Arco onirico
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Anteprima del libro
Arco onirico - Giulia Griseri
Nel riverbero del vuoto
Pareti ambigue
marcano nostalgiche carenze
che appannano il nudo scenario
che si distende taciturno
nell’amaro riverbero del vuoto.
Mi perdo nel mio eremo
fulgido come una stella che acceca
e mi oriento nei colori delle tele imbrogliate
nello sbuffo che profuma di malaleuca o lavanda
nei petali screziati di phalenopsis
che si dischiudono in soavi fioriture
nelle foglie che dondolano sospese nella stanza
nel rigoglioso giardino che ossigena il mio respiro,
mi addomestica nel sonno e mi incanta nella veglia.
Nella solitudine sento ancora il tuo odore
le tue mani che infondono calore
e la tua voce che mi rende quieta e docile.
Mentre tu non sei con me.
Un lungo miraggio d’estate
Abbiamo disposto i nostri semi
nel tempo sbagliato,
tramutando il concime in veleno,
ma la natura non arresta il suo rinnovarsi.
La fertile terra che accolse in sé
i granelli piccini scivolati tra le nostre dita
produrrà frutti che saranno
il bene di un nuovo amore.
Tra noi solo silenzio.
Il pavimento diffonde
il profumo del caffè versato
tra i cocci dell’età tonda che mai più tornerà.
I resti di ceramica dove appoggiasti le tue labbra
respirando il vapore di amara dolcezza
non hanno midollo, ormai.
Il vaso è rotto
come ossa che scricchiolano
nell’ultima corsa che precede l’addio.
Il profumo di lavanda ha perso sapore,
le pareti sono spoglie.
Manca l’odore di pittura ormai lontano.
Mancano le piante rigogliose
che ondeggiavano tra i nostri respiri.
Manca il rumore della tastiera che riempiva lo schermo
con i nostri versi intrecciati.
Manca la nuda bellezza che ci osservava in silenzio
attraverso tele d’artista.
Manchi tu
e mai più ti rivedrò, mia dolce illusione.
Le dee non poseranno più i loro sguardi sul mio corpo
e io tremerò negli inverni, i miei piedi saranno freddi.
Ad ogni crepuscolo le ombre mi porteranno il tuo sorriso
il vento trasporterà la tua voce
che ancora mi cullerà in un lungo miraggio d’estate
e ingannerà i miei sensi
come tu ingannasti me
lacerando quel che resta della mia anima.
Arco Onirico
Il verde che ti adorna
ondeggia mosso dal vento.
In te il respiro dell’onda,
il fresco della nobile ombra
che ti sovrasta nelle ore tarde,
l’oro purpureo
della soffusa rifulgenza
che precede il bacio solenne.
La tua grazia muta
nella forza della risacca
che scolpì la roccia scura,
delineando i tuoi tratti fiabeschi e soavi.
Il mio sguardo ammaliato
percorre i tuoi contorni
e tra le mie mani scivolano
granelli di sabbia
che riflette l’argento
della dolce sorgente
nascosta tra i tuoi anfratti,
dove posso dissetarmi.
Mi immergo nelle sfumature
di liquida salsedine,
tra il verde e il blu,
e le dolci onde del mare
mi conducono a te,
arco onirico,
che mi accogli sulla tua piccola spiaggia
a contemplare nell’estasi la fine del giorno.
Il rosso che nasconde
Mi abbaglia lo stridore del rosso
che nasconde deboli orme di infiniti passaggi
e mi torna in mente
il porpora delle ginocchia sbucciate,
le fanciulle devote in penitenza
che offrono sangue e lunghezze di morbide chiome
alla silenziosa signora
delle imbarcazioni protette dai naufragi.
Il vento che si insinua nei vicoli poco illuminati
che rinfresca le estati torride
e diventa a volte ristoro,
altre volte fastidioso frastuono
che cela il dolce rumore della tempesta.
Le effusioni delle coppie appartate
interrotte dagli schiamazzi di finti esploratori
alla conquista dell’antica prigione corrosa dal tempo.
Le macerie che si innalzano
sugli ultimi resti della fortezza
con lo sguardo fisso sulle onde in movimento,
che svelano nella spuma l’insidiosa secca.
E verso nord, i due archi di sogno
tesi verso il sole che cala
in un tramonto maestoso.
Dormite, piccole rondini
Dormite, piccole rondini,
accucciate in nidi protetti,
al riparo dall’ombra malinconica
del fosco congedo.
Siete tornate
e come sempre tornerete
a dipingere le nuvole
intonando garbati garriti.
Nel silenzio della notte mi accosterò alle vostre ali
e come in un crepuscolo senza fine danzeremo insieme
percorrendo i contorni sfavillanti
di una bianca luna che lievita nell’azzurro d’aprile
mosso dal maestoso volo
di un gabbiano che cerca onde lontane.
Il gelo dell’inverno si è dissolto in un sorriso di sole,
le cascate di glicine odoroso adornano ogni percorso,
sento il sapore di resina tra le mie labbra,
i deliziosi fiori che nutrirono i nostri abbracci
sono sbocciati
e percepisco il calore delle tue mani che mi scoprono,
o mi proteggono.
Ascolterò il canto delle rane e dei grilli d’estate,
sentirò un dolce fruscio di passi tra l’erba,
nel sogno dondolerò sull’altalena,
tra verdi colline dai tratti fiabeschi,
morbide come la tua pelle.
E le lacrime solcheranno il mio viso
mentre ascolterò l’avanzare di note
che confondono il reale.
La danza delle farfalle
Mi sono fatto scrigno impenetrabile,
sigillo d’oltretomba,
inaccessibile e segreto.
Custodirò in silenzio le sillabe di sogno
che un tempo fluirono dalla tua delicata mano.
I tuoi versi urleranno nelle tenebre,
protetti dalla scatola che è simbolo delle nostre visioni,
e mai le mie labbra si dischiuderanno per pronunciarli.
Resteranno serrate in un falso oblio
che cela la presenza ancora viva che pulsa,
nella speranza di una nuova luce
e nell’attesa di ammirare ancora una volta
la maestosa danza delle farfalle in volo,
quelle farfalle che entrarono in noi
attraverso una finestra sbattuta dall’ululare del vento.
Le tue mani tremanti
L’ardore di un tempo tramutato in una vuota assenza.
Il tuo sguardo annebbiato dalla pesante risonanza
delle troppe lacrime che inondarono
i tuoi occhi di bambino abbandonato al terrore.
La tua voglia di urlare che non trova il ristoro
del violento sfogo.
Vorrei liberarti dagli orrori che ti affliggono,
vorrei essere il sussurro
che accarezza le tue mani tremanti
per renderle di nuovo forti.
Vorrei restituirti il sorriso e la luce che un tempo
illuminava il tuo sguardo.
Una sensazione di assoluta impotenza
divora le mie viscere
e mi annega in singhiozzi tristi e inconsolabili,
mentre tu allarghi le braccia e mi implori di salvarti.
Tra Urano e Gea
T’amo tra Urano e Gea,
antenati della stirpe capricciosa,
t’amo mentre straripando inibisci la mia corsa
e m’inverti con le tue acque,
per navigare nel tempo e tornare al primo stupore.
T’amo sul colle profanato
da sordide braccia ingorde d’autorità,
dove una strega gentile
sforna cornetti caldi per nutrire l’alba.
T’amo dove il marmo scintilla nella nebbia
che separa le sue particelle
nei colori dell’arcobaleno.
T’amo mentre ci insudiciamo
danzando nel fango sulla sponda del lago
nascosto in un cinema
che profuma di torta al cioccolato.
T’amo dove i gatti diventano zebre
che mi addormentano su una panca di legno.
T’amo di fronte al portone
che evoca antiche battaglie,
t’amo dove i binari si fermano
e si affacciano su un piccolo altare
consacrato dal nostro bacio
amabilmente osceno.
T’amo oltre il tempo,
oltre la vita, oltre la notte.
E ti attendo nella necropoli
del tuo maniero,
ai piedi della cattedrale
oltraggiata dalle mani
di folle furenti e da noi,
per rinascere nei tuoi versi.
Amigdale sensibili
Mi sono persa
in una palude di simboli,
radici assopite
mi indicano il percorso,
mentre eiaculo brandelli di te
e ti ritrovo in un flusso impetuoso.
Deiezioni di un ciclo vacuo,
interrotto dal ronzio
di una piccola ape
ebbra di lunghi baci
che muta la mia rotta.
Amigdale sensibili
galleggiano nel molle grigio,
ti sento e ti sfioro,
le tue unghie smaltate
graffiano il cielo,
in un vuoto effimero
che attende la resa allo zero assoluto.
Vorrei essere insetto,
per risalire la corrente
delle tue vene
e posare la mia saliva
sul tuo corpo,
per rinascere in te,
in un unico sguardo,
sensibile come una luna profonda
illuminata a teatro,
come una maschera
dietro la quale nascondermi, per svelarmi.
Linea di confine
Attraversammo insieme il deserto delle nostre menti
che si ristorarono in oasi rigogliose
colme d’acqua pura e ondeggiante
che rifletteva la sabbia