Ho sete di cuore
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Info su questo ebook
Abbiamo sete di cuore: la poesia svela delicatamente come siamo fatti per amare e per essere amati. La poesia mette a nudo l’anima, la quale si presenta con la propria esposizione di sentimenti e di vivide emozioni ed è messa in mostra come tra le sale di un museo.
Particolare è la sezione “L’ultimo gesto”, interamente dedicata agli allievi del poeta-professore.
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Anteprima del libro
Ho sete di cuore - Claudio Negrato
Euridice
Non più parole questa sera.
Il sole è ancora alto
e tu conosci il sentiero
per condurmi fuori dall’inferno.
La metropolitana frigge le rotaie
quando raggiunge le affollate
stazioni, con le anime distratte
e spoglie di passioni, che arrivano
e che vanno per la gola della terra.
La conosci tu veramente
la selva? La conosci
la belva che schianta
il costato? Beato te,
che vieni qua, sfrontato,
a strapparmi dal male, tu
che hai una vita, per amore,
dici, o per senso di colpa, penso,
io, Euridice.
Vai, lasciami sola,
so che mi hai già perduto,
hai già abbandonato il mio ricordo.
So a che pensi mentre procedi
verso la luce; la testa pesante,
una sigaretta nervosa
tra indice e medio,
vulcano di pensieri e pentimenti.
So che tu sai che non brami
io ritorni lassù.
Vai, lasciami sola
nel mare di buio, nel tuo oblio di carne.
Voltati una volta sola.
L’altare del bello
E dunque l’aria
fulgente
inchioda l’altare del bello
racchiuso in una cripta spontanea
che sbuca, in un ignoto
silenzio, dall’asfalto della via.
E quando cala il freddo,
si sperperano le paure,
s’imbrattano i muri intonsi
di scritture di pietra.
Perché se manchi tu,
tu con la tua costellazione
di baci, mi accorgo
della confusione dentro
che piano piano sale,
cresce, increspa il lume
che s’affoga e tace.
S’annotta senza lasciare
tracce, neppure tra le righe,
del mio essermi piegato su di te.
E ogni mattina me ne vado,
vado via da te, lontano,
avvolto nel tocco dell’aurora
nuova, della luce che s’appiccica
esplosiva. E mi strappo pezzi di me,
per segnare il ritorno, forse
un giorno. Lascio appese parole,
sperando si disperdano
tra le case di segreti poeti.
Tu sei dolore e mare
pieno, incarnazione
misteriosa da cui poter
estrarre me stesso,
tra orme restie su sabbia
vana, riempite dalla tua voce
fugace, notte dopo notte,
e che giungono alle tue,
nel luogo dove ci scambiammo
le nostre due anime.
La mia parola scritta mi distrugge,
brucia percossa nel cuore diverso,
sprigionata da un fuoco
duro come le sue ossa,
ed è muta all’orecchio spento
immerso nelle correnti del sonno.
Scompare a fine verso, non resta
per scardinare la porta blindata
che cela il gusto della sera:
così, la parola rima abbandona
il campo di battaglia, lasciandomi,
tradito, tra la cenere
degli altri vocaboli inutili.
Sospiro e apro poi
le braccia, spalanco l’ampiezza
del torace per raccogliere
tutta la luce
che ti sei lasciata alle spalle.
Mi ha penetrato,
nuovamente, la voce:
l’ho rivista, piegato io
dal basso, trafitto
dal suo sguardo sospirato,
avvolto dalla dialettica
dei silenzi, travolto
dall’impeto disarmante
della luce che talvolta
si fa fuoco tra le parole.
Mangio la schiuma
delle sue dense sillabe,
stendendo la mia fronte
sulla riva nobile delle ginocchia,
e una mano