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Il gatto che veniva dal mondo sparito
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E-book298 pagine4 ore

Il gatto che veniva dal mondo sparito

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Info su questo ebook

Un paese speciale dove tutto si avvera in modo insolito.
Un gatto quasi magico che entra nella vita di una ragazza.
La protagonista, al di là delle convenzioni, crea una sua famiglia, una famiglia di (a)mici numerosa, popolata spesso da trovatelli che scoprono in lei la mamma magari persa e in cui lei prova per loro una sorta di amore materno senza confini. Marie li protegge, e ognuno di loro riempie spazi diversi del suo cuore. 
Attraverso questo amore incondizionato molte le scoperte che la protagonista fa e che arricchiranno la sua vita e le faranno vedere da una prospettiva diversa anche i dolori.
Sentimenti forti che l’aiuteranno ad affrontare i tanti cambiamenti della sua vita, anche attraverso l’incontro con personaggi particolari, ma anche con anime che torneranno accanto a lei nel momento del bisogno, facendola entrare in quel mondo invisibile ai nostri occhi, ma non al nostro cuore.


Mi chiamo Simona Lucchetto, sono nata a Roma nel 1971 da genitori istriani nel quartiere Giuliano-Dalmata, appositamente adibito alla sistemazione di una parte dei profughi dell’Istria da parte del governo italiano, nel secondo dopoguerra. Ho sempre avuto la passione per la scrittura fin da piccola ed è divenuta realtà a trent’anni, quando ho iniziato la stesura del mio primo libro. Nel 2003 ho pubblicato il primo romanzo, Il profumo del mare, edito da I Fiori di Campo. Riceve l’approvazione dell’associazione Cooperativa Zeroventi come libro dell’anno 2004.
Nel 2005: pubblicazione del secondo romanzo, L’Onda di Sam, edito da Prospettiva Editrice. Il libro è stato pubblicizzato su www.youtube.com durante la presentazione presso un caffè letterario di Roma, nel 2007. Il libro ha avuto diverse recensioni su siti internet e sul magazine del surf italiano Surfnews. Nel 2006 mi sono stati assegnati due premi letterari:
• “menzione d’onore” per il racconto Il mare è vita al concorso letterario “Anna Maria Salerno” organizzato dall’associazione Animalisti Italiani per un impegno culturale a favore della natura;
• “Benemerito Culturale d’Onore” per il racconto Il respiro del mondo, ricevuto al concorso letterario internazionale “Tra le Parole e l’Infinito”.
Nel 2011 ho pubblicato il terzo libro, Storie, fra la realtà e la fantasia edito da Ilmiolibro.it. È una collezione di racconti in cui sono presenti anche le storie che sono state premiate negli anni precedenti. L’opera è arrivata 6a in classifica al premio letterario “La Clessidra” di Terni, ricevendo una menzione d’onore. Ad oggi è in vendita sulla piattaforma Amazon.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2021
ISBN9788830644229
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    Il gatto che veniva dal mondo sparito - Simona Lucchetto

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    Simona Lucchetto

    Il gatto che veniva dal mondo sparito

    © 2021 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma

    www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com

    ISBN 978-88-306-3811-2

    I edizione giugno 2021

    Finito di stampare nel mese di giugno 2021

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa

    Il gatto che veniva dal mondo sparito

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Prefazione

    Chi ha vissuto con un animale sa di cosa parlo: ci sono cose che non vanno spiegate, vanno vissute.

    Questo libro vuol essere un elogio all’infinita gioia e all’immenso amore che gli amici a quattro zampe sono capaci di dare ed è rivolto a tutti quelli che amano gli animali e li considerano come loro compagni di vita.

    Non sanno parlare come gli esseri umani, ma riescono ad esprimersi attraverso i loro occhi o con quei piccoli gesti che portano nel nostro cuore la serenità quando siamo stanchi e l’allegria quando siamo tristi. Entrano nella nostra vita in punta di piedi e quando vanno via lasciano un’impronta che non si cancellerà mai più.

    Storie vere che accarezzano l’anima entrando in quel mondo animale a noi sconosciuto, fatto solo di silenzi da capire o intensi sguardi da interpretare.

    Nella vita, a volte, si incontrano delle creature così singolari che sotto forma di animali vengono sulla Terra per accompagnarci per una parte della nostra vita, c’è chi crede nell’indissolubilità di questi forti legami che sono destinati a durare per sempre: basta uno sguardo profondo negli occhi per riconoscersi, sono quelle anime con cui si allaccia un rapporto profondo, si riconoscono da quel senso di familiarità che ci fa sentire a nostro agio e la relazione che si instaura con loro può durare per molti anni.

    Ho avuto la fortuna di conoscere un essere speciale che ha vissuto con me per tanto tempo e il suo non è più un ricordo, è diventato una parte della mia anima a cui resterà per sempre legato.

    Attraverso lui ho imparato il senso dell’essenziale, sono tornata al linguaggio primitivo, utilizzando nuovi mezzi di comunicazione quali le carezze, gli abbracci, gli sguardi interminabili.

    Un lungo e meraviglioso rapporto d’amore e d’amicizia che mi ha ispirato a raccontare la sua storia e quella di tutti gli esseri viventi che gli sono stati accanto e che hanno incrociato la sua vita e la mia.

    Dedico questo libro ad una persona meravigliosa che è entrata a far parte della mia esistenza e alla quale auguro... BUONA VITA!

    Ad Aurelia Maria

    1.

    Ho sempre odiato il freddo e ho sempre odiato la stagione invernale con i suoi tristi colori, con gli alberi spogli che somigliano a scheletri. L’inverno era arrivato con il suo carattere duro e deciso.

    Come ogni mattina, mi alzai presto e uscii di casa che faceva un gran freddo. Era un febbraio molto rigido, le temperature si stavano abbassando e mi vestii con un abbigliamento più caldo degli altri giorni: presi anche uno sciarpone rosso di lana che avevo fatto a mano e a cui tenevo molto.

    Entrai nella mia auto d’epoca, una Renault 5 un po’ datata con il riscaldamento decisamente vecchiotto, come tutta la scocca d’altronde, ma non riuscii a riscaldare l’ambiente interno dell’auto in tempo e arrivai al negozio tutta infreddolita.

    Lavoravo in un piccolo negozio‐laboratorio di ceramica. Era di mia proprietà, lo avevo rilevato da due veterane maestre che mi avevano insegnato tutto sulla lavorazione della terracotta, le mie care insegnanti Chantal e Annette, due anziane signore dal capo color latte, sempre allegre e piene di voglia di fare e di creare.

    Dopo più di 30 anni di lavoro in quel negozio decisero di venderlo e godersi la vecchiaia: le mani non erano più quelle di un tempo e manovrare anche i forni per le cotture era ormai una faccenda che richiedeva molta attenzione e loro erano diventate molto stanche per continuare a fare questo tipo di mestiere. Ogni tanto, però, mi venivano a far visita: Chantal controllava ogni mia opera e trovava sempre un piccolo difetto da commentare, come faceva anche quando ero la sua allieva. Annette, invece, era l’esatto contrario, sempre pronta al complimento e all’incoraggiamento. Ogni incontro si concludeva con un battibecco fra loro due: ero abituata però, faceva parte del loro carattere e del loro modo di interpretare il ruolo delle anziane maestre.

    Erano state delle ottime insegnanti e delle eccellenti artiste: molte personalità famose richiedevano ancora le loro opere e la loro bravura, sia di oggetti d’arredamento per case lussuose, sia per il decoro urbano.

    Fui davvero fortunata a conoscerle e a condividere una parte della mia vita con loro.

    La mia carriera da ceramista nacque un pomeriggio di tanti anni prima mentre passeggiavo per quella via con mia madre; noi abitavamo qualche palazzo più in là e ci soffermammo a guardare i capolavori esposti in vetrina.

    Che brave, eh disse mia madre.

    Guarda quelle ballerine! Sono bellissime, che espressione! risposi.

    Perché non provi anche tu? domandò mia madre Tu sei piena di creatività, di fantasia. Iscriviti! esordì.

    Ma chi è capace? Mica sono così brava! risposi come se fosse un’impresa impossibile.

    Sono lì proprio per insegnare eh? Entriamo dai. Informiamoci sentenziò entrando velocemente nel negozio e così... le conobbi.

    Mi iscrissi al corso e iniziai subito a realizzare vasi, piatti, bassorilievi, lampade da tavolo, imparai tanti tipi di lavorazioni e piano piano da semplice allieva divenni maestra.

    Con il trascorrere degli anni cambiarono anche le mode, cambiarono i gusti e i clienti iniziarono a venire sempre di meno.

    Ma la loro piccola bottega e le sue proprietarie resistevano imperterrite, finché non arrivò il momento di separarsi: Chantal e Annette erano stanche di continuare mentre io ero pronta ad affrontare un’attività commerciale tutta mia, apportando anche qualche innovazione.

    Il laboratorio, però, era molto grande e da sola non ce l’avrei fatta. Così divisero il locale in tre spazi che vennero trasformati poi nella mia bottega di ceramica, mentre accanto a me vennero in affitto un fioraio e un gommista.

    Rilevai il negozio, lo arredai con il mio stile, un po’ shabby chic, un po’ moderno: era piccolo, ma caldo e accogliente, sembrava un focolare domestico perché aveva un angoletto per degustare tisane, con un divanetto per ristorarsi. Un’altra parte era adibita alla vendita degli oggetti creati e il rimanente spazio era utilizzato per il laboratorio con il forno per cuocere, il tornio e due tavoli per lavorare la creta. L’atmosfera serena e riservata, i colori caldi delle tinte scelte per la mobilia e per le pitture, l’illuminazione dei faretti e delle candele rendevano ancora di più l’idea di locale accogliente.

    Chi entrava doveva avere la sensazione di sentirsi a casa... e lo era, soprattutto per me, in quanto ci trascorrevo gran parte della mia giornata. Avevo anche una compagna di lavoro che mi aiutava a svolgere questa attività: il suo nome era Valerie, la mia migliore amica fin dall’infanzia.

    Il negozio era situato vicino alla campagna, in un piccolo centro abitato di un paesino nel Sud della Francia, si chiamava Passepartout: una deliziosa cittadina piena di angoli da dipingere o da fotografare.

    Non per nulla era considerata la città degli artisti perché era piena di botteghe di artigiani: il sarto, il falegname, l’orafo, l’ebanista e tanti altri, ognuno di una nazionalità diversa, ognuno con la sua cultura e tradizione. Ero nata lì.

    Ciò che rendeva la mia città così speciale era proprio la sua costruzione: le pareti tinteggiate da murales, i palazzi colorati dalle sfumature pastello, i balconi piccoli e pieni di fioriere colme di nuance sgargianti. Anche in inverno le case mantenevano quell’allegria cromatica perché gli abitanti cambiavano i fiori con quelli stagionali per poter avere sempre una punta di colore anche nel più rigido inverno, quando tutto il paesaggio diventava ancora più malinconico. Le note più affascinanti erano le stradine strette con viottoli in pietra antica che creavano un senso di mistero, come se percorrendo strade secondarie o piccole vie le persone non si sentissero più in una città, ma avvolte in una spirale magica.

    Il vero tocco di calore, però, proveniva dai dialetti più disparati che si potevano ascoltare per le vie del paese: francese, greco, portoghese, spagnolo, inglese e italiano. Sembrava che tutto il mondo si fosse riunito in quel piccolo paesino così pittoresco.

    Quando facevo una pausa dal mio lavoro, andavo a volte a chiacchierare con le fioraie, due anziane signore molto gentili, con i capelli sempre adornati da fiori di colore giallo e rosa, che amavano raccontare storie incantate su Passepartout e sui suoi poteri magici. Secondo una leggenda molto antica, agli albori Passepartout era una semplice campagna abbandonata dalla civiltà in cui cresceva però tanta vegetazione lussureggiante: fiori di ogni colore, alberi secolari forti e resistenti che non si riuscivano ad abbattere, così nessuno mai era riuscito a edificare. Un giorno, in un tempo sconosciuto di tanti anni fa, un giovane uomo con il suo calesse stava peregrinando senza meta in cerca di una città dove poter vivere e trovare lavoro. Una sera affaticato dal lungo viaggio, decise di sostare sotto una bellissima quercia dal tronco molto largo che si trovava solitaria proprio in mezzo alla campagna della futura cittadina; durante la notte però non riuscì a prendere sonno, quel luogo aveva attirato la sua attenzione, sotto quell’albero non si sentiva in pericolo, eppure era solo, in un luogo isolato dalla civiltà, a rischio di attacco di qualche animale notturno che lo avrebbe potuto aggredire. Al contrario, percepiva tanta gioia, un’immensa serenità dentro al suo cuore, come se quel luogo fosse sotto un incantesimo di protezione. Che strana sensazione per un uomo semplice come lui, che non aveva mai avuto quei pensieri così profondi. La mattina, al risveglio, decise di fare una passeggiata nei dintorni della campagna con il suo cavallo e si accorse che non era abitata da persone, ma solo da animali che oltretutto non scappavano alla sua vista, ma si facevano avvicinare ed erano mansueti e amorevoli. Al calar della sera, tornò sotto l’albero e cenò, assaporando il silenzio di quel luogo. Si sdraiò sotto le stelle e mentre ammirava quel firmamento luccicante si addormentò profondamente. Il sorgere del sole lo destò di buon’ora e con stupore trovò accanto a sé e al suo cavallo qualche cane, alcuni gatti e un paio di coniglietti che stavano oziando. Sorpreso ed ebro da tanta armonia e tranquillità, pensò che la sua nuova vita avrebbe avuto inizio proprio in quel posto magico e non avendo alcun attrezzo per edificare una casa, decise di scavare il tronco della vecchia quercia, per poterne ricavare una piccola stanza dove poter dormire al riparo dal freddo dei mesi invernali. La quercia fu ben contenta di accettare un uomo così devoto alla natura che invece di provare ad abbatterla aveva avuto l’idea di trasformarla in una piccola dimora, continuando a farla vivere. Ogni giorno un animale si aggiungeva alla lunga lista dei suoi nuovi amici e quando qualche persona passava di là e li vedeva tutti insieme, il giovane uomo li accoglieva alla sua tavola e gli spiegava il potere della vita che aveva quel posto: la gente rimaneva affascinata dai suoi racconti e dal luogo e lentamente iniziò a popolarsi, sempre rispettando la natura e gli animali che vi vivevano. Quel luogo incantato, venne chiamato Passepartout, cioè una chiave che serve ad aprire parecchie serrature o come era solito dire il suo fondatore un’unione di elementi per ottenere facilmente ciò che si desidera o per risolvere qualsiasi problema. Era davvero una città incantata e molto speciale e quell’inverno me ne accorsi in modo particolare.

    Quell’anno, il gelido e triste febbraio acquistò un tocco di calore insolito: le strade si rianimarono di una strana gioia, c’era qualcosa nell’aria che non avevo mai sentito, la avvertivo nella pelle, come un fremito, si respirava un’atmosfera magica e misteriosa.

    Tutto iniziò nel febbraio del 1996.

    2.

    Quella mattina arrivai davvero presto al negozio, salutai rapidamente la fioraia e il gommista che aprivano sempre prima di me e si rintanavano dentro per il troppo freddo. Quest’ultimo, però, quella mattina era intento a camminare solerte con un piatto in mano, avendo cura di guardarsi i piedi. Non essendo vicino all’entrata della mia bottega, non riuscivo a capire il motivo del suo strano atteggiamento che mi incuriosì in modo particolare.

    Buongiorno Orazio! dissi guardandolo perplessa.

    Dopo pochi secondi vidi sbucare un piccolo paffutello arancione che correva velocissimo in mezzo ai piedi del gommista.

    Orazio, ma è un cagnolino? domandai ancora più perplessa.

    No, è un gatto. Ma devo far attenzione a dove cammino perché è velocissimo. Scusa... devo dargli da mangiare ora e con il piatto in mano si diresse verso una parte dell’officina più riparata.

    Da qualche giorno aveva iniziato un’incessante pioggia, accompagnata da un freddo che pizzicava il naso e l’umidità era al massimo grado, così penetrante che ti entrava nelle ossa.

    Raggiunsi l’officina molto attratta da quel gatto arancione.

    Nel mio appartamento viveva già da un anno la mia gatta, una trovatella mista siamese dagli occhi celesti, molto dolce ma molto gelosa. Immaginai subito come sarebbe stato bello avere un altro micio, tutto mio!

    Si, perché Musetta, questo era il suo nome, era stata una scelta di mio padre, condivisa poi anche da me ovviamente, ma lui aveva tanto insistito contro il parere di mia madre e di mia sorella. Non avevamo mai avuto animali in casa e non sapevamo davvero da dove iniziare, ma mio padre si era molto intenerito per la triste storia di Musetta e decise di andare contro ogni difficoltà che avremmo potuto incontrare.

    Ora però mi ero abituata a vivere con un animale e mi piaceva moltissimo la sua compagnia.

    Entrai nell’officina e chiesi ad Orazio dov’era il micio:

    Orazio, ma da dove è arrivato quel gattino?.

    Attenta a quando cammini perché lui arriva all’improvviso e si intrufola in mezzo ai piedi... non fece in tempo a finire la raccomandazione che il piccolo micetto sbucò all’improvviso girando in mezzo ai piedi del mio vicino di negozio. Miagolava e si strusciava, era adorabile. Avrà avuto pochi mesi, il pelo arancione sulla testa, sulla schiena e sulla coda e il resto del corpo era bianco: sembrava portasse un mantello. La sua coda era folta e più lunga del corpo, i suoi grandi occhi verdi erano vispi, furbetti ma dolcissimi e creavano un bellissimo ritratto su quel musetto piccolo e strappa baci.

    Restai ferma a guardare il suo comportamento e poi lo chiamai e lui corse verso di me come un fulmine e cominciò a gironzolare sui miei piedi con aria felice. Era amorevole! Scambiai quattro chiacchiere con Orazio per capire da dove fosse venuto, dove fosse la sua mamma, ma era impossibile risalire alla sua famiglia.

    Passepartout era una cittadina situata in una zona di campagna, non molto distante anche dal mare e il centro abitato dove erano concentrati tutti i negozi si affacciava proprio sulla campagna. Sarebbe potuto venire da qualunque parte, qualche casolare era sparso qua e là ma erano tutti disabitati. L’incontro era avvenuto già qualche giorno prima, quando Orazio arrivando di buon’ora vide uno straccio arancione dentro uno dei pneumatici che lasciava a volte fuori dal negozio, vicino ai cassonetti, in un’area adibita allo smaltimento dei rifiuti speciali. Si avvicinò per capire cosa fosse e vide il gattino che stava dormendo.

    Si guardò intorno per capire se ci fossero altri micetti, ma lui si svegliò e appena lo vide cominciò a miagolare forte: reclamava da mangiare. Orazio lo prese subito in braccio e lo portò al riparo nel suo negozio. Era un po’ bagnato, sporco di grasso di gomma e affamato. Cercò di ripulirlo con la carta e gli diede subito la prima cosa che aveva a disposizione per sfamarsi, il suo pranzo: un piatto di pasta riscaldata che il micino apprezzò volentieri!

    Nei giorni successivi si era organizzato, invece, con alimenti per animali: la sera lo lasciava dormire nel negozio con il cibo e l’acqua a disposizione, così non stava più fuori, finalmente lontano dalle intemperie della stagione.

    Quella mattina il micetto era particolarmente affettuoso con me, lo notò anche Orazio che sottolineò con stupore gli atteggiamenti calorosi del felino che, dopo avermi visto, non aveva nessuna intenzione di lasciarmi andare via.

    È adorabile! dissi cercando di accarezzarlo, ma lui era talmente eccitato che non si fermava più.

    A quel punto azzardai:

    Orazio, non pensi che sia meglio che stia in un posto più tranquillo, più caldo e più pulito?.

    Magari ci fosse un’anima buona che se lo prendesse. È molto intelligente e affettuoso rispose guardandolo giocare con una foglia secca come se fosse una preda da stanare.

    Se me lo portassi al negozio? chiesi senza esitare.

    Davvero lo faresti? Non ti ho chiesto nulla in questi giorni perché so che hai la gatta incinta a casa, ma se lo prendi sono sereno, andrebbe in ottime mani. Di te mi fido ciecamente rispose speranzoso.

    E allora vieni micetto, vieni con me al caldo, dai e lo chiamai con una voce così melodiosa e già piena d’amore che lui subito si diresse verso di me correndo senza esitare un attimo.

    La sua intelligenza venne subito alla luce: prima di arrivare da me si fermò su un tombino con la griglia per la fogna, odorò, si abbassò e fece i suoi bisogni dentro, senza sporcare la strada.

    Non potevo credere ai miei occhi: un micetto che avrà avuto appena qualche mese e già così perspicace!

    Aprii il negozio, lo presi in braccio ed entrai al calduccio di quelle quattro mura insieme a lui. Non so spiegare cosa fosse scattato in me. Colpo di fulmine? Con uno sguardo capii che lui doveva stare con me, c’era qualcosa di speciale in lui, qualcosa di inspiegabile, un’attrazione così potente da far nascere subito un legame fortissimo.

    La prima cosa che feci fu portarlo al bagno per dargli una pulitina perché era proprio sporco ma la carta bagnata che stavo usando per sgrassarlo non era sufficiente a togliere il grasso degli pneumatici. Aspettai, quindi, l’arrivo della mia amica e presi una decisione più drastica, cioè lavarlo tutto con acqua e sapone. Povero scricciolo! Appena arrivò Valerie lo mettemmo nel lavandino: era già piccolino, con il pelo tutto bagnato era ancora più esile. Cercava di scappare ovunque perché non voleva essere lavato, ma era necessario, quel grasso se lo sarebbe ingoiato durante la pulizia del pelo e non credo gli avrebbe fatto bene al pancino.

    Dopo aver finalmente finito la doccia, lo asciugammo con della carta, poi con un asciugamano e per non farlo ammalare presi la mia sciarpa rossa e lo avvolsi dentro, chiuso ulteriormente dentro una coperta che tenevo nella saletta del the e lo sistemammo su una poltroncina vicino al caminetto.

    Accesi subito il fuoco e la stanza si scaldò presto: lui si accucciò dentro la sciarpa senza mai uscire, rimase immobile per evitare di sentire freddo o forse per paura di ricevere un altro lavaggio inaspettato.

    Dove lo hai trovato? mi domandò Valerie dopo averlo sistemato.

    Stava da Orazio, si è perso ma non riusciamo a trovare una cucciolata nei dintorni o una gatta che vaga miagolando. Ora sta con me, qui è più al sicuro, starà al caldo e mangerà con regolarità... stando più tempo al negozio non si sentirà solo conclusi

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