Morte a Venezia
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Spionaggio - racconto lungo (34 pagine) - Fine anni 70. In pieno clima di Guerra Fredda, veniamo catapultati in una storia di sentimenti e spionaggio sulla laguna
Venezia, fine anni 70. Sulla laguna si svolge uno spettacolare inseguimento fra due motoscafi. Sul primo, una donna. Dietro, un uomo. Lui, soprannonimanto Leopardi, fa parte dei servizi. Lei è una terrorista che ha assassinato un sottosegretario al suo ritorno da un viaggio in Unione Sovietica. Compagni di classe al liceo, oggi sono divisi da una mortale trama che rivelerà legami con la politica internazionale.
Enzo Verrengia, pugliese per parte di madre, di padre campano, ciociaro di nascita e pescarese per intervenuto matrimonio. Scrive intrigato dai percorsi possibili (e impossibili) delle trame che attraversano in prevalenza la spy story, con le sue inquietudini geopolitiche, riferimento globale dopo la frantumazione delle vecchie barriere. Ha pubblicato su Segretissimo e traduce per Urania. Ha realizzato sceneggiature a fumetti per Martin Mystère. Interviene su RaiUno per commentare l’attualità.
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Anteprima del libro
Morte a Venezia - Enzo Verrengia
9788825404647
La storia dell’uomo non presenta altro che un passaggio continuo da un grado di civiltà a un altro, poi all’eccesso di civiltà, e finalmente alla barbarie, e poi da capo.
Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri
1
Sulla laguna sorgeva un’alba calibro 9.
Lui stesso l’avrebbe chiamata così, in seguito.
Era scandita dai proiettili di una semiautomatica Beretta M92, che striavano la prima luce del giorno di lingue incandescenti.
Gli specchi d’acqua fra un isolotto e l’altro erano lampi di chiarore riflesso.
Le scie formate dai due motoscafi che correvano sulla laguna gli sembravano lo stato liquido e fluente del tempo trascorso dai suoi anni di crescita nel profondo di una provincia meridionale alla vita universitaria, come studente della Ca’ Foscari, per finire con quello che era diventato. Le evocazioni gli scorrevano nella mente in parallelo con le volute di acqua che si staccavano dalle fiancate dei due natanti.
Aveva sparato sei colpi di fila, mancando sia l’altro motoscafo sia chi lo pilotava. Gliene restavano nove nel caricare e trenta nei due di riserva che aveva nelle tasche esterne della giacca a vento.
Abbastanza non solo per uccidere, bensì per macellare il suo bersaglio.
Era la sua intenzione, perché quei proiettili calibro 9 avevano una spinta che non derivava tanto dal meccanismo di sparo della Beretta, quanto dall’odio. Un odio distillato negli anni di amore negatogli dalle circostanze.
Un odio che, come tutto il resto, richiedeva lucidità per consumarsi nella vendetta, il sentimento più tipico dell’intelligenza, perché fatto di premeditazione e non di istinto.
I due motoscafi presero a zigzagare fra isolotti ancora più opachi, sui tratti d’acqua che sembravano lastre metalliche sottoposte a cromatura dal chiarore riflesso del giorno che si propagava da est.
Brutta direzione, quella. Una sentina fetida grande quanto metà del pianeta, i cui miasmi gli avevano avvelenato l’esistenza.
Quella che non poteva certo riprendersi uccidendo, ma almeno bilanciarla con una morte dovuta.
Ricominciò a sparare.
Strano che finora dall’altro motoscafo non fosse arrivata nessuna risposta al fuoco. Sembrava che a chi lo pilotava premesse unicamente evitare i colpi e non togliergli del tutto e per sempre la possibilità di mirare meglio.
L’orizzonte si apriva all’improvviso tra gli isolotti, per poi richiudersi nei lembi di terra che sbarravano il paesaggio.
Finché fu lui a trovarsi sotto tiro. Non dall’altro motoscafo. Sulla prua apparve un rosario di fori da cui schizzarono frammenti di legno. Il rombo del motore cancellò i suoni degli spari. Lui però li ascoltava con la memoria.
Non quelli cui adesso faceva da bersaglio.
Anche allora lui si portava dentro il tormento di un amore negato. Lo stesso che ora lo spingeva alla vendetta. Da ragazzo invece ne riversava tutta la frustrazione solo su se stesso, nella speranza di anestetizzarlo in via definitiva con la sua morte.
A quei tempi correva verso un’altra laguna con la bicicletta, più decorativa che efficace per affrontare il dissesto dell’asfalto. Buche dall’ampiezza di voragini, crepe e dossi contorti creati dalle radici che si allungavano sotto il manto stradale. Il telaio arancione e aerodinamico era troppo esile e leggero, inadatto alle asperità, e questo valeva anche per lui. La prova