gli uomini ammantati di nero presero invece a urlare e a disperdersi in ogni direzione possibile. Riuscirono faticosamente a guadagnare le uscite laterali da cui erano entrati e a svanire poi nell’oscurità.

    La luce si affievolì lentamente fino a spegnersi del tutto. Soltanto allora Luca e Rita riuscirono a distinguere l’esile figura di una ragazza dai lunghi capelli ondulati ritta sulla soglia del capannone, con la mano destra levata in alto.

    «Mi venisse un colpo!» esclamò Luca scoppiando a ridere. «Elli!»

    «Elli!» gridò di rimando Rita correndo ad abbracciarla.

    Elli ricambiò calorosamente la stretta con gli occhi offuscati dalle lacrime, anche se il grande spavento appena ricevuto smorzava l’immensa gioia di rivedere i suoi amici.

    «Il tuo tempismo nel salvarci la pelle è quasi cinematografico!» osservò Luca in tono scherzoso, avvicinandosi e abbracciandola a sua volta.

    «Ma cosa… cosa ci fate qui?» domandò Elli allibita, facendo vagare il suo sguardo spaesato dall’uno all’altra. «Non stavate mica aspettando noi, vero?»

    La ragazza si voltò appena, e accennò all’intero equipaggio dell’Imperia che si stava adesso riversando all’interno del magazzino portuale, tutti a passo incerto e con un’espressione stupefatta almeno quanto la sua: evidentemente nessuno di loro si era aspettato di imbattersi nei Custodi così all’improvviso e, soprattutto, senza quasi il tempo di rimettere piede sulla terraferma.

    «No, affatto» le assicurò Luca scuotendo il capo. «Stavamo solo seguendo un gruppo di sospetti. Non avevamo la minima idea di quando sareste tornati.»

    «Ma evidentemente l’avevano Loro!» fece notare Fabio entrando per ultimo nel capannone. Fece un secco cenno di saluto a Luca e a Rita. «Sarebbe davvero una coincidenza straordinaria se proprio nel giorno del ritorno di Elli una decina di Custodi si fossero trovati casualmente a passare da queste parti, no?»

    Elli gli lanciò una breve occhiata d’intesa. In un attimo aveva compreso i sospetti del ragazzo e si era ritrovata a condividerli in pieno.

    «Dev’essere stato lui» mormorò, rivolta più a se stessa che agli altri.

    «Lui?» chiese Rita perplessa. «Ti riferisci all’altro Rivelatore?»

    «E a chi se no?» sbuffò Elli livida. Aveva sperato di doversi ricominciare a preoccupare di lui il più tardi possibile, e invece… eccolo che saltava fuori di nuovo, più puntuale che mai. «Deve avere avvertito la mia presenza, non c’è altra spiegazione. Ha capito che mi stavo avvicinando e… e perfino da dove sarei arrivata!»

    «Però… sta migliorando!» commentò Rita sarcastica. «Che idiozia, comunque. Doveva saperlo che dieci Custodi non avrebbero mai potuto avere la meglio su di te, no?»

    «Forse il suo scopo non era quello di catturarmi stavolta» ipotizzò Elli pensierosa. «Forse voleva solo che usassi l’Averon… in modo… in modo da assicurarsi che fossi tornata per davvero!»

    Nel momento stesso in cui pronunciò queste parole, la ragazza ebbe la certezza istantanea di avere colto nel segno, e insieme a questa avvertì un vago moto di disgusto: non le risultava affatto difficile comprendere il modo di ragionare dell’altro discendente di Elanora, e questo non le faceva esattamente piacere, visto che significava che in fondo un po’ si somigliavano. Già durante il loro primo incontro il ragazzo le aveva fatto notare che avevano molto in comune, e in effetti, benché in quell’occasione lei gli avesse urlato in faccia che si sbagliava di grosso, sembrava essere vero. Dopotutto nelle loro vene scorreva lo stesso sangue, ed entrambi erano dei Rivelatori.

    «Va bene, ma adesso non stiamo qui a far salotto!» grugnì Lutho venendo avanti dal gruppetto dell’equipaggio. «Sarà il caso di toglierci di torno piuttosto: il Supremo Reggente vorrà vederci il prima possibile.»

    Quelle parole ricondussero bruscamente Elli alla realtà e a tutti i timori che l’avevano angosciata nei mesi passati. «Rita» chiese subito all’amica trattenendo quasi il respiro, «stanno tutti bene? Voglio dire…»

    «Tutto ok, sta’ tranquilla» la rassicurò Rita con un sorriso. «Solo qualche ferito, ma nessuna perdita: le missioni esterne sono state ridotte al minimo da quando sei partita.»

    Elli tirò un sospiro di sollievo e la grande tensione accumulata dal momento dello sbarco si allentò all’improvviso. Solo allora riuscì a guardarsi intorno e a provare tutta la felicità di essere di nuovo insieme ai suoi migliori amici, nonché a notare alcuni particolari su cui prima non aveva avuto modo di soffermarsi. Intanto, Rita aveva i capelli lunghi! Erano sempre violacei, ma adesso le arrivavano all’altezza delle spalle, anche se sparavano in tutte le direzioni stile punk. L’altra novità che le saltò all’occhio fu la lunga lancia a forma di ago che la ragazza reggeva fra le mani con una certa noncuranza.

    «Ehi» esclamò Elli indicandola, «ma se porti una di quelle, allora vuol dire che sei…»

    «… una Guardia!» le confermò Rita con orgoglio. Afferrò l’asta con una mano sola e la fece ruotare abilmente attorno al dorso, come una majorette col suo bastone. «E fresca di promozione anche!»

    «Però!» osservò Fabio colpito. «Allora sei passata al Quarto Livello!»

    «Ma questo significa che ora…» prese a dire Elli, ma lì si interruppe con un nodo alla gola. Era stata sul punto di esclamare: ma questo significa che ora abiti alla Base!, quando all’improvviso si era ricordata che, ormai, non esisteva più alcuna Base in cui poter abitare.

    In quel momento la testa di Laura fece timidamente capolino da dietro la schiena di Elli.

    «Ehi, principessa!» le disse Luca rivolgendole un gran sorriso. «Accipicchia quanto sei cresciuta!»

    Laura non disse nulla. Si limitò a nascondere il viso fra le pieghe del giubbotto della sua protettrice.

    «È un po’ timida!» spiegò quest’ultima, sorridendo a sua volta alla cascata di riccioli biondi che sbucava da dietro il suo braccio. «Dai, Laura, non ti ricordi di loro? Sono i miei amici, Luca e Rita!»

    «Ciao» mormorò allora la bambina, a voce appena udibile e in un tono per nulla convinto.

    «Sarà meglio andarcene» fece notare a quel punto Fabio dalla soglia del portone. Sbirciava fuori ma si teneva seminascosto, in modo da non poter essere visto dall’esterno. «Anche se abbiamo l’Averon dalla nostra, meglio non correre rischi: potrebbero tornare con dei rinforzi!»

    «D’accordo, seguiteci allora!» li invitò Luca annuendo e avviandosi verso l’uscita del capannone.

    «Un momento, ragazzi!» Lutho li fermò con un gesto della mano. «Ho ricevuto il preciso ordine di far ripartire il resto dell’equipaggio non appena sbarcati. Verrò soltanto io con voi.»

    Elli apprese la notizia con un certo dispiacere: aveva creduto che almeno per un po’ gli uomini dell’Imperia sarebbero rimasti con loro, ma evidentemente si trattava di una misura di sicurezza presa da suo padre ancora prima della loro partenza. Elli, Fabio e la piccola Laura furono costretti a salutarli in fretta, poi li osservarono dileguarsi nell’oscurità del porto. Era triste pensare che probabilmente non li avrebbero più rivisti: avevano vissuto con loro per nove mesi.

    «Bene, muoviamoci anche noi» li spronò Rita dopo qualche minuto. Poi si portò in testa alla fila e si diede un rapido sguardo intorno.

    Elli fu costretta a trattenere una risatina: quella era la prima volta che vedeva realmente la sua amica in azione da quando era diventata una Guardiana!

    Una volta usciti allo scoperto iniziarono a percorrere a passo rapido strade e vicoli pressoché deserti. Dei Custodi non c’era più traccia, e questo sembrava confermare i sospetti di Elli: non si era trattato di un vero agguato, ma di una specie di prova del nove.

    Dopo essersi assicurata che Laura stesse bene – Lutho se l’era messa a cavalluccio sulle spalle e adesso la piccola era occupata a godersi la vista panoramica che si poteva ammirare dall’alto di quell’immensa schiena – Elli si portò rapidamente in testa alla fila accanto a Rita. Da quando si conoscevano non erano mai state tanto tempo separate, e aveva una gran voglia di chiacchierare un po’ con lei.

    «Allora» le chiese all’istante l’altra con un occhio rivolto a lei e uno alla strada che stavano percorrendo, «quando siete arrivati?»

    Elli affrettò il passo per starle dietro. «Verso mezzogiorno. Ma Lutho non ne ha voluto sapere di sbarcare fino a quando non è calata la notte. Ha detto che con l’oscurità a coprirci sarebbe stato più prudente.»

    «E com’era il Messico?» si informò ancora Rita con un sorrisetto.

    «Oh, stupendo!» rispose Elli con una smorfia ironica. «Peccato solo che non abbiamo avuto molto tempo per fare i turisti. È successo di tutto, ma alla fine non abbiamo cavato un ragno dal buco.»

    «Vuoi dire che non avete scoperto cosa stavano combinando i Custodi lì?» azzardò Rita un po’ delusa.

    «In realtà qualcosa abbiamo scoperto» spiegò Elli dubbiosa, «anche se non molto… ma ti racconterò tutto dopo. Voi altri, piuttosto, come avete fatto a cavarvela in tutto questo tempo? Il piano di Nico ha funzionato?»

    «Ti riferisci al fatto di sparpagliarci in superficie?» intervenne Luca mettendosi al passo con loro. «No, non del tutto, e per un po’ ce la siamo vista davvero brutta. E poi… poi è successa una cosa davvero incredibile! Ma non aggiungo altro: non voglio rovinarvi la sorpresa.»

    Sia Elli che Fabio rivolsero a quel punto agli altri due una serie di occhiate incuriosite, ma quelli per tutta risposta si limitarono a scambiarsi un sorriso allusivo.

    «Non avrete mica…» azzardò Fabio incredulo «… ricostruito la Base, vero?»

    «Ci avete preso per matti?» sbottò Luca con una risatina. «No, niente del genere, vedrete voi stessi.»

    Elli e Fabio tornarono a guardarsi perplessi. Perché mai tanti misteri?

    Camminarono di buona lena per una mezz’oretta, restando più che altro in silenzio. Elli cominciava a sentirsi le mani e i piedi gelati, e per molto tempo camminò tenendo la testa bassa, col volto ben coperto da una pesante sciarpa di lana. Fu solo quando infine si fermarono che alzò gli occhi e si rese conto di trovarsi in un luogo familiare: davanti a loro c’era un piccolo cancello di ferro che dava su uno spiazzale lastricato e, al di là di questo, si ergeva un’imponente chiesa, più lunga che alta, con un’elegante cupola grigia che si innalzava verso il cielo nuvoloso.

    «La Cattedrale?» chiese stupita. «Cosa ci facciamo qui?»

    «Torniamo nel mondo di sotto» le spiegò Luca tirando fuori dalla tasca

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