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Il viaggio del figlio
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E-book88 pagine1 ora

Il viaggio del figlio

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“Il viaggio del figlio” è un romanzo che oscilla tra il piano onirico e il reale, come nel cinema italiano che l’autore predilige, in cui si intrecciano gioia, malinconia e un sentimento palpabile di disperazione.
Il protagonista è Diego, un giovane siciliano che parte per Parigi per ritrovare il fratello Sandro. Lo accoglie Lea, la cognata che lo porta in periferia, all’ultimo piano di un palazzo inabitato e fatiscente. Come in un thriller, un’interminabile attesa lo mette alla prova.
La vicenda suscita torbide emozioni. Una sera, Diego cede alle seduzioni di Lea. Roso dal senso di colpa, dai rimpianti e dal rimorso di quell’amore proibito, aspetta il fratello per giustificarsi. Comincia così per Diego una discesa agli inferi, popolata di fantasmi venuti a giudicarlo.
La sua salvezza arriverà da Ismael, che i lettori di Bellanti hanno già conosciuto nel suo precedente romanzo Qualche Giorno a Montecatini, dove Ismael è un clandestino.
“Mi piace che si ritrovino certi personaggi da un romanzo all’altro – ha dichiarato Bellanti – È un modo di continuare la loro storia, di farli vivere di nuovo”.

“Un libro dal ritmo incalzante, riuscito, originale”
Patrice Leconte - regista francese
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2016
ISBN9788895226460
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    Anteprima del libro

    Il viaggio del figlio - Louis Salvatore Bellanti

    L'Autore

    Capitolo primo

    Quel giovedì accompagnai mia madre alla Banca del Sud a ritirare la parte di eredità di mio fratello Sandro. Lui viveva a Parigi e non avevamo sue notizie da più di vent’anni. Una mattina era partito con Lea Fusco, la nostra vicina di via Caravaggio, e non s’era fatto più sentire. Mi chiedevo quanto fosse cambiato, che lavoro facesse, se fosse felice. Pensavo a tutto questo mentre guardavo oltre lo sportello la giovane impiegata intenta a scrivere al computer. Stampò un foglio ed annunciò a bassa voce il saldo del conto. Mia madre ebbe un mancamento e cominciò a tremare. Era così agitata che dovetti sostenerla per evitare che cadesse. Il direttore della banca si precipitò dal suo ufficio e tentò di spiegarci che mio padre aveva investito in borsa ma le cose erano andate piuttosto male. Il conto era sotto di cinquantamila euro. Allontanatevi! urlò mia madre. Non azzardatevi ad avvicinarvi a me! Voglio i miei soldi! Ladri che non siete altro!

    E svenne fra le mie braccia.

    Mi aiutarono a portarla a casa. Abitavamo all’inizio di via Caravaggio in una casa costruita da un antenato architetto che si era ispirato allo stile barocco. La villa, su tre piani, si affacciava su un patio al centro del quale campeggiava un imponente cedro. Nel paese tutti conoscevano Villa Soriano.

    Dopo una breve visita il dottor Zarbo le somministrò un tranquillante, fece una diagnosi rassicurante e se ne andò.

    – Cosa possiamo fare, Diego, per i nostri soldi?

    – Le banche propongono investimenti per far fruttare un capitale ma i rischi ci sono sempre.

    Mio padre aveva sempre cercato di evitarle le seccature quotidiane, le cataste di scartoffie da consultare, i documenti da inviare… Così quando aveva deciso di investire in azioni bancarie l’aveva tenuta all'oscuro di tutto.

    – Non posso accettare che la banca ci rubi soldi impunemente. Chiama don Paolo. Se mi viene un altro collasso voglio la sua benedizione.

    – Non hai avuto nessun collasso mamma. È stato un semplice svenimento.

    Chiamare il prete però era una buona idea. Il sant’uomo era rispettato e quello che diceva lui era Vangelo.

    Quando arrivò e gli spiegammo come stavano le cose, disse che anche lui aveva perso un bel po' dei suoi risparmi giocando in borsa.

    – Le imprese sono fallite, figliolo. I governi si susseguono ma non cambia nulla.

    – Questa non è una novità, disse mia madre.

    – E poi c’è questo liberalismo e tanti eventi che ci sfuggono, come il crollo delle borse europee, l’impennata dei corsi del petrolio… Ma ora riposatevi donna Margherita.

    – Come faccio a non pensare più a niente?

    – Vi starò vicino.

    Sotto l’effetto del tranquillante e delle preghiere finì per addormentarsi.

    Rimasti soli, offrii a don Paolo del vino di nostra produzione. Mandò giù un sorso e posò il bicchiere con aria beata.

    – M’è sempre piaciuto questo vino e ho finito quello della messa. Non è che puoi procurarmene un po’?

    – Certo.

    – E così tua madre non era al corrente di questi movimenti bancari. Siamo rimasti fregati tutti, mal consigliati dall’avvocato Ferzetti. Ora nessuno gli rivolge più la parola. Io stesso ci ho rimesso diecimila euro. Non è poco per un povero prete.

    – Perché le cose sono finite così per i Fusco?

    – È la Sicilia. Il rispetto, l’eterna questione d’onore. Tuo padre era venuto a trovarmi. Era convinto che i Fusco vi avessero fatto il malocchio... Si augurava un altro avvenire per Sandro, una moglie diversa. Ma Sandro voleva tutto e subito. Ora solo tu puoi rimettere in ordine le cose. Riporta qui tuo fratello e cerca di aiutarlo.

    – Ci proverò.

    – Ci sono voli diretti per la Francia.

    – Mia madre non vuole sentirne parlare, ha paura che si schianti l’aereo.

    – Prendi il treno?

    – No, almeno per il primo tratto. Ha paura che qualcuno mi aggredisca di notte.

    – Ma… mica ci andrai a piedi?

    – Mia madre s’è rivolta a un’agenzia di viaggi. Ha organizzato un itinerario sicuro.

    – Va bene, credo proprio che non sia il momento di contrariarla. Sei fortunato di andare a Parigi e poter visitare tutte quelle belle chiese: la Madeleine, il Sacro Cuore, Notre-Dame. Ci sono stato più volte quando ero un prete novello.

    Mi diede un ramoscello di ulivo.

    – Mettilo in valigia.

    – D’accordo.

    Finì il suo bicchiere.

    – Posso chiederle un’ultima cosa, don Paolo?

    – Dimmi.

    – Perché tutto questo mistero sulla morte di mio padre?

    – Sapendo di essere ammalato, temo che abbia preferito porre fine ai suoi giorni. Non voleva che lo si vedesse in quello stato... Prenditi cura di te e torna presto.

    Accennò una benedizione e si avviò alla porta d’ingresso.

    Provai un’improvvisa tenerezza per mio padre, un bisogno di liberare tutte le emozioni accumulate dalla sua morte che non ero riuscito ad esprimere. Aprii l’armadio della biancheria e presi da sotto una pila di lenzuola la scatola dei ricordi. Li conservavo dalla mia infanzia. Alzai il coperchio. Tra le lettere dall’America, le pagelle, le partecipazioni di nascita, c’erano delle foto mezzo sbiadite. Illustravano la triste storia della nostra famiglia. Mia sorella Bianca a scuola, il matrimonio dei miei genitori, mio padre con i braccianti nelle vigne. Altre foto ritraevano varie fasi della nostra vita: mia nonna nella bara, io mascherato per la festa di Carnevale, Bianca in costume da bagno sorridente davanti all’obiettivo. Poi nient’altro. Di lei restavano solo il sorriso e gli occhi a mandorla in quell’istantanea che simboleggiava l’ultima estate trascorsa con lei a Agramonte. I nostri ultimi bagni. Le nostre ultime risate. Un tassello di felicità trattenuto per sempre.

    Mi fermai davanti alla camera di mia madre. La osservai attraverso la porta socchiusa. Sostenuta dai guanciali fissava il ritratto di mio padre illuminato da una candela. Nato in una famiglia di nobili, mio padre l’aveva sposata per ragioni rimaste segrete ed i suoi

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