Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Lo Jolk
Lo Jolk
Lo Jolk
E-book513 pagine7 ore

Lo Jolk

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Nicolas e Coach, Ciccio e Paolo sono due coppie di fratelli inseparabili. Quando il pallone con cui stanno giocando finisce nella recinzione di una minacciosa abitazione, dimora del Vecchio, i ragazzi tentano di recuperarlo, finendo però per separarsi ed essere sbalzati nel mondo dell’Erm. Ed è solo il principio di un’avventura pazzesca che lascerà a bocca aperta qualsiasi lettore, indotto a riprendere contatto con la fantasia, costretto a rilucidare la propria immaginazione offuscata dalla razionalità di tutti i giorni. Persi in un mondo sconosciuto, incontreranno strani personaggi che li acclameranno salvatori o li vorranno morti. Una profezia li osanna e a loro, inconsapevoli cuccioli, sono dati grandi poteri.
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2019
ISBN9788863938852
Lo Jolk

Leggi altro di Luca Lodi

Autori correlati

Correlato a Lo Jolk

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Lo Jolk

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Lo Jolk - Luca Lodi

    Prologo

    Niente racchiude più magia del sorriso di un bambino.

    Così pensò. 

    Oggi li aveva visti e questo bastava, in cuor suo sapeva. Era una certezza fievole come fiamma di candela, da un momento all’altro si sarebbe potuta spegnere, ma in quell’oscurità faceva una gran luce. 

    Vestiva pesante, anche se era in casa; il piccolo camino non riusciva a scaldare a dovere l’intera stanza. Portava pantaloni di flanella marrone abete e, per il resto, era agghindato con una logora camicia a quadrettoni, nascosta da un abbondante maglione nocciola. Ai piedi calzava consunte ciabatte da cui faceva capolino un alluce. Spessi occhiali completavano l’abbigliamento. Li usava per le sue letture; i libri erano la sua unica compagnia. Una folta barba contornava i lineamenti del volto paffuto. Basso e panciuto, aveva una loquacità proporzionata alla sua statura.

    Erano anni che non aveva notizie della sua gente e questo… lo confortava! Poter stare tranquillo senza dover scappare non era poi così male, in fondo si stava abituando anche a quell’assurda vita, trascorsa così lontano da casa. Certo, non aveva tante comodità, ma nemmeno altrettante responsabilità. In fondo era ancora vivo, in barba all’Urna Fiorita e a tutti i suoi seguaci! Basta intrighi e corse al potere! Almeno poteva riposare. 

    Riposare… che suono dolce! 

    Poter chiudere gli occhi senza temere un potenziale pericolo, abbandonarsi al caldo del camino con le gambe protette da una soffice coperta.

    La casa era vecchia quanto lui. Fatiscenti impianti elettrici alimentavano lampadine tremolanti; la muffa si mostrava sui muri quale decoro appariscente. Se n’era innamorato a prima vista, era quella che faceva al caso suo! Lontana da occhi indiscreti, era dotata di un piccolo cortile con rimessa e persino di una minuta cantina. All’interno aveva portato gran parte dei suoi averi. Il trasloco era stato fatto di notte con la massima discrezione e, da un giorno all’altro, la gente del circondario si era ritrovata a condividere l’ambiente con uno strano personaggio. Non usciva quasi mai e persino gli alimenti gli erano consegnati da un garzone. Strane storie si raccontavano sul suo conto; lui ne era conscio e questo lo divertiva: più strano sembrava, e meno la gente avrebbe avuto il coraggio di interessarsi a lui.

    Le fatiche della giornata lo avevano sfiancato e, sprofondato nella sua poltrona davanti al tiepido camino, il velo del sonno non tardò a scendere su di lui.

    Li ritroverò ancora, oh sì che li rivedrò! Quei sorrisi da cuccioli cresceranno e saranno loro a venirmi a cercare!

    Cadde in un sonno profondo, inconsapevole di aver pronunciato la profezia che avrebbe dato vita a tutta la storia!

    L’incontro

    11 anni più tardi

    Il suo aspetto incuteva il dovuto timore e le fantasie narrate sul suo conto alimentavano le paure di Nicolas e compagni. 

    Era solo una persona anziana con un tocco sinistro ma per tutti era il Vecchio, il personaggio più schivo e misterioso dell’intero circondario. Nessuno sapeva con precisione chi fosse o perché avesse preso dimora in quel piccolo paese ma una cosa era certa: non cercava compagnia, non si disturbava ad approfondire la conoscenza della gente. Di lui si sapevano solo le numerose storie, alcune naturalmente ingigantite da voci maliziose. Qualcuno diceva di averlo visto parlare con una rondine, altri avevano scorto strani bagliori provenire dalla casa. Inoltre c’era chi asseriva che il Vecchio fosse il custode di un’enorme bestia, celata nelle viscere di quella piccola abitazione.

    Quale bestia? Anche in questo caso le opinioni erano discordanti, chi diceva un grosso serpente, chi un caimano; ma la voce più assurda concordava nel dire che nascondeva un cucciolo di drago! In quella casa persino i fiori rispondevano a codici propri, eludendo le elementari leggi della natura. Una decina di fiorellini posti all’ingresso avevano la particolarità di non sbocciare mai. Qualsiasi fosse la stagione, restavano lì immutabili e rassegnati. 

    Ora, in quel caldo pomeriggio d’estate, loro erano di fronte a quel paffutello, logoro e inquietante personaggio. Tutta questa faccenda aveva del buffo; non solo l’avevano menzionato mentre stavano giocando, ma avevano scherzato anche sulla possibilità che il pallone volasse nel cortile del Vecchio. 

    Intuizione? Profezia? Nessuno poteva dirlo ma ora erano realmente a pochi metri dal Vecchio!

    Lui non sembrava badare al pallone, unico obiettivo dei ragazzi. Non era certo una bel pallone: tutto rappezzato mostrava una debordante protuberanza, memoria di gloriose partite, che permetteva dei fantastici e imprevedibili rimbalzi. Comunque apparteneva a loro e, sembrerà strano, vi si erano affezionati. 

    I ragazzi fissavano l’oggetto dei desideri in modo morboso, senza aver nessuna voglia d’incrociare lo sguardo col Vecchio. Lui osservava divertito il gruppetto di spauriti cuccioli d’uomo. Il primo era un ragazzo magrolino con i capelli a spazzola; aveva un fare spavaldo e lo sguardo di chi non si arrende di fronte a nulla. Alla sua destra, un ragazzo somigliante al primo, ma con la riga ed enormi occhiali. Sembrava il più impulsivo, erano passati pochi istanti e si poteva vederlo fremere d’impazienza. Il terzo, robustello, nonostante fosse dietro dimostrava uno spirito protettivo verso gli altri. L’ultimo era il più alto, tutto pelle e ossa. Sorridente, pareva voler sdrammatizzare la situazione. Ognuno di loro vestiva con comode magliette colorate, pantaloncini a pinocchietto e scarpe da tennis con il logo appena riconoscibile e la suola in parte scollata. 

    Nicolas, l’acuto; Coach, l’impulsivo; Ciccio, il protettivo e Paolo, il positivo. Erano certamente cambiati ma non ebbe dubbi: erano loro.

    Il Vecchio parlò con voce rauca, avendo cura di non distogliere lo sguardo.

    «Era ora che veniste a farmi visita, era da molto che vi aspettavo!»

    L’espressione minacciosa si trasformò in un sorriso compiaciuto, lo stesso di quando la fortuna ti mette a disposizione la cosa che brami di più.

    I ragazzi si guardarono increduli. 

    «Lei ci stava cosa?» chiese Nicolas.

    «Vi aspettavo!» rispose alzando la voce. 

    Di certo giocava al gatto con i topi, e di questo i ragazzi erano consapevoli. Certo, il parcheggio confinava con la sua proprietà, ma quello era da sempre il loro campo da gioco nel periodo estivo. Che colpa ne avevano loro se Ciccio in un tiro maldestro aveva mandato il pallone oltre la recinzione?

    Passarono secondi di silenzio che sembravano interminabili, da una parte il Vecchio, dall’altra i ragazzi e in mezzo il pallone.

    Facendo acrobazie nell’aria con le sue aluccie da pipistrello, un folletto del pensiero si stava divertendo a osservare cosa stesse passando nella testa dei ragazzi e del Vecchio. Non tutti conoscono i folletti del pensiero; la loro caratteristica principale, a parte ronzare fastidiosamente, è quella di leggere la mente di tutte le creature, provocando nel soggetto scandagliato un fastidioso fischio nelle orecchie.

    Il Vecchio esaminava i ragazzi nella speranza di non essersi sbagliato. Se li era trovati davanti senza aver mosso neanche un dito. Loro, il suo unico scopo! La fortuna era dalla sua o forse… le profezie esistono davvero! 

    Nicolas tentava di ricordare perché quello strano personaggio non gli fosse poi così estraneo; Ciccio osservava la scena a bocca aperta. Paolo stava calcolando se mettersi a correre ma la strada gli era sbarrata da Coach, assorto in una smorfia tra ira e frustrazione. 

    A dir del folletto l’unica certezza era che per tutti fosse una situazione imbarazzante. I ragazzi avrebbero voluto trovarsi ancora nel parcheggio a giocare e il Vecchio, ignaro della sua profezia, non avrebbe mai pensato di trovarsi in quel caldo pomeriggio faccia a faccia con loro. 

    Nicolas decise di provare a interrogare l’uomo.

    «Come ha detto di chiamarsi?» chiese nella speranza di distrarlo.

    «Non ha alcuna importanza il mio nome! Piuttosto è rilevante chi siete voi!»

    «Come, prima dice che ci aspettava, e ora chiede chi siamo?» disse sottovoce Paolo, perplesso.

    «Siete fratelli? Quattro fratelli?» chiese speranzoso.

    «No! Non siamo tutti fratelli!» rispose Coach accigliato.

    Nicolas, leggendo la sua impazienza, gli prese un braccio; doveva essere lui a condurre il gioco, anche se al momento non ne capiva ancora bene le regole. 

    Dove voleva arrivare il Vecchio? 

    Se ne stava silenzioso, con la fronte stretta in una smorfia attanagliata da dubbi.

    «Eppure vi somigliate molto!»

    Il gioco continuava…

    «Facciamo così…» propose Nicolas «noi le diciamo come stanno le cose e lei ci ridà il pallone… in fondo è stato solo un incidente!»

    La testa del Vecchio si profuse in un gesto d’assenso, pur mantenendo un’espressione poco rassicurante. Nicolas confidava non tanto nella promessa fatta, quanto nel fatto che il gioco continuava e lui era in vantaggio. Aveva qualcosa che il Vecchio voleva: informazioni. 

    Il folletto del pensiero sorrideva. Se in tre teste i pensieri erano confusi, altre due funzionavano a pieno regime. Era galvanizzante sapere che alcune menti sapessero ancora ragionare.

    «Siamo due coppie di fratelli!»

    «Tutto qua?»

    «Be’, si!»

    «E tu di chi saresti fratello? Immagino non del robustello?»

    Robustello?! Da che pulpito…, pensò Ciccio toccato sul vivo.

    «Io sono fratello di Coach, Ciccio di Paolo!» disse indicandoli. «Ora il pallone, il gioco è finito!» 

    «Ancora un attimo! Quante primavere contate?» tuonò con un tono che non ammetteva repliche. 

    «Questo è impazzito! Siamo in estate!» disse Coach. 

    «Probabilmente, testone, vuole solo sapere quanti anni abbiamo» puntualizzò Ciccio.

    «Le nostre età sono tutte a scalare di un anno. Ciccio apre le danze con sedici anni, poi io, Paolo e infine Coach!»

    Ciccio e gli altri si stavano spazientendo, lo avevano incontrato da pochi minuti ma parevano ore. Anche per il Vecchio erano istanti interminabili. D’altronde, per uno abituato a parlare con le rondini e nulla più, quelle brevi battute pesavano come un lungo comizio.

    La logora camicia mostrava appariscenti aloni, le gambe corte e pelose non facilitavano certo la traspirazione. Si passò il tozzo braccio sulla fronte per scacciare il sudore che gli scendeva negli occhi. Nicolas non aspettava altro che una piccola distrazione del Vecchio. 

    «Paolo!» e l’amico scattò. 

    Nicolas sapeva che Paolo era il più veloce, il solo in grado di prendere il pallone. Spinse Coach per lasciare campo libero all’amico. I movimenti furono repentini e il Vecchio, che non si aspettava una mossa del genere, rimase inebetito. Paolo raggiunse il pallone si chinò, lo afferrò, si girò e si strozzò! Il Vecchio lo aveva afferrato per il collo della maglietta con una presa ferrea. Senza perdersi d’animo, Paolo diede un calcio alla palla indirizzandola verso Coach ancora a terra. Nicolas giunse in soccorso nel tentativo di liberarlo; seguì il caos. Il Vecchio non mollava, Paolo continuava ad ansimare strozzato dalla maglietta, mentre Nicolas, aggrappato al braccio del Vecchio, dava numerosi strattoni nella speranza che mollasse la presa. Il folletto si godeva lo spettacolo dall’alto.

    La danza finì con un urlo lancinante: Nicolas era riuscito a pestare il piede dell’avversario da cui faceva capolino un appariscente alluce. Imprecando con parole sconosciute, il Vecchio lasciò la presa liberando Paolo. Fuggirono oltre il cancello, lungo la strada, dove li attendevano gli altri.

    Il Vecchio stava riprendendo fiato, poggiando le mani sulle ginocchia. Non riuscì a trattenere una fragorosa risata. La fortuna lo aveva veramente baciato.

    «Nonostante il dolore al mio povero piede, non è poi così male!» rise ancora ad alta voce. «Ora la partita ha inizio, e se non mi sbaglio, siamo in vantaggio di quattro!»

    Nessuno dei ragazzi poté condividere quell’entusiasmo ansante, erano ormai lontani col fido pallone; la brutta avventura era finita. 

    Il folletto non capiva perché il Vecchio fosse così contento. I ragazzi erano scappati!

    Intuito

    Matteo, detto Coach, era il fratello minore di Nicolas, chiamato così per un difetto di pronuncia: tutte le C magicamente si trasformavano in SC. Di fisico asciutto, ricalcava nelle sembianze il fratello, tranne che per gli occhi, meno intensi e celati dietro un paio di occhiali spessi dai quali non si separava mai.

    L’estate concedeva attimi di relax lontano dalla scuola e da tutti gli impegni, ma in quel periodo anche il semplice far nulla sdraiato sul divano era una sofferenza. Erano passati quattro giorni dall’incontro col Vecchio. Dopo la fuga Nicolas aveva cambiato atteggiamento. Da allegro e spensierato si era trasformato in un taciturno pensatore, cosa alquanto strana per un ragazzo di quindici anni. Coach e gli altri non riuscivano a darsi una spiegazione, anche se avevano capito che era dovuto all’incontro con il Vecchio.

    Incuriosito, Coach andò a controllare dove si fosse nascosto. Pigramente si alzò, inforcando le ciabatte della sua squadra del cuore. 

    «Ehi Nicolas!» urlò Coach, nel tentativo di trarlo dallo stato di trance. «Ha messaggiato Ciccio, dice se ci troviamo oggi al campo.»

    Lo aveva visto più volte leggere un foglio ma niente di più, per il resto era un manichino muto e impermeabile al mondo circostante.

    «Scusa?» chiese Nicolas, ancora non del tutto presente.

    Sembrava infastidito e stupito, dimentico persino di avere un fratello. 

    «Ciccio! Oggi al campo» rimarcò, scandendo le parole.

    «Ah, sì certo! Digli di sì!»

    Coach rientrò ormai rassegnato. A preoccuparlo non era l’indecifrabile apatia, ma il fatto che non si fosse confidato nemmeno con Ciccio e Paolo. E questo era strano, ognuno di loro era da sempre custode dei segreti degli altri.

    Il moto perpetuo di Nicolas riprese e con esso i folti pensieri. Sapeva a memoria il contenuto del foglio ma non riusciva a comprenderne il senso. Quando era costretto a pensare, la mano correva al collo per tormentare in un moto eterno la sua moneta bucata. Era un medaglione creato artigianalmente di nessun valore, se non fosse stato per il donatore. Ambrogio, suo nonno, glielo aveva regalato in gran segreto al sesto compleanno, dicendo con voce profonda e solenne che era una moneta portafortuna. Da allora era diventato un rituale ruotarla, tormentandola in continuazione durante le elucubrazioni mentali. Finalmente, all’ennesimo giro, accadde l’inatteso.

    «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima!»

    Con un sol balzo si alzò dalla sedia a dondolo; ora le cose iniziavano a tornare. Subito la sua piccola testa si mise in moto.

    Se Coach avesse visto la scena avrebbe come minimo chiamato un medico per un ricovero d’urgenza. 

    Corse in casa alla ricerca del fratello che, vedendo arrivare Nicolas a quella velocità, per un attimo pensò di essersi addormentato e di sognare. A fugare ogni dubbio fu la voce che risuonò più viva che mai.

    «Ascolta» disse trafelato per la corsa appena fatta «tu conosci chi fa da garzone al Vecchio?»

    «Eh?» chiese un Coach ancora più inebetito.

    «Dai, quel ragazzo che viene a scuola con te! Come si chiama… Simone?»

    «Chi, il Simone di via Taurini?»

    «Sì! Quello che lavora come garzone… devi mettermi in contatto con lui, ho bisogno di parlargli!»

    «Okay, non ho il suo numero, ma so che finisce la consegna col Vecchio verso mezzogiorno, lo lascia sempre per ultimo… per paura! Non lo ammetterebbe mai, ma credimi; così può andarsene a casa a mangiare dimenticando la tensione!»

    «Bene, grazie! Io devo uscire, di’ a mamma che torno per pranzo.»

    Detto questo, Nicolas schizzò fuori di casa a bordo della sua bicicletta… era quasi ora e lui doveva fare in fretta. Raggiunse in un attimo il punto che si era prefissato e aspettò con ansia, ancora tutto accaldato. Se i suoi calcoli erano giusti, Simone non avrebbe tardato. Si appostò dove il garzone avrebbe dovuto girare per andare verso la casa del Vecchio. Trascorsero diversi minuti e la paura di aver perso l’occasione iniziò a farsi prepotente. Doveva assolutamente parlare con Simone e voleva farlo oggi stesso, non avrebbe aspettato oltre. 

    «Eccolo!» L’esclamazione uscì inaspettata, cavalcando l’eccitazione.

    Stava arrivando una Vespa con la marmitta bucata e un vistoso portapacchi: doveva essere lui! L’aveva già scorto altre volte durante le consegne. Si erano sempre salutati ma non erano di certo in confidenza. Sapeva che era andato a raccontare in giro tutte le più strampalate storie sul Vecchio, soprattutto allo scopo di farsi bello davanti agli occhi di numerose ragazze.

    «Ehi, Simone!» gridò sbracciandosi.

    Il ragazzo in un primo momento sembrò non farci caso, poi rallentò per accostare la Vespa. 

    «Ciao! Ascolta, sono Nicolas, il fratello di Co…»

    «Lo so chi sei. Hai bisogno di qualcosa?»

    «Oh sì, ho bisogno del più grande esperto del Vecchio!» disse per lusingarlo.

    «Aspettami qui, vado a fare la consegna e poi torno.»

    Girò la Vespa e sparì all’interno della strada secondaria. 

    Non ci mise molto.

    «Bene, vuoi che ti racconti una delle mille storie che ho vissuto?»

    «Non proprio…» disse, rendendosi conto della delusione che si dipinse nello sguardo di Simone. «Tu sei mai stato all’interno della casa?» 

    «Ma tu sei pazzo?!» esclamò trafelato, quasi ingoiando la cicca che stava masticando. «Non voglio finire in pasto alla sua bestiaccia!»

    «Quindi non hai mai visto cosa contiene l’abitazione…» disse alquanto deluso.

    «Senti, sono entrato una sola volta, sino alla soglia… la porta era aperta e lui non rispondeva al campanello. E mi è bastato per capire che lì dentro accadono cose abbastanza strane!» pronunciò le ultime parole come il narratore di un film horror.

    «Dimmi…» chiese eccitato «hai visto un orologio?»

    «Scusa? Io ti dico che mi sono spinto nella tana del Vecchio e tu mi chiedi di un…»

    «Sì, sì, ho capito! Ascoltami bene, è molto importante. C’era un orologio? Ti prego…»

    Simone si zittì e iniziò a mettere a fuoco i ricordi di quella che lui definiva la più grande paura della sua vita!

    «Ora che ci penso dall’ingresso non si poteva vedere il salotto, ma feci un balzo allo scoccare del mezzogiorno… a battere l’ora sembrava una grossa pendola!»

    «Grazie, grazie mille!» Detto questo, eccitato, inforcò i pedali per tornare verso casa.

    Simone lo afferrò per un braccio.

    «Adesso tocca a me fare domande! Come mai tutto questo interesse per il Vecchio?»

    «Oh, nulla di che…» mentì spudoratamente. «L’altro giorno Ciccio ha tirato una pallonata spaccandogli una finestra e qualcos’altro… io pensavo che si potesse trattare appunto di una pendola, visto il baccano che ha fatto! Tutto qui, curiosità e… una piccola scommessa» strizzò l’occhio per rafforzare la bugia.

    Simone non sembrò convinto, anche se non fece altro che salutare, estorcendogli la promessa di essere aggiornato su nuove storie del Vecchio. Non voleva perdere l’esclusiva! 

    Ora Nicolas aveva colto un dettaglio importante, rimaneva solo da pensare alla mossa successiva. Al momento non ne aveva fatto parola con nessuno. Non sapeva se coinvolgere gli altri, aveva paura di trascinarli in qualche pazzia.

    La partita a pallone era nella fase cruciale; Nicolas e Ciccio avevano ottenuto un rigore per la troppa irruenza di Coach. Paolo si era piazzato con strafottenza tra i due zaini che facevano da pali.

    «Ce la fai a prendere la porta? Vuoi che l’allarghi di due passi?»

    Tutti sapevano delle potenzialità di Ciccio, e tra queste non figurava la precisione. Aveva il tiro più potente, ma la maggior parte delle volte dove finiva la palla era decisione più del destino che della bravura!

    Nicolas, conscio della situazione, si avvicinò alle spalle del suo compagno.

    «Ehi Ciccio, non ti preoccupare. Chiudi gli occhi, corpo in avanti e calcia una bomba!»

    Una pacca sulla spalla suggellò la rinnovata intesa.

    Ciccio annuì, alzò la testa guardando il fratello in modo malevolo, indietreggiò e calciò. Il tiro fu potente e letale, il sorriso sparì dalla faccia di Paolo, gli improperi si alzarono da Coach, mentre Nicolas si complimentava con l’amico.

    «Tre a due! Cosa c’è, adesso non parli più?»

    La partita era al termine e nessuno voleva perdere. La paura dei giorni scorsi era scemata e la decisione di non cambiare campo da gioco fu naturale. 

    «Ehi! Guardate chi sta uscendo!» urlò Paolo.

    Subito tutti gli occhi puntarono nella direzione indicata e videro il Vecchio. Sembrava non volesse dare nell’occhio, era visibilmente a disagio, pochissime volte si era visto uscire e mai nessuno aveva avuto il coraggio di seguirlo. Coperto da un largo mantello con tanto di cappuccio, nonostante il caldo, rappresentava il più sinistro figuro mai visto.

    Subito i ragazzi si nascosero per paura che si presentasse al campo da gioco, ma la figura prese la strada principale, diretta chissà dove.

    «Sentite, forse è meglio che andiamo a casa» propose Nicolas «non vorrei avere altri incontri ravvicinati!»

    «Sì, dai, ci vediamo domani» aggiunse Ciccio.

    Si scambiarono i saluti e si separarono. A Nicolas non parve vero, forse si era appena presentata l’occasione che stava aspettando. Arrivato a casa, salì di corsa in camera. In un attimo aveva capito cosa doveva fare. Scrisse un biglietto di spiegazioni per Coach e riprese la strada in direzione della famigerata casa. Si mosse furtivamente, affidandosi al suo istinto. Decise di lasciare la bici nel parcheggio, dove nessuno poteva vederla. Si guardò intorno con circospezione… Il cuore gli batteva forte.

    «Ora o mai più!» si disse per farsi forza. 

    Con fare indifferente raggiunse il cancello sul retro e in un attimo si ritrovò nel cortile. Sulla destra c’erano pochi gradini che conducevano all’abitazione. Salì senza perdere altro tempo. Mise mano alla maniglia e con cautela la girò; con suo grande stupore si aprì. Una voce gli diceva di andare via, un’altra sussurrava che era la cosa giusta da fare, e che ormai era stupido tornare indietro. Si ritrovò nell’anticamera, da dove poteva vedere l’ingresso principale. Deviando a sinistra raggiunse il salotto. La stanza era buia, le tende tirate, ma dopo qualche istante gli occhi si abituarono alla penombra. Da quanto poteva vedere, era una casa semplice, con un arredamento scarno. Vicino al caminetto c’era una poltrona consunta e, sparsi qua e là sui mobili, stavano oggetti bizzarri, oltre a numerose carte di barrette di cereali.

    Strano, non lo facevo così salutista il Vecchio… guarda che casino, sembra sia passato un uragano. Certo che a vivere come lui non ti devi preoccupare di rassettare la casa in attesa di ospiti. Si sentì stringere lo stomaco al pensiero di essere il primo estraneo che metteva piede in quella casa; era come provare le stesse sensazioni del primo uomo sbarcato sulla luna.

    «Eccola!» esclamò non riuscendo a trattenere l’eccitazione. Le sue supposizioni allora erano esatte. 

    Certo, aveva avuto un primo riscontro grazie a Simone, ma ora poteva toccare con mano gli sforzi di mille pensieri.

    L’oggetto della sua ricerca stava lì davanti a lui, ritta come un soldato e bella come una fanciulla. Era una pendola magnifica, poco più alta di Nicolas, sembrava in legno. Recava delle decorazioni mirabili, che si andavano a intrecciare per poi ricadere lungo i fianchi. Gli intrecci sembravano richiamare forme sinuose di splendidi animali, alcuni bordati da linee dorate. Se tutto questo appagava la vista e il cuore, era nulla in confronto al quadrante, che splendeva di luce propria. Era come guardare il fondo di un limpido lago. Sembrava etereo e in continuo movimento, luccicava come acque baciate dalla luna. Le lancette erano quattro, a forma di foglia, di due colori e poste in diversi punti del quadrante. Nicolas rimase a contemplare quell’opera meravigliosa a bocca aperta.

    Improvvisamente si ricordò però dove si trovava e un fremito di paura gli scese lungo la schiena. Iniziò ad analizzare la pendola. Se non aveva intuito male, lì c’era la soluzione che andava cercando da quando aveva incontrato il Vecchio.

    Fanghiglia veritas

    Ciccio e Paolo arrivarono di corsa, avevano il fiato corto e stavano fissando un pallido Coach. Fu quest’ultimo, ancora in uno stato di trance, a interrompere il silenzio.

    «Leggete qua!» porse un foglio stropicciato e scritto di fretta.

    Ciccio lo prese riconoscendo la calligrafia di Nicolas. Capì immediatamente lo sgomento di Coach. Lo cercò con lo sguardo nella speranza di leggervi un sorriso, sintomo di uno scherzo, ma quello che vide fu solo uno sconforto che non lasciava dubbi.

    «Dai qua!» disse Paolo, ancora all’oscuro di tutto. 

    Lo lesse ad alta voce: «Lo so che sembra una pazzia, ma devo tornare dal Vecchio. Ciao! Nicolas». 

    «Ma è impazzito! Dopo tutto quello che è successo, lui cosa fa? Torna in pasto al Vecchio!»

    «Ehi! Nicolas non è un pazzo, se è tornato là sarà sicuramente per una buona ragione!» sbottò Ciccio.

    «Certo, ma quale?» chiese Coach, più spazientito che mai.

    Il silenzio calò; in apparenza non c’era nulla che giustificasse il folle gesto! Una cosa era certa, li aveva tagliati fuori, sicuramente per proteggerli.

    Probabile, quindi, che si trovasse in una situazione pericolosa.

    «Dobbiamo andare anche noi!» disse Ciccio.

    «Scusa? Andare dove?» chiese Paolo.

    «Dobbiamo andare dal Vecchio e togliere Nicolas da questo casino!»

    Il silenzio si fece ancora più pesante. Si guardarono e la decisione fu chiara per tutti: inforcarono le biciclette e partirono. 

    Coach era frastornato; non aveva mai sentito così l’assenza di Nicolas. Era preoccupato che potesse succedergli qualcosa. Dopo aver discusso la strategia lungo la strada, decisero di affrontare direttamente il Vecchio risolvendo definitivamente la situazione. Nessuno li avrebbe fermati, nemmeno la bestia. C’era in gioco la vita di Nicolas!

    Giunti nel parcheggio trovarono la sua bicicletta. Doveva per forza essere all’interno della casa. Da fuori tutto sembrava calmo e non si intravedeva alcuna presenza. Entrarono dal retro per il grande cancello, che si aprì con un forte cigolio, avvisando così l’intero circondario dell’effrazione. Tuttavia nessuno fece caso ai tre. Erano determinati come non mai, Coach apriva la strada senza alcun timore. 

    Insensibili a tanta determinazione, i ricordi della precedente visita si fecero prepotenti. Non potendo arginarli, lo sguardo corse d’istinto al luogo dove il Vecchio li aveva sorpresi. Nulla. Tutto era tranquillo. Si guardarono e proseguirono silenziosi lungo le scale, fermandosi titubanti davanti alla porta che li avrebbe portati all’interno della casa. 

    «Forza, ormai ci siamo!» disse risoluto Coach.

    Senza aspettare, ruotò la maniglia ed entrò. La porta non era chiusa a chiave e all’interno non vi era alcun rumore; la casa era deserta.

    L’odore di chiuso li accolse togliendo loro il coraggio di proferir parola.

    Avanzarono cauti, sempre tenendosi in gruppo, fino al piccolo e ombroso salotto. Sparse qua e là si potevano trovare numerose carte di barrette di cereali e ogni tipo di oggetto, la maggior parte sconosciuti agli occhi dei tre. Una vecchia coperta d’incerta fattura color blu, un martello riccamente decorato, libri di ogni genere e grandezza, compresi molti in-folio, apparecchi di metallo in grado di rilevare chissà quale dato e molto ancora… 

    Sulla tavola giacevano gli avanzi di quello che doveva essere stato il pranzo del Vecchio, unica normalità in tutto quel non senso. 

    «Nicolas… ehi Nicolas!» sussurrarono timorosi. 

    Se era nelle vicinanze, li avrebbe sentiti.

    Nulla! Il silenzio li avvolgeva, soffocando flebili speranze. L’odore di muffa, la poca luce e la coscienza di dove si trovavano rendevano difficile il semplice respirare. Era come essere a scuola temendo la chiamata per l’interrogazione. 

    In preda a mille pensieri, esplorarono la stanza senza trovare alcun indizio. Niente lasciava presumere che Nicolas fosse stato lì, se non la bicicletta nel parcheggio. La debole luce rischiarava la stanza, mostrandone il contenuto bizzarro… nulla era come avrebbe dovuto essere!

    «È strano… Da quando abbiamo varcato la porta, è come se fossimo entrati in una realtà parallela» constatò Ciccio.

    «A quanto pare è ciò che è successo al vostro amico» irruppe una voce roca.

    Era apparso sulla porta facendoli sussultare. Anche se piccolo di stazza, con la sua voce cavernosa riusciva a infondere panico… soprattutto se coglieva alla sprovvista. 

    Paolo e Coach si raggomitolarono vicino a Ciccio. Il destino li voleva di nuovo a confrontarsi con quell’inquietante personaggio.

    Con un sol gesto si tolse il mantello, rivelando appariscenti macchie di sudore e semplici vestiti. Era più basso di Ciccio, eppure visto così da vicino non era una compagnia raccomandabile.

    «Lei non osi… e adesso ci dica dove…» farfugliò un agitato Coach. 

    «Non temete, non voglio farvi del male…» aggiunse subito, vedendo quel tremolante trio di cuccioli d’uomo «e posso dirvi dove si trova il vostro amichetto. Ma vi avviso, è una storia lunga, per cui consiglio di sederci.»

    Con un gesto della mano offrì delle sedie ingombre. I tre si guardarono dubbiosi, non sapevano se fidarsi, ma, d’altronde, non avevano altra possibilità. Stranamente la voce del Vecchio, per quanto roca potesse essere, risuonava senza alcuna ombra di minaccia. 

    Se voleva farci del male, l’avrebbe già fatto, meditò Ciccio, pur non essendone affatto sicuro. 

    Fece per occupare il posto sulla poltrona ma un urlo lo paralizzò.

    «Non osare! Ho coltivato per troppo tempo quella poltrona! Ha un valore inestimabile!»

    I tre guardarono la poltrona consunta, la fodera macchiata e strappata in almeno due punti… doveva essere pazzo!

    Ciccio, rassegnato, prese una sedia posta sotto il tavolo e, liberatala dai libri impolverati, si sedette. Gli altri, titubanti, si affrettarono a imitarlo, tenendosi ben lontani dalla poltrona.

    Sedutosi e accesa una puzzolente pipa, il Vecchio aspirò profondamente guardando oltre. I ragazzi, dal canto loro, aspettavano ansiosi la prossima mossa. Non smettevano di scrutarlo al pari di una bestia esotica allo zoo.

    «Io so dove si trova il vostro amico… Immagino siate qui per lui» disse lapidario.

    «Certo che siamo qui per lui!» sbottò Coach. 

    Era furibondo, quella calma apparente lo mandava in bestia; Nicolas era scomparso e loro erano beatamente seduti a guardare il Vecchio che si fumava la sua pipa! 

    «Calmati Coach! Ora ci spiegherà ogni cosa…» La frase pronunciata da Ciccio risuonò come una velata minaccia. 

    Il Vecchio sembrò divertito dal coraggio di quei cuccioli. Forse sarebbero stati proprio loro a risolvere ogni cosa.

    «Certo!» disse sorridente. «Vi ho detto che è una storia lunga, quindi partiamo con ordine; per prima cosa vi dirò, dove si trova ehm… Nicola?» 

    «NICOLAS!» urlarono all’unisono i tre.

    L’attenzione dei ragazzi era massima, sembrava respirassero in simultanea. Il Vecchio si sentiva come un illusionista che aveva catturato l’interesse del suo pubblico. Riprese a parlare: «Nicolas si trova nell’Erm, il mondo ghermito, taciuto, canuto, illimitato, illegale, clandestino e persino paziente! Nel mondo dove occhio umano guarda senza vedere, una terra da dove i suoi abitanti alcune volte tentano di sconfinare, giungendo sin qui! Immagino che non mi crediate, giusto?».

    «Anche prima, quando stavamo venendo qua, abbiamo visto Cappuccetto Rosso col cestino. Secondo me andava dalla nonna, giusto?» chiese Paolo, strizzando l’occhio a Ciccio e Coach.

    «Bene, allora vedrete!» fu la secca frase che vomitò. 

    Non si aspettava certo che gli avrebbero creduto fin dall’inizio, ma neanche aveva pensato di essere preso in giro. Si alzò dalla poltrona e iniziò a frugare indispettito.

    «Eppure doveva essere qui!»

    Riprese la ricerca, seccato di non trovare quello che voleva. Finalmente, solo dopo aver rovistato a fondo in un angolo della casa, esclamò un «trovata!» pregno di trionfo. Reggeva in mano un barattolo contenente una sostanza viscida e appiccicaticcia di colore verde. Sembrava un informe budino, una gelatina danzante dimenticata in quel sudicio angolo. Infilò due dita nel contenitore e prese a giocare con quella poltiglia, come per saggiarne la consistenza.

    «Venite con me!» disse, dirigendosi verso la tenda fatta di panno pesante, che celava la finestra rivolta verso la strada. 

    La scostò. Il vetro era davvero in uno stato pietoso e i tre immaginarono che non vedesse uno strofinaccio da molto, molto tempo. Conciato in quello stato, la tenda poteva addirittura essere inutile!

    «Da questa finestra non si vede niente, forse conviene… usare l’altra» propose un diplomatico Ciccio.

    Lo sguardo del Vecchio lo fulminò, e questo bastò per zittirlo. Era una situazione insolita, la curiosità sembrava aver occupato il posto della paura. Ora erano più che mai vicini a quell’uomo che fino a poco fa incuteva loro un grande timore. Questi, dal canto suo, sembrava troppo impegnato a fare spazio davanti alla finestra, passando ogni genere di cianfrusaglia ai tre. Quello che mani pronte non riuscivano a prendere, volava senza nessuna grazia all’altro capo della stanza. Liberato lo spazio antistante alla finestra, il Vecchio prese la gelatina e con disgusto dei tre iniziò a spalmarla per tutta la superficie del vetro.

    «Passami quella sedia» chiese senza mezzi termini a Paolo. 

    Il ragazzo non fece obiezioni e, dopo averla liberata da pesanti tomi, gliela porse.

    «Ora sali e finisci il lavoro. Fai attenzione a stenderla bene.»

    Stava per ribattere, quando ricevette uno spintone da Ciccio che lo invitava ad assecondare la richiesta. Schifato, inserì due dita in quella puzzolente fanghiglia e iniziò a spalmarla col naso arricciato.

    «Meglio! Stendila meglio! Guarda lì!» Il Vecchio, concentrato nel lavoro, comandava senza ritegno, indicandogli i punti ancora nudi e mimando al contempo i gesti per una migliore spalmatura.

    Paolo dopo dieci minuti aveva quasi terminato il lavoro, essendo il più alto dei tre aveva fatto in un attimo; ora il vetro appariva coperto di una pellicola verde che lasciva intravedere il sudiciume presente. Macchie e cadaveri d’insetti volanti risaltavano come grottesche ombre in quella palude verticale.

    «Bel lavoro! Adesso bisogna aspettare che attecchisca. Qualche minuto e sarà pronta!» disse allegramente il Vecchio.

    I tre si guardarono perplessi, la curiosità era tanta, anche se non capivano come quell’impasto verdognolo li avrebbe aiutati nel ritrovare Nicolas.

    «Ecco, è pronta!»

    La pellicola aveva cambiato colore, sbiancando sino a giungere alla perfetta trasparenza! Ora si poteva vedere tutto chiaramente.

    «Non temete, qualunque essere che si trovi oltre la finestra non può vederci. Guardate!»

    Qualcosa dall’altra parte sfrecciò a mezz’aria, uscì dalla visuale per poi scomparire.

    «Tutto questo per vedere una rondine?» sbottò Paolo, con le dita ancora impiastrate.

    «Se questa ti sembra una rondine…» rispose senza troppa polemica il Vecchio. 

    Uno strano essere, ignaro dei quattro, volteggiava a mezz’aria rivolgendo lo sguardo qua e là. Era alto qualcosa più di una spanna, con occhi grandi, arti sottili, ali da pipistrello e tutto lucente di un verde vermiglio, spruzzato a macchie; non sembrava per niente una rondine!

    «Cos’è quel pipistrello?» chiese Coach. 

    Lui di animali se ne intendeva, ne era appassionato fin da piccolo, ma non aveva mai visto un essere del genere. Non poteva rientrare in nessuna categoria, era uno scherzo di pessimo gusto della natura!

    «Uh… è solo un folletto del pensiero, sono innocui ma alquanto fastidiosi! Guardate ora, questo sì che è un colpo di fortuna. Un licantropo, detto anche uomo lupo!»

    I tre erano pietrificati; dall’altra parte della strada c’era un essere terrificante col muso a forma canina, che stava annusando un sacco dei rifiuti in cerca di qualcosa. Si muoveva sia a quattro zampe che in posizione eretta. La pelliccia era malconcia, ma le zanne e gli artigli giallognoli davano comunque l’idea del pericolo. Nessuno avrebbe voluto trovarsi di fronte a una bestiaccia del genere.

    «Attenta! Attenta! Ehi!!!» 

    A urlare e a picchiare pugni sul vetro era Paolo, che aveva visto una bambina in bicicletta pedalare in tutta tranquillità vicino al licantropo senza che questi si degnasse di guardarla.

    «Non ti preoccupare, non le farà del male, come d’altronde non ne ha mai fatto neanche a voi! È troppo vecchio per fare certe cose, ed è venuto a trascorrere gli ultimi anni rimasti nel vostro mondo.»

    «Ma se è la prima volta che lo vediamo!» replicò il ragazzo.

    «Questo lo credi tu. Non ti sei mai imbattuto in quel vecchio cane spinone con una macchia bianca sul muso?»

    «Be’… sì certo, ma cosa c’entra con quel vecchio cane… voglio dire… con il lupo mannaro?»

    «Non l’avete ancora capito? Questa fanghiglia permette di rivelare gli abitanti dell’Erm. Quel cane non è altro che questo lupo mannaro!» disse a rallentatore, per fugare ogni dubbio di comprensione.

    In effetti anche sul capo della bestia campeggiava una grande macchia bianca. Folletti del pensiero, lupi mannari, Nicolas in un altro mondo… questo era troppo per ogni umana comprensione!

    Il Vecchio si risedette e attese che i tre staccassero gli occhi dal vetro. Doveva essere strano vedere stravolta la realtà di tutti i giorni con un semplice sguardo. Lui ne sapeva qualcosa, ma questa era un’altra storia. Ciccio si allontanò dalla finestra con occhi pieni di domande. Si sedette e aspettò che gli altri seguissero l’esempio. Paolo e Coach non tardarono a prendere posto. 

    «Bene, ora… dove hai visto passare quel Cappuccetto Rosso?» chiese divertito. 

    «È un trucco… dannatamente realistico, lo ammetto… ma lei bara» tentò di argomentare Coach.

    «È tutto vero» rispose il Vecchio, con una calma che iniziò a demolire le certezze dei ragazzi.

    Ciccio cercò di allontanare quei dubbi dal suo cuore, e fece parlare il suo naturale spirito di protezione: «La questione rimane. Noi vogliamo indietro Nicolas!».

    «Certo… e solo lei può aiutarci! Come avrebbe fatto Nicolas a passare in questo benedetto Erz?» intervenne un ironico Coach.

    «Vorrai dire nell’Erm!»

    «Certo, nell’Erm… come facciamo a riavere indietro Nicolas?»

    «L’unico modo è raggiungerlo e riportarlo a casa! Per farlo dovete seguire la via percorsa dal vostro amico. Andiamo, è ora di prepararci!»

    Senza aspettare la risposta dei ragazzi, si alzò e iniziò a frugare. La profezia, in fondo, stava seguendo il suo corso. 

    Paolo, Coach e Ciccio si scambiarono uno sguardo preoccupato ma eloquente. Negli occhi di ognuno, al di là delle supposizioni sulla follia del Vecchio, c’era un imperativo chiaro: aiutare Nicolas. A Paolo bastò un cenno con la testa, e gli altri capirono il messaggio: «Assecondiamolo».

    «Via le magliette, sono troppo colorate, userete queste casacche!»

    Quella voce rauca li riportò alla realtà.

    «Tu sei pazzo, la mia maglia dell’Inter non si tocca!» sbottò Coach. 

    «Bene, allora dite addio a Nicolas.»

    Nel giro di poco i tre si ritrovarono agghindati con casacche, strani mantelli con ampio cappuccio e le orecchie frastornate da strampalate raccomandazioni. Era bizzarro calzare quei pesanti mantelli, inoltre i cappucci limitavano la visuale. 

    Non sapevano quale sarebbe stata la strada che avrebbero percorso per raggiungere Nicolas, ma poco importava, ormai erano pronti a tutto. 

    Sin da quando Ciccio aveva stretto amicizia con Nicolas, si era creato un legame indissolubile, che li avrebbe portati a fare follie pur di essere d’aiuto l’un l’altro. Bene… forse il momento per saggiare quel patto segreto era arrivato.

    Il Vecchio si sedette, prese un pezzo di carta e, estratti da un cassetto calamaio e un

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1