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Il diario di Dachau
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E-book537 pagine4 ore

Il diario di Dachau

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Info su questo ebook

 Il ritrovamento di un diario segreto risalente alla seconda guerra mondiale, un complotto misterioso, una verità sconvolgente sulla scomparsa del più temuto dittatore di tutti i tempi: gli ingredienti per un romanzo avvincente ci sono tutti, e la penna di Leonardo Marchetti viaggia abilmente tra passato e presente, svelando al lettore a poco a poco i pezzi di un intricato e terribile puzzle.
Andrea non crede ai suoi occhi quando si rende conto di quello che stringe tra le mani: nelle pagine di quel diario c’è davvero scritto di esperimenti top secret svolti nel campo di Dachau con lo scopo di mantenere in vita Hitler? Quando Andrea scompare, però, è il suo amico Lorenzo che deve cercare di far luce su quello che sta succedendo: non potrà fidarsi di nessuno e anche la sua stessa vita sarà in pericolo, ma farà di tutto per fermare un piano folle e criminale che potrebbe cambiare la storia per sempre. 


Leonardo Marchetti è nato a Pistoia nel 1962. Dopo varie esperienze lavorative ha aperto un’attività in proprio, che svolge ancora oggi. Ha seguito vari corsi di scrittura creativa e partecipato a gruppi di lettura, e nel 2009 ha pubblicato l’antologia di racconti Crisalidi (Edizioni Simple). Attualmente vive a Larciano, in provincia di Pistoia, con la moglie Paola e il figlio Moses, e continua a dedicarsi ai suoi hobby: la musica, la lettura e soprattutto la scrittura. 
LinguaItaliano
Data di uscita31 mag 2023
ISBN9788830683662
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    Anteprima del libro

    Il diario di Dachau - Leonardo Marchetti

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    1

    La prima cosa che sentì furono le fitte alla testa. Provò ad aprire gli occhi. Il buio. Era sdraiato. Provò a sollevarsi, la testa iniziò a girare, anche chiudendo gli occhi non si fermò. Dov’era? Non ricordava. L’ano gli si contrasse, una fitta di dolore. Inspirò lentamente cercando di rilassarsi. Solo in quel momento sentì l’odore, nauseante, pungente; lo conosceva, ma non lo riconobbe. Nel muoversi ebbe la sensazione che la pelle gli tirasse, qualcosa di appiccicoso la ricopriva. Era a casa? Cercò con la mano un appoggio. Si sollevò sedendosi sul letto, la testa gli girò per qualche secondo, poi si mosse a sinistra, nella direzione della porta, ma si trovò a sbattere contro una parete. Non era a casa sua. Il pavimento era scivoloso. Fece alcuni passi indietro, inciampò e cadde. Le sue mani toccarono qualcosa di molle e appiccicoso, un odore fetido gli invase le narici, così forte, così acre, che la gola gli si chiuse. L’odore del mattatoio dove aveva lavorato suo zio. Adesso lo riconobbe. Odore della paura, odore di morte, odore di sangue misto a escrementi. Con le mani cercò l’ostacolo che lo aveva fatto cadere, le sue dita si appoggiarono su quello che a lui sembrò un seno di donna, le ritrasse istintivamente. Un nome gli arrivò alla mente. Si alzò, incerto cercò una parete. Mantenendo le mani a contatto con il muro, iniziò a percorrere il perimetro della stanza, trovò uno stipite, quindi cercò il bordo una porta, la maniglia, l’altro stipite, una placca, un interruttore.

    La luce lo accecò. Strinse gli occhi, poi iniziò a guardare faticosamente, aprì e richiuse gli occhi più volte. Si guardò, era coperto di sangue secco, un conato di vomito lo assalì ma non uscì niente, solo un forte dolore all’addome. Si voltò abbassando lo sguardo: il corpo di una donna era sdraiato al suolo, non ne vedeva il volto, una folta chioma di capelli castani imbrattati di sangue scuro ne copriva i lineamenti, ancora un attacco di vomito, questa volta il sapore acido gli invase la bocca. Lorenzo si accovacciò vicino al corpo, lentamente scostò i capelli e guardò quel viso. Un grido gli si strozzò in gola.

    «Leticia», disse con un filo di voce, poi solo singhiozzi. La testa riprese a girargli, un cane abbaiava in lontananza mentre lui cadeva a terra svenuto.

    2 - Berlino, 1942

    «Come procede la sperimentazione Dottore? Non abbiamo molto tempo».

    «Siamo indietro rispetto al programma prefissato, ma presto passeremo alla fase due, ne sono sicuro».

    «Lo spero per lei, il nostro Comandante non è certo tollerante quanto lo sono io».

    «Stia tranquillo Generale, con l’aiuto del nuovo assistente che mi ha affiancato lavoreremo meglio».

    I due uomini in divisa erano leggermente in disparte rispetto al chiacchiericcio e alla musica della sala. Al centro, signore ben vestite e uomini in divisa danzavano. Sullo sfondo un lungo tavolo rialzato rispetto al piano della sala da ballo. Due uomini erano seduti al posto d’onore, alla parete dietro di loro la bandiera del Terzo Reich. Uno dei due uomini parlava all’orecchio dell’altro. Adolf Hitler annuì. Con la mano sinistra si aggiustò i capelli neri che gli erano caduti leggermente sull’occhio.

    3

    Andrea camminava, le mani in tasca. Il suo sguardo passava da un lato all’altro della strada, lento come la sua andatura. Erano diversi anni che non veniva al mercatino dell’antiquariato a Lucca, l’ultima volta c’era stato con Lorenzo. Tutto era rimasto uguale, noioso. Mobili antichi o presunti tali, stoffe, ricami, pizzi, ferri vecchi. Guardava la gente davanti ai banchi, toccavano e soppesavano ogni cosa. Andrea seguiva il flusso, ma ormai era stanco della gente. Cercò una via d’uscita.

    Scivolando di lato riuscì a infilarsi nella piazzetta del libro. Sui banchi giochi da tavolo del primo Novecento, riviste, libri e locandine teatrali. Si soffermò curiosando fra i titoli.

    Prese un libro a caso. Era un po’ malconcio, ma sembrava originale, certamente non restaurato. Una costola della rilegatura sfibrata.

    Il proprietario del banco si avvicinò. «È del 1882», disse, «è un trattato fra lo stato pontificio e il nuovo stato Italiano, le faccio un buon prezzo».

    Andrea non rispose, lo tenne ancora in mano qualche secondo, poi lo posò. Niente lo attirava particolarmente, finché il suo sguardo si soffermò su una copertina marrone e malconcia che si vedeva appena tra una fila di altri libri ben disposti, come se cercasse di nascondersi. La copertina consumata ai bordi, la superficie scolorita a carta geografica. Lo prese in mano e lo aprì. Un disegno a inchiostro di china riempiva quasi completamente la prima pagina: un cerchio con rappresentate le terre emerse terrestri, il tutto sovrastato da una grande aquila ad ali aperte con gli artigli ben affondati nel globo. Sopra la testa dell’aquila una svastica nazista. Lo richiuse osservandolo più attentamente. Lo girò varie volte fra le mani cercando di guardare ogni imperfezione, e infine si decise ad aprirlo sfogliando le prime pagine. Non era stampato ma scritto a mano. Una calligrafia elegante, a caratteri gotici. La carta leggermente ingiallita.

    In terza pagina alcune righe e sotto il nome: Friedrich Spilmann.

    Continuò a girare le pagine, sembrava un diario, in alto date e orari, a volte numeri e poi frasi.

    «Lo prendo», disse al venditore.

    Il venditore prese il diario dalle mani di Andrea: «Sono centocinquanta euro».

    «Settanta».

    «Non meno di centotrenta».

    «Oggi non è una buona giornata», disse Andrea, «tanta gente ma pochi affari, giusto?». L’uomo sollevò un sopracciglio. «Novanta euro e la finiamo qua», azzardò Andrea.

    Il venditore prese una busta, vi mise dentro il diario e la porse ad Andrea: «Andata», disse.

    Andrea pagò e si incamminò verso l’auto fischiettando. Una volta a casa avrebbe chiamato Lorenzo.

    4

    Andrea aprì gli occhi, la luce del mattino filtrava dalle tapparelle. Si alzò e gettò uno sguardo al monitor del portatile, poi si sedette e aprì la cartella mail. Il messaggio era di Lorenzo: Stasera alle 23.00 su Skype.

    Lorenzo aveva ricevuto le fotocopie del diario il giorno prima e come promesso si era messo subito al lavoro.

    Bene, pensò, vediamo cosa hai tirato fuori.

    Si vestì in fretta e uscì. Un altro giorno di cronaca locale lo attendeva alla redazione del giornale.

    5

    «Mi hai detto che hai delle cose interessanti per me».

    «Certo, ho un po’ di cose da fuori catalogo».

    «Non mi interessano i fuori catalogo, mi servono libri di un certo valore».

    «Le cose di valore le vendo io, tu vendi gli avanzi, i falsi e la roba ammuffita».

    Marcello guardò l’uomo, Dino Savelli, il libraio più avaro di tutta Lucca. Non replicò, non voleva discutere, in fin dei conti ogni tanto gli faceva avere qualche pezzo importante.

    «Va bene, cos’hai da darmi allora?».

    L’antiquario si allontanò per un paio di minuti nel retrobottega. Arrivò con una scatola di cartone che poggiò sul bancone. Marcello cominciò a guardare.

    «E questo?», disse mostrando un librettino di pelle nera.

    «Niente di che, è un diario ma non è il mio genere, io tratto libri veri, non questo ciarpame. Se fosse stato del 1700 o una Bibbia di Gutenberg sicuramente sarebbe stato di mio interesse, ma non un diario in tedesco scritto a mano della seconda guerra mondiale è roba da mercatino della domenica, di certo non del negozio Verbum Antiquis».

    «Ok dimmi: quanto vuoi per tutto?».

    «Centocinquanta euro per la scatola e cento per il diario».

    «Duecentocinquanta euro? Ma se hai detto che il diario non vale niente?».

    «Per me, ma per te vale oro».

    «Sei uno strozzino Dino».

    «Sì, lo so».

    «Centottanta euro tutto».

    «Duecento e ti levi di torno».

    Marcello prese i soldi in tasca e li buttò sul banco. «Sei spregevole».

    «Sono un commerciante. Sempre al tuo servizio Marcello».

    Prese la scatola e uscì.

    6

    Il suono di chiamata di Skype si attivò. Andrea si avvicinò al computer.

    «Ciao Andrea, mi vedi?».

    «Ciao Lorenzo, no ancora no». Pochi istanti e apparve il video. «Eccoti! Come stai?».

    «Bene fino a ieri, ma adesso un po’ meno. Colpa tua, sai?».

    «C’entra qualcosa il diario?».

    «Direi proprio di sì».

    Andrea sorrise. «Cosa hai capito finora?».

    «Vado un po’ a rilento a causa della scrittura, è scitto in Kurrent¹ e non si usa più da moltissimi anni. Comunque per quello che ho compreso fino a ora si tratta di annotazioni su una serie di esperimenti svolti nel campo di Dachau».

    «Che genere di esperimenti?».

    «Verificavano la resistenza fisica al forte abbassamento della temperatura. In pratica come avrebbe reagito il fisico umano se fosse andato in ipotermia e poi successivamente riportato allo stato normale²».

    Andrea rimase in silenzio.

    «Ho fatto una breve indagine e questo medico non risulta essere inserito nelle liste di Wiesenthal».

    «Quindi secondo te cosa facevano realmente? Sto scrivendo l’articolo, ho bisogno di più informazioni possibili».

    «Ok, ma questo è tutto ciò che posso dirti adesso. Se trovo qualcosa di nuovo ti chiamo».

    Parlarono ancora qualche minuto,scherzando tra loro, poi decisero che si sarebbero incontrati non appena Andrea avesse pubblicato l’articolo.

    Andrea chiuse la comunicazione quando Lorenzo sparì dalla finestra di dialogo. Si appoggiò allo schienale sella sedia. Le parole di Lorenzo iniziarono a ripresentarsi nella mente: Se trovo qualcosa di nuovo ti chiamo. Ci doveva essere qualcosa, lo sentiva dentro di sé, voleva disperatamente che ci fosse un significato nascosto.

    1 La Deutsche Kurrentschrift o Kurrent, tedesco corsivo è uno script utilizzato in Germania e nei paesi germanici fino alla metà del ventesimo secolo. L’etimologia è il latino currere, correre, che dava anche il francese corsivo. È la forma scritta a mano delle varie forme di gotico tedesco o Fraktur utilizzate dalla stampa.

    2 Le sperimentazioni si tennero nel Blocco 5 nel campo di Dachau, dove fu creata un’area nella quale venne posta una vasca d’acqua profonda due metri.

    7 - Berlino, luglio 1941

    Himmler era seduto alla sua scrivania, di gran lunga preferiva il rumore dei cannoni a quello della macchina da scrivere, ma adesso il suo lavoro era importante, forse più della guerra stessa. Due progetti di vitale importanza. Una squadra speciale di medici, chimici, antropologi, archeologi e fisici stava lavorando febbrilmente al progetto più ambizioso del Terzo Reich. La ricerca in tutto il mondo per dimostrare la discendenza divina del popolo ariano. Il gruppo faceva parte di quella associazione chiamata Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe, meglio conosciuta semplicemente come Ahnenerbe. E stavano procedendo molto bene. L’altro gruppo di medici era il salvagente, ma i progressi erano lenti e il tempo non era certo a loro favore, doveva formare almeno un altro gruppo che lavorasse autonomamente dal primo. Forse così alcuni avrebbero avuto idee diverse e solo in seguito si sarebbero potuti unire. La sperimentazione diretta era la chiave per il successo dell’impresa. Di cavie ne avevano in abbondanza. I campi erano fin troppo pieni di individui la cui miserabile vita poteva servire a qualcosa di più alto e nobile. Loro potevano essere la chiave per il successo dell’impresa.

    Il giorno seguente avrebbe convocato Schneider, lo avrebbe messo a capo del secondo gruppo e il sito due era pronto al novanta per cento.

    8 - Dachau, 1941

    L’uomo con il camice stava visionando la stratigrafia dell’ultimo soggetto sottoposto al procedimento. Era una tecnica radiografica ancora in via sperimentale, ma stava dando buoni risultati. Annotò sul taccuino Non risultano modificazioni sostanziali nello stato degli organi principali. Questo ci offre buone speranze di successo. Il nuovo assistente che Himmler gli aveva affiancato si stava rivelando un ottimo elemento. Il dottor Spilmann redigeva puntualmente ogni passo dei vari processi di sperimentazione in corso, seguiva personalmente ogni singolo soggetto. Dal momento della scelta dell’individuo alla fase finale, qualunque fosse l’esito durante il trattamento e anche dopo, restava imperturbabile, eseguiva scrupolosamente il protocollo. Oltre ai referti Spilmann annotava ogni cosa in un diario che teneva nel suo ufficio, aggiungendo note personali oltre alle descrizioni asettiche dei protocolli.

    Aveva controllato personalmente. Frugando fra i cassetti trovò il diario e lo lesse. Il dottor Rascher era stato colpito dal disegno in prima pagina, il simbolo della svastica unito all’aquila che affondava gli artigli nelle terre emerse del globo riassumeva perfettamente il concetto finale della politica del Terzo Reich. Il dominio della razza ariana sul resto del mondo. Sorrise soddisfatto: elementi come Spilmann erano estremamente preziosi per la causa. Avrebbe segnalato personalmente a Himmler il medico come persona degna di interesse.

    9

    Nuove scoperte sulle sperimentazioni naziste nel campo di Dachau

    Certe scoperte a volte capitano in modo causale. In anticipo sui tempi, ancora una volta il Terzo Reich è stato precursore di scoperte scientifiche.

    Non si tratta di missili come i tristemente noti V2, missili che hanno dato agli scienziati americani e russi idee per sviluppare poi la tecnologia per la conquista dello spazio. No, questa volta è diverso, siamo al limite della fantascienza. È la prima volta che si sente parlare di esperimenti sulla possibilità di congelare un essere umano e poi invertire il processo. Quale era lo scopo di questa sperimentazione? Apparentemente le ricerche erano orientate a capire il comportamento del corpo umano se sottoposto a brusche variazioni di temperatura quando gli aviatori tedeschi venivano abbattuti durante i combattimenti in mare. Un medico, uno dei tanti, attore principale di questo progetto nel campo di Dachau, ma fino ad ora sconosciuto a tutti, perfino a Simon Wiesenthal. Lui stesso, Friedrich Spilmann, si racconta attraverso un diario, ci descrive passo per passo quanto fatto da lui e la sua equipe. La traduzione ha richiesto del tempo e a breve il diario sarà sottoposto alle autorità competenti per la verifica dell’autenticità e della veridicità di quanto affermato. Se tutto risultasse reale aprirebbe un’altra pagina nera della nostra storia recente. Un altro capitolo macabro su quanto fatto dai nazisti nei campi a scapito di esseri umani.

    La domanda è d’obbligo. Quale era la finalità?

    La risposta una sola, la più inaspettata. Hitler è veramente morto il 30 aprile del 1945? Oppure è stato ibernato e adesso è chissà dove in qualche paese del mondo nell’attesa di essere risvegliato? Solo l’analisi del diario potrà fare luce su questa vicenda intrigata e fantascientifica.

    Andrea rilesse per l’ennesima volta l’articolo. Aveva accennato al direttore la sostanza del suo contenuto.

    «Fammi una bozza e vediamo di cosa si tratta», gli aveva detto.

    Così Andrea si era messo a lavoro.

    Questa volta aveva la possibilità di firmare le pagine centrali, quelle che raccontavano i titoli di copertina. Ma ancora non era soddisfatto di come aveva sviluppato l’articolo.

    Decise di andare a mangiare qualcosa, aveva ancora quarantotto ore prima di passarlo al correttore di bozze e alla successiva impaginazione, sessanta ore prima che il mensile andasse in stampa. Questa volta non doveva farsi scappare l’occasione. Questo era davvero un scoop, ed era suo.

    Lo avrebbe consegnato nel pomeriggio e la settimana successiva avrebbe raggiunto Lorenzo a Barcellona. Aveva già prenotato il volo, il giovedì successivo alle 22:30.

    Avrebbe festeggiato insieme al suo amico.

    10

    Andrea prese il telefono. Doveva avvertire Jacqueline che stava partendo. Compose il numero della sorella, attese qualche istante. La voce registrata diceva che il cliente desiderato non era al momento raggiungibile. Riagganciò.

    Seduto nella sala d’aspetto cominciò a scrivere un messaggio.

    Sto andando a Barcellona da Lorenzo. Domani uscirà il mio articolo. Leggilo, è una sorpresa bomba. Ti chiamo domani sera. Ho una cosa che ho dovuto mettere al sicuro, se ne avessi bisogno ti dirò dov’è. Un abbraccio.

    Premette la freccia e il messaggio Whatsapp venne inviato.

    L’altoparlante annunciava ai passeggeri il volo per Barcellona.

    Andrea spense il telefono e si diresse verso la coda che si stava formando davanti al desk del gate.

    11

    Le finestre aperte facevano entrare la leggera brezza estiva, sebbene la sera la calura si smorzasse un po’. Il mese di luglio a Barcellona era veramente un mese invivibile, soprattutto per la calca di turisti che arrivavano da ogni dove, sembrava che il caldo facesse impazzire tutti. Ma la sera no, per fortuna la sera il fresco entrava nelle case e il rumoreggiare della strada entrava insieme all’aria fresca portando con sé vitalità. L’appartamento di Lorenzo si affacciava sulla Rambla de Caputxins, affollata come sempre di gente e artisti di strada. Lorenzo aspettava la chiamata di Andrea, sarebbe arrivato con il volo delle 22:30 da Pisa, mentre dalla finestra osservava il viavai della Calle.

    «Appena sono in aeroporto ti chiamo», gli aveva detto, e poi aveva aggiunto: «Saremo sulla copertina del Time».

    Il telefono lo distrasse dai suoi pensieri. Raggiunse il tavolo, il display del cellulare illuminato indicava il nome, era Andrea, così rispose subito alla chiamata in arrivo.

    «Hola Lorenzo sono io, prendo un taxi e sono da te fra mezz’ora», gli disse Andrea.

    «Hola Andrea. Ti aspetto, non vedo l’ora di vederti».

    «Anch’io amico mio, dobbiamo festeggiare».

    Ci vediamo tra mezz’ora», e riagganciò

    Lorenzo tornò alla finestra e fece un respiro profondo: aria fresca e rumori di strada gli riempirono i polmoni e la mente.

    12

    L’aereo su cui viaggiava Andrea atterrò all’aeroporto di Barcellona in perfetto orario. Aveva solo un bagaglio a mano, così le formalità di sbarco furono veloci, si diresse subito verso l’uscita e chiamò Lorenzo. Mentre si dirigeva spedito verso la fila dei taxi, due persone che erano ferme a un lato si infilarono davanti a lui facendolo quasi cadere e gli soffiarono i primi due taxi. Che idioti pensò. Salì sul taxi che era ormai il capofila e ritornò con la mente al diario.

    «Dove la porto signore?», chiese il tassista iniziando a muovere il veicolo. Andrea dette l’ indirizzo. «Vale», rispose l’uomo, che aggiunse: «Aria condizionata signore?».

    «Sì grazie, ma non troppo alta per favore».

    Andrea si lasciò cadere sullo schienale del taxi, guardando distrattamente la strada. Il tassista fece salire il vetro che divideva l’abitacolo della guida dallo spazio passeggeri. Andrea notò questo particolare ma non ci fece caso. Pensò che doveva essere un optional che le compagnie di taxi avevano adottato per salvaguardare i conducenti da clienti troppo esuberanti. Era un’ottima precauzione.

    Sui vetri e negli occhi di Andrea si riflettevano gli edifici e le luci della città e non si accorse che i finestrini come gli sportelli erano stati bloccati da un comando elettrico dal guidatore.

    Andrea guardò il viso del tassista riflesso nello specchietto retrovisore. Il volto perfettamente curato, capelli biondo cenere e senza un accenno di barba. Non deve essere spagnolo pensò.

    L’aria fredda stava entrando nell’abitacolo posteriore, insieme al potente sonnifero inodore.

    Il tassista controllava il passeggero dallo specchietto retrovisore, ancora qualche secondo e avrebbe potuto interrompere l’erogazione del gas, dopo doveva solo consegnare il pacco.

    Dopo pochi minuti Andrea stava dormendo profondamente. Il tassista prese l’autostrada direzione Gerona.

    13

    «Cosa ne pensi Albert?».

    «Dico che non è uno scherzo».

    «Cosa c’è Ulisse, hai paura?».

    «No, dico che richiederà tempo e attrezzature costose».

    «Non è questo, quello che richiederemo e quello che ci verrà fornito. Credo piuttosto che tu abbia paura. Cos’è successo all’uomo che entra nei database di banche, multinazionali, compagnie petrolifere, creando il caos?». Albert sorrise, si era conquistato così il nome di Ulisse.

    «Sì, ma questa è un’altra cosa Elizabeth. E poi cosa c’entra il professore, questa storia mi puzza di servizi segreti e di trappola».

    «Ci stai o no?».

    «Quando vorresti cominciare?».

    «Adesso». Elizabeth prese il telefono e compose un numero, bastarono due squilli, poi disse: «Accetto». Riappese.

    14 - Dachau, 1943

    Sigmund Rascher rileggeva per l’ennesima volta la lettera. Lui, a capo della divisione di studi sugli effetti del congelamento umano, aveva dovuto accettare le dimissioni del suo primo assistente Holzlöhner. Poche righe ma concise.

    Caro collega, secondo il mio modesto parere tutto quello che si poteva sperimentare è stato fatto. Ho preparato a riguardo una relazione conclusiva da inviare al generale Himmler. Per quanto mi riguarda la sperimentazione è terminata e con essa anche la mia presenza, ho fatto di conseguenza richiesta di essere assegnato ad altro incarico.

    Rascher ripose nell’archivio la lettera di dimissioni e firmò per accettazione il documento appoggiato sulla scrivania. Himmler gli aveva assegnato un altro elemento Il dottor Spilmann. Forse era un bene, gente nuova voleva dire idee nuove. Per adesso avrebbero proseguito sulla strada intrapresa, anche se fino a quel momento i risultati erano stati tutt’altro che incoraggianti. Poi avrebbe preso una decisione. Per adesso solo il due per cento dei soggetti sottoposti al trattamento recuperavano pienamente le loro funzionalità in un tempo relativamente congruo, un altro sette per cento non riusciva ad avere più l’uso di uno o più arti, il restante novantuno per cento moriva in un tempo variabile fra i 53 e i 100 minuti dal termine dell’esperimento. Il suo nuovo assistente nella sua lettera aveva proposto l’uso di speciali camere di riscaldamento. Rascher con l’inserimento delle donne voleva applicare il sistema che un assistente di secondo grado gli aveva suggerito. Nei paesi nordici, quando i pescatori per motivi vari finivano in mare, nel tentativo di essere salvati una volta recuperati venivano riscaldati attraverso il calore umano, del resto anche gli eschimesi utilizzavano lo stesso sistema nei loro igloo

    Rascher con la mente andò nelle stanze del Blocco 5. La vasca piena di acqua e ghiaccio dove a breve sarebbe iniziata una nuova serie di esperimenti. Il soggetto era stato adeguatamente preparato, vestito con l’ultimo tipo

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