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La storia di Reggio Emilia: Dalla preistoria ai giorni nostri
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E-book378 pagine4 ore

La storia di Reggio Emilia: Dalla preistoria ai giorni nostri

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La Storia di Reggio Emilia inizia quando l’Appennino è sommerso dalle acque e la balena Valentina nuota negli abissi. Poi il mare si ritira, le vette affiorano e i primi insediamenti umani si stanziano qui, come l’ingegnosa civiltà terramaricola, scomparsa all’improvviso. Il volume ripercorre le origini di Reggio, dagli etruschi, che portano la scrittura nel territorio, ai romani, con Marco Emilio Lepido che fonda Regium Lepidi e la via Aemilia.
Incontriamo personaggi memorabili come Matilde di Canossa, al centro della lotta per le investiture, Lucrezia Borgia, che rende Reggio città cardine per la produzione della seta, Lazzaro Spallanzani, protagonista indiscusso dell’Illuminismo italiano, e Camillo Prampolini, padre del socialismo emiliano.
Reggio è una delle città più colpite dall’occupazione nazifascista, qui si combatte una strenua lotta al nemico e qui ha sede il famigerato luogo di tortura Villa Cucchi. Le pagine che raccontano delle donne e degli uomini che hanno pagato con la vita il prezzo della libertà – come i fratelli Cervi e don Pasquino Borghi – sono dolorose ma anche piene di eroismo.
Molti sono anche i misteri che avvolgono la città: il trafficante di opere false, la prima serial killer d’Italia, la nascita delle Brigate rosse, la guerra di mafia, gli intrighi dei servizi segreti e del terrorismo nero. E, infine, la pandemia, che ferisce la città nel profondo.
LinguaItaliano
Data di uscita30 giu 2021
ISBN9788836260836
La storia di Reggio Emilia: Dalla preistoria ai giorni nostri

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    La storia di Reggio Emilia - Barbara Curti

    Copertina-StoriaReggioEmilia-ebook.jpg

    CommunityBook - La Storia d’Italia

    Credits

    CommunityBook – La Storia di Reggio Emilia

    Edizione Ebook giugno 2021

    Un’idea di: Luigi Carletti - Edoardo Fedele

    Progetto di: Typimedia editore

    Autore: Barbara Curti

    Project manager: Simona Dolce

    Cura redazionale: Vincenza Vigianello

    Progetto grafico: Chiara Campioni

    Impaginazione: Federica Mattacola

    Foto: Barbara Curti

    Organizzazione generale e controllo qualità: Serena Campioni

    Product manager: Melania Tarquini

    In copertina: La statua del Crostolo / Shutterstock.

    ISBN: 978-88-3626-083-6

    CommunityBook online: www.typimediaeditore.it

    Direttore responsabile: Luigi Carletti

    Crediti fotografici: Fossile della balena Valentina nei Musei civici di Palazzo San Francesco / Shutterstock; Gessi triassici / Shutterstock; Castello di Canossa / Shutterstock; Ludovico Ariosto, ritratto di Cristofano dell’Altissimo (olio su tela, prima del 1568) / Wikipedia Commons; Sala del Tricolore / Shutterstock.

    L’editore si rende disponibile al pagamento dell’equo compenso per l’eventuale utilizzo di immagini di cui non vi è stata possibilità di reperire i titolari dell’avente diritto.

    © COPYRIGHT

    Tutti i contenuti di CommunityBook e degli altri prodotti editoriali della società Typimedia in essi citati sono di proprietà esclusiva e riservata della medesima Typimedia e sono protetti dalle vigenti norme nazionali e internazionali in materia di tutela dei diritti di proprietà intellettuale e/o industriale.

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    Per informazioni o richieste: info@typimedia.it

    La Storia di Reggio Emilia inizia quando l’Appennino è sommerso dalle acque e la balena Valentina nuota negli abissi. Poi il mare si ritira, le vette affiorano e i primi insediamenti umani si stanziano qui, come l’ingegnosa civiltà terramaricola, scomparsa all’improvviso. Il volume ripercorre le origini di Reggio, dagli etruschi, che portano la scrittura nel territorio, ai romani, con Marco Emilio Lepido che fonda Regium Lepidi e la via Aemilia.

    Incontriamo personaggi memorabili come Matilde di Canossa, al centro della lotta per le investiture, Lucrezia Borgia, che rende Reggio città cardine per la produzione della seta, Lazzaro Spallanzani, protagonista indiscusso dell’Illuminismo italiano, e Camillo Prampolini, padre del socialismo emiliano.

    Reggio è una delle città più colpite dall’occupazione nazifascista, qui si combatte una strenua lotta al nemico e qui ha sede il famigerato luogo di tortura Villa Cucchi. Le pagine che raccontano delle donne e degli uomini che hanno pagato con la vita il prezzo della libertà – come i fratelli Cervi e don Pasquino Borghi – sono dolorose ma anche piene di eroismo.

    Molti sono anche i misteri che avvolgono la città: il trafficante di opere false, la prima serial killer d’Italia, la nascita delle Brigate rosse, la guerra di mafia, gli intrighi dei servizi segreti e del terrorismo nero. E, infine, la pandemia, che ferisce la città nel profondo.

    L’autore

    Barbara Curti è nata a Reggio Emilia nel 1972. Giornalista professionista, ha studiato alle Università di Bordeaux e di Bologna dove si è laureata in Scienze politiche. Ha collaborato alla

    stesura del giornale di informazione del Parlamento europeo di Strasburgo ed è stata caporedattrice del tg nell’emittente locale Telereggio. Per la televisione ha ideato e condotto programmi culturali e di memoria storica. Ha realizzato decine di documentari su ambienti e popoli del mondo. Attualmente lavora come freelance.

    Prefazione

    La civiltà delle terramare che oltre 3500 anni fa abitò i territori di Reggio Emilia era formata da individui abili nell’agricoltura, nei commerci, nei lavori di artigianato e in quella che, nell’età del bronzo, si poteva definire arte. Per ben 500 anni i terramaricoli popolarono queste terre fino a quando, in maniera piuttosto repentina e misteriosa, scomparvero. Dopodiché arrivarono gli etruschi, poi i celti e infine i romani. Oggi, tra gli studiosi, sono ancora in molti a chiedersi come, e dove, sia finito quel popolo così virtuoso e incline a vivere in armonia con l’ambiente e con le altre genti. La risposta, almeno per chi conosce Reggio Emilia, è piuttosto semplice. I terramaricoli sono ancora lì, non se ne sono mai andati: sono i reggiani. Perché quelle caratteristiche antropologiche non sono mai scomparse, sopravvivendo a millenni di vicende tumultuose, anche tormentate e dolorose, fino ai giorni nostri.

    Per dirla con le parole di un grande reggiano, Romolo Valli, che nel 1975 tornò nella sua città: Qui c’è una vita civile che non si trova altrove. I problemi sono vissuti con una tale ansia di partecipazione che a me appaiono in una luce magica e incredibile.

    Quando parliamo di quell’Emilia che sa unire la cultura del lavoro con le passioni e i piaceri, Reggio è certamente tra le città (e le province) che in Italia meglio rappresentano questo complicato e affascinante mix di spirito di sacrificio e di amore per la vita. Nel ripercorrerne la storia, seguendo l’appassionato racconto di Barbara Curti, si comprende bene come questa terra nei secoli sia potuta essere patria di personaggi straordinari e al tempo stesso laboratorio d’innovazione continua, di idee, di scoperte e di realizzazioni che oggi sono l’orgoglio del made in Italy.

    La Storia di Reggio Emilia, dalla preistoria ai giorni nostri è – insieme a La Storia di Bologna – il primo volume che la collana di Typimedia sulla Storia d’Italia dedica all’Emilia, regione che per le sue caratteristiche segna il confine tra il nord e il centro del Paese. Un confine complesso, in cui la posizione geografica è il dato più evidente, mentre assai meno evidenti sono i connotati antropologici e sociologici che, per l’appunto, si richiamano anche a ragioni storiche che è avvincente ricostruire e indagare. La Reggio Emilia dalle origini etrusche ci riporta a una naturale connessione con le altre terre etrusche più a sud, in primis la Toscana, ma altrettanto forti sono gli influssi padani e i collegamenti con le culture del nord. Tutto questo si traduce in un’alchimia che sprigiona energie, personalità e talenti che nel corso dei secoli hanno fatto di questo territorio una delle più importanti risorse del Paese.

    "Il vero carattere di una città – scrive Jacques Yonnet nel suo Rue des maléfi-

    ces – si manifesta soprattutto nelle epoche tormentate". Lui, francese rifugiato a Parigi, parlava dell’amata Ville Lumière, ma le sue parole costituiscono probabilmente una formula giusta per qualsiasi città. E di epoche tormentate, Reggio Emilia nella sua storia ne attraversa moltissime, in un’alternanza continua tra momenti di sviluppo e altri di depressione. Eppure c’è un filo che non s’interrompe mai, neanche nelle fasi più buie, ed è quello del fare, del crescere, dell’andare oltre le difficoltà. In questo si riconosce il carattere di una città che – stretta tra centri altrettanto importanti e spesso più celebrati (Parma, Modena, Mantova) – non si arrende alle avversità e mette in campo le migliori energie. Una costante che emergerà soprattutto in epoca moderna.

    Dagli albori del Risorgimento, che nel 1797 qui vedono nascere il tricolore, fino alla Resistenza per la quale la città viene insignita della Medaglia d’oro al valor militare, Reggio racconta una storia che la proietta di diritto tra le capitali morali e civili del nostro Paese. E la sua forza sta soprattutto nel carattere di una comunità consapevole della propria storia. Quella che qui abbiamo provato a raccontare.

    Buona lettura a tutti.

    Luigi Carletti

    IL FOSSILE DELLA BALENA VALENTINA ALL’INTERNO DEL MUSEO. Lo scheletro di cetaceo, rinvenuto nel 1997 a San Valentino, risale a 3,6 milioni di anni fa. Diviene la mascotte dei bambini reggiani che le danno un nome, legato al luogo del ritrovamento.

    CAPITOLO 1

    La preistoria di Reggio tra balene, elefanti e terramare

    1.1 IL MISTERO DEL FOSSILE DI TOANO

    Uno sterminato oceano popolato da microrganismi, piante e spaventose creature marine. È questa Reggio Emilia 100 milioni di anni fa. Né città, né uomini, né terra. Neanche l’Appennino si vede perché le sue cime si stanno ancora formando nelle profondità marine.

    Per immergersi con l’immaginazione nelle calde acque tropicali dell’era mesozoica, tra 250 e 65 milioni di anni fa, basta entrare nelle sale dei Musei civici. Palazzo San Francesco, in via Lazzaro Spallanzani, da quasi due secoli è uno scrigno che custodisce i segreti della storia reggiana. A volere questa istituzione, nella prima metà dell’Ottocento, è Gaetano Chierici, prelato e ricercatore, considerato tra i fondatori della paletnologia, la scienza che studia le civiltà preistoriche attraverso l’analisi dei reperti archeologici.

    PALAZZO SAN FRANCESCO. Sede dei Musei civici di Reggio in via Spallanzani, dal XIX secolo custodiscono la memoria storica della città e della provincia dalle origini all’età contemporanea.

    Entrare nell’enorme edificio che si affaccia sulla piazza dei teatri e sui giardini pubblici è un’emozione. Nato come palazzo imperiale, si trasforma in sede vescovile nel 1195 quindi diviene convento francescano, caserma e scuola. Nel 1830 ospita la collezione dello scienziato Lazzaro Spallanzani e da allora si arricchisce di donazioni, acquisizioni e reperti rinvenuti nelle campagne di scavo che gli archeologi del museo coordinano in tutta la provincia.

    Le prime teche dedicate alle collezioni geologiche mostrano al visitatore le rocce più antiche del Reggiano, che si formano nel periodo Triassico, oltre 200 milioni di anni fa, grazie a lunghi processi di accumulo di sali ed evaporazione delle acque. Si tratta dei Gessi triassici, scavati dal fiume Secchia, che oggi si mostrano bianchi e ripidi nei Comuni di Castelnovo ne’ Monti e Villa Minozzo, a una trentina di chilometri da Reggio. Sono tra le formazioni più antiche dell’Appennino settentrionale e tra le poche visibili in Italia. La zona, protetta dall’Unione Europea e inserita nel Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, è ricca di doline e grotte e ospita le maggiori sorgenti carsiche della regione, le Fonti di Poiano.

    Il simbolo della montagna reggiana, considerato luogo sacro da quando l’uomo fa la sua comparsa, resta però una formazione più recente: la Pietra di Bismantova (citata da Dante nella Divina Commedia, vedi cap. 3), che prende vita in un mare poco profondo tra i 10 e i 15 milioni di anni fa. Svetta al centro della provincia lungo la Strada statale 63 che da secoli unisce la montagna alla città (vedi cap. 6).

    I GESSI TRIASSICI. Situate lungo il fiume Secchia, sono le formazioni più antiche dell’Appennino. Più a valle rispetto al corso d’acqua sono state ritrovate preziose testimonianze di epoca etrusca.

    Nelle sale del museo fanno capolino anche fossili di gimnosperme e ammoniti, denti di squali e mascelle di rettili primitivi con denominazioni altisonanti. Ma c’è un reperto ancora senza nome: è il misterioso fossile di Toano, risalente alla fine del periodo Cretacico, compreso tra 130 e 65 milioni di anni fa. Il ritrovamento avviene nell’autunno del 1996 lungo la pedecollina, a Montechiodo nel Comune di Toano. Un agricoltore sta arando il suo campo quando vede spuntare dal terreno un grosso pezzo di roccia. Oltre a essere ingombrante, porta impressa una strana forma: una doppia protuberanza lunga circa un metro, larga dieci centimetri e leggermente piegata a un’estremità. L’uomo, Gelsomino Guidetti, conosce molto bene il territorio: è una guida naturalistica ed è appassionato di storia e archeologia. Nella sua vita non si è mai imbattuto in nulla del genere e intuisce l’eccezionalità del ritrovamento.

    Qualche mese dopo, i ricercatori dei Musei civici scoprono che l’impronta è stata impressa circa 70 milioni di anni fa su un fondale marino molto profondo. L’età e l’origine marina sembrano certe, ma l’organismo che lascia questa traccia rimane comunque sconosciuto. Un solo ritrovamento simile è segnalato in Europa e si trova nel museo di Gmunden in Austria. Le ipotesi sono varie: un nuovo esemplare marino, il calco di un tentacolo di calamaro, un’impronta lasciata da vermi abissali o antichissimi escrementi.

    Potrebbe sapere di cosa si tratta solo il Mosasauro che in quello stesso periodo nuota nelle stesse acque. Parte del suo muso viene ritrovata nel lontano 1886 a Baiso, nel rio Marangone, un affluente del torrente Tresinaro, distante pochi chilometri in linea d’aria dal territorio toanese. È un vero e proprio mostro marino: il corpo, lungo fino a 17 metri, è simile a quello dei serpenti e ricoperto di scaglie sovrapposte, mentre il muso allungato ricorda un coccodrillo con denti enormi e conici e al posto delle zampe ha gigantesche pinne. Prima di lui, vivono qui altri spaventosi esseri marini come il Pliosauro, un rettile molto aggressivo con denti appuntiti e mascelle poderose.

    Nel marzo del 2019, i geologi dell’Università di Modena e Reggio mostrano alla stampa un piccolo frammento di dente. A ritrovarlo, durante una passeggiata tra i calanchi di Baiso, è un escursionista, Luca Bertolaso. In tanti, come lui, amano spingersi tra questi solchi scavati dall’acqua e dal vento e ricchi di fossili che raccontano di quando questo territorio è solo un immenso mare. Chissà quante conchiglie vede affiorare dal terreno, ma quel pezzetto di materiale scuro, lungo poco più di un centimetro e dalle particolari scanalature, è qualcosa di originale che merita l’indagine di esperti. Grazie allo studio dei microfossili e al campionamento dei sedimenti raccolti nel luogo del ritrovamento, gli scienziati dell’ateneo stabiliscono che risale a 90 milioni di anni fa e appartiene al Pliosauro, un abile nuotatore dal collo lungo, la testa grande e il corpo schiacciato simile a quello di una tartaruga. Questo grande rettile marino scompare nell’epoca dell’estinzione dei dinosauri, quando sotto l’oceano la placca africana e quella europea si avvicinano fino a scontrarsi.

    È allora che lentamente inizia a formarsi, e poi a emergere, l’Appennino reggiano. L’immensa distesa di acqua lascia così il posto al grande golfo padano del Pliocene (tra 5,5 e 2,6 milioni di anni fa).

    1.2 VALENTINA, LA BALENA DI CASTELLARANO

    Siamo nell’autunno del 1997, quando viene alla luce un nuovo ritrovamento, fortuito ma importante per la paleontologia.

    Il modenese Giovanni Brandoli, collaboratore del museo di Marano sul Panaro, sta camminando in una zona impervia a circa 30 chilometri dal centro di Reggio, lungo i calanchi di Castellarano. Sa bene che qui abbondano fossili antichi ma sa anche che spesso sono di scarso valore storico-scientifico. A un tratto, però, il suo sguardo nota qualcosa di non comune: dalla terra emerge un osso che sembra una mandibola di grandi dimensioni. Potrebbe essere una scoperta importante e decide di condividerla con gli esperti del museo. Iniziano così verifiche e sopralluoghi di geologi e archeologi provenienti da Modena, Reggio e Bologna. Dopo quasi un anno, il giudizio è unanime: si tratta di una scoperta sorprendente, uno dei ritrovamenti fossili più importanti in Italia. I resti appartengono a una balena del Pliocene medio, vissuta 3,6 milioni di anni fa. Le ossa però giacciono al termine di uno strapiombo di 40 metri, manca lo spazio per muoversi, i resti sembrano fragili mentre l’argilla che li ingloba è, al contrario, molto compatta.

    Nonostante le difficoltà, le incognite e la prospettiva di un lungo lavoro di scavo si decide di liberare lo scheletro. Per anni centinaia di bambini seguono entusiasti le fasi del recupero e nell’attesa la loro fantasia contribuisce a far tornare in vita il fossile marino al quale viene dato un nome: Valentina, perché il ritrovamento avviene nella località di San Valentino, nel comune di Castellarano. Da allora tutti conoscono questo esemplare del Pliocene medio come la balena Valentina.

    Mentre l’immaginario dei giovani cresce, decine di volontari sotto la supervisione di Silvia Chicchi, responsabile delle collezioni naturalistiche dei Musei civici, lavorano allo scavo. Due anni di costante impegno non bastano. Solo un intervento di urgenza autorizzato dalla Soprintendenza di Bologna nel 2000 permette il recupero dello scheletro. Viene utilizzata un’autogrù con un braccio di 40 metri, capace di sollevare fino a 11 quintali. Quando arrivano in città, le casse nelle quali si trova la balena sono talmente grandi che non riescono a entrare dal portone secondario di Palazzo San Francesco: occorre farle passare dalla porta principale. Un ingresso trionfale che consacra definitivamente Valentina come la mascotte della città, curiosa di conoscere ogni dettaglio della sua vita.

    La balena oggi occupa un’ala del museo insieme a ricostruzioni grafiche suggestive. Sembra di vederla mentre nuota nelle calde acque che, milioni di anni dopo, lasceranno il posto alla città di Reggio Emilia. L’ambiente è di tipo tropicale, i dinosauri si sono già estinti da almeno 60 milioni di anni, Alpi e Appennini sono in parte emersi e la Pianura Padana è occupata da un largo braccio di mare che lambisce le catene montuose. Nella zona di Castellarano c’è un golfo, ricchissimo di vita, delimitato a nord dalle alture di Montebabbio. Valentina misura 10 metri e pesa circa 30 quintali. Da tempo solca questo mare, poi un giorno si adagia su un fianco a una profondità tra i 20 e i 50 metri. Un dente ritrovato nelle vicinanze ci dice che uno squalo spazzino, probabilmente una sorta di odierno squalo bianco, si è nutrito dei suoi resti. Ma lo scheletro della balena giunge fino a noi per restituire ai reggiani un pezzo della loro preistoria.

    1.3 AL LAVORO NELLA FABBRICA DELLA PIETRA

    È tempo di uscire da Palazzo San Francesco per un giro in bicicletta di una ventina di minuti lungo il Crostolo, il corso d’acqua cittadino che raccoglie attorno a sé popoli di origini diverse per migliaia di anni. Durante il percorso sulla ciclabile che conduce a circa sei chilometri da Reggio, a Rivalta, è inevitabile riflettere su come abbia fatto a scomparire l’immenso golfo padano. Il pensiero corre alle parole di Silvia Chicchi quando ci spiega che nel Pleistocene, tra 2,6 milioni e 11.700 anni or sono, l’Appennino continua a sollevarsi e le acque salate si ritirano facendo emergere nuove terre. Il mare reggiano si chiude circa un milione di anni fa e lascia il posto a un grande lago che ricopre l’odierna città e la pianura a nord, fino al fiume Po. A sud di Reggio le sponde del lago lambiscono quella che oggi è la frazione di Rivalta.

    IL GRANDE LAGO. Guardando a valle dopo la salita che dalla frazione di Rivalta conduce a Puianello, si nota il dislivello del bacino d’acqua dolce che copriva Reggio un milione di anni fa.

    Dove si trova Villa d’Este, il casino voluto dal duca Francesco III d’Este nel XVIII secolo (vedi cap. 5), circa un milione di anni fa sfocia un fiume, l’antenato del Crostolo, che lascia a terra i detriti raccolti a monte. I depositi alluvionali formano terrazzamenti e valli fluviali che attraggono una ricca fauna. Lo stesso accade anche per gli altri due corsi d’acqua cittadini, il Modolena e il Rodano.

    Camminare a sud di quella che sarà la via Emilia 800.000 anni fa significa ritrovarsi immersi tra laghi e paludi in un ambiente che pullula di vita. L’erba e gli insetti abbondano, i molluschi di mare lasciano il posto a quelli d’acqua dolce. Ci sono animali simili agli odierni, come lupi, daini e cervi. Ma è facile imbattersi in specie, ora estinte, di notevoli dimensioni che salgono verso nord dopo aver colonizzato la Toscana: il rinoceronte etrusco a due corna, il possente ippopotamo, il carnivoro orso etrusco e il mammut meridionale alto 4 metri e lungo 6, con zanne enormi. Il ritrovamento archeologico più prezioso avviene vicino all’alveo del Crostolo: si tratta di una parte delle corna di un Cervalces, della specie carnutorum, un cervo estinto circa 11.000 anni fa, simile all’odierno alce. Rinvenire i suoi resti è una rarità in Italia. In tutta la Penisola si conta solamente un’altra segnalazione di questo esemplare: nel Bergamasco, a Fornaci di Ranica. È un animale imponente, con zampe lunghe e corna palmate che si ramificano e arrivano a due metri di larghezza.

    La grande varietà di fauna ritrovata lungo i torrenti della città dimostra l’alternanza, nell’ultimo milione di anni, di periodi freddi, detti glaciali, e periodi caldi, interglaciali. Quando il clima è subtropicale il paesaggio diventa simile a una savana africana con rinoceronti ed elefanti, erba alta e alberi lungo i corsi d’acqua. Quando il termometro si abbassa, Reggio si trasforma in una sorta di taiga con foreste di pini, abeti rossi e betulle alternate a prati di graminacee, un ambiente simile a quello di Canada o Norvegia. Tra 17.000 e 12.000 anni fa il terreno si inaridisce e gli alberi lasciano il posto alla steppa in cui corre un bisonte simile a quello che oggi popola le praterie americane. Grandi erbivori e pericolosi carnivori diventano preda dei primi ominidi che si spostano nel territorio probabilmente già 400.000 anni fa. Paolo Magnani, nel testo Preistoria di Reggio Emilia, ipotizza che la più antica cultura presente nel Reggiano

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