Gocce di luna
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Anteprima del libro
Gocce di luna - Luciana Pericci
Anna sarà
Anna sarà...
Crescerà nell’eterno gioco della vita.
Anna sarà
Libera di volare
Su un mondo che ora non capisce.
Anna sarà
Un sorriso sulle ali di una farfalla
Un raggio di sole oltre la nebbia che ora la confonde.
Anna sarà
Lacrima sulle ombre umane
Nota stonata fra falsi richiami.
Anna sarà
Sirena o centauro
Margherita o orchidea.
Anna sarà
Una donna
Voglia di cielo
Di spazi infiniti
Di fuoco che arde
Di amore che accoglie.
Anna sarà
il suo domani.
PROFEZÌA
Auree angeliche fra raggi di sole e grani di sapere
«Mamma, io vedo l’angelo custode dietro alle persone!»
Questa frase, detta da Anna, quando aveva circa cinque anni, allarmò, non poco, sua madre, già perplessa dai molti bicchieri di vetro rotti. Esprimeva così, la presenza di una forte miopia congenita, la mancata percezione dei contorni. Le sagome delle persone le risultavano sfocate e l’alone intorno, con la luce, veniva da lei percepito come un’aurea evanescente. Iniziò la conoscenza e i periodici rapporti con l’oculista, basati su un sentimento di amore-odio, dipendenza e gratitudine. La prima visita fu un trauma: Anna era impaurita e poco collaborante. E poi gli occhiali, spessi, pesanti, che alterarono, disturbando, la sua visione del mondo, i rapporti con gli altri.
Anna per carattere preferiva appartarsi per leggere un libro e fantasticare da sola, invece di stare con gli altri bambini, diventò ancora più strana: una bambina molto brava e diligente a scuola, da dieci in condotta, ma complessivamente asociale.
Questo non dipendeva solo da una certa timidezza e dal portare gli occhiali, per altro con correzione non idonea, data la riluttanza durante le visite: Anna trovava i suoi coetanei, noiosi, con giochi un po' stupidi.
A lei piaceva andare in bici, da sola o con suo padre, insieme al cane o salire all’ultimo piano della casa, in terrazza, per guardare più lontano possibile, sopra quei tetti rossi, vicino alle nuvole. Il campanile della chiesa era poco lontano e, al suono delle campane, ne sentiva le potenti vibrazioni, tappandosi le orecchie per diminuirne l’intensità sonora.
La scuola, dopo un iniziale, lungo periodo di adattamento, era, per lei, un piacevole dovere, fonte di nozioni da apprendere. I libri erano preziosi, attraenti con le loro parole, i disegni, il loro profumo.
Non riuscendo a vedere la lavagna, stabiliva un rapporto simbiotico con la compagna di banco: lei le diceva cosa c’era scritto e, Anna, l’aiutava nei compiti.
Considerato il problema visivo, fin da piccola, i genitori favorirono Anna nella lettura, nell’osservazione dell’ambiente circostante.
Durante le passeggiate nel bosco, il padre e il nonno, la stimolavano ad osservare e ad ascoltare i suoni, ad avvertire gli odori: le foglie avevano colori e margini diversi, ogni uccellino aveva il suo canto, la pioggia, il muschio, la salvia, avevano un odore proprio, ogni paesaggio la sua prospettiva. Lei veniva lodata ad ogni conquista, rassicurata ad ogni risposta negativa.
Anna cominciò ad acquisire la capacità di vedere e non solo di guardare... Per prendere confidenza con le lenti e i sistemi ottici, giocava con una vera macchina fotografica della quale conosceva i componenti e il funzionamento, con lenti di ingrandimento e binocoli, usati dal padre nelle gite in montagna. L’uso della macchina fotografica, portò Anna ad avere una particolare propensione per le foto, diventato qualcosa in più di un passatempo: le foto fermavano l’attimo, fermavano un’emozione.
Ma i libri rappresentavano i suoi amici più cari. Appagavano la sua sete di sapere, la sua curiosità di conoscere: dai libri di scuola a quelli ricreativi, dai manifesti alla carta del cioccolato, tutto era interessante.
Nell’adolescenza gli occhiali diventarono più pesanti, sia perché aumentavano le diottrie di correzione, data la malattia progressiva, sia perché psicologicamente insopportabili. Anna, spesso, evitava di metterli, ma ciò le provocava non pochi disagi e imbarazzi, specie in discoteca o a passeggio. Lo sguardo vacante, un po' perso, le faceva assumere un’espressione distaccata, giudicata fra il misterioso e il superbo, irreale e inconsapevole.
Però si sentiva, anche se non bella, ugualmente ammirata e amata dai genitori, dagli insegnanti, dagli amici, ugualmente corteggiata. Gli occhiali diventarono un personale modo di essere, o da vista o da sole, non li avrebbe più lasciati. Ma bastava toglierli e ritrovava il suo mondo infantile, dai contorni morbidi, tra fate e auree angeliche, rassicuranti.
Anna, adolescente, cominciò ad essere notata, un punto di riferimento a scuola e fra gli amici. Bella, seria, non incline a pettegolezzi o a pregiudizi, forse non in linea con i coetanei. Iniziò l’impegno sociale, politico: collaborare con le assistenti sociali, partecipare alle manifestazioni di protesta, ascoltare gli echi femministi.
Erano anni difficili, inquieti, pericolosi, ma pieni di aspettative. Si respirava aria di grandi conquiste sociali e si avvertivano i segni di cambiamenti e diritti, con illusioni e potenzialità espressive. In quegli anni strutturò l’ideologia di essere donna, la volontà di fare carriera, il credo dell’indipendenza senza la tutela maschile.
Il lavoro non era un problema: veniva cercata e richiesta per i suoi alti esiti scolastici, un riconosciuto merito gratificante e motivante.
Come primo lavoro,