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Compagna Draekon: Draghi in Esilio, #1
Compagna Draekon: Draghi in Esilio, #1
Compagna Draekon: Draghi in Esilio, #1
E-book221 pagine2 ore

Compagna Draekon: Draghi in Esilio, #1

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Info su questo ebook

Nave spaziale distrutta. Pianeta prigione. Letali predatori ringhianti. Due enormi alieni dalla pelle bronzea che si trasformano in draghi.
La parte migliore? I draghi insistono che sono la loro compagna.

 

Gli Zorahn volevano delle donne per un qualche genere di esperimento scientifico super-segreto, e mi sono offerta volontaria. Che mossa stupida, vero? Ma mi avevano promesso che saremmo state al sicuro, e poi offrivano un sacco di soldi. Soldi di cui avevo un disperato bisogno.


Ovviamente, è andato tutto storto.


La nostra navicella spaziale si è schiantata su un pianeta prigione, un posto dove gli Zorahn mandano in esilio i più pericolosi criminali. Le mie amiche sono ferite. Sono completamente sola su un pianeta ricoperto dalla giungla, dove tutto sembra essere fatto apposta per uccidermi.

 

Poi, mi imbatto nei Draekon. Quando mi vedono, si trasformano in draghi e sputano fiamme contro i predatori che mi minacciano, riducendoli in cenere. Mi nutrono e si prendono cura di me. E mi tengono al sicuro.

 

Ma c'è una fregatura. I Draekon insistono che sono la loro compagna. E qual è l'unico modo in cui potranno ritrasformarsi in draghi per andare a salvare le mie amiche?

Entrambi si devono accoppiare con me. Contemporaneamente.


Decisamente non è la vacanza nello spazio che avevo immaginato.

 

Compagna Draekon è il primo libro della nuova serie Draghi in esilio. È una storia di romantica fantascienza che ha come protagonisti un'irriverente donna umana e due arroganti alieni-draghi mutanti, che la tengono al calduccio, con o senza l'ausilio del loro fuoco. Lieto fine garantito!

LinguaItaliano
Data di uscita27 mag 2022
ISBN9798201488895
Compagna Draekon: Draghi in Esilio, #1

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    Anteprima del libro

    Compagna Draekon - Lili Zander

    1

    VIOLA

    Credevo fosse più grossa.

    È la prima cosa che mi passa per la testa quando entro nella scintillante navicella dorata degli Zorahn.

    Perché grosso è meglio. Nascondo il sorriso per la mia stupida battutina. Scherzo sempre quando sono nervosa, e ora mi capita di scoprire che montare a bordo di un velivolo alieno, per essere portata su un pianeta che si trova a diversi anni luce da qui, è mille volte più snervante che parlare davanti a un gruppo di rinomati botanici. Diciamo diverse migliaia di volte più snervante.

    Ho ricevuto innumerevoli discorsi di incoraggiamento da mio padre e ho buttato giù un bicchierino di whisky per riuscire a superare quell’ultimo ostacolo e arrivare alla laurea di dottorato. Mi ci vorranno un po’ di bottiglie, prima di sentirmi a mio agio su questa navicella aliena. In quanto a dimensioni, non arriva a competere neanche con un aereo di linea. È larga tre metri e lunga una decina, e gli interni brillano della stessa lucentezza dorata della struttura esterna. Cosa ancora più preoccupante: non si vedono sedili di sorta.

    Non sarà un viaggio comodo.

    Poi, la realtà della situazione mi appare lampante. Ci sono forme di vita là fuori nell’universo: non siamo soli. Gli alieni esistono. Sono su una vera navicella spaziale, diretta sul pianeta Zoraht, patria degli Zorahn. Non rivedrò la Terra per i prossimi sei mesi.

    Mi guardo attorno, e i volti delle donne accanto a me tradiscono tutti le medesime emozioni. Meraviglia. Paura. Trepidazione. Fino a qualche settimana fa eravamo solo delle civili che vivevano la loro normale esistenza quotidiana.

    Ora siamo astronaute. Roba da matti.

    Il maggiore Schultz, l’agente dell’esercito statunitense che ha fatto da collegamento tra noi e gli Zorahn, si schiarisce la gola per richiamare l’attenzione. Come sapete, inizia, questo è un giorno importantissimo per l’umanità.

    La donna accanto a me, una bionda alta e slanciata, ruota gli occhi al cielo. Dio, se gli piace sentirsi parlare, mormora sottovoce. Si chiama Harper, ricordo dagli esercizi di team-building a cui l’esercito ci ha fatto partecipare, dopo che siamo state selezionate dagli Zorahn. È un’allenatrice di nuoto in California, che è quasi entrata nella squadra nazionale al college.

    Hector Schultz non la sente, o semplicemente fa finta di non sentirla. Voi dieci, dice, siete state scelte dai nostri onorevoli ospiti, gli Zorahn, per andare sul loro pianeta e scoprire le meraviglie del loro mondo.

    Da come Hector Schultz ne parla, è come se fossimo turiste spaziali. Niente di più lontano dalla verità.

    Il vero motivo per cui ci troviamo su questa navicella? I nostri geni. Secondo gli emissari, Zoraht, il mondo degli Zorahn, è attualmente devastato da una misteriosa malattia, e i loro scienziati hanno bisogno del nostro materiale genetico per concepire una cura.

    Siamo delle onorate cavie da laboratorio.

    Ricordate che i pensieri di ogni singolo essere umano sulla faccia della Terra sono con voi, continua, con tono solenne. Rappresentate il primo passo di un’alleanza che speriamo abbraccerà le future generazioni.

    Pare poter andare avanti per ore, ma uno degli uomini Zorahn si schiarisce la gola, e Hector Schultz coglie il messaggio. La sua voce si interrompe e lui si guarda attorno, nel mezzo della navicella spaziale, a disagio e fuori posto.

    Il maschio Zorahn, che ha interrotto il monologo di Schultz, si fa avanti. È alto due metri abbondanti. La pelle è color bronzo, la testa rasata e lucida, il corpo sodo e pieno di muscoli. Spirali di tatuaggi blu gli ricoprono la testa calva, anche se il resto del corpo è privo di segni. Penso che si chiami Beirax. Indossa un paio di pantaloni neri, ma al posto della maglietta, ha il petto coperto da fasce intricate di stoffa blu.

    Fa una paura boia.

    Dice qualcosa, le parole mi suonano rudi e alterate alle orecchie. Non ho idea di cosa stia dicendo, e mi volto a guardare Harper, chiedendomi se lei possa capire qualcosa più di me. È accigliata, le braccia incrociate sul petto.

    No. Non sono la sola. L’unico che sembra avere idea di quello che lo Zorahn sta dicendo è Schultz.

    Notando i nostri sguardi perplessi, Beirax rivolge una domanda secca all’altro maschio a bordo della navicella: Mannix. Mannix è alto come il suo amico alieno, ma i suoi tatuaggi sono neri e marroni, non blu. Sono sicura che la colorazione abbia un significato, anche se non

    abbiamo idea di quale sia. Gli Zorahn non si sono preoccupati di raccontarci molto della loro cultura. Tutto quello che sappiamo è che il Sommo Imperatore governa l’intero pianeta, e noi ci troveremo sotto la sua personale protezione quando arriveremo su Zoraht.

    Mannix scuote la testa. Posa la mano su un pannello alla parete, che si apre scorrendo, mostrando degli scaffali nascosti, pieni zeppi di oggetti misteriosi e non bene identificabili. Tira fuori una manciata di dischetti dorati, ne porge uno a ciascuna di noi, e mima il gesto di inserirli nell’orecchio destro.

    Ah. Un traduttore. Ecco perché Schultz non sembrava confuso quanto noi.

    Harper sbuffa. Non hanno bisogno che le cavie da laboratorio capiscano quello che stanno dicendo, dice con tono asciutto. Si porta all’orecchio il dispositivo, grande quanto un bottone. Faccio lo stesso, e sussulto quando mi sento percorsa da una specie di scossa.

    Davvero, mormoro, massaggiandomi l’orecchio. Per non dire che tutta questa cosa dovrebbe essere presentata insieme a delle avvertenze. Mi sa che non hanno avvocati a Zoraht.

    Non ne abbiamo. La voce di Beirax è di ghiaccio. Se potessi riportare la tua attenzione a noi, Viola Lewis?

    Ehm. Il traduttore funziona, allora. Bello che la prima frase aliena che sento sia un rimprovero nei miei confronti.

    Un paio di donne ridacchiano, ma si fermano subito, quando sentono la potenza dello sguardo di Zorahn. Come stavo dicendo, continua, "siete passeggeri sulla Fehrat 1. Il viaggio fino al nostro pianeta richiederà dieci dei vostri giorni terrestri. Sarete messe in stasi per il viaggio. Domande?"

    Diverse mani scattano in aria. Beirax sospira frustrato e indica una donna minuta dai capelli scuri. Sofia Menendez, dice. Sì?

    Mi chiedo se gli Zorahn capiscano il concetto di nome e cognome. Da come Beirax si rivolge a noi, ne dubito. Viola Lewis. Sofia Menendez. Dev’essere così, oppure ha un manico di scopa infilato nel culo.

    L’ultima degli Zorahn, Raiht’vi, sceglie questo momento per salire a bordo della navicella. È molto più alta di una donna normale, ma la sua costituzione è simile alla nostra. Ha la vita sottile e i fianchi più larghi, e i suoi vestiti, per quanto larghi, non nascondono il rigonfiamento dei seni.

    Alta come i due uomini, è l’unica con i capelli. Le ciocche scarlatte sono intrecciate e decorate con oggetti che assomigliano a conchiglie. Gli abiti sono bianchi. Siamo pronti a partire, Beirax? chiede, un’espressione minacciosa in volto.

    Le umane hanno delle domande, Aristocratica, dice Beirax con tono di scuse. Secondo gli ordini del Sommo Imperatore…

    Lo interrompe. Sono a conoscenza degli ordini di Lenox. Ci rivolge un’espressione seria. "Soddisfa la loro curiosità. Partiamo tra un knur."

    Un knur equivale a dodici minuti sulla Terra, mi ragguaglia prontamente il dispositivo che ho nell’orecchio.

    Dodici minuti e saremo partiti dal pianeta. Faccio un respiro profondo e mi asciugo i palmi sudati sui vestiti della NASA che indosso, realizzati con materiale color navy che mi calza addosso come una seconda pelle. Le ultime settimane di addestramento e dieta altamente controllata mi hanno resa più in forma di quanto non sia mai stata in vita mia, ma non sono comunque contenta di questa roba in elastan che il governo ci ha fornito. Perché non possiamo indossare vestiti normali? avevo chiesto quando un capitano dal volto truce mi aveva dato la mia tuta.

    Sono tute formulate in modo specifico per i viaggi spaziali. La nanotecnologia con cui sono prodotte le rende autopulenti, e ti aiuteranno a regolare la temperatura corporea.

    Ce l’avete anche rosa? Non vedendolo sorridere alla mia battuta, avevo bofonchiato: Il blu non è proprio il mio colore.

    Sei una rappresentante degli Stati Uniti, mi aveva risposto bruscamente. Ti vestirai come si confà al tuo ruolo.

    Quindi, ora mi trovo nella navicella Zorahn insieme alle altre donne, e tutte e dieci sembriamo sciatrici della squadra olimpica. Se gli alieni pensano che sia strano vederci vestite in modo identico, non dicono nulla.

    Raiht’vi, la femmina Zorahn, scompare nella cabina di pilotaggio della navicella. Almeno penso che sia la cabina di pilotaggio, vista la strumentazione che c’è sul pannello di controllo. È anche l’unica parte della navicella con una finestra.

    Guarda il cielo blu, Viola. Non lo rivedrai per sei mesi.

    Sofia, che ha appena finito il tirocinio per medicina, pone la sua domanda. Il traduttore mi sta parlando in inglese, dice. Io sono bilingue. Come ha fatto a decidere quale lingua usare?

    La sua domanda sembra lasciare perplessi Beirax e Mannix. Il traduttore non decide, risponde Beirax, un’espressione confusa in volto. "Il traduttore traduce."

    Perché non ha tradotto in spagnolo? insiste Sofia.

    Beirax si acciglia. Il traduttore traduce lo Zor in inglese e viceversa. Questo è il suo scopo.

    Non è un traduttore universale, quindi. Cagate del genere probabilmente esistono solo nell’immaginazione degli scrittori di fantascienza.

    Scusatemi? Una vocina leggera al mio fianco mi fa girare. Una rossa bellissima, con un corpo perfetto e impeccabile carnagione bianca, si sta mordendo il labbro. Sbatto le palpebre e anche gli alieni fanno silenzio.

    Ciao, sono Olivia, dice, agitando leggermente la mano perfettamente curata. Non riesco a far funzionare il traduttore. Alza il dispositivo e lo scuote, mantenendo per tutto il tempo un’adorabile espressione imbronciata.

    Se dovessi mettere in piedi un servizio di appuntamenti intergalattico, metterei sicuramente al centro la foto della bomba sexy Olivia Buckner.

    Prova a infilartelo nell’orecchio, la rimprovera Harper. Ci scambiamo un’occhiata, mentre Mannix prende un altro traduttore, e Schultz si fa in quattro per aiutarla a inserirlo. Neanche Beirax sembra capace di distogliere lo sguardo dai suoi seni indifferenti alla gravità. L’interesse maschile per una donna sexy è universale.

    Scorro con lo sguardo sui muscoli dell’alieno con i tatuaggi marroni, Mannix. Il pisello degli Zorahn è come quello dei maschi umani?

    Concentrati, Vi!

    Grazie a tutte le attenzioni da parte degli uomini, alla fine Olivia riesce a installare il suo traduttore, e Beirax fa segno di andare avanti con le domande. Una donna con i capelli castani, corti e ricci alza la mano come se fosse alle elementari. Avete parlato di stasi, dice nervosamente. È una cosa sicura?

    Certo che lo è. Schultz si affretta a rispondere, prima che possa farlo uno degli Zorahn. Sembra indignato. Tutto di questa navicella è stato testato. Il governo degli Stati Uniti ha fatto grossi investimenti su sicurezza e benessere.

    Mannix rivolge a Schultz un’occhiata irritata per l’interruzione. Il Sommo Imperatore ha decretato la vostra sicurezza. Questo è quanto.

    Questo Sommo Imperatore dev’essere un bel tipo, mormora Harper Boyd.

    Non ne dubito. Come gesto di buona fede, gli Zorahn sono venuti portando dei doni. Uno di essi era la cura per la leucemia. Le voci dicono che il prossimo della lista sia la cura per il cancro, e le società di tabacco stanno praticamente sbavando alla prospettiva di poter commerciare i loro prodotti senza preoccupazioni mediche.

    Non so cos’altro abbiano promesso gli Zorahn al nostro governo per convincerlo a spararci nello spazio, ma qualsiasi cosa abbiano offerto, dev’essere roba grossa. Molto più grossa del cancro. Quando gli Zorahn hanno spiegato quello che volevano, il governo si è fatto in quattro per collaborare con gli alieni. Hanno addirittura piegato i media a loro sostegno. Ho visto innumerevoli articoli di lode nei confronti degli Zorahn, dove venivano descritti come nostri alleati, o persino nostri salvatori.

    Per come la vedo io, la navicella degli Zorahn potrebbe essere una scatoletta di latta, e al governo non gliene potrebbe fregare di meno. C’è troppa tecnologia aliena superiore in ballo.

    May Archer sembra preoccupata e si morde il labbro. Le do un colpetto col gomito. Sono sicura che andrà tutto bene, le dico, mantenendo un tono rassicurante. Gli Zorahn vogliono che arriviamo sane e salve, almeno quanto lo desideriamo noi. Ci hanno detto che i nostri geni potrebbero salvare la loro razza, ma solo se ci possono studiare nei loro laboratori fantascientifici, ad alto tasso di tecnologia. Da qui, il viaggio sul loro pianeta.

    Beirax fa un gesto di chiusura con la mano. Stop alle domande, dice con voce brusca. "Hector Schultz, è ora che te ne vai. Partiamo per Zoraht fra un pars."

    Un pars equivale a sei minuti terrestri, cinguetta il traduttore.

    Sei minuti alla partenza. Mi guardo attorno, scrutando le altre nove donne, ma nessuna della nostra piccola sorellanza spaziale sembra più tanto entusiasta. La realtà si è dispiegata davanti a noi.

    Chi si offre volontario per lasciarsi alle spalle la Terra e andare su un pianeta alieno per sei mesi? Che genere di persona sceglie di fidarsi degli emissari, quando ci promettono un sicuro ritorno, garantito dal Sommo Imperatore di Zoraht in persona? Per quale motivo fare la fila per farsi tocchignare e punzecchiare da scienziati alieni?

    La risposta è semplice. Per denaro. Per l’avventura. E, nel mio caso, per la mancanza di qualcosa, qui sulla Terra, per cui valga la pena restare.

    Schultz fa un rapido saluto militare per congedarsi da noi e se ne va, scendendo dalla rampa. Non ci sono finestrini ai lati della navicella, quindi non posso vedere la folla riunita fuori. Magari alcune delle altre donne hanno dei famigliari che stanno assistendo alla loro partenza. Io no. Non ho nessuna famiglia. Mia madre se n’è andata quando avevo dieci anni, e mio padre è morto di leucemia due mesi prima che saltasse fuori la cura. Sì, lo so. Ironia della sorte.

    Guardo Beirax e Mannix che posano le mani su dei grandi pannelli sul retro, che scorrono aprendosi e rivelando le capsule di stasi. Mai vista la foto degli hotel capsulari in Giappone? Ecco a cosa assomiglia questa cosa. Saremo sveglie durante il viaggio? mormoro senza pensare.

    Questa volta Beirax ruota veramente gli occhi. È una capsula di stasi, Viola Lewis. Per definizione… La sua voce si interrompe e lo vedo guardarmi con un ghigno.

    Sì. Sto facendo un’ottima prima impressione.

    Mi sveglio con uno scossone e sbatto la testa contro il soffitto della mia capsula.

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