Riflessi
Di Luca Boero
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Info su questo ebook
Nasco a Genova nel 1960 e vivo tra Liguria e Romagna con mia moglie. Informatico di professione al primo tentativo letterario, un quasi giovane esordiente. Dopo tanti anni passati a scrivere in linguaggi che solo le macchine possono comprendere, all’improvviso e quasi per caso le mie dita si sono ribellate, hanno risposto al richiamo delle origini e sono tornate alla sorgente dei miei studi di Liceo Classico. Anche se non ce ne accorgiamo, quegli anni che a volte viviamo un po’ di striscio, giovani, si sa bene come sono, arrivano al nocciolo dove devono e lì rimangono per sempre. Ho scoperto un piacere inaspettato a scrivere frasi in italiano sulla stessa tastiera che per tanto tempo aveva parlato solo in codice.
IF, è forse l’istruzione più utilizzata in ogni linguaggio di programmazione. Ma è anche, soprattutto, una meravigliosa musica dei Pink Floyd. Si ascolta una volta e si capisce subito da che parte stare.
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Anteprima del libro
Riflessi - Luca Boero
LUCA BOERO
RIFLESSI
Da scene di vita comune,
quasi un giallo
© 2023 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Roma
www.gruppoalbatros.com - info@gruppoalbatros.com
ISBN 978-88-306-8818-6
I edizione dicembre 2023
Finito di stampare nel mese di dicembre 2023
presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)
Distribuzione per le librerie Messaggerie Libri Spa
RIFLESSI
Da scene di vita comune, quasi un giallo
A mio padre, BisNonnoB, Ingegnere,
fonte ispiratrice di questo racconto
A mia moglie Cristina
"Certe volte non mi sento una persona.
Non sono che un insieme di idee di altra gente".
David Bowie
Nuove Voci
Prefazione di Barbara Alberti
Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.
È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.
Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi
Non esiste un vascello come un libro
per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina
di poesia che s’impenna.
Questa traversata la può fare anche un povero,
tanto è frugale il carro dell’anima
(Trad. Ginevra Bompiani).
A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.
Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.
Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.
Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov
.
Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.
Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.
Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.
I.Preludio in Do Maggiore. Allegro ma non troppo
Sembrava un sogno, ma, un sogno non era. Gli occhi aperti, gli occhi chiusi. E fuori soltanto nebbie e fari che disegnavano riflessi e ombre all’infinito.
Da tempo non mi sveglio più tardi la mattina. Mattina attesa di momenti magici, da vivere, qualcosa che nasce, un preludio che da prima dell’alba vola e corre come un film senza trama, verità nascoste e appena intraviste, immaginate, ricercate, pian piano fuggiranno col sole che sorge.
Allora spero sempre in un risveglio che mi accolga morbido, il lento movimento dei pensieri che si affacciano e subito si ritirano. Di nuovo sulla solita strada, abbandonata dal tuffo nel sonno, la sera prima. Il viaggio di sempre tra dentro e fuori, notte e giorno, buio e luce.
Non sarà facile credere di nuovo alle cose di ieri.
Un suono, poi un rumore pesante come un macigno, uno schianto, un incidente come tanti e una persona che muore come tante, sconosciuta, sconosciuta non abbastanza da non scatenare un dramma bestiale e da far pensare alle bestie che muoiono ogni giorno divorate dalle auto, vite che si spengono e a cui nessuno pensa. Diverse dalle nostre.
Il solito urlo delle sirene, camici diversi, polizia in uniforme, il volto bianco delle ambulanze, nulla oltre questo.
E non c’è nulla in più da fare se non per coloro che dovranno cercare di capire. Cercare di capire, come sempre, come un cammino che tocca a tutti senza distinzione e senza scampo. Un cammino costante che conduce non si sa bene dove. Ma si percorre comunque tentando. È come vincere un’olimpiade. Saltare più in alto di tutti o correre come un razzo i cento metri piani. Essere seduti sul tetto del mondo per un istante cercando di farlo sembrare eterno. Sul podio più alto. A caccia di un applauso.
Ma un campanello suona e la distrazione bussa alla porta. Benvenuta in certi momenti da sola può bastare, modifica il percorso del giorno, afferrati per le spalle e spostati di peso.
«Sì?»
«Io».
La porta si apre: due saluti sulla soglia, caffè sul fuoco; tutto può cambiare, in un attimo, in così poco.
E si parla di nuovo, le idee volano fuori di noi, si trasformano e ricadono da qualche parte. Qualche segno lasceranno, oppure nulla, comunque hanno fatto il loro salto, hanno attraversato spazio e tempo e non siamo più per poco imprigionati in noi stessi. In viaggio da soli, continuamente attratti come calamite, l’altalena che dondola tra il bisogno di sé e il bisogno dell’altro. Ogni giorno contraddizioni e un bel gioco di equilibrio sul solito filo teso sopra l’ignoto. A volte in buona solitudine immersi nello stupore dei sogni, non c’è bisogno di nessuno. A volte cercando di sconfinare in qualcuno, quei pochi dove è permesso confondersi ogni tanto accorciando le distanze. Contraddizione, piace proprio a tutti, è un marchio di fabbrica, come un DNA, sembra una missione. Per garantire e assicurare la stabilità della pace: uno schiocco di dita e l’oceano indiano diventa un allevamento di sottomarini a testata nucleare, feroci giganteschi branzini pronti all’attacco. Fantastico, fa quasi ridere se ci pensi. Ridere davvero.
Morto Gandhi, la pace nel mondo territorio riservato a Miss Italia e rock star. Canta e spera di non essere freddato dal primo pazzo che vaga come uno zombie a Central Park.
Un settimanale di enigmistica con sole barzellette Senza parole.
Ho sentito dire che, da soli, si vola più in alto. Sì, ma se cadi nessuno ti aiuta, mentre in compagnia… È vero, l’hanno detto in un bel film. Quante cose impariamo dai film, dai libri. Sì, da tutto si impara e si disimpara, in pratica si ricomincia da capo, così ad ogni risveglio. Tra un’apri e chiudi degli occhi.
«Vero?».
«Non so, preferirei suonare ora. Dai, suoniamo».
E il mondo cambia dimensione, la lingua è un’altra, difficile e facile allo stesso tempo, quando viene da sé è perfetta e dice tutto quello che c’è da dire, non serve altro, quando fa la pigra e non risponde lascia sfiniti e impotenti come ai piedi di una scalata fallita, la vetta lontana e irraggiungibile.
«La musica, perché?».
«Come perché? Perché sei dotato. Perché ti viene naturale».
Infatti, dovrebbe essere semplicemente e solo un fatto naturale. Di nuovo in un film, lei dice: «Io canto nel coro della scuola ma non capisco se sono brava, se il maestro mi apprezza».
«Ma ti piace cantare?».
«In che senso?».
«Nel senso ... provi piacere quando canti?».
Fantastico! Così è. Provi piacere quando canti? Altrimenti lascia perdere. Pertanto la risposta è il piacere, attraverso il piacere dovremmo capire. Attraverso il piacere rendiamo grazie a Dio. Ogni volta che mi sfiora mi porta con sé.
«Come? Questa non l’avevo mai sentita».
«Certo. Perché no? Perché non dovrebbe essere così?».
«Religione e piacere. Mai sentito davvero».
«Ma si dai, un po’ di sano edonismo».
«Ecco appunto, come immaginavo, niente a che fare con religione e dei e nulla di nuovo. Viva il piacere, affoghiamoci nel bello. Altro che rendere grazie. Libiam ne’ lieti calici».