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Dalle mie ceneri
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Dalle mie ceneri
E-book112 pagine1 ora

Dalle mie ceneri

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Fantascienza - romanzo breve (87 pagine) - Isole Falkland, o Malvinas. Nel 1982 fu teatro di una guerra tra Argentina e Inghilterra: vinse l'Inghilterra, destabilizzando il governo argentino e rafforzando quello della Thatcher. Ma se le cose fossero andate diversamente?


Per le strade di Buenos Aires si aggira un reduce molto speciale di una guerra a sua volta molto particolare: l’Argentina non ha mai perso le isole Malvine. Rico è uno dei tanti volontari italiani che hanno aiutato il paese sudamericano a infliggere all’Inghilterra una sconfitta tanto sorprendente quanto umiliante, e a costruire il socialismo sotto la Croce del Sud e in gran parte del mondo. Di speciale, però, Rico ha anche altre doti, che qualcuno vuole mettere a frutto per invertire la tendenza politica. Un qualcuno potente e senza scrupoli, che non esiterà a scavare nelle debolezze di Rico e a mettere in campo una scoperta scientifica che aprirà nuove frontiere al genere umano. Ma di che umanità stiamo parlando?

Una storia avvincente dal maestro italiano della storia alternativa.


Giampietro Stocco è nato a Roma nel 1961. Laureato in Scienze Politiche, ha studiato e lavorato in Danimarca per alcuni anni. Giornalista professionista in RAI dal 1991, è stato al GR2 e attualmente lavora nella sede regionale per la Liguria di Genova, la città dove risiede. Studioso e maestro del genere ucronia, ha pubblicato finora sette romanzi: Nero Italiano (2003) e il sequel Dea del Caos (2005), Figlio della schiera (2007), Dalle mie ceneri (Delos Books 2008), Nuovo mondo (2010), Dolly (2012), La corona perduta (2013). Da Dea del Caos il regista Lorenzo Costa ha tratto un adattamento per il palcoscenico che è stato messo in scena dal Teatro Garage di Genova nel 2006 e nel 2007. Nel 2006 ha vinto il premio Alien.

LinguaItaliano
Data di uscita5 dic 2017
ISBN9788825404227
Dalle mie ceneri

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    Anteprima del libro

    Dalle mie ceneri - Giampietro Stocco

    9788825404074

    Mi Buenos Aires querido,

    cuando yo te vuelva a ver,

    no habrá más penas ni olvido.

    (Alfredo Le Pera, 1934)

    Capitolo primo

    Capital Federal, estate 2015

    La coppia di tangueros completò la figura tra gli applausi, rimanendo infine strettamente avviluppata; lei col minuscolo corpo chinato all’indietro, la gamba sinistra attorno ai fianchi del compagno; lui, a protendere il volto languido e rapace a pochi centimetri dal viso della donna. Passione simulata per uno spettacolo da strada su un Caminito arroventato dall’estate: il sole di gennaio batteva sul selciato polveroso e sulle lamiere dipinte della Boca, mentre un malinconico Maradona di cartone ammiccava verso il menù a base di asado di un ristorante.

    All’ennesima zaffata di carne alla griglia cotta a puntino da scrupolosi mecanochef, Rico provò un groppo di nausea. Quell’odore sembrava essere dappertutto da quando la città era diventata una sorta di Parigi australe. Gruppi organizzati di turisti cileni e brasiliani incrociavano le loro strade e le loro lingue, come se anziché nella Gran Buenos Aires fossero sulla spianata di Abu Simbel. Tutti curiosi di visitare quanto rimaneva del quartiere degli artisti argentini, nessuno in grado di distinguere il sapore di una specialità che ormai ogni locale preparava esattamente nello stesso modo.

    Rico annaspò nell’aria carica dell’umidità che portava il Rio de la Plata. La foschia nascondeva la cima delle torri cristalline della metropoli, e dal grande fiume saliva una nebbiolina carica di vapore. Avvertì una fitta alla mano destra. D’istinto pensò a massaggiarsi le dita doloranti.

    Rise subito tra sé. Il massimo che avrebbe potuto fare sarebbe stato premersi amorevolmente l’altro palmo sull’estremità di un moncherino, troncato all’altezza del gomito dall’affilata lama di un kukri. Mount William, isole Malvine, 14 giugno del 1982. Trentatré anni prima. Strinse i denti al ricordo: gli rimandava uno strazio ancora vivo e abbacinante. Prese coraggio e si afferrò la punta ormai smussata dell’osso. Non gli ci volle un grande sforzo per atteggiare il volto a una smorfia dolente. Sospirò e si fece sotto alla comitiva brasiliana.

    – La carità, senhor, per un reduce del Sud Atlantico… La carità, por favorObrigado!

    Rico sapeva, per esperienza, che in pochi avrebbero dato retta a un mendicante. Ancora meno persone, però, in tutto quel palpare di spalle, schiene e fianchi, avrebbero fatto caso che quella mano, oltre a chiedere, finiva anche per servirsi, svuotando con rapida perizia tasche e borselli.

    Certo, racimolava poco contante, ma le carte di credito avrebbe potuto duplicarle in poco tempo, garantendosi una finestra di una settimana per svuotare i conti di quei ricconi. E per spendere tutto. Così sopravviveva per le strade della Boca un ex eroe delle Malvinas, uno dei seimila volontari italiani che avevano ingrossato le fila dell’esercito argentino.

    – Ehi, tu, storpio. Cosa stai facendo?

    Il poliziotto si era materializzato come dal nulla, in piedi vicino alla caricatura di Maradona. Si picchiò il palmo della mano con un lungo sfollagente nero, sicuramente di quelli con taser incorporato. Si avvicinò infine a Rico, affondando le dita nel moncherino, proprio lì dove i nervi erano stati recisi. La mano fantasma reagì come fosse stata tagliata una seconda volta. Una fitta di dolore esplose dritta nel cervello.

    – Cosa fai, adesso, parassita, perché ti sei fermato? – chiese lo sbirro con un sorriso crudele. Grosse gocce di sudore freddo cominciarono a correre giù per il viso di Rico. – Circolate, signore e signori – esortò quindi il poliziotto rivolgendosi alla folla che si era radunata. – La polizia vigila affinché i cittadini del Cono Sur possano godere della Gran Buenos Aires.. Fate attenzione quando vi addentrate nei vicoli! Mantenetevi nell’olocorsia di colore verde. Ecco, così. Intanto – continuò rivolto a Rico – questo figlio di puttana viene in caserma con me.

    Sempre tenendo Rico saldamente per il moncherino, il gendarme si avviò verso le strade più squallide che costeggiavano il porto. Niente segnali 3d per i turisti, qui, nessuna corsia preferenziale, solo l’abbandono caratteristico dei bassifondi a due passi dai quartieri eleganti. L’odore di colonia scadente che emanavano i capelli impomatati dello sbirro provocò a Rico un nuovo conato, che riuscì a stento a ricacciare indietro.

    Il sapore amaro di bile gli aveva invaso la bocca proprio mentre varcava la squallida soglia di un degradato palazzone. La facciata liberty, un tempo bianca, era ormai del tutto sfigurata dallo smog e dalla sporcizia: appena poco lontano dai fasti della Boca, della Recolleta o del modernissimo Puerto Madero, Buenos Aires era sempre la stessa trasandata puttana di sempre. Due luride rampe di scale, una rapida camminata attraverso un open space che rigurgitava di poliziotti con auricolare e telecamera-partner appollaiata sulla spalla, i più seduti a consolle virtuali che manovravano con movimenti appena accennati delle mani. Rico fu infine scortato dentro un ufficio tanto luminoso quanto in apparenza privo di strumenti elettronici. Oltre l’ampia finestra, la vista sui docks e i magazzini lungo il Rio de la Plata gli ricordavano assurdamente il porto di Genova. Una nuova, violenta fitta di dolore e uno strattone lo costrinsero ad accomodarsi su una sedia traballante. Davanti a lui, una larga scrivania. L’agente che lo aveva arrestato scambiò due parole all’orecchio con il nuovo tipo. Era un uomo dal colorito olivastro e sfoggiava un paio di anacronistici baffetti. Se ne stava accomodato dietro un piano di plastica celeste a leggere un antiquato dossier cartaceo . Rico riconobbe il colore vagamente luminescente del tavolo: bastava scarabocchiarci sopra qualcosa con l’apposito stilo, o anche solo con un’unghia, e il software incorporato avrebbe tradotto i segni in appunti digitali. Di sicuro il minimo di tecnologia che poteva permettersi un funzionario poco avvezzo alle modernità. Dentro di sé Rico sbuffò di sufficienza. Quello sbirro di quartiere poteva legarselo intorno al dito mignolo superstite.

    – Va bene così, Alvárez. Rimanga pure – disse infine il poliziotto facendo un gesto vago vicino a sé. Il gendarme argentino si accomodò alla sinistra del suo superiore, le braccia incrociate dietro la schiena, in posizione di riposo.

    – Allora, amico mio – cominciò l’uomo, lisciandosi i baffetti. – Alleggerivi le tasche ai turisti, vero?

    L’accento non era certamente porteño.

    – Commissario…– iniziò Rico. Non sapeva di fronte a quale grado gerarchico si trovasse, ma commissario era un buon titolo da usare con qualsiasi poliziotto argentino.

    – Zitto, non interrompere. Faccio io le domande. E chiamami capitano Salinas.

    Cileno, cazzo. Rico lo capì dalla pronuncia arrotata, prima ancora che dalla sua arroganza. Con improvviso timore, alzò gli occhi alle foto, autentiche e costose riproduzioni su carta chimica, che dominavano la parete dietro la scrivania: a sinistra, un uomo con gli occhiali dalla montatura pesante e i capelli candidi. El compañero Presidente Salvador Allende, 1908-1988 stava scritto in bei caratteri. A fianco, l’altra foto, più frequente nei locali pubblici, ritraeva un uomo in uniforme. El general Leopoldo Galtieri, presidente de la Republica Argentina 1981-1985. Entrambi sorridenti, Galtieri nell’ultimo anno del suo mandato. Si trovava dunque di fronte a un poliziotto cileno che operava a Buenos Aires. La cosa non era rara, ma solo se si trattava di alti quadri. In un paese come l’Argentina, dove nonostante il nuovo ordine i pregiudizi erano duri a morire, i cileni e le loro maniere spicce non erano ben visti.

    – Documenti, prego – ordinò il cileno. – No, non quella poco riuscita imitazione in fibra di carbonio che ti ha sequestrato Alvárez – aggiunse con un sogghigno leggendo nella mente di Rico. Stese una mano callosa attraverso il piano del tavolo. – Dammi il Documento.

    Rico esitò, tradusse tra sé, poi comprese. Salinas aveva usato la parola papél. Ma certo. Il documento per eccellenza. Come ho fatto a non capirlo? Rico consegnò macchinalmente il suo vecchio foglio di congedo, quattro pagine di carta consunta su cui a stento si riusciva ancora a leggere. La sfida non scoraggiò Salinas, che anzi sorrise nel maneggiare gli antiquati fogli.

    – De Luca Enrico… Un bel nome da italiano. Non ti

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