Sicilia 1968 – Diari di guerra
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Anche sull’isola, innescata oltre vent’anni prima dalla mancata concessione dell’autonomia amministrativa, divampa una guerra civile tra la auto proclamata Repubblica popolare di Palermo, appoggiata dai russi, e il governo italiano, appoggiato dai militari americani.
Robert Barlow, giornalista inglese, sbarca a Catania, capitale della Regione autonoma Siciliana, per scrivere i suoi personali diari di guerra e testimoniare la crudeltà e l’assurdità della guerra.
1946: Re Umberto II e in seguito la Repubblica Italiana negano alla Sicilia lo status di Regione Autonoma, soffocando per anni nel sangue le rivolte e i tentativi di insurrezione del Movimento Indipendentista Siciliano
1965: Dopo anni di tensione covata sotto la cenere a Palermo esplode la rivoluzione degli indipendentisti, guidata dal Partito Comunista sotto il controllo di militari e consiglieri sovietici. L’Ovest dell’isola si proclama indipendente mentre l’Est rimane fedele allo Stato Italiano. Gli USA inviano in Sicilia 50 mila soldati: è guerra civile.
Roberto Guarnieri, classe 1963, è un ingegnere civile e lavora nell’Amministrazione comunale della sua città (Civitanova Marche). È appassionato di fantascienza, fantasy, archeologia e tematiche sui misteri delle antiche civiltà perdute. Ha pubblicato diversi racconti su riviste (Delos, Altrisogni, Writers Magazine Italia, Carmilla, Urania) e antologie (tra le più importanti le serie 365 racconti e Il Magazzino dei Mondi, tutti della Delos Books, oltre ad altre delle Edizioni Scudo). Ha frequentato nel 2012 un corso online di scrittura creativa con Franco Forte. È stato finalista al Premio Blakwood Algernon 2012, al Premio Urania Stella Doppia 2013 e al Premio della rivista Effemme 2013 e 2014 e al premio Robot 2014.
Per Delos Digital ha pubblicato racconti nelle serie Chew-9, Robotica, Sherlockiana, Innsmouth oltre al ciclo di romanzi brevi Il Circolo dell’Arca e il ciclo di romanzi brevi Terra Incognita.
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Anteprima del libro
Sicilia 1968 – Diari di guerra - Roberto Guarnieri
Prologo
Dopo due mesi trascorsi a inviare lettere all’ambasciata italiana, al dipartimento militare di Roma e a altri mille enti governativi ho ottenuto l’autorizzazione per andare in Sicilia, come corrispondente di guerra accreditato del Dayly Mirror.
Scriverò articoli da spedire a Londra ogni tre giorni, destinati, temo, prima alla censura italiana e poi a quella inglese. Ma la cosa più importante sarà quella di osservare il conflitto da vicino, toccare con mano la sensibilità della popolazione, ascoltare e intervistare più persone possibili.
Il mondo è diviso sulla Sicilia come sul Vietnam.
Solo che un conto è un lontano paese del Sud Est Asiatico di cui nessuno, fino a pochi anni fa, aveva mai sentito parlare, un conto è la Sicilia. Nel cuore dell’Europa, parte di uno stato membro della NATO, dilaniata da una lotta intestina che si protrae da troppo tempo, sullo sfondo della guerra fredda e dei suoi macabri equilibri di potere.
Scriverò un diario personale, oltre agli articoli per il Dayly, cercando di fissare le esperienze e le sensazioni che vivrò. La mia sede operativa sarà Catania, sede del comando militare alleato e capitale della Regione Autonoma Siciliana.
Sono emozionato, non vedo l’ora di iniziare!
Catania, 21 aprile 1968
Bisogna uscire dall’aereoporto, superando i negozietti di souvenir, i cesti di fichi d’india, le ceramiche e i panni da cucina ricchi di ricami, per capire di essere una zona di guerra. All’interno tutto sembra perfettamente normale, come in una qualsiasi città europea.
Sono in Italia ma tutto quello che poteva essere italiano, o almeno quello che immaginavo, termina dopo le grandi porte a vetri, nel piazzale bruciato dal sole circondato da piste di atterraggio costruite in fretta e furia piene di elicotteri e aerei da carico.
Il caos di jeep e veicoli militari parcheggiati alla rinfusa sull’asfalto pieno di buche, il via vai di soldati in uniforme, automobili e taxi, la folla di civili intenti a urlare e gesticolare, tutto testimonia l’agitazione della città e il suo distacco dalle tradizioni. La bandiera degli Stati Uniti è esposta ovunque, sugli edifici, sui veicoli e perfino nelle aiuole dei giardinetti. Il tricolore spicca solo su una bancarella di vestiario bellico, pentole, gavette e altre cianfrusaglie, tenuta da un vecchietto minuto e da un giovanotto, probabilmente il figlio.
Rimango in attesa del mio contatto, con la valigia poggiata a terra, coperto di sudore. Credevo di incontrare personale locale, addetti del Comune o inviati del Governatore.
Al contrario, un addetto militare americano, alto e secco come una canna di bambù e con il berretto calato sulla fronte, mi viene incontro reggendo un cartello con il mio nome.
Di funzionari italiani neppure l’ombra.
– Robert Barlow? – chiede, gli occhi nascosti dai Ray-Ban e il sorriso freddo di circostanza. Attende un cenno di assenso, rifiuta la mano tesa e si incammina verso una jeep parcheggiata lì vicino.
– Mi segua. La accompagno all’hotel.
Monto rapido, butto il bagaglio nel retro e tengo la macchina fotografica appesa al collo, carico di curiosità. Partiamo veloci percorrendo il tratto dall’aereoporto al centro città come se dovessimo vincere un gran premio. Lungo la strada osservo i passanti, le case, i negozi. Tutto appare normale. Le vetrine piene di oggetti, le tende parasole colorate, un mercatino di frutta e verdura affollato con le bancarelle colme di mercanzia. I posti di blocco, sbarre alzate e soldati armati che fumano sigarette, non perquisiscono nessun veicolo e lasciano scorrere il traffico intenso. Tutti suonano il clacson e sbraitano, apparentemente senza un motivo.
Arrivati nella piazza centrale, Piazza Duomo, parcheggiamo davanti all’Hotel Merletta, dove alloggia la stampa internazionale, sfiorando con la jeep i tavolini di un caffè, con i clienti infastiditi che sorseggiano succhi di frutta o caffè in attesa del pranzo, all’ombra di grandi ombrelloni bianchi.
– Non sembra esserci una guerra in corso – osservo guardandomi attorno curioso, mentre l’addetto tira giù i miei bagagli. Da una grande fontana zampilla acqua con un rassicurante fruscio.
– Questa è Catania – replica asciutto. – Sicilia dell’Est. I guai iniziano a ovest, nelle zone controllate della Repubblica Popolare di Palermo. L’esercito italiano e il nostro garantiscono la sicurezza di questa parte dell’isola.
– Da quel che si dice in Inghilterra non è così. Lei cosa ne pensa?
– Non sono pagato per pensare. – Posa a terra i bagagli infastidito e mi indica l’enorme portone di ingresso in legno di rovere e stucchi dorati. –