Nick O'Grady. La leggenda dello squash
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Recensioni su Nick O'Grady. La leggenda dello squash
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Anteprima del libro
Nick O'Grady. La leggenda dello squash - Diego Bertoldo
www.edizionidialoghi.it
Presentazione
Diego Bertoldo, Maestro della Federazione Italiana Giuoco Squash, da anni al centro delle cronache sportive per i risultati raggiunti alla guida del progetto federale Scuola Squash, delle squadre Nazionali juniores e del team Pegaso di Cornedo Vicentino, uno dei più titolati d’Italia, ha deciso con questo libro di accettare un’altra sfida impegnativa, quella di trasmettere una sana cultura sportiva cercando al tempo stesso di far appassionare i giovani alla lettura, nonché allo squash, ovviamente.
In questa riedizione del romanzo, pubblicato originariamente nel 2010 con il titolo Squash. Sfida all’ultimo punto, Diego Bertoldo ci presenta il primo episodio della serie che vede come protagonista il giovane Nick O’Grady.
La storia, ambientata a cavallo tra l’Irlanda e l’Inghilterra dei primi del Novecento, ha il pregio di coniugare uno stile agile e diretto in grado di attirare l’attenzione anche – ma non solo – di un pubblico giovane, con una trama ricca di lezioni di vita, permeata da un forte senso educativo, senza trascurare mai l’esigenza di evasione del lettore in erba. Questi, grazie all’abilità dell’autore di contestualizzare la trama e i personaggi della narrazione, viene accompagnato prima tra i paesaggi bucolici del Paese del Trifoglio e poi tra i vicoli e il fermento dell’Inghilterra metropolitana. Il tutto contornato da un’avvincente sfida sportiva che rinnova ancora una volta quell’inossidabile adagio che vuole lo sport come formidabile palestra di vita
in grado di insegnare i valori fondanti della società.
Nota: In appendice viene riportata una tabella che riassume le principali regole dello squash attuale, per aiutare il lettore nella comprensione delle fasi di gioco e dei termini tecnici presenti nel romanzo.
1.
La cena del Ringraziamento
Nella Contea di Boyle, nel cuore della verde Irlanda, i giorni passavano pigri, uno dopo l’altro. La gente del posto viveva quasi fuori dal tempo, in un mondo fatto di piccole cose, trascorrendo le giornate tra lavoro e famiglia.
Solo di rado la monotonia della vita quotidiana veniva interrotta da qualche occasione di svago e, dall’inconsueto via vai per le strade, era facile intuire che una di tali circostanze stava per realizzarsi proprio quella sera di fine estate.
La vecchia fattoria della famiglia O’Grady, infatti, si apprestava a ospitare la tradizionale cena del Ringraziamento, una ricorrenza che arrivava puntuale il primo giovedì di settembre. L’annuale convivio era una sorta di piccolo grande evento per gli abitanti della Contea. Non era certo paragonabile al Saint Patrick’s Day, la festa nazionale che nel mese di marzo coinvolgeva tutti gli irlandesi nella celebrazione del loro santo patrono, ma si trattava senza dubbio di una buona occasione per radunare amici e parenti e trascorrere dei piacevoli momenti in compagnia. Il tutto, naturalmente, davanti a un saporito Irish Stew, il succulento piatto tradizionale a base di costolette di montone e patate, annaffiato dall’immancabile Guinness, la birra capace di rendere l’atmosfera allegra e di sciogliere la lingua anche al più timido dei commensali.
Gli argomenti trattati erano quasi sempre gli stessi, ovvero le vicende quotidiane che più interessavano agli ospiti: la situazione del raccolto, la salute degli animali delle fattorie e così via. Talvolta l’annuncio della nascita di un puledro o di un nuovo pargolo diventava il soggetto principale della chiacchierata.
Anche quella sera, come consuetudine, i ragazzini si aggiravano schiamazzando da una stanza all’altra e la loro esuberanza mandava a gambe all’aria qualche sedia. I più anziani accettavano con benevolenza tutto quel trambusto, anche perché sapevano che si sarebbe concluso di lì a pochi minuti.
Infatti, come per incanto, all’inizio della preghiera di ringraziamento tutti i rumori svanirono di colpo. Perfino gli animali all’esterno sembrarono farsi d’un tratto silenti e rispettosi dinnanzi alle parole di John O’Grady. Erano poche frasi ma, nonostante si ripetessero da una vita, conservavano intatta la loro sobria solennità.
«… e proteggi la nostra umile gente. Ti rendiamo il nostro grazie, o Signore, per la salute che ci hai concesso e per il cibo che anche oggi ci hai voluto donare. Amen».
L’uomo concluse il momento di raccoglimento con il segno della croce, seguito a ruota dai presenti.
Il tintinnio di posate che tutti udirono fu il segnale che la cena poteva finalmente avere il suo inizio.
John O’Grady osservò la lunga tavolata che ospitava oltre cinquanta invitati e si avvicinò alla moglie dandole un bacio sulla fronte.
«Ottimo lavoro, Sarah, non è stato facile organizzare il tutto, ma a conti fatti direi che ne è valsa proprio la pena».
«Grazie caro… di sicuro senza il tuo aiuto e quello delle donne di Boyle non ce l’avrei fatta…».
Il padrone di casa accarezzò il viso di Sarah, poi si portò la mano sul mento, con fare pensieroso.
«Sai, a volte penso che siamo veramente degli sciocchi a non ritagliarci del tempo tutto per noi…».
«Già… sembra proprio che il nostro destino sia quello di ammazzarci di fatica e basta».
La donna scrollò la testa sconsolata.
«Beh, sai che ti dico? Ora che nostro figlio è diventato grande, dobbiamo goderci un po’ di più la vita! A proposito… dov’è finito Nick?».
Sarah si guardò attorno e, notando il posto vuoto dall’altra parte del tavolo, abbozzò un sorriso.
«Dopo la preghiera di ringraziamento, l’ho visto sgusciar fuori con la palla. Sai com’è Nick, deve ancora nascere quello che riesce a farlo stare fermo per più di due minuti».
Il padre gridò a gran voce:
«Niiick!».
Dopo pochi istanti il ragazzo apparve sull’uscio, ansimante.
Due luccicanti occhi verdi, seminascosti da uno scompigliato ciuffo di capelli castani, si posarono sugli invitati seduti attorno alla tavolata e pronti per iniziare la cena.
I commensali si girarono simultaneamente in sua direzione, fissandolo e accennando un sorriso.
Tutti a Boyle conoscevano e volevano bene al piccolo Nick O’Grady; d’altra parte non si poteva che provare simpatia per quel ragazzino dal viso furbo, tanto difficile da gestire quanto buono e gentile nell’animo.
A scuola Nick se la cavava piuttosto bene, per essere un campagnolo, ma era lo sport la sua vera, grande passione. Fosse stato per lui, sarebbe rimasto tutto il giorno a giocare con gli amici nel grande prato, dietro casa.
Seppur piccolino di statura, si faceva valere in tutti i giochi con la palla. Tra i suoi preferiti c’erano l’hurling e il rounders, rustici antenati dell’hockey e del baseball; il tipo di mazza utilizzato per giocarvi era diverso, ma la palla era invece la stessa, una pesante sfera chiamata in gergo sliotar.
I ragazzi della Contea si ritrovavano spesso nei pressi della fattoria degli O’Grady per affrontarsi in appassionanti sfide. L’unico inconveniente era che, in qualche occasione, il vivace
Nick eccedeva in esuberanza.
Una volta, in particolare, il ragazzino ne aveva combinata una grossa e la notizia aveva fatto sorridere tutta la Contea. All’origine c’era stato lo sfottò di un prepotente compagno di gioco:
«Passa a me la palla, piccoletto» gli aveva detto con aria canzonatoria un ragazzotto da poco arrivato in zona.
«Ce la fai ad alzarla, almeno?» aveva aggiunto riferendosi alla corporatura minuta di Nick, non certo pari agli altri schierati in campo per giocare a rounders.
«Dai, Nick, fagli vedere cosa sai fare» lo avevano incitato a quel punto gli amici. Il ragazzo non si era fatto pregare. Impugnata la mazza e caricato il braccio con tutta la forza possibile, aveva gridato all’amico:
«Tim, lancia!».
L’impatto tra l’attrezzo di legno e la pesante sliotar era stato violento. Purtroppo, d’istinto, Nick aveva scelto come obiettivo la prima cosa che aveva scorto nei paraggi in quei pochi istanti: la ruota del carretto di papà John! La palla aveva infatti acquisito una velocità insospettabile fino a incocciare, precisa, contro il malfermo bullone che fissava l’asse alla ruota. Questa si era staccata dal perno cedendo di schianto e il vecchio carretto, con un tonfo sordo, aveva finito per rovesciarsi pesantemente di lato.
Tutti i ragazzi erano scappati subito a gambe levate. Solo Nick era rimasto immobile, consapevole di averla fatta grossa.
La severa punizione di papà John, che aveva assistito alla scena uscendo dalla stalla, non si era fatta attendere e gli aveva lasciato