Il carcere spiegato ai ragazzi
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Info su questo ebook
Alcuni episodi (pestaggi e decessi di detenuti) hanno talvolta riportato l’attenzione sul lato oscuro del sistema carcerario. Questo libro si propone di raccontarcelo e di farcelo capire nella sua autentica, dolente realtà. Lo fa con un linguaggio piano e comprensibile anche ai più giovani e con l’aiuto di illustrazioni di grandi vignettisti.
Il volume descrive e spiega la realtà della reclusione in tutti i suoi aspetti, rendendola comprensibile al di fuori dei tanti pregiudizi che si hanno su di essa.
Spariscono gli stereotipi e il carcere appare per quello che è: un mondo sofferente dove vengono rinchiuse le diverse categorie sociali svantaggiate, dove percorsi individuali difficili trovano un drammatico punto di arrivo.
Patrizio Gonnella
Patrizio Gonnella è il presidente dell'associazione Antigone, che da molti anni si occupa di promuovere i diritti e le garanzie nel sistema penale.
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Anteprima del libro
Il carcere spiegato ai ragazzi - Patrizio Gonnella
Prefazione
Non è semplice descrivere il carcere perché tutti già pensano di conoscerlo: i film, le rappresentazioni giornalistiche, gli stereotipi consegnano agli esterni un mondo in fondo piuttosto comodo. Punitivo sì, ma forse più a parole. Poi capita a volte un’occasione – anche indiretta – per venire a contatto con questo mondo a noi contemporaneamente vicinissimo e lontanissimo.
Un mondo a sé, separato da alte mura, che ripropone anche architettonicamente la distanza dalla vita normale. Un mondo dove di frequente la pena della reclusione si aggrava di altre privazioni, di altre quotidiane regole spesso ingiuste che rendono la vita dei singoli lontana dalla normalità. E, quindi, lontana da un suo possibile ritorno ordinato al mondo esterno. Un mondo trasparente al suo interno, dove anche le più naturali necessità sono esposte allo sguardo degli altri e, al contempo, totalmente opaco all’esterno, al cui sguardo è sottratto. Questo mondo, quando per accidente o per interesse sociale viene conosciuto, diventa diverso, comprensibile. Spariscono gli stereotipi e la realtà carceraria diventa visibile: un mondo dolente dove vengono rinchiuse tutte le diverse categorie sociali svantaggiate, dove percorsi individuali difficili trovano un drammatico punto di arrivo, a seguito della effettiva commissione di reati, anche gravi.
L’Italia in anni recenti ha aumentato gli occhi che guardano all’interno del carcere: quello delle associazioni che visitano gli istituti e quello delle istituzioni che hanno il compito di vigilare perché di ogni persona detenuta sia rispettata la dignità e perché nessuno sia sottoposto a qualche sofferenza in più di quella che già comporta la privazione della libertà. Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà ha appunto il ruolo di essere occhio attento e vigile all’interno del mondo recluso.
Alla lettura obiettiva di questo mondo le pagine che seguono vogliono guidare.
Mauro Palma
Garante nazionale dei diritti delle persone detenute
o private della libertà personale
Cos’e’ il carcere?
«Chi sbaglia deve pagare», si sente dire comunemente. Certo. Ma cerchiamo di capire un po’ più a fondo tale affermazione. Chi è che sbaglia? In che modo deve pagare? A cosa serve questa punizione? Chi decide se qualcuno ha sbagliato e in quale modo deve essere punito?
Cominciamo dall’ultima domanda: chi lo decide? Lo decidono i giudici sulla base del diritto penale, cioè l’insieme di leggi che stabilisce quali comportamenti sono proibiti – i cosiddetti «reati» – e quali punizioni possono essere inflitte a chi li mette in atto. Il diritto penale serve dunque a due cose: a porre un limite alla libertà delle singole persone, che non possono permettersi di fare tutto quello che vogliono ma devono evitare i comportamenti che danneggiano gli altri, e a porre un limite alla libertà dello Stato, che non può permettersi di punire i colpevoli come vuole ma deve seguire alcuni criteri nelle punizioni che infligge.
Comprendere questa doppia natura è molto importante. Si tende infatti solitamente a trascurare il secondo polo, mettendo l’accento sul fatto che il diritto debba garantire la nostra sicurezza rispetto alle violenze, o a condotte comunque a noi dannose, che potremmo subire da parte di altre persone. Ma la nostra sicurezza va tutelata anche rispetto alle potenziali violenze e condotte dannose in generale che potremmo ingiustamente subire da parte dello Stato se mai ci trovassimo in condizione di ricevere una punizione per un reato commesso. Ciò non significa ovviamente che la punizione non debba arrecare alcuna sofferenza. Sarebbe impossibile punire qualcuno senza farlo minimamente soffrire. La punizione porta con sé un carico necessario e ineliminabile di afflizione. La tutela assicurata dal diritto risiede però nel fatto che la sofferenza inflitta non può essere arbitraria, ma è invece strettamente regolamentata. Non deve eccedere i limiti previsti dalla legge e deve essere sottoposta al controllo di qualche autorità competente affinché si accerti che segua effettivamente le regole stabilite. Nessuno di noi si sentirebbe al sicuro se sapesse che, di fronte a un eventuale suo errore, non ci sarebbe limite alla punizione che potrebbe ricevere: i lavori forzati, la tortura, magari addirittura la morte, a discrezione del momento e di chi ha il potere di decidere.
È fondamentale che, in luoghi pubblicamente consultabili da chiunque, siano elencate le punizioni che possono venire inflitte a una persona per aver commesso un certo reato. Così come è fondamentale che in questo luogo siano elencati tutti i comportamenti che, in un dato momento storico, costituiscono reato per la nostra collettività. Ciascuno ha il diritto di sapere in anticipo e con chiarezza quali comportamenti sono vietati dallo Stato e quali conseguenze dovrà affrontare se sceglierà di non attenersi al divieto. Nessun giudice può condannare qualcuno per aver tenuto una condotta non esplicitamente prevista come reato. Così come nessun giudice può condannare qualcuno a una punizione che non rientri tra quelle esplicitamente previste per quella particolare condotta. È questo il duplice aspetto – parallelo al duplice aspetto del diritto penale stesso – del «principio di legalità», uno dei principi fondativi degli Stati giuridicamente avanzati.
Illustrazione di Allegra Via
Questi luoghi pubblicamente consultabili dove si trovano elencati reati e pene sono le leggi del diritto penale. La più importante di esse è sicuramente il codice penale, che dedica il primo dei tanti articoli che lo compongono proprio all’enunciazione del principio di legalità: «nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite».
Tra i primi articoli del codice penale si trovano anche quelli che stabiliscono le punizioni che possono venire inflitte a chi commette un reato. La principale di esse è la pena della reclusione. Questa consiste nella limitazione della libertà di movimento di colui che la subisce e si applica per un lasso di tempo più o meno prolungato a seconda del reato commesso. La sua durata può variare da un minimo di quindici giorni a un massimo di ventiquattro anni, che possono aumentare fino a trenta nel caso di circostanze che aggravano il reato o di una sovrapposizione di più reati compiuti dalla stessa persona. Oltre questa durata c’è solo la pena dell’ergastolo, che si distingue dalla reclusione per il fatto di essere perpetua.
La reclusione, si legge nel codice penale all’articolo 23, «è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati». Per cominciare dunque a rispondere alla domanda che dà il titolo al capitolo, possiamo dire che il carcere è un luogo nel quale viene scontata la pena della reclusione. In esso vengono detenuti i condannati a tale pena. Ma in carcere si trovano anche, sebbene in numero inferiore, persone condannate a pene differenti (ad esempio all’ergastolo) nonché, come vedremo in seguito, persone in «custodia cautelare» e persone sottoposte a «misure di sicurezza». In ognuno di questi casi, il carcere ha tuttavia la funzione di limitare la libertà di movimento di coloro che vi sono detenuti.
La nascita del carcere quale istituzione pensata a tale scopo ha costituito una grande conquista di civiltà. Bisogna stare attenti a non vanificarla usando le prigioni in maniera impropria e aggiungendo alla reclusione altre punizioni che, non previste dal diritto, sarebbero fuorilegge. Bisogna sorvegliare affinché il detenuto non subisca violenze fisiche e maltrattamenti, ma anche sofferenze meno vistose che comunque non rientrano nella legittima pena per un reato commesso.
Per lunghi secoli, in passato, l’Occidente ha fatto uso di pene corporali. Nel Medioevo il reo veniva flagellato, mutilato, condannato a morte. L’essere rinchiuso in una prigione non costituiva una punizione di per sé. Il carcere esisteva solamente in quanto luogo dove le persone venivano custodite in attesa di essere giudicate e dentro il quale le pene corporali potevano venire comminate. Lo stesso diritto canonico se ne serviva allo scopo di infliggere sofferenze fisiche al prigioniero, che veniva custodito in celle terribilmente anguste e privato del cibo. Con l’avvento degli Stati assoluti le pene corporali divennero, se possibile, ancor più violente. I sovrani, che si ritenevano tali per volontà stessa di Dio, ostentavano la propria forza esibendo crudeli supplizi. L’esecuzione delle pene avveniva esemplarmente sulle piazze, trasformandosi in uno spettacolo messo in piedi per il ludibrio del pubblico. Il sovrano rendeva così manifesta, sul corpo del condannato, tutta la distanza che lo separava dai propri sudditi. Siamo ben lontani dal concetto di Stato di diritto, che vede oggi nello Stato un soggetto vincolato a rispettare quelle medesime leggi che regolano la vita dei cittadini.
Fu il grande illuminista italiano Cesare Beccaria, autore del trattato dal titolo Dei delitti e delle pene uscito nel 1764, a criticare esplicitamente per la prima volta il diritto assoluto del monarca sul corpo e sulla vita dei suoi sudditi. È con l’Illuminismo che le punizioni corporali – a esclusione della condanna capitale, eredità di un’epoca giuridicamente poco progredita – vengono sostituite dalla pena della reclusione quale oggi la conosciamo. Dopo la metà del Settecento si affaccia una concezione rivoluzionaria del carcere. Esso comincia a venire inteso esclusivamente come uno strumento di limitazione della libertà. Ciò consente di modulare il suo utilizzo secondo regole chiare e valevoli per chiunque, di recludere il condannato per un periodo di tempo più o meno lungo a seconda della gravità del reato commesso. Questa trasformazione nell’uso delle prigioni ha permesso inoltre il sorgere di un’altra