Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il Giocatore di Scacchi
Il Giocatore di Scacchi
Il Giocatore di Scacchi
E-book324 pagine5 ore

Il Giocatore di Scacchi

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un bambino appena nato, viene abbandonato dalla madre, dai frati cappuccini in un convento di un lontano paese del sud d’Italia.

Cresciuto in quel mondo, diventa pure un giocatore di scacchi e nel corso della sua esistenza inizia a girare il mondo e si trova coinvolto in particolari avventure a volte anche grottesche.
LinguaItaliano
Data di uscita7 apr 2020
ISBN9788831665582
Il Giocatore di Scacchi

Leggi altro di Charles Vas

Correlato a Il Giocatore di Scacchi

Ebook correlati

Classici per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il Giocatore di Scacchi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il Giocatore di Scacchi - Charles Vas

    633/1941.

    La vita è un teatro dove i sogni

    stanno dietro le quinte,

    bisogna saper accendere le luci

    del palcoscenico.

    Il Testamento

    Attendo da più di un’ora un giornalista per raccontare la mia storia, lasciare il mio testamento.

    Fa freddo, molto freddo, fuori dalla finestra vedo scendere la neve, tanti fiocchi dal cielo decisi ad attaccarsi a tutto ciò che capita, era come se mi davano dando la benedizione dall'alto dei cieli.

    Ci sono auto sommerse, come la panchina di fronte alla mia finestra, la sera prima mi ero addormentato e dove solo Dio sa del perché non mi sono ammalato. Sono perso tra i miei pensieri in questa camera d’albergo sperduto in quel di Siena nel silenzio più totale, dove le uniche volte che è stato interrotto e grazie a quel bicchiere colmo di ghiaccio e dal Jack Daniels che ogni volta che lo muovo scandisce un piccolo battito che mi garba parecchio e dalla telefonata del giornalista che mi dice che sarebbe ritardato di parecchio, era ingabbiato dal traffico. Una camera sobria, non c'è niente di particolare, un letto, un comodino sommerso di tutto, dai miei occhiali, dal mio unico libro del cazzo che mi portavo in giro per il mondo. Un libro che mi fu regalato da un tibetano moltissimi anni fa, quando gli salvai il figlio dalle grinfie di alcuni soldati cinesi, presi a rastrellare diverse zone del Tibet. Riuscì a nascondere il moccioso dentro ad una valigia per attraversare il confine. Quell'uomo non sapeva come ripagarmi, era lì come un cane bastonato a chinarsi come uno schiavo, baciandomi le mani. Il coglione si agitava, non sapeva cosa darmi per ringraziarmi, era semplicemente un povero disgraziato. Feci in fretta a interrompere quella misera scena squallida, fui io stesso a chiedere quel libro. Era la prima cosa che vidi appoggiato sopra una credenza sporca dove alcuni animaletti viscidi lo usavano come trampolino. per saltare in un loro paese dei balocchi fatto di cibi avanzati avvolti da muffe gelatinose. Un libro senza alcun valore, scelsi quello per tirarmi fuori dalle balle il tipo che insisteva a voler darmi qualcosa per ringraziarmi, non avevo tempo da perdere, avevo un camion che partiva a breve, ero riuscito ad ottenere un passaggio verso sud da un trasportatore di pecore.

    La cosa buffa e che l'uomo non aveva capito che avevo usato suo figlio per far passare dal confine cinese due buste piene di diamanti da un valore inestimabile, che sarebbero serviti successivamente per barattarli con delle armi. Quel bambino doveva fare da esca o meglio dire, salvarmi il culo. Era minuto, piccolissimo, perfetto per le mie esigenze, era chiuso dentro una valigia con dentro alle tasche le due buste con i preziosi, nel caso fosse andato qualcosa di storto. In caso il bambino veniva catturato da quei simpatici cinesi e penso successivamente portato via con i miei diamanti, almeno io, me la sarei cavata. Ero distante alla valigia quel tanto da non dare sospetti, non la perdevo d'occhio. Il confine lo si passava ordinati su due file, le persone in fila indiana controllati uno sì e uno no, mentre gli oggetti come valige e borse o scatole di ogni erano su di un'altra fila e anche in quel caso ne controllavano una sì e un’altra no, era una questione di sfiga o culo. Lo ammetto fu un colpo di culo, la valigia con dentro il moccioso non fu controllata. Ero un bastardo fortunato che oltre ai diamanti mi ero trovato tra le mani pure un libro del cazzo che dopo anni e anni oramai sapevo a memoria, scritto in inglese da un monaco viaggiatore, dove scriveva i suoi appunti di viaggio e alcune storie vissute e considerazioni. Devo dire che mi ero fatto una cultura tibetana in tutti questi anni, diciamo che forse lo consideravo un altro dei miei portafortuna, non potevo liberarmene. Non ero solo un bastardo ma anche un fottuto scaramantico, forse troppo. Avevo un problema mentale di fissazioni che mi hanno condizionato la mia vita di merda. Non potevo buttare quel libro, c'erano alcune pagine stropicciate, una copertina da dove non si riconosceva neanche il titolo, anche per questo ero terrorizzato all'idea di disfarmi di quel libro tibetano, avevo paura di future sventure maledette. In quel stramaledetto comodino c'era anche un piccolo aggeggino di forma circolare, piccolo quanto una vecchia moneta di cento lire, un pochetto più grande di spessore. Ha una sola fessura di entrata dove vanno inserite delle cuffie con l'uso di uno spinotto, al suo interno ci sono dodici brani musicali. La cosa incredibile e che non si potevano eliminarli ne sostituirli, era in tasca ad un giapponese. Era in terra ricoperto dal suo stesso sangue che gli usciva da due fori, uno in pieno petto, l'altro sul fianco in basso vicino alla milza. Rimasi a guardarlo mentre tentava di dire qualcosa. Il muso giallo spiaccicava parole senza senso, ad un certo punto non tolleravo più il suo modo inutile di chiedere aiuto, gli puntai il silenziatore e lo colpì in piena fronte, è bastato un solo colpo, del resto avevo fatto un’opera benevola, l'ho liberato dalle sofferenze, dall'agonia. In questo strano mondo c'è anche chi deve aiutare il prossimo come il sottoscritto del resto, mi garba parecchio aiutare il prossimo. Curiosando tra le sue tasche, aveva due soli oggetti, un coltellino e questo strano oggetto. Gli ho lasciato il solo coltellino non sapevo che farmene. Decisi di prendere in prestito l'aggeggino, (come si dice in gergo), beh il poveretto non poteva dire né si, né no, a volte non conviene né chiedere né domandare.

    Tornai in motel, quel giorno ero a Tokyo, e nella mia camera passai un’intera notte a studiare l'aggeggino ma non avevo capito un fico secco, allora mi ero fatto dare dall'omino della reception un paio di cuffie. Usando successivamente l'omino come cavia, con il grano chiunque è disposto a fare qualsiasi cosa, con una bella mancia ho detto all'omino di provare se uscisse del suono o altro. Il tipo con molta allegria (poveretto) ha fatto da cavia, io mentre smanettavo l'aggeggino con le mani, l'omino aveva le cuffie nelle orecchie, avrei dato qualsiasi cosa se al tipo gli sarebbe saltato il cervello, mi sarei risparmiato la mancia. Fino a quando l'omino non urlò; Musica! per ben due volte. Tornato in patria, mi procuro delle cuffie e ascolto i dodici brani, faccio delle ricerche e scopro che sono musiche di Ennio Morricone, cantate da una certa Milva. Pensai che fosse stato il destino, decisi di tenerlo come portafortuna. Sta di fatto che questo aggeggino e passato da mano giapponese a me e forse dopo di me passerà a qualcun altro, spero che accada il più tardi possibile, almeno vuol dire che sarò ancora vivo. Sul comodino c'era anche un piccolo teschio fatto di ossa che tengo sempre legato al collo come una semplice collana, il teschio fu fatto da un boliviano, nel periodo in cui soggiornavo in Bolivia. Un vecchietto prese un osso, iniziò a lavorarlo e dopo un paio d'ore lo fece diventare un teschio, ci piantò in cima alla testa un piccolissimo anello in rame. La cosa che ancora oggi mi lascia pensieroso e sapere se l’osso proviene realmente da qualche parte del corpo di un essere umano fatto precedentemente a pezzettini. Non poteva mancare il mio pacchetto di sigarette, le Black Death, ultime rimaste. Le hanno tolte dalla circolazione, ora le trovi solo in Andorra sui Pirenei, sono le mie dolci compagne che non parlano mai e danno un senso alla mia vita del cazzo, anche loro abbellivano quel comodino di quella stanza d'albergo. Sotto alla finestra un tavolino rettangolare, con sopra la mia valigetta con all'interno una pistola che porto sempre con me una P220 della Sig-Sauer. Con molta fatica e a piedi nudi mi distendo nel letto, chiudo gli occhi, sperando di addormentandomi per non stare a pensare, a riflettere. Cercando di far passare il tempo, quel tempo che non ho più, capivo che forse era finito. La mia vita, una vita vissuta pericolosamente, pensavo ai tanti rimpianti, ai tanti peccati commessi, guardavo il soffitto di quella stanza cercando di scrutare se Dio fosse lì ad ascoltarmi, a confessarmi dei miei misfatti, prima o poi dovrò ricevere un giudizio divino per sapere se dovrò marcire all'inferno, non so se sarei capace di difendermi da un giudizio divino ma sicuramente avrei dato una motivazione, del tipo;

    Ognuno di noi ha un destino nella vita.

    Ecco, il mio destino era quello che ho fatto, andate a fanculo tutti.

    Guardavo l'orologio e di quel giornalista ancora niente, mi sedetti ad osservare i miei piedi nudi, compreso la cicatrice in quello destro, ferito da un colpo di fucile quando ero in Ciad e come un deficiente mi misi a parlare con il mio piede del cazzo. Guardai il mio viso attraverso lo specchio di fronte a me, notavo con enorme stupore alcuni fili di capelli grigi avanzare dalla mia testa e molto lentamente mi avvicinai allo specchio e capì definitivamente che pure loro incominciavano ad odiarmi. Il mio Jack Daniels era svanito nel bicchiere e i cubetti di ghiaccio iniziavano a lamentarsi della solitudine, prendo il telefono e chiamo la reception per un altro giro di giostra, che servizio! Nel giro di pochi minuti arriva una donzella a portarmi un altro bicchiere, bello pieno di nettare degli Dei, come definivo io il mio vecchio amico Jack Daniels.

    Presi il bicchiere della donzella e svuotai il tutto nel bicchiere che tenevo tra le mani da ore. Che bel rumore tutti quei cubetti di ghiaccio che si incontravano tra loro, dando belle carezze, belle fredde al mio amico Jack. Ringrazio la donzella dandogli una bella banconota da cinque euro, lei sorride e sparisce. Che culo che ha la donzella, quel suo sculettare su quella gonnellina corta mi ha rintronato per qualche secondo. Wow! Come scende giù bene quel whisky, lascia un bel sollievo anche alla mia gola che era inebriata dal freddo scorrere, fino alle viscere del mio stomaco, con un breve passaggio tra i lussuosi mondi del mio fegato, che chiedeva aiuto. Era tutto meraviglioso come quella neve che scendeva da un cielo bianco come il latte di una pecora in calore. Peccato che quello stronzo di un giornalista non era ancora arrivato, ero pure pronto a spararmi in testa con quella cazzo di pistola che già aveva conosciuto negli anni vittime designate, beh ammazzare è una parola grossa. Diciamo che non li ho fatti vivere nell'agonia di un mondo selvaggio e caotico, prima o poi dovevano sempre morire, gli ho dato un buono viaggio al paradiso di sola andata in anticipo, dovrebbero ringraziarmi gli stronzi. Li vedevo tutti lì con me, in quella stramaledetta camera d'albergo, tutti pronti a vedermi saltare il cervello, vedevo le loro ombre, circondato dalle loro inutili vite, se non quello di dovergli fare un regalo, lo avrei premuto quel grilletto ma non potevo dargli questa soddisfazione, quindi mandai tutti quegli stronzi a farsi fottere. Sto perdendo i sensi, faccio fatica a stare in piedi, vedo fantasmi da ogni angolo di questa stanza non mi resta che sdraiarmi nel letto. Tento invano di tenere gli occhi aperti, il silenzio mi avvolge, chiudo gli occhi. Mi salvò il bussare alla porta, forse era finalmente arrivato il giornalista, mi precipitai ad aprire.

    Piacere, sono il giornalista che aspettava.

    Mi faccia vedere il tesserino.

    Non me lo porto sempre dietro, telefoni alla redazione, le do il numero e gli dica chi sono.

    Dopo qualche esitazione, feci entrare il giornalista.

    Non pensavo che il giornale mandasse un moccioso.

    Sa che non tutti mandano i loro fuori quota per sentire storielle, e già una fortuna che hanno mandato me.

    Sei uno sfigato allora?

    Più che sfigato sono un freelance.

    Rimani sempre uno sfigato del cazzo.

    Se lo dice lei, dove ci mettiamo per l'intervista?

    Hai portato un registratore?

    No, non pensavo che servisse.

    Ma che cazzo di giornalista sei, senza registratore io non parlo.

    Ho il taccuino.

    Il tuo taccuino te lo puoi mettere dove non batte il sole, le cose che usciranno da questa stanza dovranno essere registrate, poi se vorrai potrai scrivere anche sul taccuino.

    Non si usa più ai giorni nostri il registratore.

    Giorni nostri, hai detto giorni nostri… ragazzo da che mondo esce il tuo cervello.

    Non accetto tutte queste offese.

    Io non ti sto offendendo, ti sto semplicemente mandando a cagare.

    Allora tolgo il disturbo, ho perso del tempo.

    Aspetta ragazzo, stavo scherzando, su dai rimani, vedrai che da oggi inizierà il momento più importante della tua vita, stai per sapere la storia più incredibile che tu abbia mai sentito.

    Rimango ma non so il suo nome, mi mandano nel mezzo di una bufera di neve ad intervistare uno che non so neanche chi sia.

    Il mio nome hai detto… non ho un nome specifico, ho vari nomi ma uno solo e quello di battaglia a cui sono molto legato.

    Mi sta prendendo in giro, lei non ha un solo nome ma ne ha altri e pure uno di battaglia.

    Aspetta un attimo ragazzo, non prendo nessuno in giro, soprattutto oggi che ho intenzione di confessarmi, di redimermi.

    Ma lei crede che io sia un prete?

    Non penso proprio che tu sia un prevosto.

    Mi ha dato del prete, vuole che io la confessi?

    Non ho detto questo moccioso di un ragazzo che puzza ancora di latte, voglio un semplice testimone.

    Continua ad offendermi senza sapere chi sono.

    Non ti voglio offendere, anzi mi sei diventato simpatico.

    Mi sta mettendo alla prova?

    Può darsi, anche se per metterti alla prova basterebbe chiederti se sai giocare a scacchi.

    Si, so giocare a scacchi.

    Porca la miseria, ottimo, chiamo e mi faccio portare una scacchiera.

    Presi il telefono e chiamai la reception.

    Senta avrei bisogno di una scacchiera e mi raccomando, con tutte e quante le pedine in buono stato.

    Non l'abbiamo.

    Ne ho bisogno urgentemente, procuratemela e mettetemi il tutto sul conto.

    Sarà fatto, cercheremo di procurargliela.

    Ragazzo, tra un pò avremo la scacchiera…posso farti una domanda?

    Mi dica.

    A scacchi giochi in difesa o in attacco?

    In che senso, non ho capito.

    Metti in gioco subito la regina, oppure aspetti a farla uscire.

    Dipende dalle prime mosse dell'avversario.

    Sei un indeciso.

    E lei che tattica usa?

    Io attacco sempre, la regina la faccio uscire sempre subito dopo il cavallo e il pedone.

    Le dico che non sono un grande giocatore.

    Come ti chiami ragazzo?

    Mario.

    Piacere Mario…tu chiamami Ivan, per essere precisi Ivan Tomasevski.

    Il piacere è tutto mio e gli altri nomi che dice di avere, quali sono?

    Ugo Panni e Gregor Kitarian.

    Non ci credo.

    Ma cosa credi che io sia, un coglione.

    Non ho detto questo, non le ho dato del coglione.

    Ci mancherebbe, se no saresti uscito dalla finestra volando.

    Perché mi sta facendo perdere tempo?

    Perché tu ragazzo, credi di avere del tempo che ritieni importante?

    Io ho la mia vita.

    Prima di dargli un valore quantificato in tempo, sai almeno cosa è la vita?

    Oh mio Dio, lei dà un senso alla vita nel tempo?

    La vita non è niente se non è vissuta, rischiando anche della propria esistenza.

    Lei crede? 

    Ragazzo incominci a piacermi, credo che abbiano mandato la persona giusta ma senza registratore io non parlo.

    Possiamo chiedere giù alla reception se hanno un registratore.

    Bè, tra donzelle che sculettano e dell'ottimo whisky può darsi che abbiano anche un registratore, ora li chiamo.

    Presi di nuovo il telefono e chiamai in reception.

    Scusate avete un registratore?

    Dovremo avere nel magazzino in qualche scaffale un vecchio mangia cassette che registra e parecchie cassette vuote chiuse in una scatola. Non so dirle se funzionano ancora perché nessuno da molti anni le ha mai richieste. Le avevamo in uso molti anni fa quando facevamo dei congressi, ora controlliamo.

    Ecco portatemi il tutto, mettetemi i costi sul conto, siete anche fortunati, vi pago pure del materiale da rottamare.

    "Dove eravamo rimasti ragazzo? chiesi al giornalista intento a scrutare fuori dalla finestra.

    Senta, mi diceva che ha tre nomi.

    Esatto, il primo è Ugo Panni, nome italiano che ho dalla nascita con relativo documento e passaporto, poi un altro nome è Ivan Tomasevki e anche il mio nome di battaglia, quando ho passato una prima parte della mia vita negli Stati Uniti e in una parte d’Europa, con relativo documento e passaporto. Senza dimenticare la mia vita vissuta in Sudamerica. Poi ho dovuto, meglio dire sono stato obbligato ad avere una terza identità, Gregor Kitarian nel periodo che viaggiavo tra Medio Oriente, Europa e Asia ma comunque ho sempre usato in modi diversi e luoghi differenti tutte e tre le identità, a seconda dell'utilità.

    Specifichi meglio.

    Potevo avere una sola identità per tutta la vita come chiunque persona ma non ho potuto farlo, fui costretto dalle circostanze a dover avere altre identità, comunque ti racconterò il tutto, dobbiamo andare con ordine.

    Ma non ha avuto difficoltà nel gestire le tre identità?

    No per niente, quando lavori per governi ed organizzazioni il tutto e molto semplice, hai molte protezioni, la cosa importante e mettere entrambi i piedi in più scarpe.

    Ha parlato di governi e organizzazioni.

    Esatto, e capitato tutto per caso, poi diventa una spirale senza una fine. Quando ci sei dentro non ne esci più, non potresti neanche farlo a me no che dentro una bara, credimi ragazzo, chiunque penserebbe a salvarsi la pellaccia. Però ho avuto anche il mio rendiconto, non mi posso lamentare, volendo potrei comprarmi questo albergo, il grano a me non manca, grazie a tutto quello che ho seminato in tutti questi anni.

    E adesso che fa?

    Niente, e finito da un po’ di tempo il mio mondo. Ci sguazzavo per bene dentro a quel mondo ma non solo io, eravamo parecchi al servizio del sistema, cercando di dare un ordine alle cose. Ti sei mai chiesto del perché fino a qualche anno fa il mondo girava in maniera più logica e meno caotica di oggi.

    Non me lo sono mai chiesto.

    Bè caro ragazzo, preparati che ti racconterò tutto, prima però, aspetto il registratore, se no da questa bocca non esce neanche una sillaba, anzi ho già parlato troppo.

    Passa qualche minuto di silenzio e si sente bussare alla porta, era la solita cameriera sculettante con il registratore, un microfono e una scatola di cassette. Viene appoggiato il tutto sul tavolo, con la cameriera che

    mi annuncia che più tardi arriverà la fatidica scacchiera che avevo ordinato. Le do la solita mancia, mentre lei ringrazia e si volta per uscire, mi viene l'assillo di toccargli quel culo ma poi mi trattengo per signorilità,

    non volevo che mi arrivasse una cinquina in piena faccia.

    Caro ragazzo, a volte e meglio guardare ma non toccare, anche se il padre eterno ha fatto solo due cose belle nel mondo, il culo di una donna e una mano per poterlo palpare.

    Se vuole signor… come la devo chiamare?

    Ivan.

    Signor Ivan, se vuole possiamo incominciare, il registratore funziona, ho inserito il microfono e la prima cassetta da 90 minuti, appena mi dà il via schiaccio il tastino rosso.

    Rimango a guardare fisso la porta, pensavo e pensavo, quasi quasi, apro quella porta del cazzo e sparisco ma poi una promessa e sempre una promessa. Non potevo mandare a fanculo il ragazzo, non era giusto e decido finalmente di iniziare il ballo.

    Ok, hai il dito sul tasto?

    Si.

    Bene, schiaccia, partiamo...

    Cosa ne sai della mia vita sbandata,

    cosi irrequieta,

    che l'unico paracadute che indosso

    e fatto di solo vento.

    Svolazzo tra lande così lontane

    che a volte non ritrovo più la strada del ritorno.

    E poi che senso avrebbe tornare,

    se poi rimango in un limbo desolato

    ma accogliente,

    da essere una cosa sola con il destino,

    da essere molto più di un lucido tormento.

    Non sempre il tormento è cosi lucido,

    rimane annebbiato,

    da rendere quasi inutile,

    ogni sua parola.

    Scrivo queste poche righe,

    per dare un qualche emozione in più,

    alla mia vita ancor di più sbandata,

    da quando il tormento ha perso

    la sua di voce.

    Per fortuna,

    il cuore sospira ancora,

    per altre e ancor più,

    terre desolate.

    La Nascita

    Erano circa le 14.00 del 1 Aprile 1955. Una donna si presenta in un convento del profondo sud d’Italia, precisamente quello di Biancavilla, gestito da un Ordine di Frati Minori Cappuccini. C’era nell’aria un profumo di primavera quel giorno, un luminoso cielo azzurro, il primo sbocciare di fiori. Quei giochi di luci in quel mattino avevano messo al mondo insieme a quella donna un frutto, che sarei stato io. Che frutto sarei stato? Forse un mandarino da una buccia ben forte e dal succo acre, quel gusto che ti farebbe storcere il naso.

    Bussò al convento, gli venne incontro Frate Ernesto Gonzales, colui che poi mi insegnò a stare al mondo, a capirne il senso, ad assaporare quella magia che era la vita. Era ben vestita, poteva avere sui trent’anni ben portati, indossava un vestito elegante di un color blu, scarpe con un tacco normale, mani ben curate con unghie di un color rosa delicato, capelli lunghi e scuri. Portava anche un cappello con una veletta che le copriva il viso, si notavano alcune lacrime che si nascondevano dietro la veletta. Con voce singhiozzante disse al frate parlando un italiano stentato di occuparsi del bambino. Glie lo mise tra le braccia, si voltò e se ne andò. Frate Gonzales non fece tempo a dire una parola, si trovò tra le mani quel bambino dentro ad una stoffa di puro raso. Dormiva come un ghiro, tra le labbra teneva un ciuccio colorato e profumava di buono.

    Frate Ernesto rientrò in convento mentre giunse Frate Ignazio che esclamò un forte.

    Santo Cielo!

    Da quel giorno la vita in quel convento cambiò, che poi diventerà la mia casa, la mia famiglia. Frate Ernesto era una specie di capo in quel luogo, deciso a far sì che rimanessi, secondo lui era come se il signore avesse mandato un segnale. Alcuni non erano d’accordo, come Frate Luigi che riteneva giusto di portare il bambino in questura, allora decisero il tutto ai voti, su alzata di mano. In quel convento c’erano 11 frati, quindi ci sarebbe stata una maggioranza, stare o andare alla ricerca di un altro destino. Quale destino avrei avuto, non avrei neanche deciso io, non avrei neanche avuto la concezione di capire. Avevo poche settimane di vita, il mio destino era legato a 11 frati, di cui alcuni rincoglioniti. Cazzo!! Che bella aspettativa di vita.

    Frate Ernesto trovò una cesta di vimini dove mettermi. Sono quei cesti che usano i contadini quando vanno a raccogliere la frutta. Immagina caro Mario la scena, un bambino avvolto ad una stoffa di raso dentro un cesto di vimini, usato per raccogliere i fichi d’india. Porca la miseria! Non ricordo se qualche spina mi avesse punto il culo. Frate Ernesto mi raccontò di quel giorno delle votazioni degli undici dell’apocalisse, un voto che poi non fu neanche tanto semplice. Frate Luigi era per un secco no, mentre Frate Ignazio non finiva mai di pregare per trovare la giusta decisione, c’era Frate Costantino che era sordo totale e per spiegargli il tutto ci fu un trambusto. Frate Costantino era uno dei rincoglioniti, aveva circa 70 anni ma sembrava che ne avesse 90, aveva una piccola gobba sulla schiena. Passava tutte le sue giornate tra i fiori, ne era appassionato, del chiostro ne teneva la gestione. Aveva messo decine piante di ogni tipo e di ogni colore, tra cui una lavanda sublime, dove passavo molto tempo della mia gioventù a leggere decine di libri. Rimanevo incantato dal profumo di quella lavanda che mi entrava dentro, ne sentivo la pura essenza e ad ogni libro o storia che leggevo mi portava leggiadro su nel cielo. Ancora adesso a solo pensare di cosa fu quella lavanda mi fa tornare a quei brividi che sentivo sulla pelle, sentendo anche oggi come allora la sua incantevole magia. I ricordi quando sono profumati sono ancora più deliziosi da assaporare. Con Frate Costantino ci parlavamo a gesti, era parecchio rintronato, fondamentale non toccargli i suoi fiori, se no, si incazzava di brutto, te rincorreva con il bastone. Poi c’era Frate Carmine, il più giovane tra tutti. Arrivò all’età di sei anni nel convento, sul finire del primo conflitto mondiale. Perse il padre in guerra e la madre dalla disperazione diventò pazza e finì in una clinica psichiatrica. Rimase solo e abbandonato e fu accolto dai Frati, anche perché non lo voleva nessuno. In quel periodo c'era tanta fame in paese e tanto meno nessuno voleva accollarsi una bocca in più da sfamare. Poi c’era Frate Jozef, un disertore dell’esercito tedesco. Si rifugiò nel convento di Biancavilla subito dopo lo sbarco degli americani in Sicilia. Passava le sue giornate tra i campi a coltivare frutta e verdura e alla mensa dei poveri alla sera. Un’ora al giorno mi dedicavo grazie a Frate Jozef alla lingua tedesca, mi insegnava a parlare un po' di tedesco. Poi c’era Frate Antonio che entrò nella congregazione dell’Ordine Frati Minori Cappuccini, subito dopo la scuola, prese questa decisione, penso che fu pura vocazione. Passava molto del suo tempo tra gli ospedali a dare un aiuto, ed era un grande bevitore di vino rosso. Frate Luigi era forse il più lige ai doveri di tutti gli abitanti di quel convento, sapeva tutto di regole e regolamenti, non sorrideva mai, aveva sempre il broncio. L'unica volta che mi sorrise fu quando mi salutò, il giorno che andai via dal convento, gli scappò un sorriso che non scorderò mai.

    Poi c’era Frate Ernesto ex reduce dalla Guerra Civile Spagnola. Scappò dal suo paese e si rifugiò in Sicilia, trovò il suo posto e la sua vocazione nel convento di Biancavilla. Fu colui che mi insegnò a leggere, a fare i conti, a capire la geografia, la storia. Insomma proprio tutto, tra cui anche parlare lo spagnolo e soprattutto il gioco degli scacchi. Mi fece capire il significato degli scacchi, legandolo molto alla metafora della vita.

    Già all’età di sei anni sapevo giocare agli scacchi come un piccolo campioncino, Nel corso della mia esistenza ho compreso il significato di questa metafora della vita. Il gioco degli scacchi fu inventato da due fratelli, Dio e il Demonio. Volevano giocarsi il mondo in una partita, uno di fronte all’altro. Da una parte il bianco e dall’altra il nero. Il bianco è Dio, mentre il nero è il Demonio. I due fratelli si misero d’accordo dall'alba dei tempi e il Demonio concesse a Dio il vantaggio di partire sempre per primo, perché lui era considerato il più bello e il più buono, mentre egli si riteneva il più cattivo e il più crudele. Per

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1