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Progetto Evelina
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E-book327 pagine4 ore

Progetto Evelina

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Info su questo ebook

Il padre di Evelina fa tutto ciò che è in suo potere per salvare la figlia morente, magia nera compresa. Ma quando un secolo dopo la sua richiesta di aiuto finisce nelle mani sbagliate, si scatena l'inferno.


Incastrati in una battaglia del Vaticano per annientare un culto che vuole cambiare il passato, un giovane professore italiano e una bellissima aspirante attrice francese sono troppo impegnati a fuggire da assassini e cospirazioni per lasciare che l'attrazione fisica che provano l'uno per l'altro diventi amore.
E il fatto che i Servizi Segreti di sua Maestà si mettano nel mezzo mostrando un certo interesse per quello che sta succedendo non aiuta di certo, anzi...

LinguaItaliano
EditorePINE TEN
Data di uscita21 mag 2015
ISBN9781938212314
Progetto Evelina
Autore

Kfir Luzzatto

Kfir Luzzatto is the author of twelve novels, several short stories and seven non-fiction books. Kfir was born and raised in Italy, and moved to Israel as a teenager. He acquired the love for the English language from his father, a former U.S. soldier, a voracious reader, and a prolific writer. He holds a PhD in chemical engineering and works as a patent attorney. In pursuit of his interest in the mind-body connection, Kfir was certified as a Clinical Hypnotherapist by the Anglo European College of Therapeutic Hypnosis. Kfir is an HWA (Horror Writers Association) and ITW (International Thriller Writers) member. You can visit Kfir’s web site and read his blog at https://www.kfirluzzatto.com. Follow him on Twitter (@KfirLuzzatto) and friend him on Facebook (https://www.facebook.com/KfirLuzzattoAuthor/).

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    Anteprima del libro

    Progetto Evelina - Kfir Luzzatto

    capitolo 1

    Londra, Inghilterra. Giugno 2009

    Quando Franco si soffermò al sole sul marciapiede subito dopo la sua ora settimanale di ricevimento studenti, Londra gli dette il bentornato nella forma di un anziano miliardario che parlava per enigmi. Era una giornata stupenda che gli riportò alla mente ricordi piacevoli di una passeggiata estiva fatta con suo padre proprio in quello stesso luogo. Amava quella città e aveva colto al volo l’occasione di accettare un posto come docente di latino. Il primo dei due anni del suo contratto stava per finire, ma, chissà, poteva pur sempre sistemarsi lì in maniera definitiva.

    Aveva un po’ di tempo libero, così decise di fare una breve passeggiata dal suo ufficio sullo Strand, nel campus del King’s College, fino a Covent Garden, ma, prima di riuscire a muoversi, una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione.

    Professor Lorenzi? Franco Lorenzi? domandò la voce.

    Oh, sì, salve, rispose Franco educatamente, voltandosi per capire chi gli stesse parlando. Vide un uomo piccolo e anziano, vestito in maniera elegante con un abito che sembrava troppo pesante per quel giorno estivo. Non riusciva a inquadrare quella persona dall’aria rispettabile e che, evidentemente, lo conosceva.

    Mi dispiace averla fermata per strada in questo modo, ma stavo venendo da lei. Oh... che sciocco che sono, lei non mi conosce, aggiunse. Si frugò in tasca in preda all’agitazione e alla fine trovò una scatolina d’argento. L’aprì e passò a Franco un biglietto da visita. Perdoni la distrazione. A volte alla mia età... disse. Scrollò il capo per scusarsi, senza finire la frase.

    Si figuri, rispose Franco.

    Lesse il biglietto stampato a caratteri dorati, Sir James Easby, G.F.C.D, M.R.L.D, Presidente, Antica Società Europea di Comunicazioni (ASEC), e rimase colpito. Non avrebbe mai pensato che quell’uomo, così modesto e tranquillo, fosse un pezzo grosso e, sebbene non avesse mai sentito parlare della ASEC, la sfarzosità di quel biglietto da visita ne indicava tutta l’importanza.

    Ha detto che stava venendo da me. Cosa posso fare per lei?

    "Sì. Ho provato a telefonarle ieri e di nuovo stamattina, ma quando dal suo ufficio non ho avuto nessuna risposta, ho deciso di venire di persona... a causa dell’urgenza."

    Urgenza? Franco rimase perplesso. Cosa poteva esserci di così urgente da spingere uno sconosciuto a cercare un professore di latino? Dopotutto, il latino era una lingua morta da secoli. Qualunque cosa quel visitatore volesse da lui poteva sicuramente aspettare qualche giorno.

    Ora le spiego... ma forse qui per strada non è il luogo ideale per parlare. Perché non andiamo a prenderci un tè? Conosco un buon posto qui vicino, disse Easby incamminandosi senza aspettare risposta, seguito da un Franco incredulo.

    Cinque minuti dopo, erano seduti in un angolo tranquillo della sala da tè, le loro ordinazioni erano già state prese e la curiosità di Franco stava crescendo rapidamente. Easby si passò le dita fra i capelli grigi e fissò Franco; poi lo fece di nuovo, due volte.

    Le devo una spiegazione, professor Lorenzi, disse alla fine. Si tratta di una questione estremamente delicata, perciò spero che avrà pazienza. Quello che facciamo... Voglio dire, la ASEC ha intrapreso un’iniziativa per contribuire a salvare una sua lontana parente gravemente malata. È già un po’ di tempo che ci diamo da fare per aiutarla. In conclusione, abbiamo deciso che per darle una possibilità di sopravvivenza dobbiamo ricorrere a un suo consanguineo. Detto in poche parole. È per questo che la inseguivo.

    Un consanguineo ha detto? Ma di chi si tratta?

    Mi dispiace, ma ancora non mi è concesso di rivelarne l’identità. Ci sono in gioco questioni di riservatezza che rendono la cosa impossibile in questa fase, ma ovviamente, se deciderà di essere d’aiuto, ne sarà messo al corrente dopo che ci saremo occupati delle dovute questioni legali.

    Non mi risulta che qualche mio parente stia male.

    Voi due non vi siete mai incontrati. Easby era chiaramente a disagio e assunse un’espressione contrita. Mi rendo conto che tutto ciò sia un po’ vago, disse, e non mi aspetto che s’impegni a fare niente prima di conoscere tutti i dettagli. A questo punto volevo soltanto fare la sua conoscenza. Ho bisogno di sapere se, in linea di principio, sarebbe disposto ad essere d’aiuto.

    Certo, come ha detto, ho bisogno di qualche informazione in più. Non so di chi stia parlando o che ruolo abbia lei in tutto questo, ma se c’è bisogno di me per donare un campione di sangue o cose del genere, può contare sul mio aiuto. Se invece ha intenzione di chiedermi di donare un rene, probabilmente dovrà essere molto più convincente.

    Le garantisco che non le verrà chiesto di sacrificare alcunché se non il suo tempo e che il suo aiuto è di fondamentale importanza per salvare la vita della sua parente.

    Allora sono disposto ad ascoltare dell’altro. Mi parli della ASEC.

    Certo, certo, disse Easby sorridendo, ora visibilmente più a suo agio. Poi guardò l’orologio e il suo volto si rabbuiò. Mio Dio... è davvero così tardi? Scusi, devo scappare. Sono terribilmente in ritardo per un appuntamento.

    Be’... proprio ora che mi aveva incuriosito...

    Mi dispiace, ma devo proprio andare. Non si preoccupi, mi metterò in contatto con lei molto presto. Sbrigheremo rapidamente le formalità e poi saremo in grado di fornirle tutti i dettagli. Glielo prometto. Grazie mille per la sua pazienza e per il suo tempo.

    Easby era già in piedi che gesticolava alla cameriera e fu palesemente irritato dall’apatia con cui gli presentò il conto. Pagò, strinse di nuovo la mano a Franco e se ne andò borbottando qualche altra parola di scusa.

    Franco tornò all’università a piedi, immerso nei pensieri. Le circostanze di quell’incontro e la segretezza del suo visitatore lo preoccupavano. Quell’anziano gentiluomo gli era istintivamente piaciuto, ma prima di continuare il discorso doveva essere sicuro di non farsi coinvolgere in qualcosa d’illegale.

    Di nuovo in ufficio, accese il computer e cercò con Google Antica società europea di comunicazioni, ma fu un buco nell’acqua. Allora provò con ASEC e la ricerca dette qualcosa come ventisettemila risultati, il meno strano dei quali riguardava una squadra di calcio. Dopo un po’, lasciò perdere l’acronimo e cercò James Easby. Questa volta vennero fuori molti riferimenti e articoli con fotografie di Easby scattate in diverse occasioni. L’immagine che davano di lui era rassicurante: quell’uomo dalla voce calma e gentile era un miliardario e, fino a poco tempo prima, il presidente ad interim di una grande industria elettronica. Nel corso degli anni, il suo nome era stato associato a vari enti di beneficenza e menzionato di frequente nei servizi su serate mondane. Esisteva davvero e nello spegnere il computer, Franco si rese conto di essere più intrigato di prima. Sapeva che avrebbe dovuto andare a fondo di quella storia o la curiosità l’avrebbe ucciso.

    .    .

    CAPITOLO 2

    Udine, Italia. Giugno 1894

    L’Onorevole L. scese da una carrozza anonima, ferma sulla strada buia e desolata. Indossava un lungo soprabito nero per proteggersi dal freddo della sera, anche se tremava un po’, lì in piedi di fronte alla porta chiusa di una casa che, a giudicare dallo stato della facciata, aveva visto giorni migliori. Il pizzetto brizzolato rendeva difficile fare ipotesi sulla sua età e le preoccupazioni degli ultimi mesi gli avevano scavato il volto tanto da farlo sembrare più vecchio dei suoi cinquantadue anni. La sua figura snella trasmetteva tuttavia un’inequivocabile forza innata che non mancava mai di colpire chi lo incontrava per la prima volta.

    Si sentiva a disagio, lì in piedi alla porta di una casa in cui si accingeva a cercare aiuto. Prima di allora, non aveva mai chiesto aiuto a persone che non conosceva e detestava l’idea che il suo comportamento potesse essere visto come un segno di fragilità. Considerava la debolezza un peccato mortale, ma questa volta era diverso; tutto il suo mondo era in pericolo e doveva continuare a fare tutto ciò che era in suo potere per salvarlo. In realtà, pensò, tranquillizzandosi un po’, il fatto di essere disposto ad andare fino in fondo a qualcosa che altre persone potevano interpretare come segno di debolezza, era di per sé un segno di forza. Sì, la sua impresa richiedeva coraggio e vergognarsene sarebbe stato un atto di vigliaccheria...

    Quel pensiero gli dette forza quando bussò alla porta con tre colpi di batacchio, brevi ma decisi.

    Una ragazza aprì quasi all’istante. Rimase ferma ad asciugarsi le mani al grembiule. La guardò di sfuggita ma la lasciò subito perdere, perché non era lei che cercava.

    Sono qui per vedere la Signora Cecchi...

    Sì, Onorevole L... iniziò a dire nel fare un leggero inchino, dimostrando di averlo riconosciuto.

    Ssh! Non dire il mio nome, ragazza! la rimproverò.

    Mi scusi, Signore. Prego, venga dentro...

    La giovane si fece da parte, l’onorevole entrò e si tolse il cilindro. La ragazza chiuse la porta facendo attenzione a non sbatterla, mise il catenaccio e poi si girò verso l’Onorevole L., rimasto lì sull’attenti a esaminare l’ingresso buio. Quando si accorse che gli occhi dell’uomo erano fermi su di lei, fece un breve cenno col capo e andò verso una porta situata in fondo all’ingresso.

    Comunico a mia madre che siete arrivato, Signore, disse. Sparì attraverso la porta e l’Onorevole L. rimase ad aspettare all’ingresso. Dette un’occhiata in giro, a quell’ambiente cupo e tetro, e annusò l’aria. Era pesante e aveva l’odore di una stanza rimasta chiusa per l’inverno. Poco dopo si riaprì la porta da cui era sparita la ragazza, che con una riverenza disse, Prego, da questa parte.

    L’Onorevole L. passò il bastone da passeggio dalla mano destra a quella sinistra e andò verso la porta che si chiuse alle sue spalle. La stanza era grande e male illuminata, con un caminetto in cui le braci di un piccolo pezzo di legna bruciavano lentamente. A giudicare dall’odore di fumo, il comignolo non tirava un granché. Vicino al camino c’erano due poltrone dallo schienale alto e in una era seduta una donna anziana piena di rughe. Era vestita di nero, come si confà a una vedova, e portava una cuffietta che probabilmente si era messa per l’occasione. Il pizzo nero del bordo quasi le copriva i piccoli occhi marroni. Non dava segno di essere in procinto di alzarsi o di parlare, perciò, dopo un breve attimo di esitazione, l’Onorevole L. le andò vicino.

    Signora Cecchi... disse; in tono di semplice constatazione.

    Benvenuto, rispose con voce allo stesso tempo acuta e rauca, anche se il motivo della vostra visita non è dei più felici.

    Non reagì al commento. Mantenne, invece, un’espressione seria, chiaramente studiata per nascondere le proprie emozioni.

    Il mio amico, colui che mi ha consigliato di venire da voi, mi ha detto che si può contare sulla vostra discrezione...

    Certamente, ma non volete accomodarvi?

    Si sedette nella poltrona di fronte a lei senza mettersi comodo. Anzi, rimase sul bordo con il bastone da passeggio tra le gambe e il cappello nella mano sinistra, muovendosi leggermente in avanti, come fosse sul punto di correre via di scatto. Sbottonarsi il cappotto che gli tirava fu l’unica comodità che si concesse.

    Grazie, disse con fare distaccato. Comprenderete che non possiamo lasciare che la mia visita qui da voi diventi di dominio pubblico...

    Sì, lo so... Provereste vergogna ad ammettere che avete chiesto consiglio a una strega.

    Il suo tono risentito lo sorprese e si affrettò a prendere le distanze da quell’accusa. Quella donna era la sua ultima speranza e non poteva permettersi di offenderla.

    No, non si tratta di questo. Vedete, è solo che sono una figura pubblica e ciò rende tutto molto più complicato...

    Non importa, lo interruppe. È mia intenzione aiutarvi, se posso. Il vostro amico mi ha spiegato brevemente il problema, ma ho bisogno di sentire tutta la storia.

    Riguarda mia figlia, Evelina. Sta morendo di consunzione e i dottori non mi danno molte speranze. Adesso è in Svizzera per ricevere le migliori cure mediche che la medicina moderna può darle e per respirare l’aria migliore, ma ogni giorno diventa sempre più magra...

    Per la prima volta, fu in difficoltà nel controllare le proprie emozioni e per un istante ebbe la voce rotta, ma poi si calmò e proseguì.

    Continua a dire che starà meglio e che sa che sceglierò per lei le cure migliori... Come se i dottori sapessero come curare questa dannata malattia! Conta su di me e io non sono in grado di aiutarla...

    Non è vero! gli rispose la vedova con aria risoluta e materna, singolarmente in contrasto con il suo aspetto. State facendo la cosa giusta. Siete qui per aiutarla. Avete portato gli oggetti che avevo chiesto al vostro amico?

    Sì, rispose e in tutta fretta prese una busta da una tasca interna del cappotto e gliela consegnò. Ecco una sua fotografia e una ciocca di capelli che porto sempre con me.

    La signora Cecchi esaminò attentamente la fotografia, poi si mise comoda e la tenne in una mano, mentre nell’altra aveva la ciocca di capelli. Chiuse gli occhi e rimase immobile, eccetto che per l’indice e il pollice che continuavano a lisciare la ciocca, e per le labbra, che si muovevano ritmicamente come a cercare di articolare un suono. La guardò attentamente senza spostarsi o muoversi per paura di disturbare la sua concentrazione, finché, qualche minuto dopo, la donna tremò, mosse leggermente il corpo, aprì gli occhi e lo fissò con sguardo profondo.

    Fin dove è disposto a spingersi? gli chiese di punto in bianco.

    Fino alla fine del mondo e oltre, se è ciò che serve, rispose, mettendosi ancora più dritto e rigido sulla schiena, a sottolineare la sua inflessibile volontà. Quella domanda gli aveva dato una speranza inattesa.

    Allora possiamo fare qualcosa. Non posso garantirne la riuscita. Ci vorrà fede, ma non tutto è perduto.

    Si alzò in piedi, elettrizzato e incapace di stare fermo. Ditemi cosa fare. Sono pronto a tutto. A tutto!

    Lo farò, disse la donna, mentre lo fissava e annuiva in segno di approvazione, e possa Dio perdonarmi.

    .    .

    CAPITOLO 3

    Udine, Italia. Giugno 1894

    L’Onorevole L. misurò a passi l’enorme tappeto mentre attendeva impaziente che il suo amico, il sindaco, lo raggiungesse. La stanza era in penombra, con tende pesanti che senza tante cerimonie impedivano ai pochi raggi di sole di filtrare dalle finestre rientranti; alla luce fioca della stanza, anche il grande e scuro dipinto appeso alla parete, raffigurante il martirio di un santo sconosciuto, contribuiva a creare un’atmosfera opprimente. O forse era semplicemente il suo stato mentale che dipingeva ogni cosa a tinte cupe.

    Alla fine, la porta si aprì e il sindaco entrò in tutta fretta zoppicando, appoggiato al bastone. Era così palesemente in imbarazzo che anche la sua andatura sembrò comunicare le sue scuse.

    Mi dispiace così tanto averti lasciato qui ad aspettare. La riunione sembrava non finire mai...

    Be’, è colpa mia, lo interruppe l’Onorevole L.. Avrei dovuto avvisarti prima della mia visita, ma non c’era tempo.

    Il sindaco guardò preoccupato il suo vecchio amico. Era evidente che, a differenza del solito, qualcosa non andava. Qual è il problema? Cos’è successo? domandò.

    Si tratta di Evelina...

    Come sta? È tornata a casa?

    No, la verità è che sta morendo e ho bisogno del tuo aiuto.

    Fu schietto e diretto. Sapeva che il suo caro amico, altrimenti, lo avrebbe trascinato in una conversazione che minacciava di diventare emozionale.

    Qualsiasi cosa. Farò qualsiasi cosa in mio potere. Sai che per me è come una figlia.

    Grazie. So di poter contare su di te, ma quello che sto per chiederti di fare  potrebbe sembrarti in parte strano e ti prego di non fare domande a proposito.

    Va’ avanti... Se il sindaco fu sorpreso che il suo vecchio amico avesse necessità di anticipare la sua richiesta con tali premesse, non lo dette a vedere.

    La prima cosa che ho bisogno che tu faccia riguarda un documento che ti darò in una busta sigillata. Mi occorre che tu emetta un decreto che lo tenga al sicuro negli archivi cittadini per i prossimi cento anni. Poi, allo scadere di questo periodo, sarà reso disponibile a qualsiasi mio diretto discendente.

    Uhm... Posso farlo, è nelle mie facoltà, ma sembrerà strano agli occhi dei funzionari comunali, a meno che non dia loro una spiegazione. Magari puoi dirmi di cosa si tratta...

    Ti ho detto che non posso e non ti è permesso fare domande. Però puoi inventarti una storia, quella che ti pare. Non farà alcuna differenza comunque.

    Va bene. Dammelo, ci penso io.

    Non ce l’ho ancora, ma te lo porterò presto. Grazie. Il secondo favore che ti chiedo è più complicato. In città c’è una donna, una vedova, la cui figlia sta per compiere diciotto anni. Le ho promesso che saranno entrambe invitate al ballo che darai per il fidanzamento di tua figlia. Perdona la libertà che mi sono preso, aggiunse in fretta nel vedere l’espressione offesa dell’amico, ma non ho avuto scelta. Le ho dovuto promettere che sua figlia avrebbe fatto così il suo ingresso in società.

    Non capisco... chi è questa donna?

    Si chiama Cecchi.

    La vedova Cecchi? Sei fuori di testa? Ma non lo sai chi è?

    Il sindaco era diventato tutto rosso e cominciava ad essere molto agitato. L’Onorevole L. gli mise un braccio sulle spalle, stringendole delicatamente, e poi gli parlò con voce calma.

    Da quanto tempo siamo amici? gli chiese con tono sommesso. Conosceva la risposta molto bene e si rendeva conto del potere di quella domanda.

    Da quasi quarant’anni, rispose il sindaco. Guardò il suo vecchio amico con occhi indagatori, come colto alla sprovvista da quella domanda.

    Sì, da quando eravamo bambini. E in tutti questi anni, ti ho mai chiesto di ricambiarmi un favore?

    No, e non serve ricordarmi che ti devo la vita. Non voglio che tu pensi che non ti sia riconoscente. Neanche per un momento. Se non fosse stato per te, sarei morto su quella dannata collina in Sicilia, là dove quella pallottola mi ha reso uno storpio. Continuo a svegliarmi di notte con quel dolore alla gamba che non mi ha mai lasciato e nel sogno, l’ultima cosa che ricordo, e che mi spaventa fino a svegliarmi, sei tu, mentre sotto tiro strisci verso di me e mi urli di resistere. Oh sì, me lo ricordo ogni giorno il debito che ho con te.

    Il volto del sindaco, benché mai pallido, era diventato rosso per l’agitazione e l’Onorevole L. gli parlò in tono di scuse.

    Non stavo insinuando che non sei stato riconoscente o che ho qualche diritto da avanzare nei tuoi confronti. È stato tanto tempo fa. Sono qui perché sei mio amico e un amico vero è quello che mi serve in questo momento.

    Sono tuo amico, lo sai. Ma quella donna... Sai cosa si mormora in giro su di lei? Non è soltanto una di quelle donne volgari che mia moglie non vorrebbe mai a un ricevimento, dicono anche che sia una fattucchiera, una strega, una donna senza fede. Averla tra gli invitati del ballo di fidanzamento di mia figlia screditerebbe la mia famiglia. No, non si può fare.

    Se fallisco, disse l’Onorevole L., sempre più rigido in volto man mano che parlava, Evelina non avrà mai un ballo di fidanzamento. Dunque non mi lasci altra scelta che chiederti di saldare il tuo debito.

    Rimase impassibile, con lo sguardo fisso sulle tende dietro le spalle dell’amico. Il sindaco si lasciò cadere sul divano lì accanto e per un lungo istante rimase seduto a fissare il bastone che teneva tra le gambe. Poi, lentamente, alzò la testa e guardò il suo amico, rimasto immobile.

    Allora fai sul serio? domandò. Quando l’Onorevole L. fece appena un cenno col capo, aggiunse, Mia moglie mi metterà in croce per questo.

    Dille che è colpa mia.

    Non mancherò. A volte penso provi più affetto e rispetto nei tuoi confronti che nei miei. Ma non le piacerà comunque. Mi renderà la vita un inferno. Non ne abbiamo mai parlato, ma la regola è che io non m’intrometta nei preparativi per il ballo.

    Lo so. Mi dispiace.

    Non riconsidereresti l’idea di dirmi cos’è tutta questa faccenda? Sai che puoi fidarti di me.

    È meglio che tu non sappia. Ma credimi, per me ed Evelina è la cosa più importante e sarò eternamente in debito con te per avermi aiutato.

    Il sindaco si alzò in piedi e si avvicinò all’amico. Guardò quegli occhi imperscrutabili e gli dette un fuggevole abbraccio senza aggiungere altro. L’Onorevole L. sussurrò qualche breve parola di ringraziamento e se ne andò.

    .    .

    CAPITOLO 4

    Ambri, Svizzera. Giugno 1894

    Evelina, vieni! Presto! È arrivato tuo padre.

    Nel sentire la voce dell’infermiera, Evelina aprì gli occhi. Si era appisolata sul letto ancora vestita. Era così stanca... Ma era arrivato suo padre ed era una buona notizia; negli ultimi giorni aveva sentito moltissimo la sua mancanza – più del solito – perché non sapeva quando sarebbe tornato. Ultimamente aveva iniziato a riflettere sulla fine della vita. Pian piano la sua morte, quella che pochi mesi prima, se ci pensava anche solo un istante, le era sembrata qualcosa di molto lontano, niente che valesse la pena di essere preso in considerazione prima che i capelli le fossero diventati grigi e la pelle avesse iniziato a raggrinzirsi, era diventata qualcosa di cui preoccuparsi nell’immediato. Sapeva di essere in buone mani e suo padre era fiducioso che l’aria fresca e pulita e le cure l’avrebbero aiutata a stare meglio, ma ogni giorno che passava si sentiva sempre più debole. Per quanto non volesse pensare alla morte o credere di poter morire così giovane, quel pensiero continuava a tormentarla.

    Ev, la voce di suo padre giunse dalla porta.

    Evelina si alzò in piedi e, un po’ in affanno per la fatica, guardò suo padre. Fare un sorriso di benvenuto richiese un altro grande sforzo, ma ci riuscì. Capì istintivamente che suo padre aveva bisogno di quella forza che poteva venirgli soltanto da un suo sorriso e da una bugia che lo illudesse di una sua guarigione.

    Padre caro... mi sei mancato.

    L’Onorevole L. le andò subito incontro e la strinse tra le braccia, baciandole le guance, poi fece un passo indietro. Stai molto meglio! osservò. Lo diceva sempre, come se si sentisse in dovere di convincerla. Quello era il solo e unico posto dove la verità assoluta smetteva di

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