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Il ragazzo che nacque due volte: una storia vera
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Il ragazzo che nacque due volte: una storia vera
E-book403 pagine5 ore

Il ragazzo che nacque due volte: una storia vera

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Info su questo ebook

La vita è così luminosa e generosa che spesso offre una seconda possibilità dopo una caduta, un fallimento, uno sbaglio. Molte volte questa chance ci viene offerta attraverso una vera occasione da prendere al volo, come un treno che passa solo una volta e che rappresenta l’opportunità di poter cambiare direzione, di risorgere dai propri errori, di lasciarsi alle spalle una vita per iniziarne un’altra, nuova!
“Il ragazzo che nacque due volte” parla proprio di questa esperienza da seconda opportunità, quella di Alessio Tavecchio. Proprio nel momento in cui sembrava volesse mettere fine ad un modo di vivere caotico, pieno di insuccessi e perennemente alla ricerca di emozioni e divertimenti che mai risultavano essere veramente appaganti, ecco l’incidente motociclistico che lo ha costretto su una sedia a rotelle all’età di 23 anni.
All’apparenza una tragedia, nella realtà invece l’occasione più straordinaria che gli potesse capitare per ritrovare veramente se stesso.
Certo, un’esperienza drammatica dal punto di vista umano, ma durante quei giorni di coma tra la vita e la morte Alessio ha scoperto l’esistenza di una nuova dimensione spingendosi, suo malgrado, a varcare quella soglia che chiamiamo morte e che invece si è rivelata essere un passaggio della coscienza a un livello diverso da quello umanamente conosciuto.
Non è tanto ciò che ha sperimentato oltre quella soglia che risulta straordinario, ma piuttosto la nuova consapevolezza di vita che è derivata da quell’evento illuminante. Tutto questo gli ha permesso di trasformare un giovane alla confusa ricerca di se stesso, in un uomo nuovo e con un chiaro obbiettivo davanti a sé: guarire!
Seguire il percorso di crescita di Alessio verso una sempre più profonda presa di coscienza, permette al lettore di immedesimarsi nella storia e di vivere l’esperienza di un viaggio alla riscoperta dei veri valori della vita attraverso il suo esempio.
Un’ondata di energia e di emozioni da vivere in prima persona come se fosse il lettore a diventare il vero protagonista di questa avventura.
La guarigione non è un obiettivo, ma è la conseguenza di un modo di vivere.
www.ilragazzochenacqueduevolte.it
LinguaItaliano
Data di uscita1 ago 2019
ISBN9791220006071
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    Anteprima del libro

    Il ragazzo che nacque due volte - Alessio Tavecchio

    Indiano)

    1

    Dov’è la strada?

    Quante volte guardando il cielo cerco di prevedere i movimenti delle nuvole cariche d’acqua e in balia dei venti e delle correnti. Sto lì attento a osservare, con gli occhi all’insù, fino a scegliere un gruppo di nuvole in particolare, notando minuziosamente il loro mutare di forma in forma.

    Prima assomigliano a un cavallo poi a una montagna, poi ancora a un aereo e, infine, in un attimo, diventano un viso col naso enorme. Secondo dopo secondo si trasfigurano in forme sempre diverse o forse, ed è più probabile, vedo semplicemente quello che io voglio vedere, lasciandomi trasportare da quelle immagini e dai miei pensieri finalmente liberi di muoversi in un cielo improvvisamente cupo.

    Il temporale si avvicina sempre più velocemente nella mia direzione, come per prepararsi a rovesciare, proprio qui, il suo grande carico di pioggia.

    «Fra poco si scatenerà una bufera. Ormai è quasi sopra di me.»

    È diventato praticamente buio per la poca luce che le nuvole lasciano filtrare. Ormai non c’è più niente da fare: il nubifragio sta per scatenarsi.

    Ma ecco che, contro ogni logica, accade l’imprevedibile.

    Una specie di vortice si fa strada fra le nuvole proprio là dove il grigio è più profondo, come se forti braccia spingessero grandi mani tra le nuvole nere e dense allontanandole con forza le une dalle altre e creando nel cielo un varco di luce e di speranza.

    Sembrava uragano, sembrava tempesta, ma improvvisamente qualcosa ha scombussolato tutte le previsioni e ha modificato la situazione atmosferica facendo cambiare direzione ai venti, facendo scemare di intensità i tuoni, facendo cessare i fulmini e portando nel giro di pochi minuti un sole splendente in un cielo nuovamente azzurro, limpido e pulito.

    Non avrei scommesso nemmeno un centesimo poco prima, eppure era successo. È bastato quell’attimo, quel cambiamento, quella variazione improvvisa dettata da non so quale legge della natura e tutto il resto è stato una conseguenza, un normale ritorno al bel tempo, come se vento freddo, nuvole nere e cielo buio fossero stati un abbaglio, una visione.

    Mi volto e mi dirigo verso il centro città lasciandomi alle spalle, oltre al cielo terso, anche la sensazione, alquanto strana, di avere vissuto un fenomeno di difficile spiegazione.

    Pochi minuti dopo ritorno ad essere il solito ragazzo razionale e anche un po’ cinico che tutti conoscono e cerco di scacciare quella sensazione di disagio per non essere riuscito a capire bene quanto accaduto.

    Mi ritrovo a salutare qualche vecchio amico, a scambiare le solite battutacce sulle ragazze che passano, ad accendere la consueta sigaretta di fronte all’aperitivo che il barman mi fa trovare pronto senza che io neppure glielo ordini.

    È un semplice ritorno alla quotidianità o un’ulteriore segno che io convivo con un Alessio altro da me? Un tizio un po’ sentimentale, contemplativo e capace di insospettabili riflessioni costretto a confrontarsi con quell’altro personaggio sempre insoddisfatto, ribelle e adatto solo a frequentazioni molto terrene.

    Bastano pochi minuti della noiosa routine di tutti i giorni per farmi dimenticare quel dubbio esistenziale che però più di tanto non mi sconvolge, se è vero, come credo, che siano sufficienti poche bollicine per relegarlo in un lontano angolo della mia mente.

    Mano in tasca per trovare quel che mi serve. Qualche secondo di attesa e poi via verso un inesplorato luogo della mia fantasia.

    Ho gli occhi sbarrati, non sento più alcun rumore intorno a me e percepisco una goccia di sudore che scivola sulla tempia destra, pian piano fino a raggiungere il mento. Con un gesto della mano vorrei toglierla dalla faccia visto che quella maledetta goccia non ha la forza di staccarsi e cadere a terra da sola, ma non ci penso affatto. Non posso staccare le mani da quello che sto facendo.

    Sono determinato, concentrato, tesissimo e completamente immerso nella situazione che sto vivendo. Ho quasi paura di non farcela, di essere arrivato fin qui dopo tutto l’impegno profuso e finir male, rinunciare alla lotta e uscirne sconfitto.

    Forse ho bisogno di un aiuto, forse è arrivato il momento di giocare l’ultimo asso che mi è rimasto nella manica perché da solo mi sento piccolo piccolo in mezzo a tutti questi nemici. Ormai sento la paura avvolgermi e mi accorgo che non posso più tornare indietro.

    «Dai Alessio,» mi dico ad alta voce «giocati tutto, ormai non hai più nulla da perdere. Come va, va!»

    Saltello sulle gambe, non riesco più a star fermo, comincio a urlare e a muovermi a scatto a destra e poi a sinistra, poi in basso e poi di colpo in alto con un salto improvviso. Quel mostro maledetto deve morire, devo riuscire a ucciderlo e porre fine a questo interminabile calvario.

    Ma, in un attimo, ecco che tutto finisce. Di colpo il silenzio. Sono immobile sulle mie gambe, un po’ tremanti, ansimante e con gli occhi ancora sbarrati vedo di fronte a me uno schermo, ormai completamente scuro, con in mezzo una scritta bianca lampeggiante che dice: GAME OVER.

    Cazzo di un giochino del cavolo! C’ero quasi riuscito a superare quel livello che rappresentava un vero record, non solo per me, ma per tutto il bar. Sono morto mentre mi accingevo a sferrare l’ultimo assalto, ero vicinissimo al traguardo, ma ho perso tutto.

    Tutto per modo di dire. Sono morto ma nelle mie mani ho un’altra monetina e potrei inserirla nuovamente e riprovarci un’altra volta. Potrei riavere una nuova esistenza e riprovare a viverla nel modo che vorrei, giocare la partita perfetta e raggiungere l’obiettivo vincendo.

    Mi rendo conto però che quello che sto pensando sembra riferito più alla mia vera vita, piuttosto che a un videogioco elettronico; quella vita che ho il dovere di non sprecare e che voglio assolutamente cambiare perché così non mi piace affatto. Mi esalterebbe poterne iniziare una nuova adesso, subito, oppure poter sconvolgere completamente l’attuale.

    Immagino spesso una rinascita immediata, radicale, bella e luminosa. La sogno ogni giorno questa nuova esistenza, o meglio, questo grande cambiamento, perché la realtà che ho vissuto fino a ora la sento avvolta nelle nebbie di una enorme confusione. Mi rendo conto però di avere qualcosa di grande e importante da fare, ma non ho ancora capito cosa. Non sono per il momento in grado di scoprirlo.

    Ogni tanto riesco ad avere qualche intuizione, qualche momento in cui sento muoversi qualcosa nel mio cuore, nelle mie emozioni. Ogni tanto mi sembra di poter sfiorare la definizione di quella qualità di vita che ho sempre sognato, anche se non riesco ancora a descriverla o a inquadrarla bene; la sento come un bagliore che appare lontano nei miei pensieri ma che non riesco a raggiungere: non riesco ad appropriarmene, a farla mia.

    Allora prendo coscienza che nella maggior parte della giornata agisco per soddisfare esigenze che sono dettate dalla quotidianità e dal conformismo, esigenze che provengono da fuori, esigenze che non mi appartengono e che non sento mie.

    Mi ribolle il sangue quando vedo il mio presente e il mio futuro come un programma che nasce dalla scuola, continua con l’università, con un lavoro, per poi avere una casa, vestirsi secondo le mode, essere accettato dagli altri, essere simpatico agli altri, essere considerato dagli altri...

    Poi c’è il mistero dell’amore, il dover condividere l’esistenza con una donna e creare una famiglia. Come se tutte queste realtà fossero delle esperienze preconfezionate, da vivere come vincolanti regole da seguire, regole che imprigionano il mio senso di libertà, la mia voglia di andare oltre gli schemi e che mi impediscono di comportarmi senza continue limitazioni.

    Vorrei vivere una vita straordinaria, ma non so quale sia. Vorrei modificare il ritmo e il senso dei miei giorni ma non so ancora da dove partire e cosa cambiare. Vorrei fare esclusivamente quello che desidero ma alla fine non è neppure chiaro cosa desidero, cosa mi fa star bene, cosa mi rende felice.

    Forse vorrei semplicemente essere l’unico artefice del mio destino senza tutti quei condizionamenti che mi vengono imposti dall’esterno e che quasi mi soffocano.

    Le persone che conosco mi considerano un insoddisfatto cronico, un fortunato che ha tutto dalla vita ma che non sa apprezzare nulla. Ecco perché il bell’Alessio non sorride quasi mai.

    Per cercare di attuare questo cambiamento ce la metto tutta anche se agli occhi degli altri può sembrare vero il contrario. Normalmente adotto una tecnica ben precisa e che reputo funzionale. Cerco di fare più esperienze possibili divertendomi al massimo con il desiderio ossessivo di provare sempre nuove emozioni. Più mi diverto spingendo sull’acceleratore e più ho la possibilità di trovare ciò che mi piace, e capire quale sarà la mia strada.

    Ecco perché gli sballi sono ben accetti: perché mi permettono di andare oltre quei limiti che la mente si crea per poter così intravvedere cosa c’è di nuovo, di diverso. Ispirazioni e stati d’animo non convenzionali mi potranno aiutare a trovare un varco in questo buio.

    Quasi sempre rientro a casa tardi la notte e ad addormentarmi ci metto un po’ di tempo. Nel frattempo ripercorro la giornata e gli ultimi avvenimenti come se li vedessi dall’alto, come se il punto di riferimento non fosse più il mondo con i suoi pregiudizi, le sue tante regole e i tanti obblighi, ma finalmente il mio vero punto di vista.

    Sento la voce della mia coscienza che emerge e parla a quell’Alessio ribelle, in fuga, alla continua ricerca di divertimento per trovare risposte che lì, però, non troverà mai. Mi rendo conto di sentirmi spaventato per come vivo la mia giornata.

    «Ma che cazzo sto facendo,» penso ogni volta «perché continuo a farmi così male? Perché non riesco a volermi un po’ di bene?»

    Mi viene voglia di piangere ma cerco di trattenere quella tremenda ondata che sento infrangersi nel mio petto. Vorrei che qualcuno mi aiutasse, vorrei essere un poco più coraggioso per prendere finalmente in mano la mia vita. Vorrei sentirmi bene dentro, vorrei stare in pace con me stesso, ma non so cosa significa sentirmi bene e non so cosa significa stare in pace.

    Dentro di me sento suonare la sirena dell’allarme generale. Cerco di correre ai ripari programmando alcuni piccoli cambiamenti: non far più tardi la sera e non affidarmi più a quegli sballi che mi rendono sempre più debole. La mia forza di volontà si sta consumando come una candela e mi rendo conto che non riesco a comandare la mia vita. Sono trascinato dalla corrente di questi piaceri transitori e precari che mi stanno portando alla deriva.

    «Alessio fermati per favore» mi ripeto in silenzio nel cuore della notte.

    La mattina il mondo si ridesta e riprende il suo ritmo. Il trantran quotidiano riparte come se non si fosse mai fermato. Al mio risveglio riaffiorano subito tutti i buoni propositi formulati la sera prima e mi appaiono così impegnativi e tragici che mi sembra quasi impossibile averli pensati. I campanelli d’allarme che avevo sentito nella notte smettono di suonare.

    «Ma dai il mondo è la fuori che mi aspetta e io devo raggiungerlo, devo andare. Quante menate che mi faccio!!! Stamattina ho anche un esame importante al Politecnico e non posso fallire.»

    L’università non va per niente bene e le bocciature si susseguono alle bocciature. Se devo essere sincero non riesco a far funzionare nulla intorno a me. Inizio cento cose con tanti buoni propositi ma non riesco a portarne a termine una.

    I miei amici e compagni di studi superano gli esami uno via l’altro e io rimango sempre lì con solo una manciata di esami superati in ormai troppi anni di Università. La mia autostima è andata sotto terra e anche i rapporti con i miei genitori sono diventati quasi insostenibili.

    Mio padre, così deluso dai miei risultati, non perde occasione per farmi sentire in colpa. Ha creduto e puntato moltissimo su di me, sul figlio primogenito tanto atteso, e che invece risulta essere una vero e proprio fallimento.

    Mia madre, pur con tutta la sua dolcezza, è una vera rompipalle. È come se riuscisse a vedere questo mio malessere interiore e a dipingerlo su un quadro appeso di fronte ai miei occhi: me lo ricorda in ogni occasione come se fosse lo specchio del mio inconscio, la voce della mia stessa coscienza.

    A volte non la sopporto proprio e comincio a pensare che mi porti davvero sfortuna visto che quello che dice si avvera sempre.

    Mi sento un vero disastro e non so proprio come fare a cambiare questa vita. Forse è troppo grande il cambiamento che desidero. Forse è troppo grande questo malessere per poterlo guarire. Ecco perché è così facile fuggire da me stesso.

    Questa montagna è troppo alta e ripida per essere scalata e io non ho l’attrezzatura adatta per riuscirci. Forse è impossibile il cambiamento che desidero.

    Ma ecco che, quando tutto sembra perduto nel silenzio di quegli attimi di sconforto assoluto, sento una voce, la voce della mia coscienza, qualche volta la sento affiorare anche di giorno, che mi dice: «Alessio vedrai che ce la faremo, vedrai che andrà tutto bene. Tranquillo».

    Allora mi chiedo: e se quello che faccio, quello che imparo, gli errori che commetto, le persone che incontro e quello che mi accade intorno non fossero un caso? E se tutto avesse un senso e un significato profondo? E se questo fosse solo un faticoso percorso che mi sta avvicinando a qualcosa di importante che mi potrà far scoprire nuovi e inaspettati orizzonti?

    Vorrei tanto che fosse così, che la mia esistenza avesse un significato. Darei qualsiasi cosa per non sentirmi così solo e per trovare qualcuno che mi aiuti a scoprire il senso della mia vita.

    Non avrei mai immaginato che quel cambiamento netto, improvviso e radicale che tanto sognavo, sarebbe davvero accaduto di lì a breve...

    La moto che sono riuscito a farmi comprare da mio padre è un vero sballo, un missile su due ruote. Non so come abbia fatto a convincerlo, ma mi sono perfino buttato in un percorso di riappacificazione con i genitori pur di ottenerla.

    Ho preso una decisione importante per riconquistare un po’ di quell’autostima che avevo praticamente perduta: lascio l’Università e comincio a lavorare. Tutti quanti vedranno chi sono e quello che posso fare. Dopo le vacanze estive comincerò a cercare lavoro e mi dedicherò appassionatamente solo a questo. Lo sento come lo stimolo che può innescare la mia resurrezione e lo voglio far coincidere con il mio ventitreesimo compleanno che sarà il 7 dicembre. Ho sei mesi di tempo prima di cominciare a fare seriamente. Ce la farò!

    Chiaramente le persone che mi conoscono, soprattutto i miei genitori, non vedono questa decisione risolutiva come la vedo io. Infatti mi chiedono perché io debba aspettare 6 mesi per fare qualcosa quando potrei agire già fin da ora, senza rimandare di continuo come ho sempre fatto in qualsiasi altra occasione.

    «Questo progetto assomiglia a tanti altri» mi fanno notare. Però la scelta di lasciare l’Università sembra determinante e trovo consenzienti anche i miei genitori. Forse anche loro sono veramente stanchi di questa situazione in continuo peggioramento.

    Dopo l’estate bruciata in un attimo con il solo ricordo di aver esagerato un’altra volta, eccomi a cercare lavoro qua e là utilizzando al meglio tutte le conoscenze e amicizie su cui posso contare. Il tempo passa veloce.

    Le persone mi osservano e mi chiedono se questo cambiamento, che sbandiero in ogni occasione, stia realmente concretizzandosi. La mia risposta è, ovviamente, sempre affermativa e punta sempre diritto al mio ventitreesimo compleanno. Sono mesi che penso a questo anniversario e lo vedo come un momento molto importante. Sento che questa sarà l’occasione ideale per cambiare, ne sono certo! Lo sento troppo forte dentro di me, anche se ho ancora una gran paura perché mi rendo conto che per ora non sta cambiando nulla.

    Poi finalmente una prima risposta. Mi precipito a un colloquio di lavoro che va molto bene: il risultato è sorprendente. Comincerò a lavorare a gennaio. Il programma è perfetto: un bel mese di divertimento, il mio compleanno, le festività natalizie e poi si comincia. Sento nascere l’entusiasmo dentro di me che si mescola alla voglia di fare e di dimostrare che alla fine ce l’ho fatta. Per questo motivo voglio organizzare un compleanno memorabile, una festa con tutti i miei amici, qualcosa che ricorderò per sempre.

    Sabato 4 dicembre è già arrivato e al mio compleanno mancano solo tre giorni. Non ho ancora preparato nulla per quella mia festa che avrebbe dovuto essere spettacolare. Mi è mancato il tempo, potrei dire, ma è una scusa. Ho rimandato ogni iniziativa giorno dopo giorno forse perché sentivo che più si avvicinava quella data e meno senso avevano i festeggiamenti che avrei voluto organizzare. Avevo la forte sensazione che fosse inutile tentare di rendere quella data una giornata gioiosa.

    Immerso nelle mie riflessioni, anche questa serata a casa di amici sta per finire. Saluto tutti stringendo loro la mano come non ho mai fatto prima. Abbraccio mia sorella Sara e mi dirigo verso la mia auto, ma prima di salire mi accorgo di non aver salutato il mio fratellino Claudio, anche lui della compagnia.

    Quanto bene voglio a mio fratello e quanto forte lo stringo al mio petto.

    «Alessio tutto bene?» mi dice sorpreso.

    «Tutto ok, fratello, ci vediamo lunedì. Divertiti questo weekend in montagna e tieni d’occhio quella scatenata di tua sorella.»

    2

    L’appuntamento

    La mattina seguente mi sveglio tardi. È il 5 dicembre del 1993 e non posso ovviamente sapere che quel giorno lo avrei ricordato per tutta la mia vita.

    Mi sento strano, ma strano davvero. Come se fossi assente. Sento un vuoto fuori e dentro di me e non riesco a comprenderne il motivo. Mancano due giorni al mio compleanno ma non mi interessa nulla e mentre pranzo a tavola con i miei genitori non dico una parola.

    Mi chiedono come sto e se sono contento del mio ventitreesimo compleanno tanto atteso e tanto vicino, ma non rispondo. Non ho voglia di parlare, ho solo voglia di fuggire.

    A fine pranzo mia madre si rivolge a me mentre sto attraversando il soggiorno cercando di scavalcare i numerosi oggetti, fili, festoni e lampadine sparpagliati ovunque sul pavimento.

    «Alessio, mi aiuti a fare l’albero di Natale?»

    La guardo fisso negli occhi senza parlare, ma il fatto che mia madre non abbia insistito, come invece fa di solito, mi fa capire che col silenzio le ho trasmesso quello che penso: Ma cosa diavolo vuoi da me che non so neppure cosa ci sto a fare su questa terra e quale è il mio posto? Come puoi chiedermi di fare l’albero di Natale proprio oggi che mi sento così vuoto e così lontano? In questa casa non si vede un albero di Natale da almeno cinque anni. Che cosa ti viene in mente proprio quest’anno? Mamma lasciami stare, lasciami andare in pace.

    Prendo la mia moto e inizio a sfrecciare sulla strada. Poi rallento e proseguo a bassa velocità. Sono assorto nei miei pensieri e guido come un automa, ma più guido e più mi viene voglia di andare lontano. Voglio andare in Germania.

    In un batter d’occhio sono in Germania. Qui colgo subito l’occasione di andare a vedere un Gran Premio di Formula 1.

    Mi trovo in compagnia di molta altra gente ed è già notte. Sono di fronte all’ingresso del circuito delimitato da una grandissima arcata di legno ricoperta di fiori e di edera con un’insegna luminosa, di color giallo, a forma di semicerchio con la scritta Salzburgring (Salisburgo è una città austriaca e non è in Germania, ma la spiegazione di questo apparente refuso geografico è rimandata ai capitoli successivi).

    Bello, mi dico, di notte si entra senza biglietto, proprio come a Monza. Un’avventura nel parco sfuggendo ai controlli della polizia.

    Tutti insieme iniziamo ad addentrarci un po’ alla cieca, perché non conosciamo il posto. Dopo aver camminato per poco tempo sul viale erboso in mezzo alla foresta che ospita il circuito, di fronte a noi vediamo emergere dalla nebbiolina carica di tutta l’umidità che proviene dagli alberi che ci circondano un grosso camion che viene nella nostra direzione.

    Mentre l’automezzo avanza nella nebbia e diventa man mano sempre più visibile, nel fragore improvviso delle armi mi accorgo che sul cassone ci sono dei militari che sparano con rabbia alla gente che tenta di entrare clandestinamente. Tutti cercano disperatamente di fuggire.

    «Ma stiamo scherzando?! Questi sparano sul serio!»

    È meglio rinunciare ad avvicinarsi alla pista e scappare alla svelta perché quei soldati sembrano proprio impazziti. Mi viene da pensare che stiano mettendo in atto un’aggressione di tipo nazista, come se fossimo tornati ai tempi della seconda guerra mondiale.

    Voglio andarmene da questo posto, il più presto possibile.

    Di colpo una voce, una presenza femminile.

    «Alessio, dai andiamo, forse c’è la possibilità di provare una macchina da corsa, ti piacerebbe?»

    Io rispondo subito di sì pur di allontanarmi immediatamente da quella tragedia, tant’è che non bado minimamente a questa ragazza e al modo in cui si è presentata.

    Mi trovo a bordo di una monoposto blu, in coda ad altre, tutte pronte per uscire dai box non appena verrà data la luce verde. La ragazza, che so chiamarsi Mara, così come lei sa che io mi chiamo Alessio, mi dice di tenere in bocca un tubo per poter respirare bene, mi mette il casco e mi lascia lì pronto a scattare, avvisandomi che si farà rivedere più tardi.

    Tutto è successo così rapidamente dal momento della fuga che mi sembra sia passato un solo attimo. Comunque sia, adesso mi trovo a bordo di questa monoposto e, seppure un po’ perplesso, attendo pazientemente.

    Passa del tempo e comincio ad avere un gran freddo, infatti sono in maglietta a maniche corte, di notte, su questa macchina che ha, oltretutto, il sedile gelato. Osservo un po’ in giro e, guardando bene, mi accorgo che le macchine non sono dei nostri giorni. Sembrano le Formula 1 che c’erano ai tempi del grande Ascari.

    «Ma perché devo tenere in bocca questo tubo? Mi dà un gran fastidio! Poi ho freddo, tanto freddo e il semaforo è sempre rosso.»

    Mi viene sempre più voglia di rinunciare a questa prova fino a che decido di uscire dalla macchina, ma non ci riesco perché ho le cinture di sicurezza bloccate; sono legato.

    Allora studio un possibile modo per uscirne e immediatamente capisco che per riuscirci devo ribaltare la macchina su un fianco con un colpo di bacino. Esito. Temo che così facendo potrei rovinare la macchina ed essere rimproverato. Sono auto d’epoca e vanno rispettate quindi decido di aspettare ancora...

    Arrivato quasi all’esasperazione, comincio a sperare che qualcuno mi aiuti, che qualcuno mi veda in difficoltà e venga in mio soccorso. Giusto il tempo di pensarlo e, immediatamente, al mio fianco si ripresenta Mara. Faccio uno scatto perché mi sono quasi spaventato, non mi sono accorto che si è avvicinata. Comunque lei mi sorride e io mi sento rassicurato.

    «Alessio, dai andiamo. Ci aspettano a casa di una mia amica dove danno un pigiama party.»

    Io non rispondo, mi va bene così come è. Vicino a lei sto bene, mi sento protetto e ben guidato.

    Improvvisamente, mi ritrovo in un appartamento pieno di gente e Mara mi fa strada. Non dice il mio nome, dice semplicemente che siamo arrivati, e gli altri mi salutano come se mi conoscessero, chiamandomi per nome. Anch’io li saluto e mi sento tra amici e in quel preciso momento realizzo che Mara mi ha lasciato, non è più vicina a me.

    La festa è bella, si ride, si scherza, si mangia, e tutto fila via tranquillamente. A fine serata la proprietaria annuncia che è ora di coricarsi e decidiamo tutti di dormire sdraiandoci sulla moquette di quel grande salotto.

    Ci sistemiamo e lei passa da ognuno di noi per dare a tutti un tubo da mettere in bocca per non perdere la saliva sulla moquette, dice, e inoltre ci obbliga a legarci i polsi al pavimento, come se dovessimo stare immobili per tutta la nottata.

    Dentro di me provo un netto rifiuto e mi sembra quasi assurdo, però nessuno fiata, sembra tutto normale e io mi sento talmente coinvolto nella situazione, che comincio a prendere sonno adattandomi, mio malgrado, a tutte quelle imposizioni.

    A un tratto però spalanco gli occhi e mi sorge urgente una domanda da dentro il cuore.

    «Cosa ci sto a fare qui legato e intubato? Io voglio andare via, non ho più sonno, voglio continuare a divertirmi.»

    Non riesco quasi nemmeno a finire di formulare questa domanda che mi ritrovo al bancone di un locale notturno affollatissimo e chiassosissimo in compagnia di una bella ragazza. So che io e lei ci frequentiamo da un po’ di tempo, anche sessualmente, e mentre la musica suona le sue note rock, noi ci fumiamo uno spinello tra una risata e l’altra. Bevo. Bevo whisky a valanghe e vado sempre più fuori di testa.

    La nottata sembra trascorrere in un attimo, e quando la gente comincia ad andarsene dal locale la mia compagna mi chiede di accompagnarla a casa sua dove poi avremmo potuto fermarci insieme.

    Io, da seduto, faccio per alzarmi, ma non ci riesco, sono molto fuori, troppo fuori per muovermi. Tra l’altro mi viene in mente che sono venuto in moto e mi rendo conto che rischierei molto nell’accompagnarla a casa in quello stato, quindi le dico di andarsene da sola e che ci saremmo rivisti. Lei va e io rimango lì a cercare inutilmente di alzarmi da quella sedia completamente ubriaco e fumato.

    Buio, sempre più buio. Come mai mi sento inghiottito da questo buio profondo e freddo che mi circonda? Come ci sono arrivato fin lì nello spazio di un solo brevissimo momento?

    Sto malissimo e non riesco a controllare la crescita vorticosa della mia paura, della vera paura, del panico. Cerco di muovermi per lasciare questo luogo, per trovare uno spiraglio di luce, per vederci più chiaro, per sentirmi meglio, ma mi sento come imprigionato in una scatola buia, e allo stesso tempo, ho l’impressione di essere un puntino vagante in un universo privo di luce.

    Mi agito e scalcio, ma non c’è via d’uscita. Dove mi trovo non esiste né l’alto né il basso, né il grande né il piccolo, ma solo il buio ovunque. Sono disperato.

    «Cosa mi sta succedendo? Dove sono andato a finire?»

    Comincio ormai a rassegnarmi. Temo di non poter scappare e ora ho anche la netta sensazione che questo buio, intenso e freddissimo, stia cominciando a mangiarmi, a consumarmi e la mia paura aumenta sempre di più.

    Chiudo gli occhi per cercare di ritrovare me stesso ed escludermi da quello che mi circonda. Cerco di concentrarmi solo sul mio corpo e di dimenticare il doloroso nulla che mi avvolge.

    Funziona! Pian piano mi calmo e nella mia mente sento affiorare un po’ di razionalità e crescere in me l’esigenza di trovare alcune impellenti risposte. Comincio a ragionare su quanto accaduto di recente.

    Io sono in Germania. Sono qui a divertirmi. Come mai sono solo? Dove sono i miei amici? Non ho mai fatto un viaggio così, da solo. Di solito viaggio con Giulio, o Sasha o mio fratello. Al circuito di Formula 1, al pigiama party e al night ero circondato da gente che mi conosceva, tutti mi chiamavano Alessio ed eravamo amici, anche se, pensandoci bene, io non li avevo mai visti prima.

    Anche la solitudine comincia a infastidirmi. Solo, al freddo e al buio, con una grandissima curiosità di sapere cosa mi sta accadendo ma incapace di trovare una qualsiasi spiegazione. Non riesco proprio a darmi pace.

    Inaspettatamente dal buio profondo spunta davanti a me, in alto sulla mia destra, uno schermo cinematografico sul quale vedo rappresentata, nella notte, una strada di città illuminata da lampioni e completamente deserta fino a che, all’improvviso, vedo qualcosa che scivola sull’asfalto e fa scintille come una cometa.

    Ma cos’è? Sembra una moto che scivola su un fianco. Ma quella moto... quella moto è la mia. Nooo!!!! Ecco cos’è successo, ecco il fatto che spiega tutto. Ho avuto un incidente!

    Rimango alcuni istanti a bocca aperta a osservare, sbalordito e immobile, quello schermo e quella moto ormai ferma vicino al marciapiede. La mente viaggia velocissima ma non riesco a coglierne il pensiero. Mi sento totalmente passivo e ancora molto spaventato.

    Subito dopo lo schermo si smaterializza e io pronuncio ad alta voce e con tono molto amaro una frase

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