D’istanti e d’istinti

Di Manuel Pellegrino

Silloge sincera e diretta che offre immagini immediate come fotografie, attimi della realtà odierna. Lo sguardo disincantato, mai banale, mette a fuoco tematiche che nessuno di noi può ignorare, dove è possibile riconoscere i nostri pensieri finora sopiti: ricordi di un passato ricco di sogni, consapevolezza di un presente in cui si perdono i buoni sentimenti e altri scrivono la nostra storia.
Poesia civile, al tempo stesso personale, capace di smuovere le nostre coscienze. Con il suo declamare ora serio, ora scherzoso, più di una volta tocca, infatti, un nervo scoperto e colpisce fin nel profondo. Ci dice anche che la felicità deriva da noi e da noi soltanto, dalla nostra voglia di lottare contro le avversità della vita.
Se per il Poeta lo scorrere del tempo assume sfumature legate al suo vissuto, le domande che si pone ci appartengono e mettono in gioco ciascuno di noi.
Una considerazione tra le tante, in questo periodo la solitudine è stata l’unica compagnia per molti, una solitudine forzata che non ha niente a che fare con quella desiderata, scelta. Chissà poi se ne rimarrà memoria o, come un cimitero abbandonato, sarà spazzata via? Il Poeta lo chiede a se stesso e al Lettore con i suoi versi ritmati. Un linguaggio singolare in cui le parole si rincorrono, accordano frasi, chiariscono concetti, giocano con rime baciate, alternate. Interessante l’utilizzo tutto personale della canzone di classica memoria, capace di creare un effetto ballata veramente suggestivo.

• Lingua: Italiano
• Editore: Giovane Holden Edizioni
• Data di uscita: 28 feb 2022
• ISBN: 9788832929737

Anteprima del libro

Requiem

Alla fine del giorno, al calar del sipario,

la notte m’attende, gravoso sudario.

Né più risuonan musiche attorno:

il silenzio m’avvolge, indietro ritorno

all’epoca dolce, fanciulla la speme,

ai sogni sognati, al desio che preme

contro le porte di un cuore innocente,

andito sacro, gaio e fremente.

Cosa è rimasto di quelle illusioni?

Cosa resiste, quali passioni?

Poco mi resta, né resta uguale:

radici pur solide non reggon lo strale

di un fosco presente, di un vago sentore,

esalan pochezza, squallido atrore.

Eppure non cessa l’afflato di vita:

ancora combatto,

non è finita.

Per guadagnare l’estremo saluto.

E affermare

di avere vissuto.

Paradise

Di celie e di risa la vita sia piena,

la noia scacciamo, e pur la tristezza:

null’altro c’importa, avanti, con lena,

si appronti la festa, si esulti d’ebbrezza!

Cos’ho da spartir con chi ha freddo e chi ha fame,

forse è affar nostro il dolore del mondo?

Di certo chi soffre è un vigliacco e un infame,

io al contrario son probo e giocondo.

Unitevi tutti al nostro godere:

qui troverete un lusso sfrenato!

Nulla sarà più da temere,

ogni appetito avrete saziato.

Ma dove trovare un tale miraggio,

come, perché, quale il suo prezzo?

Nessun sotterfugio, mettetevi in viaggio,

di chi non s’unisce abbiate disprezzo.

Non v’è che da compiere un ultimo passo,

cosa da nulla, un piccolo sasso